ex generale statunitense Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Ion Mihai Pacepa (1928 – 2021), militare rumeno naturalizzato statunitense.
Incipit
Quando ero ancora uno dei suoi più stretti collaboratori, il presidente romeno Nicolae Ceausescu spesso si concedeva il piacere di guardarsi il film di una manifestazione di sostegno al regime di Bucarest, che si era svolta a Washington. Nel film si vedeva, innanzitutto, una funzione religiosa, officiata da membri del clero romeno in esilio di diverse confessioni, davanti a centinaia di persone radunate intorno al monumento a George Washington. Molti dei partecipanti indossavano costumi folcloristici, ostentavano bracciali con i colori nazionali romeni, issavano cartelli che inneggiavano alla politica interna ed estera di Bucarest, all'indipendenza della Romania, alla saggezza di Ceausescu. Poi, si vedeva la folla sulle gradinate del Campidoglio; quindi, quando sfilava intorno alla Casa Bianca, accompagnata da slogan diffusi da altoparlanti portatili, che chiedevano che alla Romania fosse riconfermato lo status di nazione commercialmente privilegiata. La manifestazione era stata interamente organizzata dai servizi segreti romeni, con l'aiuto di alcuni agenti di influenza ben piazzati negli Stati Uniti. Gli emigrati, molti dei quali prima non erano mai stati a Washington, erano stati espressamente convogliati nella capitale americana dalle loro chiese e dalle loro organizzazioni sociali, che erano finanziate e controllate segretamente da Bucarest. I cartelli erano stati preparati all'ambasciata romena, e così pure le cassette registrate con gli slogan diffusi dagli altoparlanti. Il film era stato girato da due tecnici, agenti dei servizi segreti, venuti apposta da Bucarest, e il commento era stato fatto dalla moglie del consigliere dell'ambasciata romena a Washington, che pure lei lavorava per il servizio di informazione romeno.
Citazioni
"Orizzonte", il nome in codice scelto dallo stesso Ceausescu, fu una delle operazioni di influenza più insidiose che Ceausescu mise in piedi, un mattone dopo l'altro. Il fine era dare l'illusione all'Occidente che la Romania era un paese comunista diverso dagli altri, indipendente da chiunque, Mosca compresa, che meritava di essere sostenuto dall'Occidente, non fosse altro che per incrinare le mura che circondavano il blocco sovietico. (p. 20)
Ceausescu e Arafat si somigliavano in modo impressionante, non solo per ragioni politiche, o per il naturale bagaglio di antisemitismo, che in Ceausescu non era minore che in Arafat. Se non fosse stato per la barba e la pelle più scura di Arafat, non avrei potuto distinguerli: la forma della faccia era identica, atteggiavano le labbra e sorridevano allo stesso modo, entrambi avevano occhi profondamente penetranti, pensavano e agivano in modo identico, erano allo stesso modo loquaci, irascibili, impulsivi, violenti, isterici. Quella forte somiglianza li aveva colpiti reciprocamente fin dal loro primo incontro, ed aveva avuto un ruolo importante nello sviluppare la loro amicizia. (p. 34)
Breznev e Ceausescu, entrambi vendicativi per natura, si detestavano da molto tempo. Nel 1953, Breznev era diventato generale a due stelle e vicesegretario dell'ufficio politico dell'Armata rossa, dopo essere stato, qualche anno prima, primo segretario del comitato centrale del partito comunista della Moldavia, una regione che i sovietici avevano annesso, come Bessarabia, alla fine della seconda guerra mondiale. Perciò, essendo considerato un esperto di problemi romeni, era stato incaricato di supervisionare l'indottrinamento politico delle forze armate romene. Le sue taglienti critiche ai militari romeni avevano ferito profondamente Ceausescu, che allora aveva il suo stesso grado ed era responsabile, come membro del comitato centrale del partito comunista romeno, della sezione politica dei servizi di sicurezza dell'esercito romeni. Ceausescu non lo aveva mai dimenticato. Quando nel 1965 era arrivato al potere, aveva chiesto al DIE[1] un'indagine approfondita sulle attività di Breznev in Moldavia. Un anno dopo, quando Breznev era venuto in visita di stato in Romania, gli aveva presentato dei documenti che provavano che tra il 1950 e il 1952, durante la russificazione della Moldavia, egli aveva fatto deportare in Siberia più di un milione di romeni, per insediare al loro posto russi e ucraini. La discussione era stata estremamente accesa, e aveva segnato una rottura nelle relazioni personali tra i due uomini. Breznev avrebbe messo di nuovo piede in Romania solo dieci anni dopo. (p. 36)
I grandiosi quartieri presidenziali e i servizi, erano circondati da molti "comfort", che comprendevano una sala cinematografica, una sera, una palestra con diverse piscine, un ampio laghetto, e lussuosi appartamenti per l'amante di Gheorghiu-Dej, una nota attrice, e per ciascuna delle sue due figlie e delle rispettive famiglie. Quando nel 1965 Ceausescu aveva preso la successione, aveva denunciato gli eccessi di Gheorghiu-Dej, aveva dichiarato la residenza «non proletaria», e l'aveva destinata ad accogliervi gli ospiti d'onore della Romania. Ma la residenza che si era fatto edificare dieci anni dopo, era ancora più lussuosa. (p. 39)
