Per recuperare l'urbanesimo come il terreno adatto all'associazionismo, alla cultura, alla comunità, la megalopoli deve essere distrutta senza pietà, e sostituita da nuove comunità decentrate, ognuna inserita con cura nell'ecosistema di cui fa parte. Si può a ragione sostenere che queste ecocomunità avranno le caratteristiche migliori della polis e del comune medioevale, sostenute da ecotecnologie complete in grado di portare gli elementi più avanzati della tecnologia contemporanea – comprese fonti di energia come il vento e il sole – su scala locale. Vi sarà un nuovo equilibrio tra città e campagna – non sobborghi sparsi che mistifichino un pezzetto di prato o qualche albero disposto strategicamente come natura, ma un'ecocomunità funzionalmente interagente, che unisca il lavoro mentale e quello fisico, l'agricoltura e l'industria, l'individuo e la collettività. (da I limiti della città (The Limits of the City, 1974), traduzione di Mila Leva e Alberto Friedemann, Feltrinelli, Milano, p. 150; citato in Varengo 2007, p. 113)
Quello che è più importante è che il punto di vista ecologico conduce ad interpretare ogni relazione sociale, psicologica, naturale, in termini non gerarchici. Per l'ecologia non si può comprendere la natura se ci si pone da un punto di vista gerarchico. Inoltre, essa afferma che la diversità e lo sviluppo spontaneo, costituiscono dei fini in sé, che devono essere rispettati per se stessi. (da Spontaneità e organizzazione (On Spontaneity and Organization, Anarchos, n. 4, 1972), Torino, Edizioni del Centro Documentazione Anarchica, 1977, p. 28; citato in Varengo 2007, p. 61)
Sto parlando di ecologia, non di ambientalismo. Quello che interessa l'ambientalismo è mettere al servizio dell'uomo il suo habitat, quello che è conosciuto come un insieme passivo di "risorse naturali" e "risorse urbane" che la gente utilizza. [...] L'ecologia è invece, nel suo aspetto migliore, una scienza artistica – o un'arte scientifica – è una forma di poesia che riunisce scienza ed arte in un'unica sintesi. (ivi, pp. 27-28; citato in Varengo 2007, p. 63)
L'idea di avventurarsi in una descrizione utopica di come si presenterebbe e di come funzionerebbe una società ecologica è allettante, ma ho promesso di lasciare questo compito a quel dialogo utopico di cui oggi abbiamo assolutamente bisogno. (da Utopismo e futurismo (Utopianism and Futurism, 1979), traduzione di Michele Buzzi, Volontà, n. 3, 1981, p. 76)
Nei suoi aspetti migliori, il marxismo tradisce se stesso, poiché assimila inavvertitamente i caratteri più dubbi del pensiero illuminista ed è sorprendentemente vulnerabile dalle sue implicazioni borghesi. Nei suoi aspetti peggiori, invece, la teoria marxista rappresenta l'apologia di un'epoca storica nuova, testimone della fusione tra 'libero mercato' e pianificazione economica, tra proprietà privata e proprietà nazionalizzata, tra competitività e manipolazione oligopolistica della produzione e dei consumi, tra economia e stato – in breve, l'epoca moderna del capitalismo di stato. (da Il marxismo come ideologia borghese, A – Rivista Anarchica, n. 81, marzo 1980, p. 34 (tit. orig. Marxism as Bourgeois Sociology, "Comment", vol. 1, n. 2, febbraio 1979))
Chiedere la "decentralizzazione" senza l'autogestione, cioè senza libertà di partecipazione ai processi decisionali a tutti i livelli e senza proprietà, produzione e ripartizione comune dei mezzi materiali a seconda delle necessità individuali, sarebbe puro oscurantismo. (da Il futuro del movimento anzi-nucleare, Volontà, n. 3, luglio/settembre 1980, p. 72; citato in Varengo 2007, p. 116)
Per quasi due secoli, tutte le teorie di classe sul progresso sociale sono state fondate sull'idea che il 'dominio dell'uomo da parte dell'uomo' fosse imposto dalla necessità della "dominazione della natura" come presupposto per l'emancipazione dell'umanità nel suo complesso. Questa concezione della storia, già evidente negli scritti politici di Aristotele, divenne 'scienza socialista' nelle mani di Marx e costituisce ancora oggi una pericolosa giustificazione della gerarchia e del dominazione in nome dei principi di uguaglianza e di liberazione. In ultima analisi, nelle 'sacre scritture' del socialismo, il vero nemico non è il capitalismo, bensì la natura. (da L'armonia perduta, A – Rivista Anarchica, n. 121, agosto/settembre 1984, p. 12; citato in Varengo 2007, p. 135)
