Dall'intervento alla diretta organizzata dall'Associazione Italiana Risoluzione delle Anomalie, youtube.com, 22 settembre 2023.
[Sulla teoria del complotto lunare] Ricordiamoci che in tutta questa questione del viaggio verso la Luna non è che gli americani hanno fatto tutto, ma anche i sovietici all'epoca fecero le loro missioni – senza equipaggi –: girarono intorno alla Luna con delle sonde, fecero delle fotografie; la prima immagine della faccia nascosta della Luna è di origine sovietica, non americana [...] Le prove sono assolutamente schiaccianti del fatto che ci siamo andati. [...] non dobbiamo dipendere solo da qualche fotografia, da qualche dichiarazione di qualcuno... abbiamo soprattutto le conferme degli altri paesi: la Russia ha sorvegliato, aveva addirittura un veicolo spaziale in viaggio verso la Luna (Luna 15) [...] proprio mentre ci stavano andando gli astronauti [americani]; da Terra il viaggio delle missioni Apollo è stato osservato, fotografato, ascoltato – anche in Italia, l'osservatorio di Arcetri ascoltò puntando il radiotelescopio verso la Luna, scoprì che da lì arrivavano i segnali radio, le voci degli astronauti e anche la telemetria –, quindi non è un «ti devi fidare perché [...] l'ha detto qualcuno dalla CIA». Abbiamo le prove. Cioè, è un fenomeno talmente ben documentato che è abbastanza ridicolo inventarsi queste teorie. Capisco il divertimento di raccontare una storia fantastica, di pensare ai complotti, ma io penserei più che altro ai complotti "reali" senza andare a inventarsi questi qui. (da 10 min 46 sec a 12 min 38 sec)
[Sulla teoria del complotto lunare] A me in realtà piacerebbe sapere una cosa dai complottisti: quando sarebbe cominciata la messa in scena? [...] sono solo le missioni Apollo? Quali? La 11... e invece quelle prima sono vere... o addirittura le missioni spaziali precedenti... o sono tutte finte? Quanto diventa grande questo complotto? Cioè, più si teorizza che sia una messa in scena, più si aumenta il numero delle persone che dovrebbero essere coinvolte – nessuna delle quali in tutti questi anni è venuta fuori a dire «ma guarda, no, è stata una messa in scena, abbiamo finto, abbiamo fatto così...», nessuno ha mai spiegato quale sarebbero state le incredibili tecnologie (anche cinematografiche) usate per simulare, secondo l'accusa, le riprese lunari. Cioè, ancora oggi se andate a vedere First Man, per esempio, non è male come effetti speciali ma non corrisponde esattamente a quello che vediamo nelle riprese spaziali "vere". [...] a me è capitata una cosa molto particolare alcuni anni fa: è venuto a Locarno [...] Douglas Trumbull, il maestro degli effetti speciali di 2001: Odissea nello spazio, che era il top degli effetti speciali all'epoca dei viaggi verso la Luna, e gli ho chiesto molto candidamente «Senti, ma se a te avessero chiesto all'epoca di simulare le riprese lunari, quale sarebbe stata la cosa più difficile da simulare?» e lui mi ha risposto che la cosa più difficile sarebbe stata la polvere; quando hai gli astronauti che camminano... il Rover [...] che si sposta, solleva questa polvere e fa una traiettoria parabolica che si può fare solo nel vuoto e che non puoi simulare con gli effetti digitali. (da 15 min 07 sec a 16 min 52 sec)
[Partendo dalla teoria del complotto sull'Apollo 20] [...] questa missione misteriosa è un'invenzione, non è mai esistita... sappiamo in questo caso chi se l'è fabbricata [...], si chiama Thierry Speth, è un artista francese e ha costruito un falso per diventare famoso: e questa purtroppo è una cosa che capita molto spesso nel cospirazionismo [...]. Se tu fai una teoria strampalata – dalla Luna piatta alla Terra concava, quello che vuoi –, la metti su YouTube, la monetizzi e incassi sicuramente molto di più di qualunque libro serio di fantascienza [...] per cui non c'è convenienza; oltretutto, scrivere un racconto è impegnativo mentre fare una teoria richiede poca fatica. Infatti è il debunking che richiede molto più impegno: perché devi portare fatti, dati, devi conoscere benissimo la materia... mentre chi fabbrica teorie lo fa in pochi secondi, ne può inventare 10 in dieci secondi; debunkarle, cioè trovare le prove per dire «sì è vero, no non è vero» richiede molto più impegno. [...] c'è questo desiderio di dimostrare di saperne di più degli altri, cosa che invece, normalmente, chi lavora nel settore non ha bisogno di fare: perché ne sa a pacchi, e lo sa e basta. Non va in giro ostentando sapere per dimostrare di essere superiore agli altri. Invece molto spesso nel cospirazionismo vedo che c'è questo bisogno di dimostrare «ah, io ho capito tutto! Voi popolo di capre non avete capito niente!», quindi c'è questa gratificazione. E poi c'è sicuramente anche [...] il fascino di raccontare una bella storia: perché in effetti [...] se la prendiamo come una fiction diventa un bel racconto; c'è una bellissima serie televisiva che si chiama For All Mankind che, prendendo spunto dagli sbarchi sulla Luna, immagina un futuro alternativo [...]: immagina che siano arrivati primi i sovietici e da lì succede tutta una storia bellissima, molto affascinante... Ecco, si può fare, non è un problema fantasticare sulla realtà, il problema è riuscire a ricordarsi che la fiction è una cosa e la realtà è un'altra. E purtroppo sembra che ci sia un po' di scollamento fra queste due cose in alcune teste. (da 30 min 00 sec a 32 min 42 sec)
Apollo-Sojuz, 1975. Abbiamo un incontro in orbita intorno alla Terra fra astronauti americani e cosmonauti russi: quindi Deke Slayton, Tom Stafford e Vance Brand da parte americana, Aleksej Leonov e Valerij Kubasov da parte russa, ed è uno scambio soprattutto di tipo politico. E... se vogliamo essere un pochino "complottisti" da questo punto di vista, saltò fuori poi che Kubasov era un agente del KGB che era "diventato" astronauta, perché l'obiettivo era quello [...] di acquisire conoscenze tecnologiche americane; perché tecnicamente i veicoli americani erano superiori – [...] d'altronde la capsula Apollo era la stessa che era stata usata per andare fino alla Luna –, e quindi... [...] Terry Watson, che all'epoca era [...] uno degli addetti al controllo alla navigazione delle missioni Apollo, racconta che durante il progetto Apollo-Sojuz ovviamente c'erano moltissime riunioni, e molte si svolgevano in Russia, e [...] stranamente [...] quando si andava al ristorante – quindi con un po' di vodka, ci si lasciava andare, si raccontavano un po' più le cose liberamente – c'era sempre sul tavolo questo bellissimo coso di fiori con le bandierine... Una volta per scherzo hanno detto «sì, qui sicuramente c'è dentro il microfono!»; han fatto la prova, han detto «mah, oggi la carne non era molto buona, sarebbe bello se domani fosse cotta meglio...». Guarda caso il giorno successivo dalla cucina è arrivato un piatto di carne strepitoso... ma non c'erano microfoni! Quindi sì, in un certo senso il cospirazionismo, volendo, si può prendere anche nella realtà – e a quel punto non è più cospirazionismo, è storia. Perché andare a prendere, inventarsi storie quando si può tranquillamente trovare nello studio della realtà tantissima meraviglia, tante storie meravigliose. (da 55 min 48 sec a 57 min 51 sec)
[...] c'è il piccolo problema che per far funzionare tutta questa messinscena bisognerebbe riuscire a tenere vincolate alla consegna al silenzio per decenni le centinaia di migliaia di persone (non esagero, sono cifre di dominio pubblico) che hanno lavorato al progetto. [...] non c'è stata neppure una confessione in punto di morte di un ex dipendente della NASA o di una delle tantissime società private coinvolte nel progetto. Pensate quanto avrebbe dato il KGB per trovare una talpa che le vendesse la soffiata del secolo, ossia che era tutta una finta. Niente da fare. Se volete un esempio notevole di come sia difficile mantenere un segreto anche quando la posta in gioco è altissima, leggetevi la storia della nave Glomar Explorer. L'11 aprile 1968, un sottomarino sovietico di classe Golf-II, armato di missili balistici nucleari, affondò circa 750 miglia a nord ovest delle Hawaii, depositandosi sul fondo marino a 5200 metri di profondità. Le navi sovietiche tentarono invano di trovarlo. Gli americani, invece, sapevano esattamente dov'era situato, ma si guardarono bene dal dirlo ai sovietici: l'occasione di mettere le mani su una delle armi di punta dell'arsenale nemico era troppo ghiotta. Infatti commissionarono una nave, la Glomar Explorer, che fu spacciata per una nave per la ricerca mineraria sottomarina: scusa plausibile, dato che è noto che il fondo del Pacifico è lastricato di noduli preziosissimi di manganese, ferro, nichel e cobalto. Nel 1974, la nave andò sul luogo della tragedia e ripescò alcuni componenti del sottomarino sovietico. Il segreto fu spiattellato nemmeno un anno dopo dal Los Angeles Times.
Perché si sospetta la messinscena da parte statunitense, mentre non si solleva alcuna obiezione sulle missioni lunari sovietiche, che non portarono cosmonauti ma comunque andarono sulla Luna e ne riportarono campioni di roccia? Perché i sovietici, che pure avevano un sistema di spionaggio sofisticatissimo, non si accorsero della messinscena e non la denunciarono al mondo? Ne avrebbero avuto tutti i motivi. Far fare una figuraccia ai rivali capitalisti degenerati sarebbe stata un'occasione ghiottissima. Eppure rimasero zitti. Come mai? Una delle risposte preferite dei complottisti a questa domanda è "perché avevano anche loro i loro scheletri nell'armadio". Dicono che prima del famoso "primo uomo nello spazio" (Yuri Gagarin) ci furono altre missioni che fallirono. Gagarin sarebbe stato semplicemente il primo a tornare vivo. A parte il fatto che usare un'ipotesi di complotto per giustificarne un'altra non è il massimo del rigore scientifico (non ci sono conferme autorevoli di queste missioni pre-Gagarin), durante la Guerra Fredda gli USA non si fecero scrupolo di denunciare le falsità della propaganda sovietica e viceversa, per cui sembra assai implausibile che si siano fatti questa reciproca cortesia di stare zitti soltanto per i voli spaziali, così carichi di prestigio politico.
C'è una sola foto decente di Neil Armstrong sulla Luna, e anche in quella lo si vede di spalle. Se le foto sono state fatte in studio, come mai non hanno pensato a farne un po' anche ad Armstrong, visto che tutto sommato era il personaggio più "storico", essendo il primo uomo sulla Luna?
I veicoli usati per le missioni furono progettati e fabbricati da società commerciali, nelle quali notoriamente la segretezza non è mai perfetta. Come mai, in tutti questi anni, nessuno dei cinquecentomila dipendenti della Boeing, della Grumman e delle altre società coinvolte (subappaltatrici comprese) si è mai fatto avanti per denunciare la truffa, per dire "guardate che questo veicolo è finto, non funziona e se va sulla Luna si sfracella"? Come mai non c'è stata nessuna confessione in punto di morte, quando non c'era più nulla da perdere? Allora avrebbero costruito dei veicoli perfettamente funzionanti, fino all'ultimo bullone, e non li avrebbero usati?
Il filmato della ripartenza del modulo lunare dalla superficie della Luna, ripreso dalla telecamera automatica, mostra chiaramente che non c'è aria, perché polvere e frammenti vengono proiettati secondo linee rette invece di formare sbuffi o volute. Come sarebbe stato possibile ricreare un effetto del genere in studio, negli anni Sessanta?
Da Scienza & Paranormale nº 86, CICAP, luglio-agosto 2009; ripubblicato in cicap.org, 29 novembre 2009.
[Sulla teoria del complotto sull'Apollo 20]
Circolano da tempo, soprattutto su Internet, tesi secondo le quali vi sarebbe stata una missione Apollo segreta, denominata "Apollo 20", svolta congiuntamente da astronauti statunitensi e cosmonauti sovietici per recuperare un'astronave extraterrestre scoperta sulla Luna. [...] Secondo la narrazione di tale William Rutledge, che asserisce di essere stato uno degli astronauti di questa missione insieme all'americana Leona Snyder e al russo Alexei Leonov, un vettore Saturn V sarebbe partito di nascosto nel 1976 dalla base militare di Vandenberg, in California, diretto verso la faccia non visibile della Luna. Là, infatti, le ricognizioni dell'Apollo 15 avevano scoperto un gigantesco vascello alieno. La presenza del veicolo sarebbe confermata da immagini pubblicate negli atlanti fotografici lunari [...]. Già questo aspetto dovrebbe far riflettere sulla plausibilità della storia: se l'esistenza di un veicolo extraterrestre sulla Luna è così top secret da motivare addirittura una missione congiunta russo-americana segreta, bisogna chiedersi come mai l'astronave è stata invece lasciata in bella mostra nelle fotografie pubblicate. E dato che le immagini della faccia nascosta della Luna erano disponibili all'epoca soltanto se la NASA o l'Unione Sovietica le rilasciavano, come mai non sono state ritoccate prima di diffonderle, in modo da non rivelare il ritrovamento?
[...] la storia di Rutledge è corredata di molti dettagli narrativi ricchi di riferimenti tecnici e da video impressionanti, che mostrano addirittura un cadavere alieno umanoide e delle immagini ravvicinate del veicolo extraterrestre e possono facilmente distogliere dall'esame sereno dei fatti. Infatti se si mette da parte l'impatto emotivo della crudezza delle immagini e si svolge una ricerca attenta, emerge chiaramente che la storia è in realtà un falso piuttosto ben costruito, realizzato dall'artista francese Thierry Speth e sbugiardato anche dagli ufologi [...]. Una delle principali obiezioni è l'assurdità di pensare che si possa far partire un missile alto più di cento metri dalla California senza che nessuno lo veda decollare e senza che gli astronomi e gli astrofili di tutto il mondo lo avvistino durante il tragitto verso la Luna, come avvenne per le altre missioni Apollo. [...] inoltre [...] l'esame dei video presentati da Rutledge riserva sorprese rivelatrici, come la scoperta di una ben poco futuristica molla in una delle riprese della presunta astronave [...]. [...] in uno dei video di Rutledge, che mostra l'interno del modulo lunare, uno degli astronauti è stato sovrapposto allo sfondo con un mascherino sbagliato, per cui a un certo punto risulta essere un torso fluttuante [...]. Questo rivela il trucco: si tratta di immagini prodotte con effetti speciali.
Su un piano più tecnico, [...] lanciare un vettore da Vandenberg, sulla costa occidentale degli Stati Uniti, anziché da Cape Canaveral, sulla costa orientale, avrebbe comportato una drastica modifica del piano di volo standard dei missili Saturn V. Lanciato in direzione est, infatti, il gigantesco primo stadio sarebbe ricaduto sul suolo statunitense, con il rischio evidente e intollerabile di danni a cose e persone, invece di cadere nell'Atlantico come consueto. Lanciare in direzione ovest, ossia sopra il Pacifico, avrebbe comportato un'enorme penalizzazione. I missili orbitali vengono lanciati sempre verso est perché in questo modo sfruttano la velocità di rotazione della Terra, che a Cape Canaveral è di circa 1470 km/h. Questo significa che un missile che deve raggiungere la velocità orbitale di 28.000 km/h e viene lanciato verso est non deve accelerare da 0 a 28.000 km/h, ma da 1470 a 28.000 km/h: deve insomma accelerare di 26.530 km/h. Lanciarlo in direzione opposta, verso il Pacifico, significherebbe lottare contro la medesima velocità di rotazione terrestre: il missile partirebbe in retromarcia, per così dire, con una penalità di 1470 km/h, per cui dovrebbe accelerare di 29.470 km/h, con consumi di carburante molto superiori.
Da Spazio Magazine nº 1, Associazione ADAA, 2018; ripubblicato in attivissimo.blogspot.com, 12 settembre 2019.
[Sul progetto Manned Venus flyby]
31 ottobre 1973: un enorme vettore Saturn V decolla dal Kennedy Space Center trasportando tre uomini verso una destinazione [...] che viene raggiunta dopo quattro mesi di viaggio, il 3 marzo 1974. La destinazione è il pianeta Venere, per il primo volo spaziale interplanetario con equipaggio: una missione estrema [...] ma che è un trionfo politico d'immagine e un'altra dimostrazione della capacità di coordinamento della NASA, reduce dal successo storico degli sbarchi sulla Luna fra il 1969 e il 1972. La ricognizione ravvicinata di Venere effettuata dagli astronauti statunitensi rivela una messe di dati sconosciuti su un mondo rovente e inospitale e riporta sulla Terra fotografie indimenticabili quando si conclude, un anno dopo la partenza, con un ammaraggio nell’Oceano Pacifico. Se state pensando che non vi ricordate di questa missione [...] non vi preoccupate: non è mai avvenuta. Ma era stata studiata e pianificata molto dettagliatamente dalla NASA [...]. Può sembrare incredibile, ma quando gli astronauti non erano neanche andati intorno alla Luna [...] la NASA pensava già al futuro post-lunare.
Può sembrare strano che la NASA avesse scelto Venere e non Marte come destinazione per questo primo viaggio interplanetario umano. Dopotutto, grazie alle sonde Mariner e Venera, si sapeva già dall'inizio degli anni Sessanta che le condizioni al suolo di Venere [...] rendevano assolutamente impensabile uno sbarco con equipaggio sul pianeta. Ma [...] in termini di propulsione, Venere è più facile da raggiungere rispetto a Marte. La NASA aveva infatti calcolato una traiettoria ottimale che avrebbe consentito di usare un singolo vettore Saturn V, identico a quelli utilizzati per la Luna, non solo per effettuare questo volo inaugurale di passaggio ravvicinato, senza inserimento in orbita (flyby) e con ritorno spontaneo verso la Terra (free return), ma anche per compiere una successiva missione con inserimento in orbita di parcheggio intorno a Venere. Una missione orbitale intorno a Marte, invece, avrebbe richiesto un veicolo ancora più grande del già gigantesco Saturn V (circa il 60% in più) o l'uso di motori nucleari ancora da collaudare e politicamente controversi. In sostanza, un volo umano verso Venere era fattibile negli anni Sessanta e Settanta semplicemente tenendo aperta la linea di produzione dei vettori esistenti, senza i costi, i problemi e i rischi di un nuovo lanciatore o di un lancio doppio coordinato con assemblaggio in orbita. Ma la Storia decise altrimenti: l'assassinio del presidente Kennedy, l'uomo che aveva lanciato la sfida spaziale [...] per dimostrare pacificamente al mondo la superiorità del modello sociale americano, l'elezione dei suoi successori assai meno innamorati [...] dello spazio, il pantano politico ed economico della guerra in Vietnam e la crisi petrolifera degli anni Settanta cospirarono per causare tagli drastici ai budget della NASA e alla disponibilità a correre rischi del Congresso statunitense.
