Citazioni in ordine temporale.
- Perché Max Biaggi è un personaggio così scomodo? Ve lo dico io... chi vince è sempre una persona che dà fastidio... Io sono un pilota che non scende a compromessi, dico la verità. Io non ho interesse a stringere una finta amicizia quando poi sai che... siamo rivali. Ognuno deve rimanere al suo posto... Poi però con Waldmann, Jacque e Doohan scherzo, ci vado a cena fuori o in mountain bike... ma alla fine con gli italiani scatta l'invidia. Forse perché vogliono arrivare... ed io sono il loro punto di riferimento. A volte anche la stampa è stata troppo dietro a certe dichiarazioni. In effetti se è uscita di me un'immagine di personaggio scomodo è perché qualcuno ha fatto troppi lavaggi di cervello con una sfilza di false chiacchiere. La mia strategia è quella di essere me stesso e fare i risultati. Sono queste le uniche cose che servono. La gente nel mondo mi ama per questo motivo. La cosa brutta invece di questo sport è che ci sono delle persone che lo rovinano... con le parole, con i loro comportamenti... [...] La mia sfortuna sapete qual è? Essere troppo normale e forse dovrei cominciare a cambiare...[1]
- [Su Valentino Rossi] Gli attriti passano e si va avanti, ognuno guarda le proprie cose, ma Valentino è stato per me, per anni, comunque, il mio Coppi o il mio Bartali.[2]
- [Dopo la vittoria del mondiale Superbike 2012] Vincere a 41 anni ha un sapore ancora più speciale [...]. Mi sento un po' come Dino Zoff.[3]
- [«Se tuo figlio volesse fare il tuo lavoro cosa gli diresti?»] Direi, aiutoooo! Sarei preoccupatissimo.[4]
- La mia rivalità con Valentino Rossi? Ormai è solo un ricordo ma adesso che non corro più la sento come un ricordo piacevole più che negativo. Con Valentino è sempre stata una sfida importante, a volte è andata anche sopra le righe e fuori dallo sport. Quando ci sono persone che sono una all'opposto dell'altra, e noi tali eravamo, la rivalità ha anche un valore più importante.[5]
- Il primo anno cadevo spesso. Non sapevo nulla di motociclismo, di strategie, di come condurre la gara. Non avevo neanche un meccanico, ero allo sbaraglio. Eravamo io e papà, insieme ne facevamo mezzo in due.[6]
- [«Che cosa ha rappresentato per lei la moto?»] È stato qualcosa cui aggrapparmi in un momento difficile della mia vita. I miei si erano separati, la famiglia era spaccata a metà e come sempre i figli o se ne avvantaggiano o si perdono. Io stavo con mio padre, avevo lasciato da poco gli studi, non sapevo bene cosa volevo fare da grande. [...] Alla fine mi ha affascinato la moto. Mi ci sono dedicato anima e corpo, come fosse l'unico scopo della mia vita, che è ben diverso dal cercare una soluzione per vivere.[7]
- [«Il Biaggi del 1998 come si troverebbe oggi nella classe regina?»] Sarebbe tutto più facile. Le 500 due tempi erano complicate da pilotare, [...] quando la moto scappava scappava. Serviva il polso dedicato. Te ne accorgevi perché in quel periodo i top rider erano tre o quattro ma quelli che appartenevano al resto dello schieramento li incontravi nel paddock chi con un gesso, chi con una clavicola rotta, chi con un bendaggio...[7]
- Ivano Beggio è stato parte della mia vita sportiva, una specie di padre nel racing. Mi ha dato fiducia e una moto competitiva quando dopo l'europeo vinto sempre su Aprilia, ero poco più che un ragazzino. La sua fu una scelta coraggiosa ma anche intelligente. E sono questi due aspetti che ricordo con più chiarezza di Ivano Beggio, il saper mettere tanta passione a servizio delle sue capacità, così da trovare sempre, la forza e le energie per un passo in più. Anche da questo sono arrivate le mie tante vittorie in Aprilia.[8]
- Non mi pento di nulla. Quello che ho fatto, dal punto di vista sportivo, è stato bello, fantastico e non potrei chiedere di più. È stato come un sogno. Ho raggiunto quello che sognavo: essere il numero uno nella categoria in cui ho cominciato, la 250cc. Poi sono arrivato alla 500, a cui è succeduta la nuova era MotoGP, e poi ho disputato la Superbike... Ho partecipato a molte categorie e anche se ho avuto molte difficoltà, sono abbastanza soddisfatto e mi sento ancora forte fisicamente. Non ho grandi problemi, non ho molte ossa rotte, quindi sono molto felice.[9]