Adulare i massimi dirigenti del partito e dello stato era pratica corrente in tutti i paesi del blocco sovietico, ma in Romania l'adulazione era persino troppo eccessiva, a causa del temperamento latino dei romeni. (p. 55)
[Su Elena Ceaușescu] Nel 1975, ero con lei a Buenos Aires quando, affascinata dalle ambizioni politiche di Isabella Peron, aveva deciso di darsi anche lei alla vita politica attiva. E dato il culto della personalità senza precedenti che era stato creato intorno a Ceausescu, l'ascesa di Elena sulla scena politica romena era stata rapida. In breve tempo era diventata membro della Grande assemblea nazionale, del comitato centrale del partito comunista, del comitato politico esecutivo (l'equivalente del politburo sovietico), e da appena un anno era anche diventata membro dell'ufficio permanente del comitato politico esecutivo, inventato da Ceausescu per accentrare ulteriormente il potere nelle proprie mani e in dove solo il nome di Ceausescu era fisso, mentre il resto della compagnia si componeva di comparse continuamente cambiate di posto per evitare che mettessero radici e diventassero importanti. (p. 57)
[Su Zoia Ceaușescu] La sua colpa più grave era stata quella di rifiutare ostinatamente i candidati alla sua mano che la madre le sceglieva accuratamente. Zoia, da parte sua, era decisa a scegliersi liberamente il marito, ma tutti i nomi che lei aveva proposto avevano incontrato la fiera opposizione della madre, perché giudicati non sufficientemente degni della futura dinastia dei Ceausescu. Quello era stato l'inizio di una amara lotta con Elena, che alla fine aveva deciso di far sorvegliare la vita privata della figlia minuto per minuto. Ovunque intorno a Zoia erano stati installati dei microfoni, dalla camera da letto al bagno del suo appartamento, dal suo studio alla sua bianca Mercedes coupé, ben nota alla gioventù dorata di Bucarest, e Zoia era stata sottoposta a un pedinamento di ventiquattro ore su ventiquattro dagli agenti del DIE. Dal 1977, occuparmi di Zoia era diventato uno dei miei compiti in quanto capo del DIE. (p. 68)
La differenza tra Nicu e gli altri due figli di Ceausescu non poteva essere maggiore. Ancora bambino, Nicu detestava la scuola e preferiva molto di più passare il suo tempo con le guardie del corpo e con gli agenti della sicurezza che pullulavano intorno alla residenza presidenziale, e imitarne gli atteggiamenti e il modo di esprimersi. Da adolescente era deriso da Valentin e da Zoia, che non lo vedevano mai con un libro in mano. Ma il padre e la madre vegliavano su di lui, e da loro Nicu otteneva tutto ciò che voleva alzando semplicemente la voce. A quattordici anni era stato lodato per avere virilmente disonorato, violentandola, una compagna di classe, e aveva tosto avuto la sua prima auto. A quindici, aveva avuto la sua prima barca. A sedici, era diventato un ubriacone attaccabrighe, che scandalizzava tutta Bucarest con i suoi incidenti automobilistici e le sue violenze sessuali. Le voci sulla "nausea esistenziale" di Nicu erano arrivate anche all'orecchio di Ceausescu, la cui consueta ricetta per curare le tare della società romena era: «Bisogna lavorare di più e più duramente». Perciò, quando aveva trovato qualche minuto da dedicargli, tutto l'aiuto che aveva dato al figlio era stato di dirgli: «Basta bere, e mettiti a lavorare». (p. 69)
Così come avevano fatto con Mosca, Budapest, Praga, Varsavia, Sofia o Berlino est, i comunisti avevano trasformato anche Bucarest in un mercato dello spionaggio. Negli alberghi riservati ai turisti, i telefoni venivano messi sotto ascolto girando un semplice interruttore, i microfoni nascosti in ogni camera venivano attivati appena il cliente vi entrava, circuiti televisivi interni permettevano di sorvegliare i ristoranti, i corridoi e tutte le altre parti comuni. Telecamere e attrezzature ai raggi infrarossi piazzate fuori dei grandi alberghi come l'Intercontinental, l'Athenee Palace, il Lido e il Nord, erano usate per controllare i movimenti esterni dei stranieri. Agenti di sorveglianza camuffati da maîtres o da camerieri attivavano i microfoni nascosti nei portacenere in ceramica posti sui tavoli degli ospiti stranieri nei principali ristoranti della città. Un vero e proprio esercito di prostitute al soldo dei servizi di informazione veniva mandato ogni giorno nei night club, negli atri degli alberghi, nei ristoranti, nei teatri, all'opera, ai concerti, nei circhi, nei parchi e nelle strade. Studenti stranieri delle università romene che erano stati reclutati come agenti della Securitate – la maggior parte erano africani neri – avevano per compito di sollecitare dagli stranieri il cambio illegale di valuta pregiata o relazioni omosessuali. (p. 71)
«Cercate nelle prigioni quelli che vi servono, e se non ci sono, arrestateli e metteteli al lavoro», rispondeva abitualmente Gheorghiu-Dej, quando l'allora ministro degli interni, Alexandru Drăghici, si lamentava perché il bisogno di specialisti delle aziende era sempre maggiore di quello che lui poteva soddisfare. (p. 79)
Ceausescu in tutta la sua vita non ricevette mai un centesimo di salario. Prima della seconda guerra mondiale, era stato apprendista da un calzolaio che lo compensava con cibo e alloggio, e con sommarie lezioni di marxismo. Durante la guerra, era vissuto in prigione o in clandestinità, e al termine del conflitto era diventato funzionario del partito. Da quando era diventato il leader supremo della Romania, per lui era motivo di orgoglio ricordare con enfasi che mai era stato pagato per quello che aveva fatto: «Tutta la mia vita è stata consacrata solo alla vittoria mondiale del proletariato», era la definizione preferita che egli dava di se stesso. (p. 82)