[...] la missione verso Venere si sarebbe svolta in questo modo: il Saturn V avrebbe portato in orbita intorno alla Terra un modulo di comando e servizio (CSM) Apollo, sostanzialmente identico a quelli usati per raggiungere la Luna, che sarebbe stato il veicolo principale, con le funzioni di navigazione e propulsione. Al posto del modulo lunare [...] usato per scendere sulla Luna e ripartirne, vi sarebbe stato un Environmental Service Module (ESM), un modulo abitabile al quale il CSM si sarebbe agganciato mediante una manovra effettuata durante il volo spaziale, esattamente come faceva con il modulo lunare. Il terzo stadio del Saturn V avrebbe fornito la spinta iniziale per uscire dall'orbita terrestre e dirigersi verso Venere e poi sarebbe stato trasformato dagli astronauti in un ulteriore spazio abitabile usando i componenti e le attrezzature trasportate nell'ESM: un concetto ripreso in parte con la stazione spaziale Skylab [...]. L'energia di bordo sarebbe stata fornita da alcuni pannelli solari invece di dipendere dalle celle a combustibile usate per le missioni lunari: anche quest'idea verrà ripresa per lo Skylab. Durante i 123 giorni di volo verso Venere, i tre uomini dell'equipaggio [...] avrebbero dedicato dieci ore di ogni giorno alle osservazioni scientifiche usando gli strumenti installati nell'ESM. Per la prima volta nella storia dell'astronautica statunitense, avrebbero avuto due ore di tempo libero ogni giorno. [...] Il passaggio ravvicinato intorno a Venere, invece, sarebbe stato frenetico: circa 45 minuti per le osservazioni a breve distanza (6200 km nel momento di massima vicinanza, correndo a 16.500 km/h), per una mappatura radar delle altimetrie della zona sorvolata e per il lancio di sonde che avrebbero trasmesso dati sulle condizioni atmosferiche del pianeta. [...] per la prima volta, sia pure fugacemente, degli esseri umani avrebbero visto da vicino, con i propri occhi, un altro pianeta [...]. Il viaggio di ritorno avrebbe richiesto [...] 273 giorni, con una traiettoria che avrebbe portato i tre astronauti più lontano dal Sole rispetto alla Terra (a 1,24 unità astronomiche) e poi si sarebbe conclusa [...] con l'eliminazione di tutto il veicolo tranne la capsula conica Apollo [...] e con un rientro nell'atmosfera terrestre a velocità ancora più elevata rispetto ai 40.000 km/h del ritorno dalla Luna.
Oggi pensare di rischiare la vita di astronauti mandandoli verso Venere per compiere rilevamenti scientifici sembra assolutamente insensato, ma occorre considerare lo stato dei sistemi automatici dell'epoca, molto meno affidabile e flessibile rispetto a quello delle sonde spaziali di oggi, aggiornabili via software. Con la tecnologia di allora c'era il rischio concreto che una sonda senza equipaggio si guastasse o subisse un imprevisto banale, che una persona sul posto avrebbe potuto compensare ma che una sonda avrebbe trovato insormontabile. Molte missioni senza equipaggio erano già fallite per motivi ignoti o banali. La NASA, oltretutto, avrebbe dimostrato la superiorità delle missioni con equipaggio proprio con gli sbarchi lunari fra il 1969 e il 1972 [...]. Il progetto Manned Venus Flyby era anche figlio di un'epoca nella quale le vite degli astronauti erano considerate politicamente e socialmente più sacrificabili di quanto lo sono oggi e quindi si accettavano consapevolmente rischi elevati in nome del prestigio nazionale.
[...] il volo umano interplanetario verso Venere rimase sulla carta, non solo per [...] motivi storici e politici [...] ma anche per via del grande progresso avvenuto negli anni successivi nella progettazione di sonde automatiche potenti, versatili e flessibili, i cui costi furono enormemente inferiori a quelli di una missione con equipaggio. La NASA esplorò Venere con la sonda orbitale Pioneer 12 nel 1978 e l'Unione Sovietica riuscì a scattare foto sulla superficie del pianeta, raccogliere dati scientifici e trasmettere il tutto a Terra con le sonde della serie Venera fra il 1961 e il 1983. E per quanto sia affascinante l'idea di dove saremmo arrivati con un po' di coraggio e di ingegno, è un bene che il Manned Venus Flyby non sia avvenuto: il 5 e 6 luglio 1974 la Terra fu investita da una grande tempesta di elettroni e protoni emessi dal Sole (una Coronal Mass Ejection), che non ebbe effetti sulla popolazione grazie alla protezione offerta dal campo magnetico terrestre ma avrebbe investito gli astronauti di ritorno da Venere, esponendoli a una dose di radiazioni elevatissima e potenzialmente fatale nonostante la schermatura rinforzata prevista a bordo del veicolo interplanetario Apollo.
Dall'intervista di Luca Sofri a Wired Italia, luglio 2009; riportata in forma estesa su wittgenstein.it, 17 luglio 2009.
[«[...] quando hai cominciato a incuriosirti alle bufale e alle teorie dei complotti?»] Credo da sempre: i misteri mi hanno intrigato sin da bambino, quando ho divorato tutti i libri di fantarcheologia di Peter Kolosimo e Bermuda, il Triangolo Maledetto di Charles Berlitz. Vedevo Uri Geller in televisione che piegava i cucchiai, i guaritori filippini che operavano a mani nude... e poi ho visto Silvan fare la stessa cosa. E ho scoperto che erano fandonie fabbricate per fare soldi. [...] Forse per reazione ho cominciato a studiare la scienza vera e a informarmi sui trucchi che usavano questi ciarlatani. Ma era una passione puramente personale. Quando ho scritto Internet per tutti ho incluso una pagina con le quattro o cinque bufale più ricorrenti in Internet per mettere in guardia i primi navigatori di allora. Non l'avessi mai fatto: hanno cominciato ad arrivarmi mail che chiedevano lumi su altre storie che giravano in Rete. Per un po' sono riuscito a rispondere personalmente, poi ho aperto una pagina Web per ospitarvi le spiegazioni delle storie più diffuse, in modo da non dover ripetere a ciascun lettore la stessa storia. [«Ha funzionato?»] Non è andata come pensavo. Invece di ridurre il carico di lavoro [...] lo ha fatto aumentare. "Bravo, Paolo", mi scrivevano, "hai indagato su questa e questa e quella; adesso che ne dici di quest'altra storia? E questa? E che mi dici di questa?". [«E tu ci sei cascato»] Io non so resistere a una storia intrigante, vera o falsa che sia [...]
[«Quali sono i temi di maggior successo tra le dietrologie in rete?»] Sicuramente l'11 settembre e [...] lo sbarco sulla Luna. Ma affiorano periodicamente i catastrofismi intorno al 2012 e i Maya, il paranormale, i cerchi nel grano, le "scie chimiche", a seconda di come vengono lanciati dai vari programmi televisivi, con il loro corredo di libri e DVD da vendere. La paura, l'intrigo e il complotto rendono, alimentati da un clima di sfiducia verso tutto e tutti: si cerca una grande teoria unificatrice che dia senso all'esistenza, e molti la trovano nel Grande Vecchio che tirerebbe le fila di tutto. Dan Brown docet: ma lui, perlomeno, ha il buon gusto di precisare che si tratta di un romanzo, non di un libro di fatti. O almeno questo è quello che vogliono farci credere...
[«C'è più di vero nella teoria sulle scie chimiche o nel complotto sull'11 settembre?»] Decisamente nell'11 settembre: lì almeno un complotto vero c'è stato, quello dei dirottatori. E ci sono delle zone grigie che andrebbero investigate; ma non è possibile perché i complottisti fanno troppo baccano. È come studiare Mozart in una segheria. Le "scie chimiche", invece, sono una fandonia totale, che trovo interessante proprio perché assurda: m'intrigano i processi mentali che possono spingere una persona a credere che ogni giorno migliaia di aerei, pilotati e mantenuti e riforniti da decine di migliaia di persone, spicchino il volo e spruzzino veleni nell'aria e nessuno mai spifferi nulla o si tradisca. Uno dei più presenzialisti fra i sostenitori di questa teoria, oltretutto, sostiene che quest'immenso, costosissimo complotto, che va avanti da decenni, fa crescere peli di plastica sottopelle, influenza il clima, consente il controllo mentale delle popolazioni... eppure si può contrastare semplicemente con l'alga spirulina che si compra in erboristeria. Ma allora è il complotto dei cretini? Affascinante.
[«[...] chi è che si fa fregare davvero dalle truffe online?»] Gente di ogni genere, di ogni ceto sociale e di ogni preparazione scolastica: l'ingenuità non conosce barriere. Percentualmente i truffati non sono tantissimi, ma sono comunque un numero sufficiente ad alimentare questo settore del crimine organizzato. Del resto, il truffatore ha di norma costi di gestione bassissimi e lavora col metodo della pesca a strascico: lanciando milioni di esche, è statisticamente sicuro che qualche pesce abbocchi.
[...] so bene che i complotti esistono: il mio obiettivo non è di smentirne l'esistenza, ma di scremare quelli reali da quelli immaginari, e di offrire a tutti gli strumenti per fare altrettanto. I complotti fasulli seguono degli schemi piuttosto precisi e ripetitivi: una volta capiti, è abbastanza facile fiutarne le trappole.
Più che dietrologia e sospetto, credo sia il desiderio di semplificazione e di ordine ad alimentare il complottismo. Le teorie di complotto evitano la fatica di dover studiare, capire, approfondire. "L'11 settembre? È stata la CIA, fine della storia. Perché sono crollate le Torri Gemelle? Ci hanno messo le bombe, è ovvio." dice il pensiero cospirazionista. Non gli serve capire l'ingegneria strutturale. Nulla avviene per caso nel suo mondo: tutto ha un ordine. E il complotto gli offre una scusa facile per i propri fallimenti: non è lui che è incapace, sono gli altri che ce l'hanno con lui. E al tempo stesso offre una visione salvifica della propria esistenza. il complottista si vede come un paladino della verità, un avanguardista, un baluardo della società contro i cattivoni di turno. Fa proseliti, crea interesse intorno a sé, raduna seguaci che lo stimano e lo venerano. È gratificante. [«Una vecchia storia...»] Aspetta, però: il complottismo è anche diventato più diffuso. Forse perché i media lo alimentano (i complotti fanno audience, sono storie intriganti; la realtà spesso non è avvincente, e pochi la sanno raccontare in modo che lo diventi), forse perché più il mondo diventa complesso e più tendiamo a rifugiarci nell'apparente semplicità del messaggio complottista. Forse il cospirazionismo sta diventando una sorta di religione new age: di certo ne condivide molti aspetti psicologici.
Raramente le dietrologie sono costruite a tavolino. Quelle che prosperano lo fanno perché trovano un substrato psicologico fertile di sospetto. Un esempio per tutti: lo sbarco sulla Luna degli americani è al centro di una teoria di complotto. Il tentativo lunare russo no. Anzi, molti non sanno neppure che ci fu. Come mai? Forse perché c'è un diffuso antiamericanismo (meritato o meno) mentre manca un "antisovietismo" (addirittura non esiste neppure la parola). Lo stesso vale per le teorie sull'11 settembre. Le teorie sull'AIDS o l'influenza suina come malattie inventate in laboratorio prosperano grazie alla diffidenza verso le società farmaceutiche (che effettivamente sono state colte spesso a combinare sconcezze).
Le bufale che persistono nel tempo anche a fronte di smentite, sono quelle che suscitano un'emozione intensa, per esempio la paura, e toccano un argomento vicino a noi e delicato, come l'alimentazione o la salute. Gioca un ruolo importante anche il pregiudizio [...]. Non si tratta però soltanto di paura: c'è di mezzo anche un sentimento positivo come l'altruismo, che spinge chi in buona fede abbocca alla falsa notizia a mettere in guardia gli amici. Proprio perché c'è di mezzo l'emozione, dobbiamo sforzarci di essere razionali nell'esaminare gli allarmi che ci arrivano.
[«Che percentuali di successo hanno i cacciatori di bufale? E i normali navigatori del web?»] Se il successo è scoprire l'origine e la veridicità o meno di un appello, allora la percentuale è altissima: sono rari i casi irrisolti per i quali non si riesce a determinare perlomeno se l'appello dice il vero o no. Ma se il successo è far cessare la circolazione di una bufala, allora le cose cambiano: è un risultato molto raro. Fra gli internauti domina invece l'insuccesso in entrambi i sensi: purtroppo sono pochissimi coloro che si soffermano a valutare razionalmente gli appelli ricevuti [...]. Purtroppo anche la sensibilizzazione del pubblico da parte dei cacciatori di bufale riesce poco, anche per via dello spazio sproporzionato che viene concesso dai media a panzane e allarmismi.
[«Perché il pensiero anti-scientifico ha tanta presa?»] Perché è facile e ci fa sentire parte di un gruppo. È molto più facile dire "le cose chimiche fanno male" che rendersi conto che tutto, in natura, è chimica [...]; è molto più facile dire di no a tutto ciò che è nuovo invece di chiedersi quali novità sono positive e quali aspetti consolidati della nostra vita sono in realtà dannosi. Viviamo in un’era totalmente tecnologica, eppure spesso le persone si vantano di non avere alcuna competenza nelle materie scientifiche. Il pensiero anti-scientifico mette al riparo dalla meravigliosa complessità dell'esistenza e riduce tutto a bianco e nero, buono e cattivo, "chimico" e "naturale", amico o nemico. Fondamentalmente, l'anti-scienza è pigrizia.
[«Chi è il tipico negazionista degli allunaggi?»] C'è da una parte il guru, quello che crea proseliti, pubblica contenuti e fa video, e cerca anche di monetizzare questi contenuti. Dall'altra c'è una seconda categoria di persone che hanno preso una decisione, ma non fanno proselitismo, hanno solo deciso che l'allunaggio è finto e che è stata tutta una messa in scena. Le due categorie si distinguono soprattutto per la questione del proselitismo. C'è il negazionista che dice "io so che non siamo mai andati sulla Luna, ma me la tengo per me, al massimo vado a scriverlo sui Social e non vado in giro a dimostrare chissà cosa": è semplicemente una sua opinione personale. Invece il guru vero e proprio va a caccia di contenuti e li posta. La differenza tra i due è anche nell'atteggiamento. Il complottista che monetizza, il guru, è anche quello che conosce le furbizie del mestiere. Quello che non fa proseliti è invece una persona male informata che ha abbracciato una visione cospirazionista della vita.
[...] supponiamo che alla Nasa avessero deciso di simulare gli allunaggi; cosa avrebbero dovuto falsificare? Ci sono i razzi che devono partire dalla Terra, quelli devi farli partire per forza, quindi sono 12 razzi giganti che devono essere costruiti, devono funzionare e andare nello Spazio. Magari li facevano cadere da qualche parte, ma almeno fino alla quota di 70 chilometri dovevano farli arrivare. Poi devono esserci dei veicoli che attraversano lo Spazio tra la Terra e la Luna, perché gli astronomi hanno seguito le missioni Apollo. Una volta arrivato sulla Luna devi mettere qualcosa che lasci le impronte degli astronauti. Aggiungi che ci vogliono le comunicazioni radio perfettamente simulate. Bisogna avere un copione nel quale ci sono 11 mila ore di conversazioni tra i tecnici a Terra. Tutte queste cose sono pubbliche. Bisogna falsificare 6500 fotografie scattate sulla Luna, decine di ore di diretta televisiva, riprese cinematografiche, le rocce lunari, eccetera. Alla fine la lista è talmente lunga che sarebbe costato meno andarci sul serio, ed è infatti quello che è successo.
[...] i complottisti spesso accusano la Nasa di non avere avuto la tecnologia per andare sulla Luna, ma di avere avuto quelle segrete per falsificare le riprese e addirittura realizzare missioni segrete senza che nessuno se ne accorgesse. Si decidessero una buona volta: qual è la versione complottista reale? Dopo 50 anni non sono arrivati neanche a questo punto. Non hanno saputo costruire una versione alternativa unica e coerente.
[«[...] quali sono quelle [tecnologie] usate nelle missioni Apollo che utilizziamo tutt'oggi?»] Tutti i chip elettronici che usiamo adesso sono nati grazie all'impulso tecnologico dato dalle missioni Apollo. Per andare sulla Luna bisognava avere un computer, quel computer doveva essere leggero – almeno per gli standard dell'epoca – quindi non poteva essere fatto con dei circuiti normali, con transistor come si usava all'epoca. Era necessario miniaturizzarlo con quelli che all'epoca erano una novità: i circuiti integrati. Quei circuiti integrati furono usati per la prima volta in una missione operativa con equipaggio per andare sulla Luna, e questo ha dato via a tutta l'elettronica che abbiamo adesso. I telefonini in sostanza sono figli delle missioni Apollo. Così anche il Gps (Global positioning system), i nostri navigatori che ci indicano così precisamente dove siamo e dove vorremmo andare. Sono tutti figli delle equazioni sviluppate per la navigazione spaziale. Gli aerei di linea come gli Airbus hanno un sistema di volo computerizzato, il Fly-by-wire (Fbw), la cui tecnologia venne sviluppata usando come prototipo il computer utilizzato nelle missioni Apollo.
[Sugli astronauti delle missioni Apollo] Tutti quelli che ho incontrato devo dire che si sono rivelate persone estremamente disponibili, aperte, soprattutto quando devi fare loro domande un po' tecniche. Hanno tantissima voglia di raccontare tutti gli aspetti meno conosciuti delle loro missioni. Sono invece riluttanti a parlare dei propri sentimenti. Erano talmente presi dalla loro missione, e dalla difficoltà di quel che stavano facendo, che non hanno avuto molto tempo di riflettere sui loro sentimenti durante la missione. Dopo magari sono venute fuori anche delle riflessioni spirituali, alcuni di loro hanno avuto anche una svolta religiosa. Andare così lontano da poter coprire con un dito tutti gli esseri umani che hanno vissuto sulla Terra ti fa riflettere sul nostro ruolo nell'Universo. Eppure sono persone paradossalmente "terra-terra", alle quali puoi rivolgerti chiamandole per nome. Ho avuto modo di conoscerli anche dietro le quinte. Si sono tutte confermate persone normali nella loro straordinarietà. Quelli vedovi o separati sono pure dei donnaioli, hanno tutti ancora l'occhio vispo.
[Sul ritorno degli astronauti dell'Apollo 11 sulla Terra, «i loro volti appaiono tesi. Ci si aspetterebbe invece di vederli radiosi e festanti»] Questa può essere una bella lezione su come creare un complotto dal nulla [...]. Sei appena tornato dalla Luna; hai i giornalisti di tutto il mondo che ti guardano; hai l'opinione pubblica dell'intero pianeta che ti guarda; hai la responsabilità del tuo paese, che stai rappresentando. [...] Il loro compito era quello di non dire stupidaggini e non fare gaffe. [...] Non erano ancora celebrità. Non erano abituate come le persone di spettacolo a stare davanti alla telecamera. Erano piloti e ingegneri il cui compito era quello di pilotare un veicolo spaziale.