- Le moto sono state un fulmine a ciel sereno, mi piaceva il calcio. È stato un mio amico a trascinarmi nel mondo del motorsport: da quel momento ho investito tutte le mie energie in questo sport. A 18 anni ho cominciato, a 21 ero campione del mondo.[10]
- [«Ti ha dato fastidio passare da pilota numero 1 d'Italia a pilota antagonista di Rossi?»] Non ho mai avuto un antagonista italiano prima di Rossi, con cui mi sono scontrato anche in 500, ovvero nella classe più seguita. Quando hai un antagonista dividi i tifosi, i giornalisti, le folle: questo significa che hai lasciato un segno. Sono passati tanti anni e se guardo indietro, con un po' di romanticismo, trovo quel periodo bello.[10]
- Basta solo pensare di affrontare la curva e la moto dopo un'istante è già alla corda, oltretutto ad una velocità pazzesca. Rispetto ad una MotoGP o ad una SBK, le 2T 250 cc hanno una velocità a centro curva molto maggiore ed è un godimento assoluto andarci così veloci! Poi ogni volta che cambi marcia lei ti risponde con una sinfonia degna di un'opera lirica! Non c'è paragone è lei la vera Regina![11]
- I piloti del Motomondiale hanno sempre avuto grande rispetto per i colleghi della Superbike, che mai sono stati considerati di "serie B": sappiamo quanto sia difficile e quanto coraggio serva per guidare le moto derivate dalla produzione. Quando la provai per la prima volta, trovai la SBK più "grossolana" rispetto alla MotoGP, le reazioni in sella erano più lente rispetto al prototipo, ma molto derivava dal peso e dalle gomme, perché i cavalli non erano pochi. Però, poi, una volta presa confidenza, la Superbike divenne molto divertente: parliamo di moto che danno spazio all'interpretazione del pilota ed è possibile essere competitivi anche senza una guida precisa, a differenza della MotoGP.[12]
- Continuo nel dire che i non vincenti nello sport fanno fatica a comprendere la mentalità che anima un pluricampione del mondo! Da parte loro non ci sono invidie, ma solo un'incapacità nel vedere oltre, nel capire chi si è spinto oltre. Un campione vuole vincere ad ogni costo e così sacrifica la sua vita, in tutti i suoi aspetti, pur di raggiungere quell'obiettivo. Non credete a chi dice il contrario! Un campione deve rispettare tutti, ma in pista deve essere spietato! Così come in pista è difficile che si creino amicizie, soprattutto quando si combatte per lo stesso obiettivo, allo stesso modo un campione deve pretendere il massimo da tutti quelli che lo circondano. Tutti. Non si tratta di essere la primadonna. Una primadonna non rischierebbe di morire [...] per vincere![13]
- Con Troy abbiamo corso insieme per qualche anno e ci tengo a precisare la profonda stima che ho nei riguardi di Troy, come pilota e come uomo. Infatti per me Troy è uno dei piloti più forti che ho avuto il piacere di incontrare nella mia carriera e al di là della moto che nel 2008 ha cavalcato [Biaggi accusò Ducati di avere "tolto giri" alla sua moto, onde favorire l'australiano e compagno di marca nella corsa al titolo], sono sicuro che avrebbe comunque vinto quel campionato. In sella ci battiamo tutti per la vittoria e nessuno vuole arrivare secondo, ma nel cuore di ognuno di noi c'è la consapevolezza del valore di un grande avversario. Quando sei in pista cerchi di annientarlo, quando smetti di correre ti manca![14]
- Giò [Di Pillo] sei stato un grande professionista, un grande amico! Le telecronache della WSBK sono epiche. In TV hai avuto il coraggio di osare e più di vent'anni fa hai solcato una strada che ancora oggi è moderna. Giò è stato un onore essere raccontato da Te! In questo nostro mondo si sentirà tanto la tua mancanza.[15]
- La rivalità con Valentino [Rossi] è vecchia, ma quanto mi manca. Oggi rimangono solo cose belle anche se ci siano letteralmente odiati. Esser stato valentiniano o biaggista ora non importa, ma è stato importante che ogni appassionato si sia identificato in uno di noi e attraverso noi ha imparato ad amare uno sport unico ed incredibilmente emozionante. Che bella storia.[16]
Intervista di Paolo Ianieri, gazzetta.it, 24 giugno 2021.