Ceausescu rimase affascinato da Gheddafi da quando questi nel 1969 prese il potere in Libia, all'età di 27 anni. Il suo interesse per Gheddafi era in parte dovuto al fatto che egli stesso era stato considerato un giovane quando nel 1965 era arrivato al potere, a quarantasette anni, cioè in un'età relativamente molto giovane se paragonata a quella dei dirigenti del Cremlino. Inoltre, come Gheddafi, anche Ceausescu aveva cominciato la carriera politica nell'esercito, ed era pure lui di carattere mutevole. Ma ciò che più di ogni altra cosa rendeva simili due uomini, erano i loro sogni. Gheddafi aveva dei piani giganteschi per far diventare la Libia una potenza internazionale e per imporsi come guida incontestata del mondo islamico. Ceausescu, da parte sua, voleva porre la Romania al centro della scena politica mondiale, imporsi come una personalità di livello internazionale, e diventare la guida del Terzo mondo. Comunque, Ceausescu aveva messo ai primi posti del suo elenco delle ammirevoli qualità di Gheddafi, anche le sue immense rendite petrolifere. (p. 103)
Il segreto che governa le attività dei servizi di informazione, tanto nel mondo libero quanto nei paesi a regime totalitario, impedisce agli agenti dei servizi di informazione di parlare del loro lavoro con i profani. Però, c'è anche una regola non scritta, per cui quando due agenti dei servizi di informazione si incontrano, la sola cosa di cui possono parlare è del loro lavoro clandestino. (p. 115)
Una regola, introdotta molto tempo prima dal Kgb, imponeva che gli uffici e le residenze private dei dirigenti comunisti fossero regolarmente e sistematicamente ispezionati per rilevare l'eventuale presenza di dispositivi di ascolto telefonico o di altro materiale spionistico dei servizi occidentali. Tutti i telefoni venivano sostituiti ogni mattina con altri identici controllati e sigillati; le linee telefoniche venivano verificate per individuare eventuali inserimenti estranei, e il sistema di rilevamento di radiazioni camuffato nello stipite della porta veniva provato, come pure i contatori geiger e tutte le altre apparecchiature per controllare le radiazioni camuffate nell'ufficio. Inoltre, le pareti, i soffitti e gli impiantiti venivano passati una volta alla settimana ai raggi X per individuare eventuali microfoni nascosti. (p. 117)
Nonostante il suo gusto personale per i lunghi discorsi e la sua tendenza alla chiacchiera, Ceausescu non apprezzava la verbosità altrui. (p. 118)
La funzione principale dei servizi di disinformazione dei paesi del blocco sovietico è quella di nascondere la reale consistenza delle loro forze armate, di minimizzare l'importanza delle nuove armi di cui si dotano, di ingannare i governi ed i mezzi di comunicazione occidentali sulle reali finalità del comunismo con storie inventate di sana pianta, di diffondere voci false a precisi fini tattici. Ceausescu aveva trasformato a poco a poco il servizio di disinformazione romeno in un suo personale "villaggio Potemkin". Così come il maresciallo Potemkin aveva costruito per Caterina la Grande falsi villaggi modello per farle vedere la Russia così come lei voleva che fosse, anche il servizio "D" di Ceausescu produceva falsi documenti confidenziali "occidentali" che presentavano la Romania come un paese indipendente, isolato in mezzo al blocco sovietico. (pp. 123-124)
La Dgto[2] disponeva di un enorme materiale tecnico. Era incaricata delle intercettazioni microfoniche e telefoniche e della censura postale in tutto il paese, e delle registrazioni clandestine nelle abitazioni private e nelle sedi delle istituzioni pubbliche. Sorvegliava anche tutte le ambasciate e le altre rappresentanze occidentali in Romania, comprese le loro comunicazioni radio e telex, e controllava pure le comunicazioni della Nato intercettabili in Romania. (p. 129)
Nel 1965, quando Ceausescu divenne il leader supremo, il controllo della popolazione romena assunse dimensioni di massa senza precedenti. Centinaia di migliaia di nuovi microfoni furono collocati clandestinamente e fatti lavorare dai loro nascondigli negli uffici e nelle camere da letto, a cominciare da quelle dei membri del politburo. Come in Unione Sovietica e negli altri paesi comunisti, anche in Romania la corruzione e la prostituzione imperversavano ai massimi livelli, e tutto veniva registrato attraverso i microfoni. Come Kruscev, anche Ceausescu si fece attrezzare vicino al suo ufficio una sala speciale per poter controllare personalmente le registrazioni. I microfoni erano la sua chiave del potere. (pp. 129-130)
Poco dopo essere arrivato al potere, Ceausescu decise che tutti i membri della vecchia guardia, sia quelli rimossi che quelli rimasti in carica, dovevano essere sottoposti a controllo elettronico fino alla fine dei loro giorni. Ordinò anche segretamente di sorvegliare a mezzo di microfoni piazzati nei loro uffici e nelle loro case i nuovi membri del politburo e i ministri, da quando entravano in carica fino a quando venivano rimossi, dopo di che dovevano essere trattati come i membri della vecchia guardia. «Finché non abbiamo controllato i loro pensieri, dobbiamo diffidare di tutti, anche dei membri della nostra famiglia», mi disse nel 1972, quando mi nominò sovrintendente dell'unità che sorvegliava i membri del politburo e quelli della vecchia guardia. (pp. 131-132)
