calciatore e allenatore di calcio italiano (1939-2021) Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Tarcisio Burgnich (1939 – 2021), allenatore di calcio ed ex calciatore italiano.
Citazioni in ordine temporale.
Riganò è un giocatore completo. Purtroppo è arrivato tardi nel grande calcio ma sta dimostrando di poterci stare abbondantemente.[1]
[Sulla Grande Inter] Noi, allora, siamo stati ai vertici per 5-6 anni perché c'era il gruppo compatto. Si vince solamente se tutta la squadra lavora per un obiettivo.[2]
Serve gente che abbia esperienza a livello internazionale, mentre vedo nella nostra Serie A stranieri inferiori a italiani che giocano in B. [...] Bisognerebbe fare come fece Artemio Franchi nel 1966 e mandare via gli stranieri. Tanti giovani di livello giocano in Serie B ma sarebbe meglio facessero esperienze anche in A, in modo da tornare utili per le Nazionali. Dopo quanto successo in Inghilterra si è deciso di chiudere le frontiere. Risultato: vittoria nell'Europeo del 1968 e secondo posto a Messico '70. E poi basta oriundi? A cosa mi serve naturalizzare un giocatore che non è nemmeno più forte di quelli che ho in rosa?[3]
Il gol di Pelé? Tutta colpa del mio volo...
Intervista di Nicola Calzaretta, Guerin Sportivo, 6 giugno 2018, pp. 85-91.
[Sulla vittoria degli europei nel 1968] Mi ha sempre colpito il fatto che di quel successo non se ne sia mai parlato abbastanza. Non ho mai ben capito il perché. Eppure è stata la prima affermazione internazionale del dopoguerra del calcio italiano. Due anni prima c'era stata addirittura la "Corea". Non lo so, forse la colpa è stata di Messico '70. Chissà.
[Parlando degli europei 1968] [...] era una competizione diversa da quella di oggi per quel che riguarda il meccanismo. L'Europeo attuale è simile ad un Mondiale. In quegli anni, invece, la fase conclusiva in un'unica sede era limitata agli ultimi due atti: semifinali e finali. C'erano dei gironi di qualificazione, quindi i quarti con partite di andata e ritorno e poi la conclusione nel paese organizzatore che quell'anno lì era appunto l'Italia.
[Parlando della finale degli europei 1968 contro la Jugoslavia] Fu una partita durissima, soprattutto per me. Marcavo Dragan Dzajic, un vero fuoriclasse. Non lo presi mai. Il gol dell'1-0 lo fece lui. Ci salvammo a dieci minuti dalla fine con una grande fiondata di Domenghini su punizione dal limite. 1-1. Il pareggio ci portò ai supplementari, ma anche in quel caso, non successe altro.
[Sulla ripetizione della finale] La Jugoslavia giocò grosso modo con gli stessi. Noi eravamo più freschi. A Dzajic presi le misure e stette buono. Riva e Anastasi pensarono ai gol. Poi ci fu la festa, con la Coppa alzata da Facchetti e il giro di campo. In quel momento ho sentito forte l'orgoglio e l'onore di vestire la maglia della nazionale.
[Su Armando Picchi ai tempi della Grande Inter] Armando di quell'Inter era l'anima e il cuore. Non a caso era il nostro capitano. Aveva dialettica, Herrera lo temeva. Era sempre pronto a prendere le difese della squadra. Con lui ci si vedeva anche durante l'estate. Veniva qui a Viareggio per il torneo dei bagni [...]. La sua morte nel 1971 è stata per me una grande tragedia.
[Su Giacinto Facchetti] Ho dormito più con lui che con mia moglie! Abbiamo sempre condiviso la camera, anche in Nazionale. Ci si intendeva con gli sguardi, si parlava poco. Alle dieci e mezzo si spegneva la luce. "Buonanotte Tarci. Notte Cipe". E così sia.
