Ci sono soltanto due possibili conclusioni: se il risultato conferma le ipotesi, allora hai appena fatto una misura; se il risultato è contrario alle ipotesi, allora hai fatto una scoperta.[1]
Conobbi il senatore Orso Mario Corbino quando tornai a Roma appena laureato, nel 1922. Io avevo allora venti anni e il Corbino quarantasei; era senatore, era già stato ministro della Pubblica Istruzione ed inoltre era universalmente noto come una delle personalità più eminenti nel campo degli studi. Fu perciò con una spiegabile titubanza che mi presentai a Lui; ma la titubanza sparì subito di fronte al modo insieme cordiale e interessante con cui Egli prese a discutere con me dell'argomento dei miei studi. Avemmo in quel periodo conversazioni e discussioni quasi quotidiane, per effetto delle quali non solo mi si chiarirono molte idee che avevo confuse, ma nacque in me la profonda e sentita venerazione del discepolo verso il maestro, venerazione che andò sempre crescendo negli anni che ebbi la fortuna di passare nel suo laboratorio.[2]
Io non esito a dichiararVi, e non lo dico quale espressione iperbolica, che fra tutti gli studiosi italiani e stranieri che ho avuto occasione di avvicinare il Majorana è fra tutti quello che per profondità di ingegno mi ha maggiormente colpito.[3]
La mia opinione all'epoca era che si dovesse mettere fuori legge la superbomba[4] prima che fosse nata. Pensavo più o meno che sarebbe stato più facile mettere fuori legge, attraverso un qualche accordo internazionale, qualcosa che non esisteva.[5]
La professione del ricercatore deve tornare alla sua tradizione di ricerca per l'amore di scoprire nuove verità. Poiché in tutte le direzioni siamo circondati dall'ignoto e la vocazione dell'uomo di scienza è di spostare in avanti le frontiere della nostra conoscenza in tutte le direzioni, non solo in quelle che promettono più immediati compensi o applausi.[6]
[Sulla bomba a idrogeno] Non esistono limiti alla distruttività di quest'arma [...] la sua stessa esistenza [è] un pericolo per l'umanità.[7]
Sono trascorsi molti anni, ma ricordo come se fosse ieri. Ero giovanissimo, avevo l'illusione che l'intelligenza umana potesse arrivare a tutto. E perciò m'ero ingolfato negli studi oltre misura. Non bastandomi la lettura di molti libri, passavo metà della notte a meditare sulle questioni più astruse. Una fortissima nevrastenia mi obbligò a smettere; anzi a lasciare la città, piena di tentazioni per il mio cervello esaurito, e a rifugiarmi in una remota campagna umbra. Mi ero ridotto a una vita quasi vegetativa: ma non animalesca. Leggicchiavo un poco, pregavo, passeggiavo abbondantemente in mezzo alle floride campagne (era di maggio), contemplavo beato le messi folte e verdi screziate di rossi papaveri, le file di pioppi che si stendevano lungo i canali, i monti azzurri che chiudevano l'orizzonte, le tranquille opere umane per i campi e nei casolari. Una sera, anzi una notte, mentre aspettavo il sonno, tardo a venire, seduto sull'erba di un prato, ascoltavo le placide conversazioni di alcuni contadini lì presso, i quali dicevano cose molto semplici, ma non volgari né frivole, come suole accadere presso altri ceti. Il nostro contadino parla di rado e prende la parola per dire cose opportune, sensate e qualche volta sagge. Infine si tacquero, come se la maestà serena e solenne di quella notte italica, priva di luna ma folta di stelle, avesse versato su quei semplici spiriti un misterioso incanto. Ruppe il silenzio, ma non l'incanto, la voce grave di un grosso contadino, rozzo in apparenza, che stando disteso sul prato con gli occhi volti alle stelle, esclamò, quasi obbedendo ad una ispirazione profonda: «Com'è bello! E pure c'è chi dice che Dio non esiste». Lo ripeto, quella frase del vecchio contadino in quel luogo, in quell'ora: dopo mesi di studi aridissimi, toccò tanto al vivo l'animo mio che ricordo la semplice scena come fosse ieri. Un eccelso profeta ebreo sentenziò, or sono tremil'anni: «I cieli narrano la gloria di Dio». Uno dei più celebri filosofi dei tempi moderni scrisse: «Due cose mi riempiono il cuore di ammirazione e di reverenza: il cielo stellato sul capo e la legge morale nel cuore».[8] Quel contadino umbro non sapeva nemmeno leggere. Ma c'era nell'animo suo, custoditovi da una vita onesta e laboriosa, un breve angolo in cui scendeva la luce di Dio, con una potenza non troppo inferiore a quella dei profeti e forse superiore a quella dei filosofi.[9]