Ceausescu fu sempre un nazionalista fanatico, e questo fatto risultava quanto mai evidente dalla sua politica dei quadri. Solo ai romeni di terza generazione che fossero nati in Romania era permesso di ricoprire incarichi nel partito e nel governo che fossero in relazione con la difesa nazionale. I romeni di altra origine etnica, anche se appartenevano a famiglie che vivevano in Romania da generazioni, erano rigorosamente esclusi da posti di responsabilità nelle sezioni per la difesa nazionale del comitato centrale del partito comunista, nel DIE, nel quartier generale della Securitate o nel comando supremo delle forze armate, e anche i romeni coniugati con persona di altra etnia vennero discretamente allontanati dai posti di responsabilità quando egli arrivò al potere. Solo pochi ebrei ungheresi e tedeschi furono simbolicamente lasciati in posti di rilievo per ragioni propagandistiche, ma, nonostante i loro titoli altisonanti, non ebbero mai accesso ai segreti di Ceausescu. I suoi incessanti sforzi per avere un governo di puro sangue romeno, riportano sinistramente alla memoria i tentativi di Hitler di creare una pura razza ariana. (p. 142)
Per sbarazzarsi di taluni suoi critici condannati al carcere con imputazioni di diritto comune, Ceausescu usava il servizio "K" della Securitate, che era una unità relativamente piccola incaricata del lavoro di controspionaggio nel sistema carcerario nazionale. In Romania, il servizio "K", invece che dipendere dal Ministero della giustizia, dipendeva da quello degli interni. Organizzato dai sovietici nel 1950 sul modello del Kgb, il servizio "K" svolgeva il lavoro più sporco contro i prigionieri politici, organizzando lo spionaggio microfonico e mandando nelle celle "soffioni" per carpire informazioni compromettenti ai detenuti al fine di poterli incriminare. Il servizio "K" aveva anche liquidato segretamente alcuni detenuti, inscenando suicidi o usando un veleno che portava a una morte "naturale". Nella primavera del 1970, il servizio "K" aveva lo stesso Ceausescu a battezzare quel metodo con il nome di "Radu", e solo lui poteva ordinare: «Date "Radu"». Si presumeva che una dose attentamente calcolata di radiazioni generasse forme letali di cancro. (p. 144)
Ceausescu poteva diventare terribilmente violento quando nutriva rancore per qualcuno. Poco dopo essere arrivato al potere, aveva dovuto per la prima volta assaporare una critica pungente e pubblica, mossagli da un esponente dell'emigrazione romena, e la sua reazione immediata era stata: «Ammazzatelo!» L'uomo che lo aveva criticato, Gheorghe Zapartan, era un prete esule in Germania, che aveva denunciato il culto della personalità di Ceausescu in discorsi pubblici e dal pulpito. Poco dopo la morte di Zapartan in un "incidente" d'auto, il primo ministro del tempo, Ion Gheorghe Maurer, specialista di diritto internazionale, era andato da Ceausescu. «Nic, come Guida suprema della Romania», gli aveva detto, «lei può fare tutto ciò che vuole, nel bene e nel male. Ma una sola cosa non può fare: ordinare di uccidere. Questo è omicidio di primo grado, e non ha importanza che a ordinarlo sia un re o un mendicante». Ceausescu aveva recepito il messaggio, e da allora aveva preferito far bastonare i suoi nemici fino a ridurli a cadaveri ambulanti, anche se occasionalmente dimenticava il consiglio di Maurer e ordinava di uccidere. (p. 158)
Il Ministero degli interni romeno era avvolto, non diversamente dai servizi di informazione e di sicurezza degli altri paesi del blocco sovietico, da una nube di mistero, nonostante negli anni più recenti fosse stato fatto intravvedere ai romeni come funzionasse. Infatti, esistevano tre versioni della struttura dei servizi di informazione e di sicurezza, tutte e tre approvate personalmente da Ceausescu. La prima versione, a uso e consumo dell'opinione pubblica, era stata accuratamente preparata dal servizio disinformazione, al fine di dissimulare le attività dei servizi contrarie alla costituzione romena, come erano quelle della censura postale e del controllo telefonico, le cui unità addette erano tra le più numerose tra quelle impiegate dalla Securitate nei diversi controlli. Il segreto epistolare e quello telefonico erano codificati dalla costituzione romena. Inoltre, l'articolo 17 della costituzione stabiliva anche che: «I cittadini della repubblica socialista di Romania, senza distinzione di nazionalità, razza, sesso o religione, hanno gli stessi diritti in tutti i campi della vita economica, politica, giuridica, sociale e culturale». Conseguentemente, l'esistenza delle unità di controspionaggio della Securitate addette al controllo delle minoranze ebrea, tedesca e ungherese e dei fedeli della diverse religioni, dovevano essere occultate. La seconda versione era classificata "segretissima", ed elencava tutte le unità della Securitate poste sotto la direzione collettiva degli organismi del Ministero degli interni, composta dal ministro e dai suoi sottosegretari. La terza versione, quella reale, era classificata "segretissima e del massimo interesse", ed era sempre e solo manoscritta. Era conosciuta solo da Ceausescu, dal ministro degli interni, dai capi e dai vicecapi del servizio informazioni per l'estero. Oltre al DIE e all'unità di Iosif, essa elencava anche altre due unità assolutamente clandestine: quella di controspionaggio addetta alla sorveglianza dei membri del comitato centrale del partito comunista romeno, e quella addetta alla sorveglianza della stessa Securitate. (p. 163)