[«[...] gli astronauti di Apollo 11 non continuarono a lavorare per l'Agenzia spaziale, licenziandosi e isolandosi dall'opinione pubblica»] Vorrei ricordare che stiamo parlando di piloti, gente che viveva per volare. Cosa dovevano fare, promuoverli a direttore e metterli dietro a una scrivania? Se fossero stati davvero degli attori allora avrebbero fatto risultare un curriculum più "coerente". Invece ognuno andò avanti per la propria strada [...]. Dopo che hai fatto la cosa più grande che potevi realizzare nella tua vita, per altro prima dei 40 anni, cos'altro puoi fare? Niente, cambierai settore. Collins finì per diventare il direttore di uno dei più prestigiosi musei americani; Armstrong tornò a fare l'ingegnere e a insegnare l'aeronautica. Immagina quelli che se lo sono trovati come insegnante. Non è vero che rifiutava tutte le interviste, se non gli facevano domande banali ("cosa hai provato? avevi paura? eccetera") era ben felice di rispondere, specialmente se riguardavano il suo lavoro.
[Sulle dichiarazioni degli astronauti dell'Apollo 11, circa il non avere visto stelle a occhio nudo dalla superficie della Luna] [...] non c'è atmosfera, quindi sulla Luna il cielo è nero anche di giorno. Gli occhi si adattano alla luminosità intensa del Sole. Anche Collins, che si trovava in orbita lunare, non ricorda di aver visto delle stelle. Tuttavia noi sappiamo che gli astronauti dovevano usare le stelle per navigare, mediante un sestante collegato al computer di bordo. [...] non le hanno viste a occhio nudo, ma solo attraverso il sestante. [«Allora perché gli astronauti delle precedenti missioni Gemini hanno affermato di aver visto le stelle?»] Sì, quando si trovavano all'altezza della parte non illuminata della Terra [...], attraverso un finestrino che non era illuminato dal Sole, riuscivano a osservare alcune stelle. Può succedere anche oggi con gli astronauti a bordo della Stazione spaziale. [«Anche credendo al complotto, perché avrebbero dovuto censurare le stelle o negare di averle viste?»] È ridicolo: così sembra che alla Nasa lavorassero dei cretini, i quali si dimenticavano di mettere le stelle nei fondali.
Citazioni non datate
[«Da dove nasce la tua passione per la mobilità elettrica?»] È nata quando provai una delle prime Smart elettriche, aveva una strana batteria a sale che era completamente ecologica. L'effetto immediato fu la sensazione di essere salito a bordo di una macchina dell'autopista. Aveva un'accelerazione straordinaria, una ripresa entusiasmante ed uno spazio di manovra minuscolo, tipico di queste micro automobili. La prima emozione fu quella di sentirsi nel futuro – era ora – pensai.[2]
[«Come ti trovi a guidare un'automobile elettrica?»] Per me è naturale girare in elettrico, viaggiare senza rumore né scatti durante le cambiate, perché non c'è il cambio. Non vado mai al distributore a far benzina, perché arrivo a casa, collego l'auto alla presa e ho fatto. Oggi, mi sembra strano guidare l'altra macchina a benzina e sentire le vibrazioni, gli scossoni. Mi sembra di passare dal jet al biplano [...].[2]
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Citazioni in ordine temporale.
[Su Kevin Mitnick] Uno dei nomi più controversi della storia della Rete (a causa della sua leggendaria abilità nel penetrare i più sofisticati sistemi informatici aziendali e governativi), incarcerato per cinque anni e in libertà vigilata con il divieto assoluto [...] di toccare un computer [...]. Ora fa il consulente di sicurezza. Kevin ha commesso crimini secondo la legge USA, ma non ha mai tratto guadagno dalle proprie scorribande e nei suoi libri ha spiegato eloquentemente quanto sia vulnerabile e ingenuo il mondo dell'informatica aziendale, educando una generazione di informatici (me compreso).[3]
[in riferimento ad uno "sciopero" dei blog e a come protestare efficacemente contro iniziative di leggi su Internet in Italia] Impariamo le tecniche di anonimizzazione e di occultamento. Impariamo la crittografia, lo scambio di file non tracciabile, la steganografia, il ripping dei nostri DVD e dei Blu-Ray, l'hacking dei dispositivi che ci circondano, il blogging anonimo, l'hosting sicuro. Impariamo a difenderci dai soprusi e a far valere il nostro diritto di esprimerci civilmente, usando le tecniche che il nostro ottuso antagonista non ha speranza di capire. Portiamo la contesa su un terreno che ci è familiare, invece di camminare allegramente sul campo minato dell'avversario. Il contrasto alla stupidità non si fa adottando le regole degli stupidi. Si fa diventando più intelligenti, più svelti, più preparati. Si fa sfruttando le debolezze dell'avversario. Ma bisogna volerlo fare. Sempre che non pensiate che quando un topolino e un gatto si siedono a discutere in casa del gatto, il topolino possa averla vinta per pura forza dialettica.[4]
Il mito dei Teschi di Cristallo Maya è stato riportato alla ribalta dal quarto film della saga di Indiana Jones e dal delirio collettivo intorno alle presunte profezie Maya sulla fine del mondo nel 2012, ma è da decenni uno dei capisaldi della cultura new age e del paranormale. Peccato che sia, per dirla senza troppi giri di parole, una fregatura. [...] le principali asserzioni [...] riguardano il più famoso di questi teschi, quello che l'esploratore Frederick Albert Mitchell-Hedges [...] diceva di aver scoperto nelle rovine di un tempio Maya da lui trovato a Lubaantun [...] nel 1927 ma descritto soltanto molti anni più tardi. Il teschio in questione [...] è ricavato da un blocco unico di cinque chili di quarzo ialino [...], tanto che secondo i sostenitori delle sua origine paranormale sarebbe impossibile crearne un duplicato. Secondo la prima edizione dell'autobiografia di Mitchell-Hedges (Danger My Ally, 1954), il teschio [...] avrebbe almeno 3600 anni e sarebbe stato usato dai sacerdoti Maya, che con i suoi poteri sarebbero stati in grado di uccidere con la sola forza del pensiero. A suo dire, sarebbe stato fabbricato a mano dai Maya lavorandolo per abrasione con la sabbia [...] ininterrottamente per circa trecento anni. [...] Negli anni Settanta iniziò a circolare l'asserzione che radunando i tredici teschi di cristallo in un unico luogo sarebbero accaduti eventi portentosi o calamità planetarie. [...] Una storia affascinante, ma i fatti la smentiscono inesorabilmente. [...] Blocchi unici di quarzo ialino delle giuste dimensioni si trovano e si possono lavorare con mezzi più che normali [...]. Basta avere un bel po' di soldi, perché blocchi del genere sono molto costosi (alcune migliaia di dollari) e la loro lavorazione è altrettanto impegnativa e delicata. Inoltre nella cultura Maya [...] non c'è alcun riferimento a oggetti di questo genere. C'è da aggiungere, poi, che il teschio di Mitchell-Hedges ha vari dettagli anatomici tipici di un cranio europeo, ben diverso da quelli degli abitanti dell'America latina precolombiana. Perché i Maya avrebbero dovuto scolpire pazientemente un teschio europeo? Cosa più importante, il presunto teschio Maya ha segni di lavorazione meccanica moderna che non hanno nulla di insolito [...]. Tutto punta, insomma, verso una fabbricazione con mezzi tecnologici contemporanei sul modello di un cranio europeo. [...] i fatti restano quelli che sono, e ce n'è uno che [...] condanna senza appello tutta la leggenda dei teschi: un catalogo del 1943 della casa d'aste Sotheby's, che offre un teschio di cristallo identico a quello "scoperto" da Mitchell-Hedges. L'acquirente? Frederick Albert Mitchell-Hedges stesso. E che dire degli altri teschi analoghi esposti nei musei del mondo? [...] quelli al British Museum londinese, al Musée du quai Branly parigino e allo Smithsonian di Washington sono presentati etichettandoli chiaramente come falsi. [...] L'unica cosa davvero portentosa di tutta questa faccenda, insomma, è la disonestà di questi imbroglioni e l'ingenuità di chi vuole credere a tutti i costi senza mai dubitare.[5]
Intorno alla Festa della Donna [...] circola una storia agghiacciante a proposito delle sue origini: la data dell'8 marzo sarebbe stata scelta per ricordare le oltre cento operaie tessili morte nel rogo della fabbrica Cotton a New York quel giorno nel 1908. Qualche giorno prima avevano iniziato un coraggioso sciopero contro le condizioni disumane in cui erano costrette a lavorare. Per tutta risposta il proprietario della fabbrica, il signor Johnson, ne aveva bloccato le uscite. Quando scoppiò l'incendio, appiccato forse dallo stesso Johnson, avvenne una strage terrificante. Questa è la storia che tuttora viene proposta dal passaparola e anche da alcune testate giornalistiche [...]. Ma senza voler sminuire l'importanza della celebrazione, va chiarito che in realtà l'8 marzo 1908 a New York non vi fu nessuna carneficina e non vi fu nessun incendio. Anzi, non esisteva neppure la fabbrica tessile Cotton. Le immagini che a volte accompagnano la storia sono infatti riferite all'incendio avvenuto a New York il 25 marzo 1911, non l'8 marzo 1908, presso la fabbrica tessile Triangle Waist Factory, nel quale perirono in 18 minuti 146 persone (129 donne e 17 uomini) a causa delle pessime condizioni di sicurezza. L'incendio portò alla definizione di norme più sensate per la sicurezza sui luoghi di lavoro e aiutò a organizzare gli sforzi per migliorare le condizioni effettivamente vergognose nelle quali lavoravano le operaie e gli operai tessili, ma non contribuì all'emancipazione femminile. [...] La vera origine dell'8 marzo è parecchio diversa: la prima Giornata Nazionale della Donna fu indetta nel 1909 negli Stati Uniti; nel 1911, poco prima dell'incendio alla Triangle Waist Factory, divenne Giornata Internazionale e fu celebrata in Germania, Austria, Danimarca e Svizzera. Inizialmente fu scelta la data del 19 marzo, che fu poi spostata all'8 nel 1921.[6]
Avreste mai detto che il primo videotelefono risale al 1964? [...] Il Bell PicturePhone [...] debuttò [...] alla World Fair, collegando New York con Disneyland [...]. Tecnicamente era geniale: riusciva a trasmettere sulle normali linee telefoniche in rame [...] un'immagine video in bianco e nero insieme all'audio della chiamata. Non c'erano schermi piatti, per cui usava un piccolo tubo catodico televisivo. A partire dalla versione del 1970, quella messa in vendita al pubblico, aveva già incorporata una videocamera CCD per riprendere gli interlocutori [...]. La Bell installò cabine per le videochiamate in vari luoghi pubblici [...] negli Stati Uniti per promuovere il servizio. Si aspettava che entro il 2000 avrebbe avuto una dozzina di milioni di abbonati al videotelefono. Ma le cose andarono malissimo. La Bell chiedeva circa 160 dollari di allora [...] di canone mensile e le chiamate costavano 20 dollari al minuto [...]. E così nel 1964 c'erano in tutti gli Stati Uniti solo una settantina di utenti; sei anni dopo non ce n'era più neanche uno. Nel 1978 la Bell ritirò il prodotto dal mercato dopo aver speso circa 500 milioni di dollari in ricerca. Nessuno voleva videochiamare, specialmente non a questi prezzi [...] imposti dalle norme antimonopolio dell'epoca, che [...] impedirono di immettere il PicturePhone sul mercato offrendolo sottocosto per stimolarne la diffusione, come si fa spesso con le tecnologie innovative. Peccato, perché il videotelefono doveva essere il primo di una serie di servizi telematici che sarebbero stati veicolati tramite la rete telefonica, rendendo economicamente conveniente la modernizzazione dell'infrastruttura [...]. In altre parole, c'era chi concepiva e costruiva Skype e Internet già negli anni Sessanta. È per questo che chi ha qualche anno sulle spalle si lamenta che il futuro non è più quello di una volta.[7]
Sapete perché non sopporto gli ufologi? Perché con rarissime eccezioni sono stupendamente, irrimediabilmente, spettacolarmente incompetenti. E con la loro rumorosa incompetenza non fanno altro che rendere ridicolo un campo d'indagine che potrebbe essere serio se solo la piantassero di dire corbellerie e scambiare ogni pixel sfuocato per una gita fuori porta dei venusiani. Se poi i giornalisti, invece di riportare acriticamente le suddette corbellerie, si degnassero di avere un attimo di senso critico invece di fare le puttane del clic, l'ufologia potrebbe finalmente diventare una scienza anziché una scemenza. Macché. [...] Formulare ipotesi è dovere di ogni ricercatore; ma il vero ricercatore fa anche un passo in più, che è quello di cercare di scartare le ipotesi non supportate dai fatti e di metterle alla prova, invece di saltare alle conclusioni [...]. È proprio questo quello che non va nell'ufologia: è propagandata chiassosamente da persone che sono talmente innamorate della propria visione del mondo da ignorare i metodi di verifica più elementari; talmente infervorate da essere capaci di mettere nero su bianco quello che dovrebbero fare e poi non farlo; talmente fissate sul binario unico del proprio pensiero da non accorgersi dei propri sbagli e accusare invece gli altri di non avere una mente aperta; talmente egocentriche da incazzarsi quando qualcuno osa far notare i loro errori. Pochi si sottraggono a questo modello [...]. Incazzatevi pure, fufologi [...], ma non è colpa mia se scrivete cialtronerie e vi rendete ridicoli. E incazzatevi pure, giornalisti, ma non è colpa mia se pubblicate qualunque cialtroneria senza verificarla.[8]
Ogni tanto mi chiedono perché mi dedico al debunking dei complottismi e in particolare dei lunacomplottismi. C'è chi dice che non serve a niente; tanto gli irriducibili non cambieranno mai idea. Ma non è per loro che scrivo; si tengano pure le loro idiozie, l'astio invidioso, l'incapacità di accettare che ci sia al mondo gente meno piccola di loro. Scrivo per i dubbiosi che vogliono saperne di più, per gli appassionati, per le persone che condividono con me l'entusiasmo per una delle pagine più belle e pure della storia dell'esplorazione e dell'avventura. Scrivo perché spesso vedo, negli occhi delle persone che incontro dopo una conferenza sulle missioni lunari, la stessa meraviglia ed emozione che persone come Neil Armstrong hanno regalato a me e che cerco di regalare a mia volta.[9]
Sì, la bandiera di guerra imperiale tedesca è da considerare simbolo neonazista perché oggi è usata prevalentemente dai neonazisti. La usano per eludere i divieti di usare la svastica e per far finta (anche a se stessi) di non essere nazisti di seconda mano [...]. Questo uso frequente e predominante da parte dei neonazisti, ampiamente documentato, ha trasformato il significato corrente di quella bandiera, esattamente come l'uso della svastica da parte dei nazisti ha trasformato il significato di un simbolo che ha una storia plurimillenaria, come l'uso di falce e martello da parte del comunismo li ha trasformati da semplici strumenti agricoli e industriali in simboli di oppressione. [...] Sembra che molti facciano fatica a capire il concetto che il significato di un simbolo dipende dal contesto e dal suo uso predominante. O forse quei molti sono solo imbecilli neonazisti che si sono visti togliere la foglia di fico e si sono accorti che ora tutti vedono le loro pochezze.[10]
Se un video riceve tante visualizzazioni, i social network e i siti come Youtube pagano i suoi creatori in cambio del diritto di inserirvi pubblicità. Questo meccanismo di monetizzazione dei video ha creato una vera e propria industria amatoriale di video falsi, con contenuti spesso scioccanti o demenziali, costruiti a tavolino per far parlare di sé ed essere condivisi, che non esisterebbero se non ci fosse l'incentivo del guadagno. E ci sono anche sciacalli che rubano i video virali altrui per monetizzarli. [...] La monetizzazione su Internet di video falsi o fabbricati è una delle ragioni del boom delle notizie false basate su questi video: costano poco e rendono molto, anche per le testate giornalistiche che le ripubblicano senza verificarle. I social network stanno correndo ai ripari togliendo le pubblicità, e quindi l'incentivo economico, ai video che incoraggiano o promuovono comportamenti dannosi o pericolosi, ma questa rimozione avviene soltanto se un video viene segnalato dagli utenti (è successo per il video della testa nel microonde). Spetta quindi a noi utenti, insomma, agire per disincentivare questa forma di fake news.[11]
La tecnica della falsa citazione consiste nell'attribuire a una persona autorevole o molto conosciuta il concetto che si vuole esprimere e che normalmente sarebbe impresentabile, ma che se viene espresso tramite quel personaggio storico o celebre diventa subito sdoganabile e anzi rimane impresso e rafforzato nella propria efficacia. [...] Le citazioni falsamente attribuite, insomma, funzionano molto bene, specialmente nei social network, dove la concisione è fondamentale e circolano sotto forma di meme, ossia di un'immagine del personaggio accompagnata da una didascalia che riporta la citazione. Materiale facile da produrre e condividere e adatto a qualunque social network. Verificare l'autenticità di una citazione celebre non è affatto facile, anche perché digitarla in Google non fa altro che evocare i tantissimi siti che la riportano. Bisogna esplorare gli archivi storici, che spesso non sono disponibili via Internet. [...] Di conseguenza conviene partire dal presupposto che ogni citazione sia falsa fino a prova contraria: se non ne viene indicata la fonte e la data precisa e verificata, è probabilmente apocrifa e quindi è meglio non usarla per sostenere le proprie argomentazioni, che se sono buone possono benissimo reggersi senza queste grucce d'argilla.[12]
C'è un mito molto diffuso in informatica, secondo il quale il termine "bug" (letteralmente "insetto") usato per descrivere i difetti di un computer o del suo software sarebbe stato coniato nel 1947, esattamente alle 15.45 del 9 settembre, da parte di Grace Murray Hopper, una delle pioniere dell'informatica, creatrice dei compilatori e di gran parte dei linguaggi di programmazione COBOL e FORTRAN, matematica laureatasi a Yale nel 1934, ricercatrice informatica e anche ufficiale della Marina degli Stati Uniti, promossa poi al grado di contrammiraglio. Quel giorno Grace Hopper lavorava al calcolatore elettromeccanico Mark II, un bestione lungo circa 16 metri, alto due metri e quaranta e profondo altrettanto installato alla Harvard University, e trovò nelle sue viscere elettroniche un insetto alato, incastrato in un relé. Lo appiccicò con un pezzo di nastro adesivo al suo quaderno di appunti di lavoro, con il commento "First actual case of bug being found" ("primo caso concreto di ritrovamento di un «bug»"). Ma in realtà il termine inglese bug era già in uso in altri campi almeno sin dai tempi di Edison, nel 1889, per indicare un difetto di un circuito o di una macchina. La Pall Mall Gazette dell'11 marzo di quell'anno, infatti, riporta che "Il signor Edison... ha trascorso in bianco le due notti precedenti per scoprire un «bug» nel suo fonografo – un'espressione che indica la risoluzione di un problema e sottintende che ci sia un insetto immaginario che si è nascosto dentro e sta causando tutti i problemi." Nella sua lunghissima carriera, Grace Hopper raccontò spesso l'episodio, rendendo popolare il termine "bug" anche fra gli informatici, ma non fu lei a coniarlo: anzi, leggendo le sue annotazioni è chiaro che il termine era già in uso e lei era divertita alla scoperta di un "bug" fisico vero e proprio.[13]