[Parlando della Grande Inter] C'erano dei fuoriclasse assoluti come Suarez, Corso, Mazzola. C'era un presidente che ci voleva bene. C'era Italo Allodi, eccezionale dirigente. Ma per me l'uomo decisivo è stato Helenio Herrera, un innovatore, colui che ha dato spessore al ruolo di allenatore, anche perché prima nelle squadre comandavano i giocatori più esperti. [«Cosa ha portato di nuovo?»] Gli allenamenti con la presenza costante del pallone. Correre con la palla è molto più faticoso che senza. Ricordo esercizi molto duri per migliorare la tecnica individuale. Si andava a coppie, poi in tre e anche in cinque, da una parte all'altra del campo, sempre palleggiando tra di noi di prima intenzione e a gran velocità. Poi c'era tutta la sua capacità dialettica e il carisma. Uno psicologo raffinato. E anche se eri una schiappa, per lui diventavi Pelé. Lo chiamavano Mago, infatti.
[Sulla Partita del secolo] [...] i tempi supplementari sono stati come una partita tra scapoli e ammogliati. Giocammo con il cuore e le poche forze rimaste, chi aveva spendeva. Tutti avanti e tutti indietro, senza troppi pensieri, con l'unico desiderio di fare un gol in più dell'avversario.
[Sulla Partita del Secolo] Dopo il 2-1 per loro, ci provo anch'io. Non sempre, ma ogni tanto sui calci da fermo mi sganciavo. Dopo la punizione di Rivera ribattuta da un tedesco, mi ritrovo il pallone sul sinistro, solo, in mezzo all'area. Tiro di prima intenzione, dritto per dritto. Maier è battuto. Io a mala pena esulto. Poi ricordo gli abbracci dei compagni e il ritorno nella nostra metà campo.
[Sulla finale del campionato mondiale di calcio 1970] Fino al loro 2-1 siamo stati in partita. Dico che senza i supplementari con la Germania, avremmo potuto vincere anche noi. Ma eravamo cotti, io stetti tre giorni a letto, con le gambe per aria dopo il 4-3. Recuperare in tempi brevi in altura era quasi impossibile.
[Sul gol di Pelé nella finale dei mondiali 1970] Pelé era capace veramente di fare quelle cose lì. La verità è che io tentai un anticipo. Un attimo prima del cross, feci un mezzo passo verso il centro dell'area, convinto che Rivelino avrebbe messo una palla corta. Invece calciò alto e morbido e io, per ritrovare la posizione, saltai in diagonale con il braccio teso. Tutto inutile.
[«Cosa occorre per essere dei bravi marcatori?»] La prima cosa è l'umiltà. Spesso al difensore tocca la seconda mossa, dopo quella dell'attaccante. Non c'è gioia nel difendere, ma spesso è così. Poi ci vuole la concentrazione [...]. E serve avere delle qualità fisiche. Per questo occorre fare una vita regolare, da atleti seri.
Il successo sulla Germania[Italia-Germania 4-3] fu il nostro Risorgimento. Quella partita smise di essere solo un gioco per diventare altro, una rivincita di carattere, una prova di unità e d'identità. Finalmente un'Italia che le suonava ai tedeschi che ci consideravano molli, deboli, fannulloni.
Pelé? Quello che io faccio con le mani lui lo faceva coi piedi.
Una domenica a San Siro con una gomitata Riva mi ha buttato giù due incisivi e un premolare. Appena ho potuto gli ho reso il fallaccio, e poi mi sono scusato.
In un Napoli-Roma feci involontariamente un tunnel al grande Tarcisio Burgnich, difensore del Napoli con un grande passato nella Nazionale azzurra, un personaggio straordinario, come uomo e come calciatore. Burgnich si avvicinò perentoriamente dicendomi: "Certe cose non si fanno!". All'epoca, noi pivellini, mai ci saremmo sognati di fare un tunnel a dei giocatori della portata di Burgnich. (Domenico Penzo)
Per me il più forte difensore che ci sia stato. Sbagliò davvero un solo stacco di testa, nella finale mondiale del 1970, ma stava marcando Pelè. (Mario Sconcerti)