Di fatto, una società ecologica sarebbe veramente una trascendenza di entrambe le nature nella nuova sfera di natura libera [...]. Lungi dal ridurne l'integrità, l'umanità aggiungerebbe alla prima natura la dimensione della libertà, della ragione e dell'etica, ed eleverebbe l'evoluzione a quel grado di auto-riflessività che è sempre stato latente nella stessa emergenza del mondo della natura. (da Pensare in modo ecologico (Thinking Ecologically, 1986), traduzione di Michele Buzzi, in L'idea dell'ecologia sociale. Saggi sul naturalismo dialettico, Ila Palma, Palermo, 1996, p. 88; citato in Varengo 2007, p. 79)
Il municipalismo libertario prende la sua vitalità e la sua integrità proprio dalla tensione dialettica che esso promuove tra la nazione-stato e la confederazione municipale. La sua "legge di vita" [...] consiste precisamente nella lotta con lo stato. La tensione tra le confederazioni municipali e lo stato deve essere chiara e senza compromessi. Dato che queste confederazioni esisteranno prima di tutto in opposizione all'entità statale, esse non potranno compromettersi con lo stato, o con elezioni provinciali o nazionali, e ancor meno potranno essere organizzate mediante questi mezzi. Il municipalismo libertario viene plasmato dalla sua lotta con lo stato, viene rafforzato dalla sua lotta e in ultimo definito da questa lotta. (da Municipalismo libertario. La Mia Proposta (Libertarian Municipalism: An Overview, introduzione a Readings in Libertarian Municipalism, Burlington, Social Ecology Project, 1991; pubblicato con un'aggiunta in "Green Perspective", n. 24, ottobre 1991), A – Rivista Anarchica, n. 187, dicembre 1991/gennaio 1992, p. 19; citato in Varengo 2007, p. 111)
L'esperienza mi ha insegnato che quando gruppi più ampi cercano di raggiungere una decisione attraverso il consenso, questo dà adito a un subdolo autoritarismo e a pesanti manipolazioni, anche se fatte in nome dell'autonomia o della libertà. Inoltre il consenso obbliga di solito questi gruppi allargati a raggiungere il minimo comun denominatore intellettuale quando si opera una scelta: l'assemblea di grandi dimensioni adotta la decisione meno contestabile e perfino la più mediocre, proprio perché chiunque può essere d'accordo o altrimenti rinunciare al voto su quella questione. (da La via del comunitarismo (What Is Communalism?, 1994), traduzione di Guido Lagomarsino, Volontà, n. 4, 1994, pp. 40-41; citato in Varengo 2007, p. 105)
Mentre la maggior parte dei teorici sociali sembrava non avere sufficiente consapevolezza del potere della gente di creare le proprie istituzioni e le proprie forme di organizzazione, ci sono molti esempi di questo potere che mi incoraggiano. Uno dei miei favoriti ha avuto luogo a New York negli ultimi anni '70. Questa esperienza si chiamava il "Movimento della undicesima strada est". Inizialmente il movimento era un'organizzazione di quartiere di portoricani, una delle tante del Lower East Side di Manhattan, che aveva formato un'alleanza con alcuni giovani ecologisti radicali per riabilitare un palazzo abbandonato che era stato completamente distrutto da un incendio. L'isolato stesso, uno dei peggiori nel ghetto ispanico, sarebbe divenuto un ritrovo per tossicodipendenti, ladri di auto, rapinatori e piromani. Dopo essere stato occupato illegalmente da una comunità di squatter, l'edificio fu completamente ricostruito dagli operai di una cooperativa, composti per la maggioranza da portoricani, una manciata di neri e qualche bianco. Il tentativo del movimento di acquistare la proprietà dell'edificio per finanziare la sua riabilitazione e allargare le sue attività ad altre strutture abbandonate, sarebbe divenuta una cause célèbre che ispirò imprese simili nel Lower East Side e in altri quartieri. […] Alla fine, l'edificio stesso fu non solo ricostruito, ma fu "ristrutturato ecologicamente" con dispositivi salva-energia, isolanti, pannelli solari per scaldare l'acqua e un generatore eolico per fornire una parte dell'energia elettrica. Si parlò di giardini pensili, riciclo dei rifiuti e di trasformare i terreni abbandonati nei paraggi in piccoli parchi di quartiere. Sarebbe troppo lungo fare un resoconto completo delle lotte del "Movimento della undicesima strada est". Tuttavia, sono felice di dire che alcune persone dell'Institute for Social Ecology giocarono un ruolo ispiratore e tecnico in questi progetti. Questo è, penso, un esempio poco conosciuto, ma notevole di come giovani ecologisti sociali bianchi hanno lavorato mano nella mano con persone ispaniche oppresse per ottenere un ambiente umano in maniera autenticamente ecologica. […] È stato un meraviglioso esempio della pratica dell'ecologia sociale che contrasta marcatamente con le carattaristiche bellicose, autoindulgenti e a volte misantropiche che trovo spesso nell'ecologia profonda e nell'ambientalismo della classe media.