Fermi era alquanto scettico sulla possibilità di una civiltà extraterrestre così tecnologicamente avanzata da potersi liberamente spostare tra le stelle. Uno degli argomenti da lui preferiti era che una civiltà del genere sarebbe stata in condizioni di colonizzare l'intera Galassia in meno di 300 milioni di anni, un tempo breve se confrontato con l'età di questa, pari a circa 15 miliardi di anni. Quella civiltà avrebbe già dovuto raggiungere la Terra, lasciando tracce apprezzabili. Ma poiché queste tracce non sono state trovate, Fermi giungeva alla conclusione che l'ipotetica civiltà non esiste. (Tullio Regge)
Per le sue prime scoperte nel campo della fisica egli era stato nominato membro della Reale Accademia d'Italia e aveva quindi diritto al titolo di Eccellenza. Un giorno egli si recò con la sua piccola Fiat a una riunione dell'Accademia, che doveva essere presieduta da Mussolini in persona: all'ingresso del cancello principale che dava nel cortile interno erano di guardia due carabinieri. Essi gli intimarono l'alt e gli chiesero chi fosse. «Questi non mi crederanno, se dirò loro di essere un'Eccellenza» pensò Fermi «perché tutte le Eccellenze hanno un aspetto più dignitoso e viaggiano su grandi macchine guidate dall'autista.» Egli allora sorrise ai carabinieri e disse loro di essere l'autista di sua Eccellenza Fermi: il trucco ebbe successo ed egli poté entrare ad aspettare che il suo padrone uscisse dalla riunione. (George Gamow)
[Ricordando le sue lezioni all'Università di Chicago] Per ogni argomento aveva l'abitudine tipica di cominciare sempre dall'inizio, faceva esempi semplici ed evitava per quanto possibile i formalismi. (Usava ripetere per scherzo che il formalismo complicato era per gli "alti prelati"). La semplicità dei suoi ragionamenti creava l'impressione di una totale mancanza di sforzo da parte sua. Ma questa impressione è falsa: la semplicità era il risultato di un'accurata preparazione e di una ponderata valutazione delle possibili alternative di esposizione. (Chen Ning Yang)
Quando Fermi si rifugiò in America per salvare la moglie dal razzismo fascista, con lui l'Europa perse non solo un grande fisico (come tutti ammettono), ma anche un grande organizzatore (come pochi sanno). Il suo contributo sarà determinante anche nel primo, grande progetto scientifico – il Progetto Manhattan – che non solo segnerà la nascita concreta della big science, ma che dimostrerà al mondo intero come, da ora in poi, la potenza di una paese dipenderà dal grado del suo progresso scientifico. Non a caso alcuni studiosi fanno coincidere la nascita della società postindustriale con il lancio della prima bomba atomica. (Domenico De Masi)
[Ricordando il corso di lezioni tenuto a Villa Monastero nel 1954] Qui c'era Fermi al massimo delle sue capacità, che metteva ordine e semplicità nella confusione, che scopriva connessioni tra fenomeni apparentemente non collegati; acume e saggezza fluivano dalle sue labbra, come al solito bianche di gesso, con la sua voce chiara e sonora. (Bernard T. Feld)
Prendemmo l'abitudine di fare lunghe passeggiate a piedi da un capo all'altro di Roma, discutendo con giovanile presunzione, di filosofia, di politica, e di scienza. Ma in queste conversazioni da ragazzi, Enrico portava una precisione di idee, una sicurezza e originalità di giudizio che non cessavano di stupirmi. Nel campo, poi, della matematica e della fisica, egli mostrava di conoscere una quantità di argomenti assai più elevati di quelli trattati a scuola, e li conosceva non già in modo scolastico, ma in modo tale da muoversi dentro con assoluta disinvoltura. Poiché per lui, fino da allora, conoscere un teorema o una legge significava essenzialmente, saperli adoperare.