Per l'uomo della strada romeno, il termine nomenklatura stava a significare l'élite composta da una superstruttura sociale riconoscibile dai suoi privilegi. Coloro che facevano parte della nomenklatura non prendevano l'autobus o il tram, ma usavano le auto del governo. Il colore e la marca dell'auto indicavano la posizione gerarchica di colui che la usava: più scuro era il colore dell'auto, maggiore era il suo rango. Le Dacia bianche erano per i direttori, quelle color pastello per i vicedirettori, quelle nere per i ministri; le Audi nere erano per Nicu; le Mercedes nere per il primo ministro e i suoi sottosegretari, e la Mercedes nera 600, la Cadillac e la Rolls-Royce limousine per Ceausescu. Quelli della nomenklatura non abitavano in appartamenti costruiti dal regime comunista: avevano, come nel mio caso, ville o appartamenti di lusso nazionalizzati e già di proprietà di capitalisti; non facevano la coda, ma avevano negozi loro riservati, e quelli delle auto nere potevano perfino ordinare telefonicamente e farsi consegnare a domicilio. Quelli della nomenklatura non li si vedeva mai nei ristoranti ordinari a combattere per avere un tavolo o a subire le sgradevoli battute dei camerieri, che dicevano: «Se non le va, poteva starsene a casa»; avevano i loro propri ristoranti, e potevano anche andare in quelli riservati ai turisti occidentali. D'estate, quelli della nomenklatura non li si vedeva mai sulle spiagge pubbliche e sovraffollate di Bucarest. Essi andavano in zone balneari loro riservate, o avevano a loro disposizione per il fine settimana delle ville a Snagov, la stazione balneare a una quarantina di chilometri dalla capitale. Quelli della nomenklatura non passavano le vacanze stipati come sardine in stazioni balneari di stile sovietico; avevano le loro residenze estive. (pp. 165-166)
Da quando nel 1973 aveva incontrato Isabella Peron durante la visita di stato in Argentina, Elena era affascinata dalle donne dirigenti politiche. Quando Isabella era diventata presidente della repubblica argentina, l'avevo sentita mormorare: «Se ce l'ha fatta una puttana da night-club di Caracas, perché non potrebbe farcela una donna di scienza come me?» (p. 169)
Nello studio di Elena, solo leggermente più piccolo di quello di Ceausescu, sulla parete dietro la sua scrivania c'era il simbolo del partito comunista, invece che quello della Romania, e su quella di fronte, un ritratto a grandezza naturale di Ceausescu. Su una parete laterale, c'era uno scaffale con in bella mostra le opere complete del Compagno, rilegate in cuoio rosso, e diverse copie del "suo" libro di chimica. Sulla sua scrivania c'era solo una fotografia di Ceausescu in una cornice dorata: nessun documento, nessun altro incartamento. Elena detestava leggere. (p. 173)
Nulla spaventava maggiormente Ceausescu delle diserzioni. La divulgazione di qualche informazione segreta lo preoccupava relativamente. Come tutti i dirigenti degli altri paesi del blocco comunista, temeva soprattutto che dei funzionari che avevano avuto la fiducia del governo passassero in Occidente, e dicessero ciò che il comunismo era in realtà. (p. 183)
Dopo tredici anni di potere, egli considerava la Romania letteralmente come una proprietà privata sua e della sua famiglia. Il potere di sua moglie Elena era in continua ascesa, e nessuno in tutta la Romania poteva essere nominato a un posto di alto o di medio livello senza il suo consenso. I fratelli di Ceausescu, Ilie, Nicolae e Ion, controllavano le forze armate, il DIE, e l'agricoltura. Il fratello di Elena guidava l'Unione generale dei sindacati, che controllava tutta la popolazione attiva della Romania. Nicu, il figlio di Ceausescu e di Elena, era alla testa dell'Unione della gioventù comunista. E questo era solo l'inizio, perché non vi è sistema più suscettibile di nepotismo di quello comunista. (p. 184)
La sezione IV preparava tutto il materiale di disinformazione militare: dai falsi cartelli indicatori stradali da collocare intorno a importanti installazioni strategiche, alla mimetizzazione degli armamenti esibiti nelle parate per stupire gli addetti militari stranieri, fino al materiale più sofisticato. Ogni volta che il ministro della difesa presentava un importante piano militare a Ceausescu, la sezione IV gliene doveva sottoporre una versione falsificata. Le differenze con l'originale non dovevano essere rilevabili. Solo i dati strategici e tecnici più importanti venivano modificati, al fine di ingannare il nemico che fosse riuscito a procurarsi fraudolentemente il documento. Questa paranoia della segretezza era un prodotto diretto del Cremlino, e mi era stata succintamente esposta dal capo del Kgb Yuri Andropov l'ultima volta che lo avevo incontrato: «I segreti più sacri del blocco sovietico sono quelli militari, e la disinformazione è il modo migliore per proteggerli». (pp. 188-189)