Se avete un indirizzo di mail avete ricevuto almeno una volta nella vita un messaggio contenente la classica "truffa alla nigeriana": uno sconosciuto si presenta dicendo di essere un membro di una famiglia nobile vittima di una persecuzione e aggiungendo di avere un'ingente somma di denaro, alcuni milioni di dollari, che può recuperare soltanto con il vostro aiuto. Il vostro nome gli è stato raccomandato da un amico che avete in comune ma che non viene nominato per prudenza. In cambio della vostra assistenza è disposto a darvi una percentuale molto consistente di quei milioni. Per avviare la procedura di recupero, però, ha bisogno che gli anticipiate una piccola somma. La truffa è diventata particolarmente popolare in Nigeria, dove operano molti dei truffatori che la praticano. Da questa diffusione nel paese è nato il soprannome [...] e dal numero della sezione pertinente del codice penale nigeriano è nato il nome alternativo di questo raggiro, ossia 419 scam. Tuttavia questa truffa non è affatto nata con Internet, come molti pensano. Girava già su carta negli anni Novanta, chiedendo risposta tramite l'allora modernissimo fax [...]. Ma [...] il New York Times del 1898 (sì, milleottocentonovantotto) parlava già della faccenda dicendo che era una truffa "comune" e "vecchia" che stava riemergendo. Ovviamente non c'era Internet nel 1898, per cui i truffatori comunicavano per posta cartacea. [...] Ma si può andare ancora più indietro nel tempo, alla fine del Settecento. Eugène François Vidocq (1775-1857), uno dei padri della criminologia, racconta nelle sue memorie di quando fu condannato a otto anni di carcere per "falso in conti pubblici ed autentici", nel 1797. In prigione a Bicêtre [...] i carcerati scrivevano le cosiddette "lettere di Gerusalemme", con la complicità dei carcerieri, [...] lo scrivente diceva sempre di essere il cameriere personale di un noto marchese che aveva dovuto abbandonare il proprio tesoro in un luogo ben occultato per evitare che finisse nelle mani dei malfattori. Il luogo era nelle vicinanze del destinatario della lettera. [...] in cambio di un piccola somma si sarebbe potuto liberare dal carcere e avrebbe potuto così condurre il destinatario al tesoro per dividerselo. [...] di cento lettere di questo tipo, venti ricevevano sempre risposta. I carcerati si procuravano gli indirizzi delle persone ricche della provincia dai nuovi prigionieri. I ricchi abboccavano a questa storia improbabile, mandando a volte fino a 1500 franchi dell'epoca. E non c'era verso di far capire alle vittime che erano state raggirate: Vidocq racconta del "mercante di stoffe della Rue des Prouvaires, che fu colto a scavare sotto un arco del Pont Neuf [a Parigi], dove si aspettava di trovare i diamanti della duchessa di Bouillon". Ma [...] si può andare ancora più indietro nel tempo, fino al sedicesimo secolo, quando prosperava la truffa della "prigioniera spagnola": la lettera del truffatore parlava di una principessa (inesistente) che era prigioniera dei turchi, che chiedevano un riscatto per liberarla. La principessa, diceva la lettera, aveva inoltre promesso di sposare chiunque l'avesse liberata, e quindi si chiedeva al ricco che riceveva la missiva di contribuire alla liberazione della prigioniera. I secoli passano, le tecnologie cambiano, ma le debolezze umane sono sempre le stesse.[14]
Alex Jones, il sostenitore di infinite tesi di complotto tanto caro a parecchi complottisti nostrani, deve pagare il conto per le fandonie oscene che ha smerciato in questi anni. Fandonie oscene come quella, detta e ridetta nei suoi video interminabili su YouTube, che i bambini uccisi nel 2012 nella strage della scuola elementare di Sandy Hook, negli Stati Uniti, e i loro genitori sarebbero tutti in realtà attori pagati dal governo americano. Ora Alex Jones è sotto processo e una giuria lo ha condannato all'unanimità a pagare oltre 45 milioni di dollari di danni come punizione e in parte come risarcimento a una di quelle famiglie. Famiglie che, nei dieci anni passati dopo la tragedia nella quale hanno perso i propri figli, spesso hanno dovuto scappare e cambiare casa, perché i seguaci di Alex Jones li perseguitavano, grazie anche al fatto che Jones divulgava nei suoi video i loro indirizzi di abitazione. Ma lo faceva intanto che vendeva kit di sopravvivenza e prodotti pseudomedicinali e quindi i soldi per pagare quella cifra li ha. Eh sì: quello che molti pensano sia una "voce libera", uno che "dice le cose come stanno", uno che "parla fuori dal coro" ha ammassato oltre 130 milioni di dollari dicendo le stesse fesserie di Napalm 51 [personaggio comico di Maurizio Crozza, parodia di un complottista] ma parlando sul serio. Così sul serio da essere stato anche elogiato da Donald Trump. [...] le sue aziende (sì, il guru complottista che lotta contro il potere e che si atteggia a "uno di noi" è un imprenditore che ha una rete di aziende) nel 2018 incassavano fino a 800 mila dollari al giorno.[15]
Se vi chiedete come mai ci sono così tante notizie false in giro, questo è uno dei motivi: raccontar balle, aizzare l'odio, fa diventare milionari. Non sono pensatori indipendenti o combattenti contro il sistema: sono ciarlatani arraffasoldi. La loro ambizione non è salvare il mondo, ma fare soldi [...]. Li ospitate in TV? Siete complici.[15]
[Su Piero Angela] Una persona squisita, un signore della divulgazione e della comunicazione. Ha fatto la storia del giornalismo, con mano precisa e garbata; ha ispirato tantissimi ad appassionarsi alla scienza e al piacere della conoscenza. [...] Io sono uno dei suoi tanti figli culturali. Gli devo praticamente tutta la mia forma mentis e la mia carriera: leggere da ragazzino il suo Viaggio nel mondo del paranormale mi aprì un universo di conoscenza e di metodo investigativo che non avevo nemmeno sognato potesse esistere. [...] Mai avrei immaginato che io, cresciuto come milioni di telespettatori "a pane e Piero Angela", un giorno avrei avuto l'onore non solo di incontrarlo, chiacchierare con lui e sentire la sua forte, ruvida stretta di mano e il suo spiazzante "diamoci del tu", ma anche di collaborare con lui in varie occasioni [...]. Piero Angela mancherà immensamente a tutta la divulgazione scientifica, ma ci lascia un modello di stile e di comunicazione chiara e precisa a cui ambire ogni giorno e un'eredità inestimabile di persone e di istituzioni [...] che continuano il suo lavoro paziente di scoperta e di gioiosa condivisione del sapere e di contrasto ai ciarlatani e ai manipolatori.[16]
2008
I casi sono due. Alla redazione di Voyager non sanno cos'è Google, oppure prendono volutamente per i fondelli i creduloni che seguono la trasmissione. Questa è disinformazione pagata dai contribuenti. E poi ci chiediamo perché girano le storie più sceme sui pianeti in collisione e i calendari Maya e i giovani non conoscono la scienza e s'angosciano per i video dei cellulari che fanno il popcorn. Semplice: perché trasmissioni come Voyager imbottiscono loro la testa di cretinate. Perché Voyager non alza le chiappe e va ad indagare i misteri veri della scienza? Luci di Hessdalen [...], i risultati delle sonde Viking su Marte che sembravano indicare tracce chimiche di vita, le sonde Pioneer deviate fuori rotta da una forza sconosciuta, la macchina di Anticitera... queste sono solo le prime che mi vengono in mente. No, eh? Troppa fatica. Molto più comodo riciclare la pappa pronta rigurgitata da qualche sito o libercolo di pseudoscienza, senza neppure fare una Googlata preliminare prima di aprir bocca, e al diavolo le conseguenze.[17]
Secondo il suo modello ben collaudato, Voyager si para le spalle mettendo il tutto in forma interrogativa, dimenticandosi che il compito del giornalismo non è fare domande, ma trovare risposte. Le domande le fanno anche i bambini.
[Sulle pietre di Ica] Si tratta di falsi, realizzati da artigiani del posto per venderli ai polli. Se fossero autentici e quindi antichi di millenni, le incisioni non avrebbero spigoli netti, perché sarebbero stati smussati dall'erosione naturale. Spigoli netti, come se fossero stati incisi l'altroieri. Appunto. Il pollo, nello specifico, è un medico, Javier Cabrera Darquea [...], che negli anni Sessanta ricevette in regalo una pietra sulla quale era inciso un pesce che, a suo avviso, apparteneva a una specie estinta. Cabrera andò alla ricerca di altre pietre simili e gli abitanti del posto furono sorprendentemente più che lieti di "fornirgliele" dietro compenso, raffiguranti uomini insieme a dinosauri e tutte le altre sciccherie tecnologiche anacronistiche [...]. Cabrera, a quanto pare, non si chiese come mai una civiltà così tecnologicamente avanzata da fabbricare telescopi e macchine volanti e realizzare trapianti non avesse lasciato alcuna traccia di sé a parte qualche sasso. Diamine, troviamo le pietre di selce degli uomini primitivi, e invece di questa civiltà evolutissima non troviamo una valvola, uno spinterogeno, un cuscinetto a sfere, le rovine di un ospedale o di un palazzo? Il medico peruviano, evidentemente, non si chiese neppure se per caso il suo interesse per le pietre incise avesse spinto qualche artigiano intraprendente a realizzare l'equivalente locale della proverbiale fabbrica di mobili antichi. Fatto sta che la sua collezione ha superato i 15.000 esemplari, tanto da permettergli di aprire un museo a Ica.
Le pietre di Ica, fatte di andesite, non possono essere datate usando la datazione al radiocarbonio, che si applica soltanto alla materia organica. Le pietre si datano di solito guardando gli strati in cui sono sepolte, ma nessuno sa da dove provengano esattamente. In ogni caso, qualsiasi datazione di questo genere indicherebbe l'età del sasso, ma non direbbe nulla sull'epoca in cui sono state realizzate le incisioni. La datazione delle incisioni è possibile osservando, appunto, l'erosione: se non c'è, vuol dire che sono recentissime. E infatti hanno bordi netti. Cosa ancora più importante, il ricercatore spagnolo Vicente Paris [...] scoprì, con un esame approfondito, che le incisioni contenevano tracce di moderna carta vetrata [...]. Ci sono poi altre considerazioni di ordine puramente logico. [...] Come mai la vendita di reperti archeologici è proibita in Perù, eppure queste pietre sono in libera vendita ai turisti ingenui? Forse perché Basilio Uschuya, il principale fornitore di Cabrera, fu arrestato nel 1996 per questo presunto crimine e fu poi rilasciato quando confessò che le pietre se le fabbricava da solo prendendo spunto dai fumetti, dai libri di scuola e dalle riviste. Le pietre venivano poi ricoperte di una patina di invecchiamento ottenuta lasciandole per qualche giorno nel pollaio a ricevere gli escrementi delle galline. Se per prendere un ladro ci vuole un ladro, forse ci vuole una gallina per prendere un pollo. Infine, per i cocciuti che sostengono che l'andesite è durissima e quindi non può essere lavorata senza strumenti particolari, ergo le pietre devono essere autentiche, va chiarito che non si tratta di sculture, ma di semplici incisioni superficiali, che rimuovono lo strato superficiale ossidato. Uschuya mostrò [...] come realizzarle usando un semplice trapano da dentista.
2010
Nello studio dei cospirazionismi esiste da tempo quella che piuttosto coloritamente viene denominata la Teoria della Montagna di M...: spalare il letame mentale prodotto da una qualunque tesi di complotto o credenza pseudoscientifica richiede sempre molta, molta più energia e sofferenza di quanta ne occorre per generare quel letame. In forma più garbata, per inventare un mistero ci vogliono tre secondi: per smontarlo ci vuole a volte una vita.[18]
[...] la British Medical Association ha definito "stregoneria" l'omeopatia e l'ha denunciata come uno spreco di soldi: 4 milioni di sterline l'anno (4,6 milioni di euro, 6,5 milioni di franchi) per prodotti che sono, in sostanza, acqua fresca. L'omeopatia, infatti, si basa sul principio della diluizione estrema del principio attivo. Così estrema che nel "medicinale" omeopatico non c'è neppure una molecola di questo principio. Pseudofarmaci del genere dovrebbero costare praticamente zero, eppure l'industria del settore vale 40 milioni di sterline solo nel Regno Unito.[19]
[Su Stonehenge] C'è chi ci va per ammirare l'ingegno dell'uomo di cinquemila anni fa, capace di muovere macigni di decine di tonnellate per lasciare un segno della propria esistenza, e c'è chi ci va per seguire varie credenze mistiche, incentrate solitamente su presunti allineamenti incredibilmente precisi delle pietre che testimonierebbero interventi soprannaturali o extraterrestri o conoscenze straordinarie dimenticate. I fatti, però, smentiscono la precisione magica degli allineamenti che vengono "scoperti" oggi guardando la disposizione delle pietre, per una ragione molto semplice: le pietre di Stonehenge non sono più al loro posto originale. Per esempio, uno dei triliti crollò nel 1797 e fu restaurato soltanto nel 1958. Nel corso dei restauri effettuati nel 1901, la pietra numero 56, che minacciava di cadere, fu raddrizzata e collocata nel cemento, spostandola di mezzo metro. Altri lavori furono effettuati negli anni Venti del secolo scorso. I restauri del 1958 risollevarono e fissarono nel moderno cemento tre altre pietre, e altre quattro furono riposizionate nel 1964 per evitare che cadessero. [...] Molti turisti visitano Stonehenge credendo che si tratti di un sito archeologico ancora intatto dopo millenni, ma non è così. [...] Prima di trarre conclusioni affrettate e attribuire poteri incredibili a questo monumento, insomma, è opportuno informarsi bene. Anch'io, quando ho visitato Stonehenge, non sapevo nulla dei restauri, che non si notano se non si prenota la visita speciale che permette di entrare nel monumento. [...] Saperlo rovina il fascino di Stonehenge? No, perché non cambia il fatto che quelle pietre furono spostate a mani nude da una cultura che non aveva ancora sviluppato la scrittura ma sapeva organizzarsi per creare un'opera stupefacente. Sapere che le pietre sono state poi riposizionate spazza via solo la patina falsa di pseudoscienze e di credenze new age che offusca il vero splendore di Stonehenge.[20]
La EV-1 era un'auto a due posti: totalmente inutile per una famiglia. Aveva un prezzo altissimo: 34.000 dollari dell'epoca (1996, Los Angeles Times) [...] per un'auto con la capienza di una Smart. L'autonomia: non più di 209 chilometri per il modello migliore in condizioni ottimali (batterie NiMH e perfettamente caricate, senza usare l'aria condizionata o il riscaldamento, senza fare salite e a seconda della temperatura ambiente). Esaurita l'autonomia, l'auto ci metteva da 6 a 8 ore per "fare il pieno". Seriamente: spendereste 38.000 euro per una due posti che dopo duecento chilometri deve stare ferma sei ore? Certo, potreste usarla per tratte relativamente brevi, per esempio per andare al lavoro: ma sarebbe inservibile per qualunque viaggio lungo. Dovreste quindi acquistarla come seconda auto, oppure noleggiarne una a benzina o diesel per i viaggi lunghi. Addio risparmi. Sono questi i problemi pratici per i quali l'auto elettrica fatica a decollare tuttora: non per fantasiosi complotti di lobby mafiose. La EV-1 se la potevano permettere persone come l'attore Tom Hanks, per le quali usare un'auto elettrica aveva anche un ritorno d'immagine ecologista, ma restava al di fuori della portata economica e delle esigenze della famiglia media. È per questi motivi che la EV-1 fu data in leasing e non venduta. [...] Il programma EV-1 fu cancellato nel 2003 perché la General Motors lo ritenne economicamente insostenibile: per legge avrebbe dovuto gestire ricambi e riparazioni per anni, per un parco complessivo di meno di milleduecento esemplari. La GM preferì ritirare le auto e distruggerle o donarle ad alcuni musei, concentrando i propri investimenti sulle auto ibride.
[Sulla Nissan Hypermini] [...] era una vettura a due posti con un bagagliaio inesistente: l'equivalente di una Smart. L'autonomia era di circa 110 chilometri con una carica completa della batteria in condizioni ottimali e il prezzo era intorno ai 36.000 dollari [...]. Ne furono prodotte in tutto 219: troppo poche per mantenere assistenza e ricambi. [...] fu questo il motivo che spinse la Nissan a ritirarla.
[Sulla Toyota RAV4 EV] [...] l'auto fu immessa sperimentalmente sul mercato nel 1997 e offerta al pubblico per il leasing o l'acquisto nel 2003. Fu ritirata dal mercato lo stesso anno. Il motivo? Secondo Toyota, le vendite scarse: soltanto 300 in un anno, e il costo della sostituzione della batteria era superiore a quello dell'acquisto dell'auto. Le tecnologie della RAV4-EV furono riciclate per la Prius. E perché non la comprava nessuno? Perché costava 42.000 dollari [...]. In compenso portava cinque persone, aveva un'autonomia massima di 190 chilometri e richiedeva cinque ore per la ricarica: limitazioni [...] meno penalizzanti (soprattutto in termini di numero di passeggeri), tanto che il veicolo suscitò notevole entusiasmo fra gli appassionati, molto più di quanto previsto da Toyota, ma non abbastanza da vendere i numeri necessari per essere economicamente sostenibile per il fabbricante.
Il problema di fondo [...] è che l'idrogeno non è una fonte di energia; è un vettore di energia, e per di più inefficiente. L'energia che si consuma per produrre e distribuire idrogeno è infatti molto superiore a quella che si estrae dall'idrogeno prodotto: tanto vale usare quest'energia per caricare delle batterie. La distribuzione dell'idrogeno è un incubo, a causa della sua bassissima densità (che ne esige la pressurizzazione o la liquefazione a temperature bassissime, con tutto quello che ne deriva) e della sua estrema infiammabilità. Le opinioni e gli esperimenti sull'effettiva pericolosità dell'idrogeno per auto rispetto alla benzina sembrano indicare una maggiore sicurezza dell'idrogeno, ma voi ve la sentireste di andare in giro con una bombola di idrogeno liquido e/o pressurizzato nella vostra auto e rischiare un tamponamento esplosivo? Appunto. Inoltre attualmente l'idrogeno viene prodotto principalmente estraendolo dagli idrocarburi, per cui l'auto a idrogeno dipende dal petrolio esattamente come quelle a benzina o diesel [...]. Certo l'idrogeno riduce o elimina l'inquinamento da gas di scarico, ma non fa nulla per la dipendenza dalle "lobbies delle grandi compagnie petrolifere". Proporre l'idrogeno come soluzione ecologica che ci libera dalla schiavitù del petrolio è quindi un miope controsenso.