[1] (da Aa. Vv., Defending the Earth, A debate between Murray Bookchin and Dave Foreman, Black Rose Books, Montreal/New York, 1991, pp. 101-102)
Gli ambientalisti progressisti e misantropi ci ammanniscono una dieta costante di rimbrotti circa il modo in cui "noi", in quanto specie, siamo responsabili del degrado ambientale. [...] Il messaggio della rappresentazione era uno solo, fondamentalmente antiumano: sono gli individui come tali, non la società rapace e coloro che ne beneficiano, ad essere responsabili degli squilibri ecologici. (pp. 18-19; citato in Varengo 2007, p. 82)
Parlare di "limiti di crescita" in seno ad un'economia di mercato capitalistica non ha alcun senso, così come non ne ha parlare di limiti della guerra in una società guerriera. Gli scrupoli morali cui oggi danno voce tanti ambientalisti sapientoni sono tanto ingenui quanto quelli delle multinazionali sono fasulli. li capitalismo non può essere "persuaso" a porre un freno al suo sviluppo, così come non si può "persuadere" un essere umano a smettere di respirare. I tentativi di realizzare un capitalismo "verde", o "ecologico", sono condannati all'insuccesso a causa della natura stessa del sistema, che è un sistema di crescita continua. (p. 99; citato in Varengo 2007, p. 34)
Per generazioni i pensatori di sinistra hanno detto la loro circa i "limiti intrinseci" del sistema capitalistico, i "meccanismi interni" che l'avrebbero portato inevitabilmente all'autodistruzione. Marx si è guadagnato il plauso di schiere infinite di autori per aver previsto che il capitalismo sarebbe crollato e sarebbe stato sostituito dal socialismo, in seguito ad una crisi cronica che avrebbe portato perdita di profitto, stagnazione economica e lotta di classe da parte di un proletariato sempre più impoverito. Osservando oggi gli immensi squilibri biogeochimici che hanno aperto buchi nello strato di ozono dell'atmosfera e innalzato la temperatura del nostro pianeta in seguito all'"effetto serra", tali limiti appaiono chiaramente di natura ecologica. Quale che possa essere il destino del capitalismo come sistema con i suoi specifici "limiti interni" sul piano economico, possiamo comunque affermare che esso ha dei limiti esterni sul piano ecologico. (pp. 99-100; citato in Varengo 2007, p. 48)
A meno di non coltivare (futilmente, credo) miti di insurrezioni proletarie, in un impari scontro con le armi nucleari degli Stati nazionali moderni, non possiamo far altro che cercare contro-istituzioni che possano contrapporsi al potere nazionale. (p. 199; citato in Varengo 2007, p. 123)
Dobbiamo spezzare non soltanto i rapporti sociali imposti dalla società borghese, ma anche la dominazione, retaggio di una società gerarchica più che millenaria. Quello che dobbiamo creare per poter disciogliere i legami della società borghese non è soltanto una società priva di classi, come viene prospettata dal socialismo, ma l'utopia della non repressione, prospettata dall'anarchismo. (introduzione, p. 10; citato in Varengo 2007, p. 73)
La società gerarchica non ha futuro e la nostra alternativa all'estinzione sociale è solamente l'utopia. (introduzione, p. 15; citato in Varengo 2007, p. 82)
Che la libertà debba essere concepita in termini umani, non animali – in termini di vita, non di sopravvivenza – è abbastanza chiaro. L'uomo non si libera dalle catene della schiavitù e non acquista una dimensione veramente umana semplicemente scrollandosi di dosso la dominazione sociale e conquistando una libertà astratta. Deve conquistare una libertà concreta: libertà dai bisogni materiali, dalla schiavitù del lavoro, dalla necessità di dedicare la maggior parte del proprio tempo – cioè, della propria vita – alla lotta per la sopravvivenza. Il grande contributo di Karl Marx alla teoria rivoluzionaria moderna consiste nell'aver compreso che queste sono le premesse fondamentali per la libertà dell'uomo, e nell'aver indicato che la libertà presuppone la possibilità di godere del tempo libero, e quindi un benessere materiale tale da togliere al tempo libero il carattere di privilegio sociale. Alla stessa stregua, non bisogna confondere le premesse necessarie alla libertà con le condizioni della libertà. Se la libertà è possibile, ciò non significa che essa sia, di fatto, realizzata. (L'anarchismo nell'età dell'abbondanza, p. 24; citato in Varengo 2007, p. 90)