Le cifre ufficiali delle spese militari del patto di Varsavia venivano decise dal Cremlino, ed erano poi formalmente approvate dai politburo dei partiti comunisti dei paesi membri. Quelle cifre erano ben lontane da quelle reali, e avevano solo un valore propagandistico e di disinformazione. Dovevano fondamentalmente fornire argomentazioni politiche ai partiti comunisti e ai movimenti pacifisti all'opposizione in Occidente, e mascherare il vero impegno militare dei paesi del patto di Varsavia alle analisi occidentali. I bilanci veri e non pubblicizzati erano assolutamente segreti, e solo pochissime persone avevano il diritto di conoscerli integralmente. (p. 198)
Create sul modello delle unità speciali sovietiche, le truppe della Securitate romena fin dal 1950 erano un corpo speciale distinto dalle tradizionali forze di terra, di mare e di cielo. Portavano un'uniforme speciale, erano soggette a un loro proprio regolamento, ed erano poste, per il tramite del Ministero degli interni, sotto l'autorità diretta del segretario generale del partito. Costituivano una forza militare d'élite, fortemente politicizzata (i commissari politici erano mediamente cinque volte di più che nelle unità regolari), erano meglio equipaggiate, godevano di migliori condizioni di vita, ed erano soggette a una disciplina molto più severa di quella cui erano sottoposte le altre unità militari romene. Il loro principale compito iniziale era stato quello di proteggere la sede del governo e le sedi centrali e regionali del partito, le stazioni radiofoniche e televisive nazionali contro eventuali oppositori che volessero impadronirsene per indirizzarsi alla popolazione. Ma dopo l'invasione sovietica della Cecoslovacchia del 1968, il loro compito prioritario era diventato quello di proteggere Ceausescu e la sua famiglia contro qualsiasi tentativo di colpo di stato, esterno o interno, incluso anche un eventuale colpo organizzato dai militari romeni. Col passare degli anni, il loro armamento leggero era stato rinforzato con artiglieria e blindati, e dal 1976 era anche stata costituita un'unità ultrasegreta per la guerra chimica e batteriologica. Nel 1978, il grosso delle loro forze non era più concentrato attorno alla sede del partito comunista, ma seguiva gli spostamenti di Ceausescu. Quando egli stava a Bucarest o a Snagov, stazionavano a Baneasa; quando passava le vacanze estive a Neptun, erano vicino al Mar Nero; quando in inverno andava a Predeal o a Sinaia, stavano nei Carpazi. (pp. 201-202)
Con gli anni, l'Athenee Palace era diventato teatro di una operazione spionistica di puro stile sovietico che era un vero e proprio capolavoro, e che era gestita congiuntamente dal servizio di controspionaggio della Securitate e dal DIE. Tutti i trecento dipendenti dell'albergo, dal primo dei dirigenti all'ultima donna delle pulizie, erano agenti dei servizi o informatori reclutati. Il direttore generale, Vintila, era un colonnello "coperto" del controspionaggio della Securitate. Il suo vice, Rebegila, era un colonnello "coperto" del DIE che aveva prestato servizio in diverse nostre stazioni estere. Gli impiegati dell'accettazione erano agenti e tecnici fotografici della Securitate, incaricati di fotografare i passaporti e di segnalare al servizio di controspionaggio o al DIE qualsiasi movimento di rilievo degli ospiti. Agenti della Securitate erano anche i portieri. Il personale delle pulizie apparteneva a una unità del DIE incaricata di fotografare ogni minimo scritto trovato nelle camere e nei bagagli degli ospiti. I centralinisti e la maggior parte dei camerieri e dei baristi erano agenti incaricati di fotografare i clienti. Le decine di eleganti e giovani donne che deambulavano per sale e saloni appartenevano a un vero e proprio esercito di mondane reclutate e tenute al guinzaglio dal servizio di controspionaggio della Securitate. Diversi "stranieri" che risiedevano nell'albergo e che erano registrati come visitatori occidentali, erano agenti clandestini del DIE. Una dozzina di cosiddetti "scrittori e artisti", pittorescamente addobbati di stravaganti cravatte e di berretti a basco, che si potevano incontrare seduti nelle sale a discutere animatamente di politica, con in mano un bicchiere di cognac o una tazzina di caffè turco, erano al soldo della Securitate. Microfoni elettronici erano piazzati in tutte le camere, nei corridoi, nei saloni, nei salottini, sui tavoli dei due ristoranti e del night-club, e nelle sale e saloni riservati alle riunioni private e alle conferenze. Tutte le conversazioni telefoniche interne venivano registrate, come pure quelle fatte dalle cabine telefoniche site nel raggio di mezzo chilometro intorno all'albergo. Telecamere a inquadratura fissa o mobile, occultate nei modi più diversi, erano pronte ad essere attivate in qualsiasi momento dentro l'albergo. All'esterno, telecamere a luminosità amplificata erano collegate permanentemente col servizio di sorveglianza della Securitate, che controllava anche gli oltre trenta taxisti che stazionavano nel parcheggio. (p. 219)
Ero abituato ad Andrei, dato che eravamo stati molte volte insieme al seguito di Ceausescu nei suoi numerosi viaggi all'estero. Cambiare più volte d'abito in un giorno era parte della sua routine quotidiana, e, per lui, farlo, era solo questione di qualche minuto. Quando eravamo in viaggio, Andrei spesso arrivava agli incontri mattutini con Ceausescu che ancora si abbottonava i pantaloni con una mano, e con l'altra si rasava. (p. 225)