- [«La vittoria che cambiò tutto?»] Assoluti d'Italia del 1990. Avevo dominato la Sport Production 125. Per gli Assoluti a Vallelunga si era liberata una Honda: provai a Misano con un freddo becco, dopo 20 giri Fabrizio Cecchini, oggi in Aprilia, chiamò Matteoni dicendo che facevo tempi impossibili. E a Vallelunga chiusi 3°, dietro Romboni e Gresini. [«E Biaggi all'improvviso non era più uno sconosciuto»] Scoppiò la caccia all'uomo. Mi proponevano cento cose, io e mio padre Pietro non ci capivamo nulla. E lui tanto non ne sapeva, che fece il suo ragionamento: "Tu ch'hai due anni più di Capirossi che ha appena vinto il Mondiale 125, allora devi fa' la 250". "Papà, ma io la 250 non l'ho mai neanche provata". E lui: "E annamola a prova'". Test a Misano: dopo pochi giri avevo eguagliato la pole dell'Europeo. Mi chiamò il mondo [...]".
- [...] fino a 18 anni non avevo mai guidato la moto. La prima andai a ritirarla col mio amico Daniele, che la guidò fino casa perché non sapevo cambiare, mai usata la frizione. Dopo due settimane ero in pista.
- [«La rivalità con Valentino Rossi spaccò l'Italia»] Ognuno fa parte della storia dell'altro, abbiamo alimentato, reso famoso, peggiorato e migliorato l’altro. In quegli anni, poco intelligentemente, non comunicando tra di noi parlavamo solo attraverso la stampa che ha vissuto tempi d'oro. Ci prendevano con l'amo. Se c'era un minimo di astio si decuplicava. Siamo stati due dilettanti allo sbaraglio nel non parlarne o avere un rapporto un po' più diretto.
Federico Porrozzi, motosprint.corrieredellosport.it, 31 luglio 2021.
- [Sui primi ricordi sportivi] Non è legato alla moto ma alla Roma che vince lo scudetto del 1983. Era un momento di gioia, ero in strada a festeggiare con tutti i romanisti. Mi ricordo le macchine, gli altoparlanti, i colori. C'era una Dyane con il tettino aperto, con tutti i miei cugini sopra: io ero sul marciapiede, mi presero di peso e mi fecero salire a festeggiare con loro...
- Non sono mai stato un presuntuoso, ma mi resi conto che avevo qualcosa da dire già da esordiente. Imparavo velocemente, ero rapido... volevo fare una cosa e ci riuscivo, un cambio di traiettoria, una frenata più azzardata, senza fare errori. Guidare la moto per me era come mettermi le scarpe. Un gesto innato, che non mi sono dovuto costruire.