La famiglia patriarcale seminò nel campo dei primi, elementari rapporti sociali il germe della dominazione; la classica antinomia, caratteristica del mondo antico, tra spirito e realtà – tra lavoro e intelletto – contribuì a fecondarlo; infine, esso crebbe e si sviluppò alla luce della concezione antinaturalistica del cristianesimo. Ma fu solo quando i rapporti organici all'interno delle forme comunitarie si mutarono in rapporti di mercato, che l'intero pianeta divenne fertile terreno per lo sfruttamento. Così, questa tendenza secolare trova il suo punto di massimo sviluppo nel capitalismo moderno. (Ecologia e pensiero rivoluzionario (Ecology and Revolutionary Thought, 1964), p. 42; citato in Varengo 2007, p. 51)
Il fatto è che l'uomo sta disfacendo l'opera di secoli di evoluzione organica [...] l'uomo sta distruggendo la piramide biologica che per millenni ha assicurato la sopravvivenza della razza umana. Nel corso di questa sostituzione di rapporti ecologici complessi, dai quali dipende la sopravvivenza di tutte le forme avanzate di vita, con rapporti più elementari, l'uomo sta gradualmente riportando la biosfera a un livello che le consentirà di assicurare la sopravvivenza solo a forme di vita estremamente semplici. Se questo capovolgimento del processo evolutivo continuerà, non è illegittimo pensare che le condizioni necessarie all'esistenza delle forme di vita più elevate saranno irrimediabilmente compromesse e che la terra non potrà più garantire la sopravvivenza del genere umano. (Ecologia e pensiero rivoluzionario, p. 45; citato in Varengo 2007, p. 45)
Riportare il sole, il vento, la terra, il mondo della vita nella tecnologia, tra i mezzi necessari all'uomo per la sua sopravvivenza, significa restaurare, in senso rivoluzionario, il legame tra l'uomo e la natura. Restituirgli un senso di dipendenza che contribuisca a valorizzare il carattere unico e distintivo di ogni comunità regionale – di dipendenza, cioè, non generalizzata, ma legata a una regione specifica con caratteristiche peculiari – significa compiere un passo decisivo in direzione di un mutamento radicale di tipo ecologico. Si instaurerebbe così un vero sistema ecologico, basato su un complesso di risorse naturali in un rapporto delicato e perfetto di interdipendenza reciproca, oggetto continuo di analisi, di sperimentazione e di oculate trasformazioni. (Verso una tecnologia liberatoria (Towards a Liberatory Technology, 1965), p. 87; citato in Varengo 2007, p. 101)
Il lavoratore diviene un rivoluzionario non accentuando le proprie caratteristiche di operaio, ma proprio liberandosene [...]. Il lavoratore diviene un rivoluzionario quando si libera del proprio 'operaismo', quando giunge a detestare il proprio ruolo di classe senza mezzi termini, qui e ora, e quando comincia a scrollarsi di dosso quei caratteri che i marxisti più gli ammirano – l'etica del lavoro, la struttura caratteriale derivante dalla disciplina industriale, il rispetto per la gerarchia, l'obbedienza ai capi, il consumismo, le scorie del puritanesimo. In questo senso, il lavoratore diviene un rivoluzionario nella misura in cui si libera del proprio ruolo di classe e acquista una coscienza di non-classe. (Ascolta, marxista! (Listen, Marxist!, 1969), pp. 124-125; citato in Varengo 2007, p. 137)
È possibile collocare l'eredità teorica di Marx in una prospettiva che abbia qualche significato — separare ciò che del suo contributo ci arricchisce da ciò che invece rivela i propri limiti storici, che ci paralizza e pone dei ceppi anche al nostro tempo. La dialettica marxiana, i molto lumi fecondi del materialismo storico, la superba critica dei rapporti di produzione, molti elementi delle teorie economiche, la teoria dell'alienazione e, sopra ogni altra cosa, l'idea che la libertà necessiti di condizioni materiali — tutti questi furono contributi preziosi e durevoli al pensiero rivoluzionario. (Ascolta, marxista!, p. 137; citato in Varengo 2007, p. 139)