2016
Ora magari anche ai più cocciuti sarà chiaro il motivo per il quale così tanti governi se la prendono con la crittografia forte e la vogliono bandire. Non è questione di lotta al terrorismo, come dicono continuamente: i terroristi difficilmente rispetteranno un divieto di usare la crittografia. È questione di controllare il dissenso. Se i giornalisti non sono più in grado di comunicare in modo riservato, se non possono più contattare le proprie fonti confidenziali, se sanno che tutto quello che dicono è intercettato e intercettabile, non possono più fare il proprio lavoro fondamentale di criticare chi è al potere e smascherarne gli abusi e le bugie.[21]
[...] vanità di dire "solo io ho capito la Verità". Il complottismo, in ultima analisi, è megalomania.[22]
8 settembre 1966: una data impressa a fuoco nella memoria di ogni vero cultore di Star Trek. È la data di nascita ufficiale della celeberrima, citatissima saga di fantascienza, perché in quella data, alle 19:30 locali, Star Trek andò in onda per la prima volta, trasmessa dalla rete televisiva statunitense NBC. [...] Ma non è corretto. La vera data di debutto di Star Trek è il 6 settembre 1966, non l'8. La prima puntata (The Man Trap, in italiano Trappola umana) fu infatti trasmessa per la prima volta in assoluto due giorni prima della data ufficiale dalla rete televisiva nazionale canadese CTV. Lo documenta, per esempio, la Gazette di Montreal del 6 settembre 1966 a pagina 36 [...]. Tuttavia, siccome il Canada per gli americani è irrilevante, la data ufficiale di nascita è l'8 settembre.[23]
Il blocco delle vendite e il richiamo di 2,5 milioni di esemplari non hanno risolto il problema: anche la nuova versione ha lo stesso problema di autocombustione [...]. Per cui Samsung ha deciso che il Galaxy Note 7 verrà ritirato [...] dal commercio [...]. Ma come ha fatto un difetto [...] del genere a superare i controlli e i test interni prima della messa in vendita? [...] questi guai derivano dalla tecnologia troppo spinta e dalla paura individuale e aziendale di conseguenze legali. La prima versione [...] è stata tradita da un errore di fabbricazione delle batterie, [...] troppo grandi per il loro alloggiamento: l'installazione ne comprimeva un angolo, producendo un corto circuito fra i componenti [...] che portava al surriscaldamento. [...] la seconda versione ha invece manifestato problemi incendiari analoghi probabilmente per via del tentativo [...] di ridurre i tempi di ricarica [...]. Ma il doppio flop è dovuto anche al fatto che i [...] tecnici di collaudo [...] incaricati di scoprire la causa dei primi incendi, temendo conseguenze legali e sequestri di documentazione, non lasciavano traccia scritta dei propri risultati, su ordine di Samsung, per cui coordinare le informazioni raccolte era [...] impossibile. Per evitare guai ipotetici, insomma, Samsung si è cacciata in un guaio reale ben peggiore, e non ha tenuto conto di un fatto tristemente noto agli informatici: l'unico vero ambiente di test è la produzione. Finché un prodotto non è in mano agli utenti, pasticcioni, distratti e maldestri, capaci di creare situazioni che non verrebbero mai in mente ai collaudatori, non c'è alcuna certezza che sia privo di difetti [...][24]
È il 28 febbraio 1966. La NASA, con il programma Gemini, sta imparando tutto quello che serve sapere per poter mandare degli astronauti sulla Luna [...]. Ma l'equipaggio della Gemini IX, costituito da Elliot See e Charles Bassett II, non avrà questa possibilità. [...] partono intorno alle sette di mattina dalla base di Ellington, diretti allo stabilimento della McDonnell a St. Louis, a bordo di un addestratore T-38, accompagnati dall'equipaggio di riserva, Tom Stafford e Gene Cernan, su un altro T-38. Devono trascorrere a St. Louis una decina di giorni per ispezionare la loro capsula Gemini ed addestrarsi nel simulatore. Alla partenza il tempo è ottimo, ma a St. Louis piove; le nuvole sono basse [...] e la visibilità è scarsa. All'arrivo sopra la base aerea di Lambert Field, poco prima delle nove, i due jet si trovano troppo vicini alla fine della pista d'atterraggio e così See vira a sinistra, stando sotto le nuvole, mentre Stafford si arrampica e rientra nelle nubi per tentare un altro avvicinamento, cosa che gli riesce senza problemi. Ma la virata di See porta il suo T-38 vicino all'Edificio 101 della McDonnell, dove i tecnici stanno lavorando proprio alla capsula Gemini [...]. Rendendosi forse conto di star perdendo quota troppo rapidamente, See accende i postbruciatori e tenta di virare bruscamente a destra, ma è troppo tardi: l'aereo colpisce il tetto dell'edificio con un'ala e si schianta, incendiandosi e uccidendo Bassett e See. Frammenti del loro aereo colpiscono la capsula Gemini. [...] Se l'aereo fosse stato leggermente più basso, avrebbe distrutto la capsula e soprattutto ucciso decine di specialisti che vi lavoravano, mettendo in crisi l'intero progetto di arrivare alla Luna.
Non è il primo incidente che tronca la vita di un astronauta [...]. Ma è la la prima volta che la NASA si trova costretta a rimpiazzare l'equipaggio primario di una missione con quello di riserva. [...] L'incidente aereo innesca un effetto domino che cambia il corso della storia: senza la morte di Bassett e See, per esempio, Buzz Aldrin non sarebbe stato scelto come membro di riserva per Gemini IX e non avrebbe volato con la Gemini XII a novembre del 1966; probabilmente non sarebbe stato il pilota del modulo lunare di Apollo 11 e quindi non sarebbe stato il secondo uomo a camminare sulla Luna. [...] Aldrin, amico e vicino di casa di Bassett, non dimenticherà mai che la sua presenza nei libri di storia è frutto di questa tragedia.
See e Bassett verranno sepolti al Cimitero Nazionale di Arlington, uno vicino all’altro. I loro nomi non sono noti ai più, forse perché sono morti prima di andare nello spazio, ma sono incisi nello Space Mirror Memorial al Centro Spaziale Kennedy, insieme a tutti gli altri astronauti deceduti nello svolgimento del proprio compito, e sono stati portati sulla Luna dagli astronauti di Apollo 15 nella targa che accompagna la statuetta Fallen Astronaut collocata nei pressi della Hadley Rille.
attivissimo.blogspot.com, 30 giugno 2016.
[Sulla Sojuz 11]
30 giugno 1971: la Soyuz 11 rientra sulla Terra, in Kazakistan, dopo un viaggio spaziale trionfale. Georgi Dobrovolski, Vladislav Volkov e Viktor Patsayev sono rimasti nello spazio per 23 giorni, battendo il record mondiale di durata e hanno effettuato la prima visita a una stazione spaziale. [...] Il rientro procede in maniera automatica, come consueto. Le squadre di recupero si avvicinano alla capsula, coricata sul terreno, accompagnata dal suo grande paracadute, che si è aperto regolarmente. I razzi di frenata hanno agito come previsto. Le condizioni meteorologiche al suolo sono perfette. Ma gli uomini che arrivano per accogliere i tre cosmonauti sono costretti a trasmettere ai responsabili del programma spaziale un messaggio in codice scioccante: le tre cifre 1-1-1. Nella procedura di comunicazione dell'epoca, le condizioni dei cosmonauti vengono annunciate usando [...] cifre [...]. Un 5 indica condizioni di salute ottime; 4 indica condizioni buone; 3 segnala ferite; 2 riferisce ferite gravi; e 1 annuncia il decesso. Dobrovolski, Volkov e Patsayev sono morti. Sul viso hanno segni bluastri; è colato sangue dal naso e dalle orecchie. [...] I tre sono morti per asfissia da decompressione da oltre mezz'ora e sono rimasti esposti al vuoto dello spazio per almeno undici minuti. È la prima volta nella storia dell'esplorazione spaziale che un equipaggio muore nello spazio.
Durante il ritorno a Terra, al momento della [...] separazione del modulo orbitale della Soyuz dal modulo di rientro, lo scossone del distacco ha aperto erroneamente in anticipo uno sfiato e l'aria della piccola cabina è sfuggita rapidamente nel vuoto dello spazio, a oltre 100 chilometri di quota. I tre cosmonauti non indossano una tuta pressurizzata, che li salverebbe, perché nella Soyuz di allora [...] non c'è spazio per tre persone in tuta. L'equipaggio ha avuto meno di un minuto per tentare di individuare la causa della fuga d'aria prima di essere sopraffatto dagli inevitabili effetti della decompressione. I registratori di bordo documentano [...] che 50 secondi dopo il distacco del modulo orbitale il battito cardiaco di Patsayev è precipitato da oltre 90 a 42 pulsazioni al minuto, segno inequivocabile di privazione d'ossigeno, e che 110 secondi dopo l'apertura accidentale dello sfiato i cuori dei tre cosmonauti hanno cessato di battere. L'Unione Sovietica è scossa dalla tragedia [...] ma le cause precise del disastro vengono tenute segrete. [...] Il difetto fatale dello sfiato verrà reso pubblico, perlomeno in Occidente, soltanto due anni più tardi. I russi svilupperanno rapidamente una tuta pressurizzata compatta e leggera, la Sokol-K, che verrà usata per tutti i voli spaziali successivi, e lo sfiato verrà riprogettato.
Il disastro della Soyuz 11 scuote anche il programma spaziale statunitense. Inizialmente il segreto assoluto sulle cause della morte dei tre cosmonauti fa sospettare che la lunga permanenza nello spazio abbia influito in qualche modo sulle loro condizioni fisiche: [...] si teme che la permanenza da record dei tre [...] abbia raggiunto un limite fisiologico invalicabile [...]. Una volta rivelate le reali cause della morte di Dobrovolski, Volkov e Patsayev, la missione lunare Apollo 15, che deve partire qualche settimana dopo, verrà cambiata per tenerne conto: Scott e Irwin dovranno indossare le tute pressurizzate durante il decollo dalla Luna, la progettazione dei finestrini, dei portelli, delle valvole e dei cablaggi del modulo lunare e del modulo di comando verrà riesaminata a fondo e verranno studiati i possibili effetti di una depressurizzazione del modulo di comando durante il rientro nell'atmosfera terrestre.
Nel 1986 il summit di Reykjavik fra il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan e il premier sovietico Mikhail Gorbaciov decise i destini del mondo. In quell'incontro giocò un ruolo fondamentale una donna, Joan Quigley. Fu lei a scegliere l'orario della partenza di Reagan per Reykjavik. Il capo di gabinetto della Casa Bianca di allora, Donald Regan, racconta che quasi ogni decisione e ogni spostamento importante, compresa la firma dei trattati sulle armi nucleari, dipendeva dall'approvazione dalla Quigley, che aveva potere di veto sugli orari di tutte le conferenze stampa presidenziali e indicava quando era sicuro viaggiare e quando organizzare un summit. Joan Quigley era l'astrologa di Ronald Reagan. L'uomo più potente del mondo, l'uomo che aveva il dito sul pulsante di lancio dei missili nucleari capaci di distruggere l'umanità, si faceva consigliare da una donna che arrivò a dirgli di evitare l'antagonismo con Gorbaciov perché i due avevano in armonia un pianeta in Acquario. Quando la CIA venne a sapere che la moglie di Reagan, Nancy, discuteva le relazioni fra Stati Uniti e Unione Sovietica con la Quigley su linee telefoniche non protette ci fu il panico.
Winston Churchill, primo ministro britannico dell'epoca (1940-45), era devoto seguace di Helen Duncan, l'ultima donna processata e incarcerata per stregoneria in Inghilterra. La Duncan era una medium scozzese molto popolare, che sembrava avere poteri paranormali straordinari. Uno dei suoi più clamorosi successi fu la visione remota dell'affondamento da parte di un U-Boot tedesco della grande nave da battaglia HMS Barham, nel quale erano periti 861 marinai il 25 novembre 1941. La Duncan annunciò pubblicamente il disastro, tenuto segretissimo dalle autorità britanniche, pochi giorni dopo, durante una seduta spiritica, dicendo che glielo aveva comunicato il fantasma di uno dei marinai della nave affondata. La Marina Britannica fu talmente scossa dalla rivelazione che temette che la Duncan fosse una spia tedesca. Helen Duncan fu processata sulla base del Witchcraft Act (letteralmente Legge sulla Stregoneria), datata 1735. Churchill in persona intervenne contestando l'uso di questa legge arcaica contro la medium che lui tanto stimava, ma la Duncan fu comunque condannata e trascorse nove mesi in carcere. Si scoprì poi che quando la Duncan aveva fatto la sensazionale rivelazione dell'affondamento della HMS Barham, la Marina Britannica aveva già informato i familiari dei marinai morti ma aveva chiesto loro di mantenere riservata la notizia dell'affondamento, per non informare i tedeschi dell'entità del colpo inflitto alla Marina di Sua Maestà. C'erano insomma alcune migliaia di civili che sapevano della tragedia, ed è molto probabile che la Duncan abbia saputo da loro della notizia per poi spacciarla come rivelazione paranormale.
[...] l'agricoltura sovietica era in profondissima crisi a causa della rapidissima transizione forzata a un'economia di tipo industriale, che aveva portato a una prima carestia nel 1921 e poi a una seconda, di proporzioni spaventose, nel 1932-33, che era costata la vita a circa 8 milioni di persone [...]. Un agronomo russo affermò di aver trovato un modo per triplicare o quadruplicare i raccolti di grano: la vernalizzazione, ossia il trattamento delle piante con basse temperature e umidità elevate, che ne abbreviava il tempo di coltivazione. In realtà la tecnica era nota dalla metà dell'Ottocento e offriva soltanto miglioramenti marginali nella produttività. Ma il governo russo, disperato, si affidò alle promesse dell'agronomo, facendone un eroe dell'agricoltura sovietica. Il suo nome era Trofim Lysenko. La sua teoria biologica pseudoscientifica, il lysenkoismo, sosteneva che la selezione naturale e la genetica erano panzane capitaliste e che le caratteristiche acquisite di un organismo potevano essere ereditate dai suoi discendenti. Per esempio, secondo il lysenkoismo strappare le foglie a una pianta avrebbe indotto le figlie di quella pianta a nascere già senza foglie. Per far crescere il grano in Siberia bastava esporlo al freddo per "rieducarlo" e farlo diventare resistente al gelo. Un concetto ideologicamente molto appetibile per il dittatore dell'epoca, Stalin, perché significava che erano possibili miglioramenti biologici rapidi e rivoluzionari come quelli necessari per risollevare l'agricoltura sovietica e soprattutto perché, secondo gli ideologi del Cremlino, comportava che un uomo esposto sufficientemente a lungo agli effetti del comunismo avrebbe generato automaticamente figli intrinsecamente comunisti [...]. Con il sostegno di Stalin, Lysenko fu messo a capo dell'agricoltura del paese. Era un uomo d'azione, e questo lo rendeva popolare, a differenza degli scienziati veri, che raccomandavano cautela, rigore, lunga sperimentazione in laboratorio [...]. Le sue teorie causarono un ulteriore declino dei raccolti in tutta l'Unione Sovietica, con conseguenti morti per carestia, ma la propaganda governativa nascose gli insuccessi ed esagerò i pochi risultati positivi. Nessuno osava contraddire Lysenko e inimicarsi Stalin. Nel 1948 l'Accademia delle Scienze Agricole dell'Unione Sovietica decretò che il lysenkoismo era "l'unica teoria corretta" e che criticarla era un atto "fascista", mentre la genetica fu dichiarata ufficialmente una "pseudoscienza borghese". La dittatura del lysenkoismo portò all'arresto, al licenziamento o alla messa a morte di circa 3000 biologi che si opponevano a questa ciarlataneria. La ricerca genetica in Russia fu completamente soppressa fino al 1953, quando Stalin morì. Se riuscite a immaginare un mondo in cui nelle facoltà di medicina s'insegnano esclusivamente l'omeopatia, i fiori di Bach e il creazionismo e chi osa proporre terapie farmacologiche, test in doppio cieco o l'evoluzione viene arrestato o fucilato, questo è quello che succedeva in Unione Sovietica in quegli anni, con il pieno sostegno del governo.
Molti mi chiedono come mai twitto spesso di Trump e che c'entra con me, che sono un debunker, un cacciatore di bufale, uno che si occupa di scienza, non di politica. Semplice: Donald J. Trump è una bufala vivente. È un complottista alla Casa Bianca. Le sue decisioni influenzano l'intero pianeta. Le sue scelte per lo staff che lo circonderà sono antiscienza pura. È un idiota circondato da furbi: per un debunker è inevitabile occuparsene. E preoccuparsene.
[...] documentatevi su cosa dice e fa e soprattutto su chi sono e cosa dicono i membri del suo staff. Leggete le loro dichiarazioni dirette, non filtrate. In confronto, George Bush Jr. era un genio circondato da sommi sapienti. Forse chi non conosce l'inglese è un po' schermato dalla barriera linguistica e non riesce a cogliere l'intonazione boriosa dell'imbecille che pensa di sapere tutto e in realtà non sa niente. Ma il modo di parlare, il modo di gesticolare, il modo di twittare di Trump ricorda senza ambiguità quello di tanti complottisti, sciachimisti, antivaccinisti con i quali ho avuto a che fare in questi anni di debunking. Il suo modo di fare è quello di chi dice "Non mi serve la scienza, non mi servono gli esperti, mi basta quello che so e quello che vedo".
Come debunker, vedere l'antiscienza al potere, assistere al trionfo strafottente di chi pensa che le proprie opinioni contino più dei fatti, che studiare e prepararsi non serva, mi mette paura. Sì, paura: perché la storia è già abbastanza ricolma dei danni causati quando una nazione ha abbracciato l'antiscienza e l'ha portata al potere. Non abbiamo bisogno di "dargli una possibilità", come sento dire a tanti. Sappiamo già come va a finire. [...] Se quello che dico vi scoccia, siete liberi di non seguirmi e di non leggermi. Fate pure. Ma non siete liberi di sfuggire alle decisioni della presidenza Trump.
Ci aspettano almeno quattro anni di antiscienza pura al potere in America, che avrà effetto su di noi, perché le decisioni prese là, ci piacciano o no, influenzano anche noi; influenzano il mondo. Forse non dovrei chiamarla antiscienza, perché la scienza viene spesso percepita come fredda, astratta, soggetta a ripensamenti: dovrei chiamarla, molto semplicemente, antirealtà. Non ne faccio questione di politica: i fatti non sono né di destra né di sinistra, sono fatti e basta, e sono quelli che sono. [...] la realtà ha da tempo immemorabile questo sublime difetto di infischiarsene delle opinioni e delle ideologie e di tutti gli idioti che pensano di poterla piegare al loro volere, e poi presentare il conto. Come debunker, insomma, non posso stare a guardare mentre si fa scempio della scienza e del mondo.
Faccio debunking da anni non per denaro, ma perché mi piace farlo e spero di poter essere utile. Lo faccio perché mi preoccupa la marea di cazzate socialmente pericolose diffuse dai complottisti e dagli speculatori acchiappaclic, dentro e fuori dai giornali e dalle TV, spesso con la complicità consapevole o inconsapevole dei politici. Cazzate che per esempio fanno crollare le vaccinazioni, creano paure infondate e fanno arricchire i truffatori. Sì, avete capito bene: non faccio debunking per i soldi. Anche perché ci si guadagna poco. Oltretutto fare debunking non è il mio lavoro principale: mi guadagno da vivere principalmente facendo tutt'altro (il traduttore tecnico brevettuale, se proprio volete saperlo). Questo mi consente di essere indipendente e di dire le cose come stanno anche quando ci sono di mezzo le bufale pubblicate da politici o dai giornali o dai canali TV.