Andrei era sempre di buon umore a stomaco pieno. Aveva un appetito insaziabile, ereditato dalla sua povera infanzia, e divorava indiscriminatamente tutto ciò che si trovava alla sua portata. Il gusto recente per i piatti esotici era solo un modo per esibire la sua nuova condizione di potere. (p. 226)
Andrei aveva una paura tremenda dei microfoni nascosti, soprattutto di quelli che venivano installati su ordine di Elena. Per lui era costante motivo di ginnastica mentale cercare dei posti che non fossero sotto probabile sorveglianza microfonica, dove poter parlare liberamente. (p. 227)
In tutti i paesi del blocco sovietico imperava una regola rigorosa, che proibiva di parlare di argomenti classificati segretissimi in auto quando ci si trovava in Occidente, si trattasse dell'auto dell'ambasciata, di quella della locale stazione del servizio segreto, o anche di un semplice taxi. Per dare maggiore forza a questa regola, il Kgb raccontava periodicamente storie di automobili delle ambasciate sovietiche nelle quali venivano scoperti dispositivi di sorveglianza di provenienza americana, senza però che ne facesse mai vedere qualcuno. (p. 229)
L'aria condizionata era uno dei miei più grandi incubi quando preparavo le visite di Ceausescu all'estero. Poco dopo essere asceso al potere, Ceausescu era ritornato da un viaggio a Mosca con una dolorosa laringite. Gheorghiu-Dej, il suo predecessore, era morto di un cancro alla gola che si era sviluppato rapidamente, e i cui primi sintomi si erano dolorosamente manifestati dopo che era ritornato da una vacanza in Unione Sovietica. Benché non lo abbia mai detto pubblicamente, tuttavia nella cerchia delle persone a lui più vicine, Ceausescu sostenne sempre di avere delle prove irrefutabili che il Cremlino aveva assassinato Gheorghiu-Dej a mezzo di radiazioni per punirlo della sua scarsa ortodossia verso Mosca. Perciò, ai primi mal di gola, Ceausescu era stato preso dal panico. Per diverse angoscianti settimane dottori di tutto il mondo erano stati portati a Bucarest. Infine, un anziano dottore tedesco occidentale di vecchia scuola, gli aveva detto seccamente: «Signore, lei parla troppo, e troppo forte, e le sue corde vocali sono terribilmente irritate». E gli aveva prescritto cose molto semplici: bere camomilla ed evitare le correnti d'aria, comprese quelle generate dai ventilatori e dai condizionatori. Dopo di che, tutti i ventilatori erano stati rimossi dalla sua residenza, e il sistema di aria condizionata dell'edificio del comitato centrale del partito era stato smantellato. Durante i suoi viaggi all'estero, specialmente in America del sud e del nord, incontravo difficoltà inenarrabili per far chiudere l'aria condizionata negli edifici che egli doveva visitare. Capitò spesso che il ministro degli esteri e gli altri dignitari che accompagnavano Ceausescu all'estero, dovessero passare la notte a tappare le bocche di aerazione o gli infissi delle finestre dopo che Ceausescu aveva sentito un'immaginaria corrente d'aria nella sua camera da letto. (pp. 236-237)
Gli abiti di Ceausescu erano da anni materia di stato prioritaria in Romania. La storia datava dal 1972. Ero a Cuba con Ceausescu, quando Castro gli rivelò che aveva appena scoperto un complotto della Cia per imbrattargli le scarpe con un veleno che lo doveva rendere glabro, e un Castro senza la barba non sarebbe stato più Castro! Qualche giorno dopo, Ceausescu decideva che non avrebbe mai più portato un abito più di una volta. Quello stesso anno, nell'ambito del Dipartimento V, che era il servizio di protezione personale di Ceausescu, venne organizzata una sezione speciale incaricata di confezionargli gli abiti. Dato che Ceausescu non percepiva stipendio, tutte le sue spese erano pagate a mezzo di due conti segreti, uno del comitato centrale del partito comunista, e l'altro della Securitate. In linea di massima, il partito pagava le spese di abitazione, e la Securitate tutto ciò che atteneva alla sua sicurezza, cibo e abiti compresi. (pp. 237-238)
Rispettare la verità storica non fu mai una preoccupazione di Ceausescu, ed egli manipolò sempre il passato perché si accordasse con la sua immagine presente. (p. 244)
Per Ceausescu, le lodi erano altrettanto importanti dell'aria che respirava. (p. 247)
Ceausescu considerava gli emigrati romeni sempre cittadini romeni che avrebbero dovuto obbedire agli ordini di Bucarest, indipendentemente dal fatto che avevano una nuova nazionalità. E allo stesso modo la pensavano i dirigenti degli altri paesi del blocco sovietico nei confronti dei loro emigrati nazionalizzatisi stranieri. (p. 258)
