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film del 1973 diretto da Vittorio Schiraldi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Baciamo le mani è un film del 1973 diretto da Vittorio Schiraldi.
La pellicola è tratta dal romanzo omonimo dello stesso regista.
Stefano Ferrante, figlio del capo mafia di Palermo Angelino, viene ucciso dall'emergente Gaspare Ardizzone perché si rifiutava di vendergli un terreno edificabile. Il vecchio Ferrante manda a chiamare dagli Stati Uniti Santino Billeci, ma questi viene ucciso da Ardizzone, il quale diventerà poco dopo capo famiglia. Masino, figlio del consigliere di Angelino Ferrante, si innamora di Mariuccia, la vedova di Stefano, che rimane incinta.
Per questo motivo, e perché le ha fatto vendere il terreno conteso, Mariuccia viene uccisa e Masino è indotto dallo stesso padre a suicidarsi. Angelino Ferrante è inviato al confino su denuncia di Gaspare Ardizzone, e allora Luca, cugino di Stefano, decide di farla finita: uccide un gruppo di avversari e si scontra con Ardizzone che, prima di essere ucciso, lo ferisce, per poi venire ucciso poiché ha trasgredito le regole.
Tornato clandestinamente dal confino, Angelino Ferrante va con il suo vecchio consigliere sul terreno pieno di edifici in costruzione: entrambi vengono uccisi fra l'indifferenza degli operai.
Fu distribuito a partire dal 23 febbraio 1973.[1]
La prima proiezione del film a Palermo, con la presenza del regista, suscito vivaci polemiche; il pubblico contestò la rappresentazione del popolo siciliano con atteggiamento passivo, vittima della paura e impotente alla progressiva presa di potere delle organizzazioni mafiose.
«Mi auguro che da ciò possa scaturire una più serena presa di coscienza. Alcuni degli spettatori hanno reagito non esitando a definire Baciamo le mani un film "mafioso" a causa degli accenti di commossa elegia che accompagnano il tramonto di una generazione di "don" ormai seppellita.»
«La mafia probabilmente «ringrazia» i produttori e autori di film del genere. La violenza vi è descritta come un elemento pittoresco, i legami con le forme ufficiali del potere sono taciuti. Schiraldi ha visto la mafia senza il necessario distacco critico.[3]
Vittorio Schiraldi, scrittore del libro da lui stesso riversato sulla pellicola, ha fallito il colpo riuscito a Bevilacqua che ne «La Califfa» e in «Questa specie d'amore» ha difeso la sua individualità di autore letterario e cinematografico. L'esordiente regista ci propone un film unicamente commerciale, dove attori anche impegnati come Kennedy o Focas fanno la figura di manichini mafiosi egregiamente ripresi da Marcello Gatti direttore della fotografia. Il padrino (o antipadrino che sia) non vale quello americano e soprattutto presenta ancora la mafia come un mito e non come una cosa sporca.[4]»
«[...] Anche Baciamo le mani è un film di grossolano consumo, con vicende e conflitti psicologici, con amori e morti, con dolori e grandezze. Soprattutto il regista e soggettista Vittorio Schiraldi ha tenuto a sottolineare la figura del vecchio capomafia, nella direzione della «grandezza». Buono e saggio, legato alle nobili tradizioni del tempo che fu, don Angelino Ferrante viene rivestito dei panni più cattivanti perché possa riuscire simpatico allo spettatore. Pare che a Schiraldi non passi per la mente che si tratta di un criminale, di uno sfruttatore, di un capo della malavita. Niente: ci vuole il personaggio «positivo»? E allora eccolo lì. Naturalmente è altresì necessaria la bellezza muliebre, ed allora interviene la giovane e appetibile Agostina Belli a soddisfare le velleità dello spettatore di bocca buona. Non ci siamo, non ci siamo proprio. La mano dello Schiraldi regista è alquanto malferma, e basterebbe la brutta sequenza della scoperta del cadavere di Stefano da parte della moglie a provarlo; gli attori sono quasi tutti fermi al livello del bozzettismo. Il Kennedy è forse l'unico a fornire una buona prova, mentre la Belli dà mostra di doti acerbissime. Senz'altro lodevole invece la fotografia di Marcello Gatti, e la musica ironica di Simonetti.»
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