Se vi sembra strano che ci sia di colpo tutto questo interesse per le bufale da parte dei governi e dei media tradizionali, non siete i soli. Non siete i soli a sospettare che si tratti di una manovra per avere consenso popolare per introdurre nuove forme di censura e controllo di Internet, oppure per dare la colpa delle false notizie agli utenti di Internet e distrarre da un fatto fondamentale: i più grandi propagatori di balle sono i media tradizionali, per incompetenza o per calcolo [...]. Programmi di panzane totali come Voyager o Mistero non sono video fatti da acerbi Youtuber: sono produzioni professionali delle reti televisive mainstream. E raggiungono, ad ogni puntata, un numero di persone che fa impallidire qualunque sito Internet.
C'è chi s'inviperisce perché non ho una laurea apposita per fare debunking (sono diplomato in lingue, se ci tenete a saperlo; ho iniziato a lavorare come traduttore ancora prima di diplomarmi) dimenticandosi che non esiste una Facoltà di Debunking e che quindi lamentarsi che non ho titoli per fare debunking è una stupidaggine. Io ho oltre vent'anni d'esperienza nel settore, ho lavorato con alcuni fra i più grandi esperti del campo e comunque mi appoggio sempre a esperti degli specifici argomenti di cui mi occupo. Se avete di meglio da offrire, fatevi avanti.
2023
Walt Cunningham, uno dei tre protagonisti della storica missione Apollo 7 che a ottobre del 1968 segnò la ripresa dei voli spaziali umani statunitensi dopo la tragedia di Apollo 1 [...]. Cunningham fece un solo volo spaziale in tutta la propria carriera, ma quegli undici giorni che trascorse in orbita intorno alla Terra, a bordo di una capsula mai collaudata prima, insieme al suo comandante Wally Schirra e al pilota del Modulo di Comando Donn Eisele, furono una tappa fondamentale del Progetto Apollo che rese possibile, già l'anno successivo, l'atterraggio dei primi due esseri umani sulla Luna. Se qualcosa fosse andato storto, se qualcuno dei tanti sistemi della navicella della cui gestione era responsabile Cunningham avesse funzionato male, quell'allunaggio sarebbe avvenuto ben più tardi e forse sarebbero arrivati per primi sulla Luna i sovietici con il loro vettore N-1 e il loro veicolo lunare LK [...]. Senza il successo di Apollo 7, nessuno avrebbe osato l'incredibile balzo di Apollo 8, la prima missione umana intorno alla Luna, alla fine del 1968. Quel successo, però, fu accompagnato dal primo "ammutinamento" nello spazio, quando i tre astronauti, afflitti da un sovraccarico di lavoro e da un raffreddore che in assenza di peso causava congestioni dolorose e altri problemi, a un certo punto decisero di respingere alcune delle richieste insistenti del Controllo Missione, e lo fecero con parole decisamente pesanti, mai sentite prima in una missione spaziale. Al momento del ritorno sulla Terra, Schirra, come comandante, decise di rifiutare l'ordine di indossare i caschi per il rientro, come previsto invece dalle procedure per poter affrontare un'eventuale depressurizzazione della capsula, perché temeva che affrontare il normale cambio di pressione di rientro mentre erano congestionati dal raffreddore e senza poter fare la manovra manuale di bilanciamento della pressione intraauricolare (il classico tapparsi il naso e soffiare dal naso) avrebbe portato alla rottura dei timpani dell'equipaggio. La NASA non perdonò queste trasgressioni; conferì ai tre la Exceptional Service Medal e la Distinguished Service Medal, ma nessuno di loro volò più nello spazio [...]. Uomo dei suoi tempi, non era il tipo da dire le cose a metà: era ben conosciuto per la sua posizione estremamente scettica sul ruolo umano nei cambiamenti climatici, considerava eccessivamente cauti gli astronauti Shuttle e i piani della NASA degli anni Duemila, e non nascondeva la sua intolleranza totale per la presidenza Obama e per le sue riforme sanitarie.[25]
[Nel 2023] Come preannunciato dall'azienda il 2 febbraio scorso, Twitter sta disattivando l'accesso gratuito alla sua API e lo sta facendo diventare a pagamento. Di conseguenza, molti servizi informativi di Twitter chiuderanno o stanno già chiudendo. La API (Application Programming Interface) è, semplificando, un linguaggio comune che permette ai programmi di parlarsi tra loro. Consente per esempio di creare programmi che mandino automaticamente istruzioni a Twitter per pubblicare un post o rispondere con dei dati a un tweet. Moltissimi servizi amatoriali e accademici usano questa tecnica per diffondere le proprie informazioni. Si va dal frivolo [...] all'essenziale [...]. Tantissimi account di comunicazione scientifica e accademica in generale, di arte, di poesia, di assistenza ai disabili, di allerta sismica dovranno sospendere le pubblicazioni perché non possono permettersi di pagare o hanno restrizioni legali che impediscono di farlo [...]. Tutto dipende dalle decisioni di Twitter, che vengono prese caso per caso e piuttosto arbitrariamente, a quanto pare, e vengono cambiate solo su protesta: un allarme tsunami governativo statunitense, per esempio, si è visto riattivare l'accesso all'API dopo che ha denunciato pubblicamente il blocco del servizio da parte di Twitter. [...] Ancora una volta, Elon Musk sembra non capire che l'essenza del valore di Twitter sta negli utenti e nei loro contenuti. Se fa di tutto per farli scappare invece di agevolarli, Twitter diventerà un guscio vuoto.[26]
[...] la sicurezza informatica non è un prodotto, è un processo. [...] Faccio un esempio pratico. Anni fa, mentre ero in vacanza nel Regno Unito, mi misi a lavorare con il mio computer portatile nell'accoglientissima sala del piccolo albergo a conduzione famigliare che avevo scelto. Seduto comodamente accanto al caminetto acceso, riuscii nel giro di pochi minuti a procurarmi i dati delle carte di credito di alcuni clienti: nomi e cognomi, numeri, codici di sicurezza e date di scadenza. Eppure il computer dell'albergo era moderno e aggiornato, con un browser che sicuramente usava HTTPS per tutte le transazioni commerciali, e non era neppure collegato al Wi-Fi accessibile agli ospiti. Ma l'albergatore aveva la brutta abitudine che quando prendeva una prenotazione per telefono, per essere sicuro di aver capito bene ripeteva ad alta voce tutti i dati delle carte di credito da usare.[27]
Threads è un nuovo social network basato sulla pubblicazione e condivisione di brevi testi, eventualmente accompagnati da un'immagine o da un video. È insomma molto simile a Twitter ed è il contrario di Instagram o TikTok, dove l'immagine è al centro e il testo è secondario. [...] Già nelle prime ore dopo il suo debutto in oltre 100 paesi ha raccolto oltre 10 milioni di utenti [...]. Questa crescita esplosiva è facilitata dal fatto che chi ha un account Instagram ha automaticamente già un account Threads riservato con il suo nome, che può scegliere di attivare, e l’accesso a questo account avviene tramite il suo account Instagram. Questo vuol dire che oltre un miliardo di persone nel mondo ha già tutto quello che serve per entrare in Threads [...]. Lo scopo dichiarato di Threads è rimpiazzare Twitter, che per anni è stato un punto di riferimento fondamentale per avere notizie di qualunque genere in tempo reale, ma è ora in serie difficoltà [...] da quando è stato acquistato da Elon Musk: i ricavi pubblicitari sono crollati, gli inserzionisti sono più che dimezzati, la campagna di abbonamenti a pagamento annaspa, molti account di alto profilo sono stati chiusi [...]. Questo limite rende Twitter quasi inutilizzabile per gli utenti non paganti e scoraggia ulteriormente gli inserzionisti, che difficilmente pagheranno per pubblicità che gli utenti non possono vedere. Threads, invece, è gratuito, perlomeno in termini monetari. [...] i numeri sono a favore di Threads, perché avendo una base di oltre un miliardo di utenti già pronta grazie a Instagram, basta che un utente Instagram su dieci attivi Threads per creare un mercato di cento milioni di utenti, capace di competere significativamente con Twitter [...]. Mark Zuckerberg, insomma, sembra aver trovato la maniera di risolvere il problema tipico di ogni nuovo social network: la cosiddetta massa critica. Normalmente nessuno si iscrive perché non c'è nessuno da seguire o con cui comunicare, e non c'è nessuno da seguire o con cui comunicare perché nessuno si iscrive, e tutti così se ne stanno invece nei social network preesistenti, perché lì ci sono già tutti i loro amici. [...] Con Threads, invece, un miliardo di utenti e passa è già potenzialmente iscritto e pronto a migrare in massa con tutti i propri amici [...].[28]
Nel mirino di Threads ci sono [...] anche le altre piattaforme social basate sul testo, come Mastodon, Bluesky, T2 e altre ancora, che hanno raccolto molti utenti fuggiti da Twitter. Una delle risorse che Threads metterà in campo per battere queste alternative è la semplice massa dei suoi utenti: se centinaia di milioni di persone adotteranno Threads, queste alternative smetteranno di crescere e resteranno delle nicchie meno allettanti. L'altra risorsa, invece, è più sottile e complessa, ma è importante conoscerla [...] perché potrebbe cambiare radicalmente il modo in cui noi tutti usiamo Internet. Questa risorsa si chiama ActivityPub, e in gergo tecnico è un protocollo aperto di interoperabilità social. [...] vuol dire che Threads userà uno standard aperto per lo scambio di dati fra i vari social network. Per noi utenti, questo ha un'importanza enorme: vuol dire che potremo comunicare con gli utenti di Threads e seguirli anche senza iscriverci a Threads e quindi senza dover cedere montagne di dati personali. [...] Non sarà neanche necessario installare l'app ufficiale: si potrà usare qualunque app compatibile con questo protocollo. Non solo: se per qualunque motivo ci dovessimo stancare di Threads, potremo trasferire facilmente tutti i nostri dati e contatti altrove [...]. L'idea non è nuova: la decentralizzazione viene già adottata da social network come Mastodon, Medium, Flipboard e Bluesky. E se ci si pensa un momento, è quello che fa da sempre la mail. Ed è un'idea che abbatte i giardini cintati, o se volete i ghetti, nei quali ci siamo abituati a stare: oggi se vuoi comunicare con qualcuno su Twitter devi iscriverti a Twitter, se vuoi dialogare con un utente su Instagram devi avere Instagram, per Facebook devi stare in Facebook, e così via, con tutte le scomodità e i tracciamenti pubblicitari multipli che tutto questo comporta. Con un social network basato su un protocollo aperto, invece, tutti possono parlare con tutti [...] e tutti possono seguire tutti. Lo standard aperto consente ai servizi di competere sulla qualità invece di intrappolare gli utenti, creando quello che viene chiamato fediverso: un universo di servizi distinti ma federati, dove ognuno può scegliere quello che gli calza meglio senza rinunciare a nulla o sacrificare informazioni personali. È importante sottolineare, però, che tutto questo è previsto per il futuro [...]. Ma già il fatto di aver annunciato questa intenzione è una novità importante per il futuro di Internet, perché è un primo passo verso la riduzione del potere accentrante delle grandi aziende.[28]
[Sugli UFO] La prima obiezione è che [...] gli extraterrestri schianterebbero regolarmente le proprie astronavi sulla Terra. Ma se sono sufficientemente evoluti da avere veicoli interstellari (o interdimensionali [...]), come mai continuano a sfracellarsi? Sono incapaci di pilotare? Anzi, perché mai dovrebbero avere a bordo degli equipaggi? Già adesso noi facciamo ricognizione con i droni. La seconda obiezione è che [...] da questi ipotetici veicoli schiantati sarebbero state estratte delle tecnologie che oggi vengono usate in segreto dai potenti di turno. Ma è un'idea idiota e arrogante, perché parliamoci chiaro: il divario tecnologico fra noi e qualunque civiltà capace di viaggi interstellari è equivalente a quello fra noi e un abitante dell'antica Roma. Le speranze di poter decifrare e addirittura usare tecnologie così avanzate sono nulle. Immaginate Giulio Cesare che vede sfracellarsi un Boeing 757, e ditemi se sarebbe capace di dedurne i principi dei motori a reazione o anche solo di capire cos'è lo smartphone trovato tra i rottami. Le tecnologie elettroniche sarebbero totalmente incomprensibili per qualunque persona dell'antichità. Sarebbero indistinguibili dalla magia.[29]
L'interesse del Congresso [degli Stati Uniti] per gli UFO o UAP che dir si voglia non è dettato dalla credenza negli alieni, ma nella preoccupazione molto concreta che dietro questi avvistamenti insoliti ci possano essere veicoli molto terrestri e molto poco americani, che qualche potenza straniera userebbe per sorvegliare le attività militari. Ma ai giornalisti in cerca di clamore e clic interessa solo parlare di omini verdi.[29]
Un'altra delle critiche tediosamente frequenti, soprattutto fra chi non si informa prima di sentenziare, è che fabbricare un'auto elettrica inquina molto di più che fabbricarne una tradizionale. In realtà l'impatto ambientale della fabbricazione di un'automobile elettrica è leggermente maggiore di quello di una singola auto a carburante, ma viene recuperato in media dopo 30.000 km di marcia (perché quella a carburante continua a inquinare anche dopo la fabbricazione). E se salta fuori che in media le auto elettriche durano molto di più di quelle a carburante, allora dobbiamo fare il confronto non fra un'elettrica e una termica, ma fra un'elettrica e le due-tre termiche che sostituisce.[30]
[Su Ken Mattingly] Molti lo ricordano per un episodio reso celebre dal film Apollo 13 di Ron Howard: Mattingly (interpretato da Gary Sinise nel film) era stato assegnato alla missione da cui trae nome il film, con il ruolo delicatissimo di pilota del modulo di comando, ma fu tolto dall'equipaggio tre giorni prima della partenza, dopo anni di addestramento, perché risultò che era stato esposto a un possibile contagio di rosolia, malattia che non aveva già fatto, dal collega astronauta Charlie Duke. Se Mattingly si fosse contagiato, la rosolia lo avrebbe debilitato proprio nei giorni cruciali della missione, per cui la NASA prese la decisione senza precedenti di sostituirlo con la sua riserva, Jack Swigert. Mattingly rimase a terra e si trovò ad aiutare via radio con la propria competenza tecnica l'equipaggio dell'Apollo 13 dopo lo scoppio che danneggiò gravemente il veicolo durante il viaggio di andata verso la Luna. Ken Mattingly non si prese mai la rosolia, e fu assegnato alla missione Apollo 16 nel 1972 insieme a John Young e a quello stesso Charlie Duke che involontariamente gli aveva fatto perdere il volo precedente.[31]
[Sul Sorgere della Terra] Nel dicembre del 1968 [Frank Borman] fu comandante della missione Apollo 8 e volò intorno alla Luna insieme a Jim Lovell [...] e Bill Anders. Durante questa missione, i tre uomini trasmisero immagini televisive in diretta della Terra vista dalla Luna e furono i primi nella storia dell'umanità a vedere la Luna con i propri occhi da una distanza di circa cento chilometri, fotografandola in dettaglio e catturando la storica immagine della Terra che si staglia nel nero dello spazio sopra l'orizzonte lunare. Non era la prima foto del suo genere, ma era la più bella della prima serie scattata da persone che erano lì a vedere quel panorama, e questo fece tutta la differenza. La foto divenne, ed è tuttora, uno dei simboli di quello che allora era il nascente movimento ecologista: aiutò a diffondere senza parole il concetto che la Terra è un gioiello fragile, un'oasi di vita in un universo ostile e inabitabile, e che se lo roviniamo non c'è nessun altro posto dove possiamo andare a ripararci. Non tutti, ancora oggi, sono riusciti a ficcarsi in testa questo semplice concetto.[32]
Dal podcast Il Disinformatico, Radiotelevisione Svizzera, 21 aprile 2023; trascritto in attivissimo.blogspot.com.
[Sulla storia dei supporti musicali] Siamo ormai abituati da tempo ad avere migliaia di brani musicali nelle memorie dei nostri smartphone e milioni di altri a portata di mano grazie ai servizi di streaming audio e video. Poter riascoltare qualunque artista, compresi quelli del passato, ci sembra normalissimo, e ci sembra altrettanto normale che un artista si guadagni da vivere andando in sala di registrazione, incidendo dei brani e vendendo copie di quelle registrazioni, magari senza mai esibirsi in pubblico. Ma in realtà questo modello commerciale è un'anomalia, ed è anche un'anomalia relativamente recente. Per secoli, l'unico modo in cui un cantante o un suonatore di strumenti musicali poteva campare era cantare o suonare dal vivo. Mecenatismi a parte, se non si esibiva, non veniva pagato. Le registrazioni semplicemente non esistevano. Se la cavavano un po' meglio i compositori, che potevano scrivere un brano o un'opera su commissione o comporre uno spartito e venderne copie, oppure i fabbricanti di carillon o di pianole. Ma [...] i carillon portatili nacquero negli ultimi anni del Settecento, la pianola fu inventata alla fine dell'Ottocento, e la vendita di massa degli spartiti iniziò nel Novecento. Prima di queste invenzioni, o si cantava e suonava dal vivo, o niente. E la voce dell'artista era legata indissolubilmente alla sua presenza fisica. Anche quando arrivarono il fonografo di Edison, nel 1877, e il grammofono di Berliner, nel 1894, questi apparecchi meccanici in grado di registrare suoni, strumenti e voci furono visti inizialmente come delle trovate frivole per via del loro suono gracchiante e poco fedele. Ci volle una celebrità assoluta come il tenore italiano Enrico Caruso per dare loro rispettabilità: fu lui il primo cantante a rendersi conto del "potere mediatico", come si dice oggi, delle tecnologie di registrazione e fu il primo a usarle per guadagnare milioni di dollari [...] vendendo le registrazioni della sua voce fatte fra il 1904 e il 1920. Poi vennero tutti gli altri, e il resto è storia: storia dell'industria musicale. Grazie a dischi, nastri e poi supporti digitali e ora lo streaming, la voce di un cantante è diventata un'entità distinta dal cantante stesso, un prodotto commerciale separato che viene protetto da leggi specifiche e gestito da un'industria, ma tutto questo soltanto da poco più di cent'anni. Per tutto il resto della storia della cultura umana non è stato così. Su scala storica, le case discografiche sono un fenomeno passeggero. E con l'arrivo dell'elaborazione digitale e dell'intelligenza artificiale potrebbero essere soppiantate.