Per lo meno potenzialmente siamo di fronte al più ampio concetto di libertà sinora conosciuto: la libertà dell'individuo autonomo di modellare la vita materiale in una forma che non sia né ascetica né edonistica, ma una miscela del meglio di entrambe le cose, una forma ecologica, razionale ed artistica [...]. (pp. 326 sg.; citato in Varengo 2007, p. 90)
Sin dai primi anni '60, il mio punto di vista poteva essere schematicamente così formulato: il concetto di dominio dell'uomo sulla natura deriva dal concetto di dominio dell'uomo sull'uomo. (p. 22; citato in Varengo 2007, p. 50)
La gerarchia, pur includendo la definizione marxiana di classe e dando persino origine, storicamente, alla società classista, va oltre questo significato limitato, ascritto a una forma di stratificazione eminentemente economica. [...] Storicamente ed esistenzialmente la vedo come un complesso sistema di comando/obbedienza nel quale le élite godono di vari gradi di controllo sui propri subordinati, senza necessariamente sfruttarli. Queste élite possono essere assolutamente prive di ogni forma di ricchezza materiale; ne possono essere addirittura spogliate, come l'élite dei "guardiani" di Platone, ad esempio, che era socialmente potente ma materialmente povera. (pp. 26-27; citato in Varengo 2007, p. 73)
Anni fa, gli studenti francesi del maggio '68 espressero mirabilmente questa netta contrapposizione d'alternative con lo slogan: "Siate realisti, chiedete l'impossibile!". A questa proposta la generazione che va incontro al prossimo secolo può aggiungere l'ingiunzione più solenne: "Se non faremo l'impossibile ci troveremo di fronte l'impensabile!". (p. 78; citato in Varengo 2007, p. 85)
Questa schiacciante tendenza della tecnica a colonizzare l'intero spazio della esperienza umana fa sì che sia oggi apocalitticamente necessario bloccarne l'avanzata, ridefinirne i fini, riassorbirla nuovamente in forme organiche di vita sociale e di soggettività umana. (p. 357; citato in Varengo 2007, p. 99)
Qualsiasi forma istituzionale di rapporti potessimo concepire avrebbe scarso significato, perché non conosciamo gli atteggiamenti, le sensibilità, gli ideali ed i valori della gente che dovrebbe stabilirle e conservarle. Come ho già rimarcato, un'istituzione libertaria è un'istituzione "popolata", fatta di gente; perciò la sua struttura prettamente formale non sarà né migliore né peggiore dei valori etici della gente che le darà realtà. Quel che è certo è che noi, saturi come siamo di valori gerarchici ed autoritari non possiamo e non dobbiamo imporrei nostri "dubbi" a gente che si sarà completamente liberata dalle pastoie della gerarchia e del dominio. (p. 504; citato in Varengo 2007, p. 121)
Se concepiamo un mondo che la vita stessa ha plasmato nell'evoluzione – un mondo benigno, se abbiamo un'ampia visione ecologica della natura – possiamo formulare un'etica della complementarietà che si nutre di diversità, al posto di un'etica che tutela l'essenza individuale da un'alterità minacciosa e invadente. In realtà, l'essenza della vita può essere vista come un'espressione d'equilibrio piuttosto che come semplice resistenza all'entropia [...]. Infine, il sé può essere visto come risultato dell'integrazione, della comunità, del mutuo appoggio, senza che ne venga in alcun modo sminuita l'identità individuale e la spontaneità personale. (p. 533; citato in Varengo 2007, p. 95)
↑ Citato in Ermanno Castanò, Ecologia e potere. Un saggio su Murray Bookchin, p. 114, Mimesis, Milano, 2011. ISBN 88-57-50501-4
Murray Bookchin, Post-Scarcity Anarchism (1971), traduzione di Michele Buzzi, La Salamandra, Milano, 1979.
Murray Bookchin, L'ecologia della libertà. Emergenza e dissoluzione della gerarchia (The Ecology of Freedom, 1982), traduzione di Amedeo Bertolo e Rossella Di Leo, Edizioni Antistato, Milano, 1984; Elèuthera, Milano, 1986, 1988, 1995.
Murray Bookchin, Per una società ecologica (Remaking Society: Pathways to a Green Future, 1989), traduzione di Roberto Ambrosoli, Elèuthera, Milano, 1989.
Selva Varengo, La rivoluzione ecologica. Il pensiero libertario di Murray Bookchin, prefazione di Giampietro Berti, Zero in condotta, 2007. ISBN 978-88-95950-00-6