Luigi Puccianti, allora direttore dell'Istituto Fisico di Pisa, da uomo nobile e modesto quale era, non esitò a concedere all'eccezionale allievo [Enrico Fermi] un trattamento eccezionale, e a considerarlo, più che uno scolaro, un amico, a cui non si vergognava di chiedere spiegazioni, e anche lezioni, sugli argomenti più attuali della fisica.
Di gusti estremamente semplici, amava la vita tranquilla di famiglia e considerava il denaro soltanto come mezzo per procurarsi le comodità essenziali e la tranquillità necessaria ai suoi studi; ogni manifestazione di lusso era per lui una inutile complicazione della vita. Amava moltissimo l'esercizio fisico; il tennis, lo sci, le gite in montagna, e godeva di queste cose, anche adulto, con giovanile abbandono. Ancora l'estate scorsa[12] ebbi la fortuna di averlo compagno di villeggiatura sulle Alpi e in Toscana. Benché fosse già sofferente del male, che poco dopo doveva rivelarsi fatale, era ancora il caro e semplice compagno delle nostre passeggiate giovanili. Anzi in una gita che facemmo, noi due soli, nell'isola d'Elba, ritrovai in lui una sua vecchia abitudine, che credo pochi conobbero, e che forse farà stupire chi lo ha conosciuto solo superficialmente. Spesso, nei momenti di distensione, camminando o sostando in vista di un bel paesaggio, l'ho udito recitare, come tra sé, lunghi brani di poesia classica, di cui fin dalla giovinezza custodiva nella memoria un ricco tesoro. Temperamento poco incline alla musica, la poesia gli teneva luogo di canto.
Il nome di Fermi, per la grande maggioranza degli uomini, resta legato alla pila e alle utilizzazioni dell'energia atomica. Per i fisici esso si ricollega anche, direttamente o indirettamente, a gran parte dei progressi fatti dalla fisica nell'ultimo trentennio. Ma per tutti coloro che conobbero Fermi da vicino e lo ebbero caro, esso è legato al ricordo indimenticabile di un uomo semplice, saggio e buono, della bontà serena dei forti.
↑ Citato in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 46.
↑ Da Enrico Fermi. Collected Papers (Note e memorie), vol. I Italy 1921-1938, Oxford Book Comapany, Calcutta - New Delhi - Kharagpur, 1960, Un maestro: Orso Mario Corbino, p. 1017; tratto da «Nuova Antologia», 72, 313-316 (1937).
↑ Da lettera a Benito Mussolini del 27 luglio 1938 dopo la scomparsa di Majorana.
↑ Così veniva definita la "bomba all'idrogeno" o "bomba H".
↑ Citato in Luisa Bonolis, Anno dopo anno, p. 45; in AA.VV., Dossier. Enrico Fermi: vita breve di un grande italiano, Sapere, rivista bimestrale, Edizioni Dedalo, anno 67º, numero 4 (1015), agosto 2001, pp. 19-45.
↑ Citato in Giulio Maltese, Enrico Fermi in America: Una biografia scientifica, Bologna, Zanichelli, 2003, p. 231. ISBN 88-08-07727-6