La pirateria musicale non è un'invenzione dell'era digitale: già nel 1906 nel Regno Unito furono adottate leggi per proteggere i compositori di musica popolare da coloro che duplicavano abusivamente i loro spartiti e li rivendevano a metà prezzo. La pirateria degli spartiti era un problema talmente serio da giustificare irruzioni di polizia nelle tipografie e nei negozi. Nei decenni successivi, il fenomeno dei bootleg, ossia delle copie abusive dei dischi, divenne più vasto; ma si trattava comunque di attività che richiedevano macchinari complessi e ingombranti e quindi piuttosto difficili da nascondere a lungo alle autorità. Gli utenti erano tanti, ma i produttori di musica contraffatta erano relativamente pochi e quindi abbastanza facili da tenere sotto controllo. Anche con l'avvento degli impianti stereo personali e dei radioregistratori a doppia piastra che consentivano di duplicare dischi e cassette a livello amatoriale, negli anni Ottanta del secolo scorso, la pirateria rimase un fenomeno tutto sommato modesto per via della scomodità del procedimento [...]. Il vero shock, però, arrivò con la diffusione di massa della musica digitale e poi di Internet. I CD erano in sostanza delle raccolte di file audio, pronte da duplicare ad alta velocità e senza la perdita di qualità tipica delle copie analogiche. E a giugno del 1999 nacque Napster, il primo circuito di scambio musicale peer-to-peer [...]. Di colpo [...] duplicare la musica, legalmente o meno, richiedeva soltanto un computer, un accesso a Internet e del software gratuito. [...] la pirateria musicale divenne un fenomeno di massa, incontrollabile e su vasta scala. Ciascun utente scaricava centinaia o migliaia di brani e li condivideva con tutti. Le case discografiche, allarmatissime, agirono prontamente e drasticamente, avviando una causa già a dicembre del 1999, e Napster chiuse a luglio del 2001. Ma altri sistemi peer-to-peer ne presero il posto, e ancora oggi i vari circuiti Torrent fanno circolare musica, video e film tra milioni di persone al di fuori di ogni controllo significativo dei titolari dei diritti. [...] il crollo dei prezzi e della difficoltà d'uso di questa tecnologia ha avuto l'effetto inatteso di far diventare sostanzialmente impossibili il controllo [...] di questi scambi e scaricamenti. Scaricare e conservare la musica, però, sta passando di moda. Oggi prosperano servizi commerciali e legali di streaming [...] che in sostanza mandano al singolo utente in tempo reale il brano desiderato di volta in volta e riportano gli utenti a dipendere da un sistema di distribuzione centralizzato, opposto a quello decentrato dei circuiti peer-to-peer. Questo stesso modello centralizzato è attualmente usato dai sistemi di intelligenza artificiale più popolari [...]: normalmente l'utente li adopera collegandosi ai loro siti, senza dover installare nulla. Questo permette alle aziende e alle autorità di esercitare un controllo centrale sulle attività degli utenti [...]. Certo, esistono delle versioni installabili di questi prodotti, ma sono complicate da installare e configurare e richiedono computer potenti e lunghi tempi di addestramento ed elaborazione e quindi sono al di fuori della portata di moltissimi utenti non esperti. Almeno per ora. Ma le cose stanno cambiando in fretta. Molto in fretta.
A fine marzo uno YouTuber, Roberto Nickson, ha trovato su Reddit un modello della voce di Kanye West generato tramite intelligenza artificiale da ignoti. Nel giro di due ore e mezza ha scritto, registrato e diffuso un video nel quale ha prima eseguito con la propria voce uno spezzone di rap inventato da lui e poi ha applicato a quello spezzone il modello vocale trovato su Reddit. Il risultato è quello che sembra un brano originale inedito di Kanye West. [...] Secondo Nickson sono già in lavorazione modelli vocali di altri artisti [...] tutti assolutamente non autorizzati e tutti man mano più facili da utilizzare. E la tecnologia galoppa, per cui i modelli diventano anche man mano più fedeli. Di questo passo, dice Nickson, tra pochi mesi potremo ascoltare brani inediti cantati dalle voci di artisti famosi, senza neppure sapere che sono in realtà generati da software. Frank Sinatra che canta una canzone di Adele? Rihanna che canta in perfetto italiano? Si può fare, fuori da ogni controllo. Basta che ci sia in giro un numero sufficiente di campioni vocali di buona qualità. [...] Per ora le case discografiche hanno reagito con interventi centralizzati: nel caso del finto brano di Drake e The Weeknd, hanno tentato di bloccare la sua circolazione agendo sui gestori dei sistemi di intelligenza artificiale e sui grandi distributori di contenuti, ossia i social network e i servizi di streaming. Ma la canzone sintetica continua a circolare lo stesso attraverso mille altri canali [...]. Quando questi software saranno disponibili sotto forma di app da installare sullo smartphone, il controllo e la repressione saranno impraticabili e qualunque intervento legislativo sarà sostanzialmente inapplicabile. E l'incentivo economico non manca: quel finto brano di Drake e The Weeknd, nei pochi giorni in cui è rimasto online, ha fruttato al suo creatore quasi duemila dollari [...]. In sintesi: questa tecnologia sta per trasformare completamente l'industria musicale, e sta per farlo a una velocità infinitamente superiore a quella di qualunque provvedimento di legge. Anzi, lo sta già facendo.
Dal podcast Il Disinformatico, Radiotelevisione Svizzera, 15 settembre 2023; trascritto in attivissimo.blogspot.com.
Nel fediverso [...] non ci sono i cosiddetti algoritmi social, quei complicati e oscuri meccanismi in base ai quali certi contenuti vengono fatti circolare più di altri. Nei sistemi federati è l'utente che sceglie cosa vuole vedere e chi vuole seguire. Non c'è pubblicità, non c’è tracciamento e si può comunicare facilmente con gli amministratori, nella propria lingua, in caso di problemi. Non ci sono censure, perlomeno finché si rispettano le regole di moderazione dell'istanza dove si è aperto l'account. E non c'è niente da pagare, visto che tutto si regge sul volontariato e sulle donazioni degli utenti.
È [...] molto probabile che i vostri amici non siano su Mastodon. Non ci sono per un'ottima ragione: non è lì che trovano i loro amici, che sono invece tutti sui social network commerciali e da lì non si muovono per la stessa ragione: non vogliono andare via dal social in cui si trovano i loro amici. Siamo, in un certo senso, ostaggi gli uni degli altri. Questo fenomeno si chiama network effect, effetto rete, o anche effetto carrozzone, ed è tipico di qualunque prodotto o servizio di rete: il suo valore per gli utenti aumenta man mano che aumenta il numero degli utenti, e viceversa. Per fare un esempio, è inutile avere un fax se nessun altro ha più un fax, come è inutile essere su Telegram se tutti gli amici sono su WhatsApp. Per spezzare questo stallo ci sono due modi fondamentali: rendere il prodotto nuovo compatibile con quello vecchio, come è successo per esempio con la telefonia mobile, che permetteva sin da subito di chiamare numeri della rete fissa esistente e viceversa, oppure rendere il prodotto nuovo così interessante, e quello attuale così frustrante, da spingere gli utenti a superare la naturale resistenza al cambiamento. Gli account su Mastodon sono pochi, ma quei pochi sono costituiti da numerosissime testate giornalistiche, radio e TV, bot informativi automatici, istituzioni e adesso anche governi. Se usate i social network per informarvi presso fonti di questo tipo, allora su Mastodon troverete già un buon numero di account interessanti da seguire. [...] Sul versante frustrazione non occorre fare nulla: molti utenti di spicco hanno già abbandonato Twitter, rendendolo meno appetibile, e la gestione di Elon Musk sembra voler fare di tutto per rendere difficile la vita di chi resta.
Certo, Mastodon non è per ora il posto per chi aspira ai grandi numeri o a diventare influencer: per quello ci sono i social network commerciali, e comunque si può anche tenere il piede in due scarpe, come fanno molti utenti, molte organizzazioni e molti governi [...]. Ma se si cerca gente interessante da leggere o servizi d'informazione utili da seguire, e se si vuole provare il piacere un po' ruspante di usare Internet così com'era stata concepita in origine, con software e servizi creati dagli utenti per gli utenti, senza gestori miliardari dispotici e capricciosi e senza algoritmi o che amplificano l'odio, Mastodon e tutto il fediverso sono un'occasione ghiotta, anche per ricordare [...] che Internet può essere molto più che "cinque siti web giganti, pieni di screenshot degli altri quattro".
2024
I generatori di immagini basati sull'intelligenza artificiale, comandabili dando semplicemente una descrizione di cosa si vuole ottenere, sono ormai dappertutto [...]. Le grandi società del software fanno a gara a chi offre quello migliore, quello più realistico, quello più facile, e offrono questi prodotti gratuitamente, perché hanno visto che generano moltissime visite ai loro siti, e le visite significano guadagni, diretti o indiretti. Questa facilità d'uso [...] ha reso questa tecnologia accessibile a un numero enorme di persone, comprese ovviamente quelle malintenzionate. Oggi non serve più saper usare Photoshop o avere un computer potente [...]: basta visitare con uno smartphone qualsiasi un sito apposito e scrivere qualche parola ben scelta. [...] In questa corsa al guadagno i rischi di abuso sono stati messi però in secondo piano [...]. Molte grandi società del settore informatico si sono parate le spalle dal punto di vista legale pubblicando dei codici di condotta che vietano [...] la creazione di contenuti intimi non consensuali. [...] ma mettere un codice di condotta a protezione di un software capace di generare gratuitamente qualunque immagine di qualunque cosa o persona è come lasciare un orologio d'oro davanti alla porta di casa e "proteggerlo" con un cartello che dice "Vietato rubare". Altre società, invece, prosperano proprio grazie al traffico di utenti, spesso paganti, che le adoperano per generare immagini estremamente esplicite e violente di qualunque genere, e al diavolo le conseguenze. [...] Il problema, insomma, è vasto. Servono delle soluzioni, e servirebbero anche in fretta. [...] il danno causato dalla circolazione di quelle immagini è reale. Lo sa bene qualunque ragazza o donna che sia stata bersaglio di queste immagini, create magari dai compagni di scuola o dai colleghi di lavoro, quelli con i quali ci si trova a dover poi condividere un banco o un ufficio.[33]
Il nostro cervello ha milioni di anni di esperienza e di evoluzione su cui contare per il riconoscimento dei movimenti delle persone e degli animali familiari, e per ora i video sintetici, a differenza delle foto sintetiche, sono nel pieno della cosiddetta uncanny valley o valle inquietante, ossia quella teoria, proposta dal professore di robotica Masahiro Mori [...] nel 1970, secondo la quale un oggetto animato produce una risposta emotiva favorevole se non somiglia affatto a un essere umano o a un animale reale oppure se è assolutamente identico a quello reale, ma produce invece repulsione, inquietudine e rifiuto se è molto simile ma non identico all'originale. Quella zona di quasi-somiglianza è la Valle Inquietante, situata fra i due pianori della credibilità. I personaggi digitali di Toy Story, per esempio, funzionano emotivamente perché non hanno la pretesa di essere persone reali: sono giocattoli e quindi i loro movimenti possono essere innaturali e anche caricaturali senza causare disagio o disorientamento. Gli animali sintetici fantastici di Avatar e di altri film risultano credibili perché non abbiamo alcun termine di paragone con la realtà. Invece gli animali fotorealistici del remake del Re Leone o della Sirenetta, o anche l'Indiana Jones ringiovanito del Quadrante del Destino, per quanto siano il frutto di immense fatiche di tecnici e animatori, spesso stentano a convincerci: basta un minimo movimento innaturale per spezzare la magia, l'empatia e l'immedesimazione.[34]
Se vogliamo sfruttare i benefici dell'intelligenza artificiale [generativa] senza farci travolgere dai rischi, non ci servono mirabolanti tecnologie o gadget salvifici per rivelare quando un'immagine o un video sono sintetici [...]. Ci basta creare una filiera di autenticazione e controllo, gestita da esseri umani competenti, con procedure redazionali rigorose, e abituarci all'idea che d'ora in poi tutto quello che vediamo muoversi sullo schermo rischia di essere falso se non è stato verificato da questa filiera. In altre parole, ci basta cambiare metodo di lavoro, e questa è una decisione che non dipende né dalla potenza di calcolo né dalla tecnologia, ma dipende dalla nostra volontà. Il modo in cui reagiremo alla sfida dell'intelligenza artificiale sarà un perfetto indicatore della nostra intelligenza naturale.[34]
Cookie, che in inglese americano vuol dire letteramente "biscotto", è un termine informatico che arriva dagli anni Ottanta [...], quando lo si usava nei sistemi UNIX per indicare un pacchetto di dati ricevuto da un programma e restituito intatto al sistema informatico che glielo aveva mandato. La stessa idea fu adottata anche per Internet e in particolare per il Web: nel 1994 [...] i cookie furono usati per la prima volta da uno dei primissimi browser, Netscape (ve lo ricordate?). Servivano per sapere se un utente aveva già visitato il sito [...] in precedenza. Il cookie era, ed è tuttora, semplicemente un file che viene scritto sul computer dell'utente dal sito visitato da quell'utente e contiene delle informazioni che quel sito può leggere in un secondo momento. [...] All'epoca [...] l'esistenza dei cookie era sconosciuta alla maggior parte degli utenti. I cookie erano soltanto una soluzione tecnica, per addetti ai lavori: una delle tante che venivano sviluppate in quel periodo frenetico di evoluzione di Internet. [...] Da quel debutto lontano i cookie hanno fatto molta strada, e sono diventati utilissimi per ricordare per esempio le preferenze di lingua o di aspetto di un sito [...], ma sono diventati anche una delle forme di tracciamento più usate su Internet per la profilazione commerciale degli utenti. [...] Il rischio di abuso era troppo alto, e così nel corso degli anni sono state emesse varie direttive [...] sulla privacy digitale [...]. Ed è a quel punto che sono comparse in massa nei siti le finestre di richiesta di accettare o rifiutare i cookie. [...] Dal punto di vista degli utenti [...] questa finestra incomprensibile [...] è stata percepita principalmente come una scocciatura, anche perché alla fine per poter usare i siti era quasi sempre necessario accettare questi benedetti cookie e quindi c'era ben poca scelta concreta. E così siamo diventati un po' tutti bravi cliccatori automatici [...] ma in sostanza non è cambiato nulla e continuiamo a essere profilati nelle nostre navigazioni.[35]
Il social engineering è quella tecnica di attacco informatico che si basa sul conquistare la fiducia della vittima mostrando di conoscere informazioni che in apparenza solo un vero impiegato di banca o di un'azienda potrebbe avere. Ma le nostre vite sono sempre più pubbliche e condivise, grazie anche alla quantità di informazioni che noi stessi riversiamo nei social network, e i criminali sanno come trovarle e sfruttarle contro di noi. [...] sapere che i criminali non pescano a caso ma anzi spesso si studiano bene la vittima è il primo passo verso la prevenzione.[36]
La pubblicazione di immagini sintetiche fotorealistiche, senza avvisare esplicitamente che si tratta di qualcosa che è stato generato completamente da zero e non esiste nella realtà fisica, è [...] chiaramente ingannevole, specialmente quando l'immagine generata rappresenta una situazione plausibile nel mondo reale. Il rischio che i professionisti delle fake news usino i generatori di immagini basati sull'intelligenza artificiale per produrre immagini false di persone conosciute, allo scopo per esempio di ridicolizzarle o screditarle, è fin troppo evidente [...]. C'è anche il problema che i generatori di immagini finiscono per svilire il lavoro e la fatica dei fotografi professionisti, perché invece di comporre pazientemente la scena, mettere in posa il soggetto, regolare le luci e tutte le altre cose che un fotografo è costretto a fare fisicamente per ottenere una certa immagine, oggi si può ottenere un risultato più che paragonabile usando l'intelligenza artificiale, standosene comodamente al computer. Instagram è invaso, infatti, dalle foto di "modelle" che sono in realtà immagini generate dal computer, e le fotomodelle reali si vedono scavalcate da immagini sintetiche che possono essere fabbricate in una manciata di secondi, non si stancano, non invecchiano, non cambiano forme o peso e non hanno spese di trasferta o compensi da pretendere. E gran parte degli utenti (e anche dei committenti) non è in grado di accorgersi della differenza.[37]
Ovviamente c'è una differenza enorme fra un'immagine fotorealistica completamente generata al computer e una fotografia tradizionale alla quale è stato fatto un piccolo ritocco digitale per rimuovere, che so, un dettaglio antiestetico [...]. Fate attenzione, insomma, a non farvi coinvolgere in discussioni e polemiche interminabili sulla "autenticità" di una foto [...]: il rischio di trovarsi dalla parte del torto è molto alto. Anche perché forse state creando anche voi immagini sintetiche [...]. Se fate foto con il vostro smartphone, infatti, è molto probabile che alcuni dei filtri automatici presenti in questi dispositivi si basino sull'intelligenza artificiale. Per esempio, una foto di gruppo in cui tutti hanno miracolosamente gli occhi aperti o sorridono viene ottenuta [...] facendo una [...] raffica di foto e poi usando il riconoscimento delle immagini e dei volti per prendere dai vari scatti le facce venute bene e sovrapporle a quelle che hanno gli occhi chiusi o le espressioni serie. E tutto questo avviene direttamente a bordo dello smartphone, senza che ve ne accorgiate. Questa tecnica viene chiamata fotografia computazionale, e moltissime persone la usano senza nemmeno saperlo [...]. Una foto ottenuta in questo modo è "falsa", dato che non rappresenta un momento realmente esistito [...]? Oppure rappresenta la nostra intenzione o la nostra percezione della realtà come vorremmo che fosse, e quindi va accettata come "reale"? Chiaramente la questione dell'autenticità e del realismo di un'immagine è molto più complessa e ricca di sfumature rispetto al banale "sì" oppure "no" [...]. E questa necessità di sfumature, forse, è la lezione di realtà più importante di tutte.[37]
Telegram è diverso dagli altri sistemi di messaggistica [...] per due ragioni principali. La prima è che offre i cosiddetti canali, ai quali può iscriversi un numero sostanzialmente illimitato di persone per seguire i messaggi pubblicati da un singolo utente o da una specifica organizzazione. Questa capacità di far arrivare un messaggio anche a milioni di persone, senza nessuna delle restrizioni o dei filtraggi tipici di altre piattaforme, rende Telegram più allettante rispetto alla concorrenza, per esempio per i criminali informatici e anche per quelli non informatici, dai trafficanti di droga ai terroristi ai pedofili, che possono usarlo (e lo usano) per pubblicizzare i propri prodotti e servizi o le proprie terribili azioni e gestire la propria clientela in modo efficiente e discreto. Ovviamente queste stesse caratteristiche sono utili anche per chi lotta contro censure, persecuzioni o restrizioni delle libertà. [...] La seconda ragione è che Telegram, intesa come azienda, si è sempre vantata di rifiutare qualunque collaborazione con le forze di polizia di qualunque paese e di non fare moderazione [...]. Il risultato è che oggi 900 milioni e passa di persone in tutto il mondo si affidano a Telegram per comunicare di tutto, dagli annunci di estorsione informatica ai consigli delle mamme appassionate di rimedi naturali alle malattie, dagli amori clandestini ai film piratati [...][38]
A modo suo, Pavel Durov ha esibito dei princìpi etici molto saldi: non collaborare con nessuna autorità, perché chi per un certo governo è un sovversivo per un altro governo è un dissidente, e chi è considerato terrorista da una parte è visto come combattente per la libertà dall'altra.[38]
[...] una persona che ha chiaramente dei gravi problemi di rapporti sociali e sta usando il suo immenso patrimonio per infliggere quei problemi al resto del mondo. [...] Vedere Elon Musk, quello che una volta sembrava essere un visionario con un piano d'azione concreto per un futuro migliore per l'umanità, scendere progressivamente al livello di Donald Trump e poi andare ancora più in basso sposando le teorie di complotto più idiote [...], è una scena di deludente squallore che non mi sento più di sostenere in alcun modo.[39]
Dal podcast Il Disinformatico, Radiotelevisione Svizzera, 19 gennaio 2024; trascritto in attivissimo.blogspot.com.