- [Sul debutto nel motomondiale] Fu in occasione di una wild card da campione europeo. Non sapevo come muovermi, non ero organizzato, non avevo un motorhome né un luogo dove trovare un attimo di concentrazione. Mi ricordo i colori delle tute dei miei avversari sul rettilineo, quando mi sfilavano Cardus, Zeelenberg, Cadalora, Chili, le scritte Marlboro. Ero abituato a vederle in televisione o in foto: fu surreale, per me, ragazzino che veniva dal nulla, stare "dentro questo film".
- Quando alla fine del 2005 chiusi con la MotoGP fu complicato, perché fermarsi un anno è difficile, per noi atleti. Perdi il ritmo di gara, l'occhio non è allenato, la forma fisica ne risente... [...] La Superbike non era un'alternativa valida per me. Quando me la proposero, subito dopo l'addio alla MotoGP, risposi di no. Poi quando si ripresentarono, cambiai idea. Non l'ho mai raccontato ma l'ho vista come una missione: in quegli anni, con i vari Bayliss, Edwards, Haga, c'erano tanti corpo a corpo, la guida non era pulita forse anche per la natura stessa delle moto, delle gomme diverse e di circuiti old style rischiosi, molti pensavano che la Superbike non fosse adatta a me e al mio stile preciso. La missione era sfatare questo mito ed è stata una sfida vinta in modo incredibile.
- [Sui titoli Superbike con l'Aprilia RSV4] Fu la prima moto a quattro tempi vera realizzata dall'Aprilia, e fatta interamente a Noale. Era una bella sfida, difficile, ma avevo buone sensazioni. La mia idea iniziale era di tornare a "casa", ritrovare il concetto di famiglia che avevo vissuto in Aprilia con i titoli degli anni Novanta. Con Dall'Igna, Mercanti e Sacchi, prima di parlare di durata del contratto e soldi, chiesi di riavere la mia squadra degli anni Novanta. Gigi mi rispose che era impossibile perché erano impegnati in altri progetti, replicai che per quanto mi riguardava il discorso finiva lì perché il mio sogno era aprire un ciclo vincente in Superbike con un progetto ambizioso, andando a contrastare il dominio Ducati. E per farlo ci serviva un'armata, persone valide professionalmente ma che conoscevano Max sia dentro che fuori la pista, nella felicità e nella sofferenza: Giovanni Sandi, Gianni Berti, Loris Conte... Dopo dieci secondi, Dall'Igna mi disse che avrei avuto tutta la mia squadra.
- [Sull'addio alle corse] A 41 anni, dopo aver vinto per mezzo punto un altro titolo, ti trovi davanti a un bivio: o provi a vincerne uno a 42 anni ma sai già che sarà molto complicato, o fai la cosa più difficile, sapendo comunque che sei il più forte: chiudi in bellezza, lasciando da campione del Mondo la cosa che più ti piace fare. Se devo dirmi bravo, lo faccio non per le vittorie ma per aver scelto il momento giusto per l'addio.
- Rifarei tutto, perché alla fine mi è riuscito bene.
- [Su Fabrizio Frizzi] La mia anima gemella, un amico vero a cui chiedere consigli e il fratellone che non ho mai avuto. Una persona d'altri tempi, venuta da un altro mondo, sempre pieno di entusiasmo, educato, gentile. Stavamo le mezz'ore al telefono. Quando c'era un discorso importante da affrontare, lui ci arrivava girandoci intorno, con grande delicatezza, cercando di non ferirti. Mi ricordo quando mi invitò a Scommettiamo che?, il programma in prima serata del sabato sera da dieci milioni di spettatori: lui voleva festeggiare il mio titolo mondiale facendomi entrare in studio al Delle Vittorie con l'Aprilia 250 accesa. C'erano problemi con l'antincendio, con la sicurezza... risolse tutto con il suo solito modo di fare. Venne a prendermi con la bandiera italiana. E fu fantastico. Mi manca molto [...]
- Non è stato complicato "essere Max". Ero io, in tutto quello che ho fatto e quello che è successo. Difficile è stata la gestione di tutto ciò che avveniva fuori dalla pista. Proprio perché era quasi impossibile per me controllarla e gestirla in prima persona. Il mio essere "scientifico", fuori dalla pista, non era applicabile. E anche per questo mi sono sempre fidato poco in generale, delle persone e delle donne che avevo intorno. Perché, quando sei a casa da solo e ti spogli di tutto, ti chiedi sempre perché le persone ti stanno accanto, se stanno lì per te e per farti del bene in modo disinteressato.
Da LIVE alle 20:30 con Max Biaggi: il racconto del record assoluto a Suzuka 1998, GPOne, 11 aprile 2023; citato in gpone.com, 12 aprile 2023.
- [Sul Gran Premio motociclistico del Giappone 1997] Era il 1997. Era la seconda gara del campionato dopo la Malesia, che vinsi su Harada al debutto con la Honda. L'Aprilia rimaneva la moto da battere, perché noi eravamo più carenti di motore e di potenza. La storia simpatica è che i giapponesi avevano bisogno di un po' più di potenza per Suzuka, che era una pista un po' più veloce e in quelle due settimane avevano fatto dei cilindri differenti, che mi avevano dato da provare il venerdì del Gran Premio. Alla mattina feci il rodaggio, i soliti cinque giri, poi feci tre curve e quando chiusi il gas in quarta marcia, la ruota si bloccò e venni lanciato. Mi ero rotto la spalla, che era uscita di sede, ma la voglia era talmente tanta che in Clinica Mobile dissi a Claudio Costa che volevo correre. Mi fece la visita e mi disse: "Max tu vuoi correre? E io ti faccio correre". Mi fece una fasciatura e corsi con la spalla fuori sede. Sabato provai a fare qualche giro, ma partii in penultima fila perché era complicato e faceva un male cane. La domenica c'era un medico che mi fece un'iniezione. Montai in moto come se non avessi quasi niente e chiusi 7º in volata. Fu un bel recupero e quei punti mi valsero il Mondiale.
- [...] adesso, come metti il naso fuori dalla carenatura e guardi quello che ti sta accanto sul rettilineo esce la scritta "under investigation". Non era così una volta. Una volta era un po' più genuino. Adesso, va bene la sicurezza, ma la tua interpretazione di quel momento di gara è sempre in mano a qualcun altro. Sono periodi diversi, dove anche la tecnologia sta prendendo il sopravvento. Io sono che sicuro che se prendessi l'ingegnere capo di un'azienda e guardassi nel suo subconscio il suo sogno sarebbe di fare una vettura da corsa senza il pilota.
- Il mio primo approccio con la 500 in Australia fu un test preparato alla meno peggio, giusto per capire di che roba si trattava. Aveva una potenza pazzesca, il peso ridotto e provarla a Phillip Island, con quel rettilineo lungo, quando metti la terza e scollini sembra di decollare, perché andavano veramente forti. È vero che prima la gestione del tuo destino era più in mano al pilota, ma è pur vero che nei paddock della 500 trovavi più piloti ingessati o infortunati che sani in moto. Nella storia della 500, difficilmente un Top rider si faceva tutta una stagione senza un infortunio.
- Io volevo salire sulla 500 senza troppa fretta, infatti mi sono voluto riconfermare nella classe di mezzo per più anni, perché era la classe più combattuta, era molto bella e divertente, anche se non era la classe regina.
- [...] siamo stati dei cretini. Io e Rossi avevamo la lente d'ingrandimento sempre puntata e abbiamo fatto il gioco dell'avversario. Non Rossi di Biaggi o Biaggi di Rossi, ma dei giornalisti.
Citazioni non datate
- Non sono figlio di un pilota. E questo certo non ha aiutato a inserirmi nel mondo delle corse. Sto antipatico perché ho iniziato a correre a 19 anni e tre anni dopo ero campione del mondo.[17]