[Su Steamboat Willie]
[...] è un cartone animato importante per un [...] motivo [...] oggi [...] quasi dimenticato: fu il primo cortometraggio animato di successo distribuito con il cosiddetto sonoro sincronizzato. Cent'anni fa i film erano muti. Non si sentivano le voci degli attori, non c'erano effetti sonori e la colonna sonora musicale veniva eseguita dal vivo da un'orchestra o da un pianista o un organista. Erano stati fatti vari esperimenti per accoppiare il suono alle immagini, per esempio facendo partire un disco contenente l'audio nel momento in cui iniziava il film, ma si trattava di una sincronizzazione rudimentale che veniva persa facilmente, con risultati comici e imbarazzanti. Walt Disney, però, era rimasto affascinato dal successo del film Il cantante di jazz, uscito l'anno precedente con una colonna sonora sincronizzata tramite disco, e decise di sonorizzare i propri cartoni animati, usando tuttavia una tecnica molto differente: l’audio veniva registrato sulla pellicola, insieme alle immagini, sotto forma di variazioni di trasparenza di una banda laterale della pellicola stessa, usando un ingegnosissimo sistema elettromeccanico molto steampunk, e quindi non si perdeva mai la sincronizzazione precisa.
Un'altra innovazione di Steamboat Willie fu l'uso di una cosiddetta click track: segni ottici sulla pellicola di lavorazione che davano ai musicisti il tempo esatto. Una sorta di metronomo visivo. Questo permise a Disney di far iniziare e terminare la musica proprio nell'istante desiderato, mentre nei film precedenti l'orchestra spesso finiva comicamente fuori tempo, non solo quando suonava dal vivo ma anche quando veniva preregistrata.
La reazione del pubblico e della critica alle novità tecniche di Steamboat Willie fu entusiasta e contribuì non poco alla fine dell'epoca del cinema muto. La storia che raccontava non era un granché, e i suoi personaggi non avevano molto spessore, ma il progresso tecnico che mostrava era evidente, coinvolgente e innegabile anche per i non esperti, come lo sarà qualche decennio più tardi il passaggio dal bianco e nero al colore, quello al formato 16:9 o IMAX, o quello al 3D. In altre parole, Steamboat Willie è l'Avatar di cento anni fa.
Dal podcast Il Disinformatico, Radiotelevisione Svizzera, 16 febbraio 2024; trascritto in attivissimo.blogspot.com.
[Sul Flipper Zero]
[...] un piccolo dispositivo elettronico multifunzione tascabile che, [...] secondo quello che raccontano molti YouTuber, sarebbe una sorta di vietatissimo grimaldello universale in grado di "hackerare" praticamente qualunque cosa. [...] è in grado di leggere, duplicare e emulare i dispositivi [...] incorporati in molti oggetti elettronici, dalle carte di credito alle tessere delle camere d'albergo, è capace di leggere i microchip di identificazione degli animali e di ricevere e registrare segnali radio, e può duplicare anche molte chiavi elettroniche usate per aprire porte o gestire accessi. Ha un ricevitore e un emettitore a infrarossi che gli permette di fare da telecomando universale e un ricetrasmettitore Bluetooth per collegarsi senza fili ad altri dispositivi. Inoltre è espandibile grazie a schede elettroniche esterne. In altre parole, è una specie di coltellino svizzero per informatici [...]. Con tutti i suoi sensori, ricevitori e trasmettitori programmabili [...] è un gioiello di versatilità per chiunque sia interessato a studiare il funzionamento dei dispositivi informatici e le loro comunicazioni senza fili.
Le prodezze che vengono mostrate da tanti video su YouTube sono in realtà frutto di montaggi o messinscene: Flipper Zero è stato progettato [...] in modo da non poter fare cose particolarmente pericolose. [...] non è fisicamente in grado di leggere i dati crittografici delle carte di credito e quindi non può clonarle: può solo acquisirne per contatto il numero e la data di scadenza, cosa che può fare qualunque persona semplicemente guardando una carta di credito o appoggiandola contro molti smartphone [...]. Lo stesso vale per i biglietti dei mezzi di trasporto: può copiarli, ma non può generarli. [...] non è in grado di comandare i semafori e la sua sezione a infrarossi è semplicemente un telecomando universale per televisori e altri apparecchi, come quelli acquistabili in qualunque negozio di elettronica. [...] Le cose cambiano per la sua parte radio: questo dispositivo è in effetti in grado di registrare i segnali degli apricancelli standard e ripeterli, e questo significa che in teoria potrebbe essere usato per aprire un cancello senza autorizzazione. Ma in pratica [...] usare un Flipper Zero in questo modo richiederebbe l'accesso a uno dei telecomandi originali oppure una lunga sessione di tentativi alla cieca fino a trovare il codice dello specifico apricancello. Inoltre il suo asserito potere di trovare le password dei Wi-Fi funziona soltanto se la password è una parola del dizionario, e se un malintenzionato ha queste mire può semplicemente usare un normale personal computer [...]. In altre parole, non ne vale la pena.
[...] la sua capacità di consentire i furti d'auto [...] è [...] stata gonfiata dalle spettacolarizzazioni pubblicate dai TikToker e dagli YouTuber per ottenere più ascolti. È vero che un Flipper Zero può essere usato per memorizzare il segnale inviato dal telecomando della chiave all'auto e quindi aprirne le portiere, ma questo segnale cambia ogni volta, secondo il principio dei [...] rolling code. Di conseguenza, bisognerebbe procurarsi la chiave originale dell'auto, azionarne il telecomando mentre la chiave è fuori dalla portata radio dell'auto, registrare il segnale e il relativo codice usa e getta con il Flipper Zero e poi usare questo dispositivo per trasmettere all'auto il segnale registrato, e comunque non sarebbe possibile avviare l'automobile. Divertente e educativa, come dimostrazione, ma assolutamente inutile come strumento per i ladri professionisti di auto, che infatti non usano affatto apparecchi limitati come questo ma sfruttano dei ben più sofisticati ripetitori radio [...].
L'accanimento [...] contro il Flipper Zero [...] è tecnicamente infondato, frutto della poca conoscenza dell'argomento da parte dei governanti e delle esagerazioni fatte da chi pubblica video sensazionali per fare soldi: questo dispositivo è troppo limitato per fare danni reali. Ma allora [...] a cosa serve esattamente? [...] è nato con lo scopo specifico di dare agli hobbisti e agli appassionati uno strumento semplice e ragionevolmente economico per studiare il modo in cui funzionano i sistemi di trasmissione di dati, sempre più presenti nelle nostre vite [...], e per capire se i prodotti che acquistiamo sono realmente sicuri e ben progettati. Se una tessera elettronica o una chiave di un'auto o una serratura elettronica sono attaccabili con un dispositivo di base come un Flipper Zero, il problema non è il Flipper Zero: è il fabbricante della tessera, auto o serratura, che sta usando tecnologie obsolete e insicure [...], e continua a farlo perché nessuno ha modo di accorgersene. Smascherare questo approccio incosciente alla sicurezza è un gesto socialmente utile, e impedire [...] di imparare la vera sicurezza rendendo difficile l'accesso a dispositivi come Flipper Zero non fa altro che frenare i ricercatori di sicurezza informatica e le persone ben intenzionate che vorrebbero diventare ricercatori di sicurezza, mentre i malviventi continuano ad agire indisturbati usando tutt'altre apparecchiature.
[Sul teatrino della sicurezza] [...] un problema preoccupa l'opinione pubblica, che quindi chiede che la politica faccia qualcosa, e la politica risponde facendo qualcosa, preferibilmente qualcosa di costoso e vistoso, che in realtà non risolve affatto il problema ma dà l'impressione che qualcosa sia stato fatto. Tutti sono soddisfatti, ma il problema rimane. Se state pensando che questo modo di fare non si applica solo all'informatica, avete perfettamente ragione. Il termine security theater fu infatti coniato dall'esperto di sicurezza Bruce Schneier nel 2003, per il suo libro Beyond Fear, non per questioni informatiche, ma per descrivere alcune misure di sicurezza aeroportuale introdotte dopo gli attentati dell'11 settembre 2001.
Dal podcast Il Disinformatico, Radiotelevisione Svizzera, 5 aprile 2024; trascritto in attivissimo.blogspot.com.
[Su Lenna]
Uno dei miti più tenaci e durevoli fra gli utenti di Internet è l'idea che la navigazione in incognito sia, appunto, in incognito. Il nome di questa modalità di navigazione nel Web è infatti molto ingannevole e viene spesso frainteso. [...] è in realtà semplicemente un modo per visitare siti senza lasciare tracce sul dispositivo che state usando. Non rimane memoria nella cronologia di navigazione, non vengono salvati cookie o file temporanei su quel dispositivo, tablet, computer o telefonino che sia. Ma i siti che visitate si ricordano eccome della vostra visita e sono perfettamente in grado di identificarvi. [...] resterà a molti l'amaro in bocca, perché solitamente la navigazione in incognito si usa proprio per visitare i siti di cui non si vuole lasciare traccia. In realtà la navigazione in incognito serve per una sola cosa: per usare il dispositivo di qualcun altro senza lasciarvi tracce, per esempio per consultare la propria mail usando il computer di qualcun altro. A parte questo, la navigazione in incognito è sostanzialmente inutile per difendere la propria privacy.
Siamo nell'estate nel 1973, alla University of Southern California, dove un ricercatore in campo informatico sta cercando un'immagine da usare come riferimento per i suoi test di digitalizzazione. Roba assolutamente sperimentale per l'epoca. [...] gli serve un'immagine su carta patinata che includa un volto umano da scansionare. Guarda caso, arriva qualcuno con una copia di Playboy. Viene strappata la parte superiore del paginone centrale della rivista, che raffigura una giovane donna che indossa solo un cappello e una piuma viola [...], e ne viene fatta la scansione con i metodi primitivi di allora: lo scanner è uno di quelli per le telefoto, quelli che richiedono che l'immagine venga montata su un cilindro rotante, e la scansione viene fatta nei tre colori primari, a una risoluzione di 100 linee per pollice [...]. I dati risultanti vengono poi elaborati con un minicomputer Hewlett Packard 2100. Questo procedimento complicato produce un'immagine da soli 512x512 pixel, che oggi fa sorridere ma che per l'epoca è un risultato davvero notevole.
Il ricercatore sceglie solo la porzione dell'immagine che include le spalle nude e il volto della donna, perché questa porzione ha un contrasto elevato e una notevole ricchezza di dettagli che la rendono ideale per i test [...]. O perlomeno è questa la giustificazione ufficiale per l'uso del volto di una Playmate in un mondo quasi esclusivamente maschile come quello dell'informatica degli anni Settanta. Sia come sia, la soluzione improvvisata piace e diventa popolare, per cui altri ricercatori iniziano a usare questa foto come campione di riferimento [...]. In breve tempo quella fotografia di Playboy diventerà lo standard tecnico di tutto il campo nascente della fotografia digitale e verrà pubblicata in moltissimi articoli tecnici nelle riviste di settore nei decenni successivi. [...] Se oggi abbiamo GIF, JPEG, PNG e tanti altri formati per la trasmissione di immagini lo dobbiamo anche a quest'improvvisazione californiana, fatta oltretutto in violazione del copyright e poi accettata di buon grado [...].
Ma chi è la ragazza in questione? È nota fra i ricercatori semplicemente come "Lena" o "Lenna", ma la rivista dalla quale fu prelevata la sua immagine la presentò come Lenna Sjööblom, Playmate di novembre 1972. Il suo vero nome è Lena [...] Forsén, e all'epoca lavorava come modella. Non capita spesso che una foto di una Playmate diventi uno standard tecnico, ma è andata così. Tuttavia le sensibilità sono cambiate [...] e in effetti questa foto ha contribuito allo stereotipo della donna oggetto in un campo nel quale le donne, pur avendo fatto la storia dell'informatica, non venivano ben viste come colleghe dagli informatici di sesso maschile. [...] E così le riviste del prestigioso gruppo Nature hanno iniziato a rifiutarla già nel 2018. E la IEEE Computer Society [...] dal primo aprile 2024 non accetta più articoli scientifici che usino questa fotografia. [...] ma se vi capita di consultare qualche articolo d'informatica d’epoca e vi chiedete chi sia la graziosa fanciulla che spicca nelle pagine piene di grafici e tabelle, ora sapete chi è e conoscete la sua strana storia.
[...] la colpa primaria, qui, non è di Microsoft [...] ma di CrowdStrike [...] che ha realizzato maldestramente e rilasciato incautamente l'aggiornamento [...]. Non ha senso che un aggiornamento di un software così vitale sia stato distribuito in massa a tutto il mondo pressoché contemporaneamente, invece di testarlo fornendolo a un gruppo ristretto di clienti [...]. La colpa secondaria è degli amministratori dei sistemi informatici e dei dirigenti che troppo spesso impongono a loro software e ambienti operativi inadatti e forniscono risorse insufficienti per fare bene il loro lavoro, fregandosene della ridondanza e dei piani di disaster management.
Più in generale, c'è un problema di monocultura e di eccessiva interdipendenza. Monocultura nel senso che è pericoloso che oltre la metà delle principali aziende mondiali usi lo stesso software, qualunque esso sia, perché se per caso quel software risulta danneggiato o vulnerabile gli effetti sono globali [...]. Eccessiva interdipendenza nel senso che avere i dati nel cloud è comodo, avere un controllo centralizzato dei dati è comodo, e tutto questo riduce i costi, ma significa anche che le singole filiali dipendono totalmente dalla possibilità di collegarsi ai sistemi centrali [...]. E questo è un problema di architettura software ma anche di mentalità aziendale, che aspira al controllo e non riesce a delegare.
I risultati di queste scelte si sono visti ampiamente in questo sconquasso planetario. Avete voluto mettere tutto nel cloud? Avete voluto mettere tutto su macchine con un unico sistema operativo? Ve l’avevamo detto che farlo senza un Piano B era da incoscienti. Ma tanto sono gli utenti a pagare e penare per i disservizi, e sono gli amministratori di sistema a dover impazzire per ripristinare, spesso uno per uno, tutti i computer [...]. Mentre le aziende che hanno causato tutto questo la passeranno liscia [...] soprattutto perché tanto il costo operativo di migrare a un prodotto concorrente è troppo elevato per le aziende clienti e quindi tutti continueranno a usare CrowdStrike esattamente come prima.
Dal podcast Il Disinformatico, Radiotelevisione Svizzera, 20 settembre 2024; trascritto in attivissimo.me.
Un supply chain attack è un attacco, fisico o informatico, a un elemento della catena di approvvigionamento di un avversario. Invece di attaccare i carri armati del nemico, per esempio, si colpiscono i loro depositi di carburante o le loro fabbriche di componenti. In campo informatico, invece di attaccare direttamente l'azienda bersaglio, che è troppo ben difesa, si prende di mira un suo fornitore meno attento alla sicurezza e lo si usa come cavallo di Troia per aggirare le difese entrando dall'accesso riservato ai fornitori, per così dire. Anzi, si potrebbe dire che proprio il celebre cavallo di Troia fu il primo caso, sia pure mitologico, di supply chain attack, visto che i troiani si fidarono decisamente troppo del loro fornitore.
Difendersi da questo tipo di attacchi non è facile, perché spesso il committente non conosce bene il fornitore, e a sua volta quel fornitore deve conoscere bene i propri fornitori, perché non è la prima volta che un governo o un'organizzazione criminale costituiscono ditte fittizie e si piazzano sul mercato offrendo prodotti o servizi di cui il bersaglio ha bisogno. Gli esperti raccomandano di ridurre al minimo indispensabile il numero dei fornitori, di visitarli spesso per verificare che siano autentici e non delle semplici scatole cinesi di copertura, di instillare in ogni fornitore [...] una cultura della sicurezza che invece spesso manca completamente, e di adottare hardware e software che incorporino direttamente delle funzioni di verifica e di sicurezza contro le manomissioni. Ma per la maggior parte delle organizzazioni tutto questo ha costi insostenibili, e così gli attacchi alla catena di approvvigionamento prosperano [...]
Lo schema di questi attacchi ha tre caratteristiche particolari che lo distinguono da altri tipi di attacco: la prima caratteristica è la necessità di disporre di risorse tecniche e logistiche enormi. [...] La seconda caratteristica è invece più sottile. [...] questi attacchi hanno il risultato di creare angoscia e sfiducia diffusa in tutta l'opinione pubblica verso ogni sorta di tecnologia, creando falsi miti e diffidenze inutili e devastando la reputazione delle marche coinvolte. Ma la terza caratteristica è quella più pericolosa [...]. Chi si inserisce di nascosto in una catena di approvvigionamento raramente ne ha il pieno controllo, per cui non può essere certo che qualcuno dei prodotti che ha sabotato non finisca in mani innocenti invece che in quelle dei bersagli designati, e agisca colpendo chi non c'entra nulla [...]
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Citazioni in ordine temporale.
[Dopo l'attentato alla sede di Charlie Hebdo] Se sei disposto a uccidere per la tua religione, comincia da te stesso. E fai un favore all'umanità.[40]
Se un complottista dice che "ha scoperto la terribile verità" ed è ancora vivo, non ha scoperto nulla.[41]
[Su Donald Trump] Questo è il tipo di persona che sul ponte del Titanic correrebbe ad annunciare "Grande notizia, ghiaccio gratis per tutti!"[42]
Ai gatti non frega nulla del colore del pelo degli altri gatti. Siate gatti.[43]
Tanta gente dice che fermarsi mezz'ora per ricaricare un'auto elettrica in viaggio è intollerabile. Ieri ho visto probabilmente la stessa gente fare allegramente mezz'ora di coda ai caselli pur di non comprare un Telepass da un euro al mese.[44]
[Sulla disinformazione sul SARS-CoV-2] Giusto per ricordarlo: la scienza che ci permette di far appoggiare dolcemente su Marte un robot grosso come un'auto è la stessa che ti dice che le mascherine funzionano per non diffondere virus.[45]
[Sulla disinformazione sul SARS-CoV-2] Prima dose di vaccino fatta! Per ora però ricevo il 5G esattamente come prima. In compenso Bill Gates mi sta più simpatico e ho una gran voglia di comprare un PC con Windows Vista.[46]
[Sulla disinformazione sul SARS-CoV-2] Non vaccinarsi perché "tanto lo fanno gli altri, vedi che la gente ora muore meno" è un po' come non mettersi la cintura di sicurezza perché tanto la mettono gli altri e quindi la gente muore meno. Sì, certo. Muore meno quella che mette la cintura.[47]
Colleghi giornalisti che avete dato ampio spazio a ciarlatani, cialtroni, imbroglioni, sedicenti sensitivi, cartomanti, ipnotisti, promotori di cure "alternative" con la scusa di "far sentire l'altra campana", compiacetevi. Avete fatto un grande lavoro. Ora godetene i risultati.[48]
Come avere successo nel giornalismo in tre facili passi: 1. Trova un utile idiota che dica minchiate colossali, ma le dica bene e faccia indignare. 2. Invece di cestinarlo e passare ad altro, ospitalo in TV, cita ogni sua minchiata. 3. Incassa gli assegni dagli inserzionisti.[49]
Molti si chiedono dove troveremo l'energia per caricare le auto quando saranno tutte elettriche. Però nessuno si chiede dove prendiamo tutta l'energia per tenere accese inutilmente le insegne tutta la notte.[50]
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↑ Da un post sul profilo ufficiale mastodon.uno, 9 dicembre 2023.