Dal 1965 Ceausescu era padrone assoluto della Romania. Il suo ritratto era esposto ovunque, molto di più di quanto non lo fossero mai stati quelli di Hitler e di Stalin. Le sue volontà diventavano legge con un semplice tratto di penna. Il suo esercito e le sue forze di sicurezza erano più repressive di quanto non lo fossero mai state quelle di Idi Amin Dada. Tutti i mezzi di informazione nazionali, dai giornalini per i ragazzi alla televisione, gli appartenevano più di quanto i giornali del gruppo Hearst non abbiano mai appartenuto allo stesso William Randolph Hearst. Scinteia, il quotidiano del partito comunista, dedicava ogni giorno due colonne di spalla della prima pagina a riferire ciò che Ceausescu aveva fatto il giorno prima, chi aveva incontrato, che cosa aveva detto, e anche il resto del giornale si componeva principalmente di articoli laudativi dei diversi aspetti della sua vita e del suo operato di dirigente. La radio e la televisione cominciavano e finivano le loro trasmissioni quotidiane glorificando «il figlio più amato e più stimato del popolo romeno». (pp. 263-264)
Elena si preoccupava sempre e solo dei fotografi, mai dei giornalisti, perché ai giornalisti, comunque, avrebbe poi detto lei che cosa scrivere. (p. 266)
Ceausescu si era ampiamente impregnato dello stile oratorio hitleriano. Così come i discorsi di Hitler, anche i discorsi più recenti di Ceausescu erano zeppi di wir muessen, di «dobbiamo fare», urlati agli ascoltatori ed enfatizzati con un'ampia e recisa gesticolazione e con pugni sul tavolo. Ma la similitudine più impressionante nello stile oratorio dei due uomini stava nel modo in cui anche Ceausescu mirava a far vibrare le corde nazionalistiche dei suoi ascoltatori. Così come Hitler batteva sempre sullo stesso tasto, continuamente ricordando ai tedeschi i loro antenati ariani e nibelunghi e proclamando un Reich millenario, anche Ceausescu in quasi tutti i suoi discorsi ricordava ai romeni i prodi guerrieri daci e romani loro antenati e la continuità storica bimillenaria della Romania. Le parole «sovranità», «indipendenza», «libertà» ricorrevano regolarmente nella propaganda del dittatore romeno, e richiamavano quello stesso senso di orgoglio nazionale ferito sentito dai tedeschi dopo la prima guerra mondiale, che aveva reso possibile a Hitler di arrivare al potere urlando la libertà della patria. Così come Hitler proclamava che Arbeit macht frei, che «il lavoro rende liberi», e faceva cinicamente apporre quel motto all'ingresso dei campi di concentramento di Auschwitz e di Dachau, anche Ceausescu ripeteva continuamente ai romeni che solo lavorando sempre più duramente si sarebbe potuta realizzare la libertà della Romania. (pp. 267-268)
Ceausescu, nel 1975, aveva ordinato al DIE di fare un inventario computerizzato di tutti gli emigrati romeni di prima e di seconda generazione, ordinati per paese di residenza, professione e luogo di lavoro. Era un progetto ambizioso, da realizzare sulla base degli archivi consolari, dei dati forniti dalla censura postale e dalle altre fonti di informazione. Ceausescu considerava tale inventario come un passo fondamentale verso la creazione della sua "quinta colonna", e aveva ordinato che fosse completato non oltre il limite di un piano quinquennale. (p. 271)
[Su Elena Ceaușescu] Lei non era come Ceausescu, che non stava mai fermo. Come vedeva una sedia, Elena vi si precipitava e vi si installava. E non era certo come un giocatore di poker che studia attentamente le carte che ha in mano e le cala lentamente. Elena voleva vedere tutto subito, e avere tutto subito. (p. 316)
[Su Elena Ceaușescu] Poiché al 1965, da quando suo marito era diventato il leader della Romania, non aveva più comperato nulla, Elena non aveva la più pallida idea del valore delle merci. Aveva, tuttavia, due principi base: in Romania i prezzi erano troppo bassi, e all'estero troppo alti. Ogni volta che acquistava un gioiello o una pelliccia in Occidente, dovevo prometterle solennemente che avrei fatto ridurre drasticamente il prezzo, perché non voleva che «i capitalisti si ingrassassero con i soldi comunisti». (p. 317)
[Sulla rivoluzione ungherese del 1956] I tre esponenti comunisti romeni che parteciparono a quell'incontro segreto del 1956 con Nikita Kruscev e Georgy Malenkov, incitarono unanimemente a un pronto e deciso intervento militare contro il governo di Imre Nagy. Seppi più tardi da Gheorghiu-Dej che Ceausescu aveva sostenuto calorosamente l'intervento militare, e che aveva reso noto con enfasi che la Romania aveva già cominciato a fornire armi e informazioni alle forze di sicurezza ungheresi di alcune delle zone di frontiera tra i due paesi, a fini di autodifesa contro il «virus controrivoluzionario». Da parte loro, Kruscev e Malenkov dissero ripetutamente che non bisognava internazionalizzare la crisi ungherese coinvolgendo altre truppe oltre quelle sovietiche che già stazionavano in Ungheria in applicazione degli accordi di Potsdam. (p. 338)
Il 4 novembre 1956, le truppe sovietiche attaccarono apertamente Budapest, e il 13 Imre Nagy si rifugiò nell'ambasciata jugoslava. Gheorghiu-Dej consentì alla richiesta confidenziale di Kruscev di collaborare ad attirare Nagy fuori dall'ambasciata jugoslava e di tenerlo segretamente agli arresti in Romania fino a che un nuovo governo ungherese non fosse stato insediato e non si fosse consolidato, e incaricò Ceausescu dell'operazione. Dopo che l'ambasciata romena gli ebbe garantito ufficialmente che in alcun modo sarebbe stato perseguito penalmente, Nagy consentì a essere portato in Romania, e fu condotto nella casa-appoggio del DIE custodita da Iosza, sita a circa 12 chilometri – donde il suo nome – a nord di Bucarest sull'autostrada per Ploesti, dove gli fu comunicato che si trovava in stato di arresto. Solo Gheorghiu-Dej e Ceausescu sapevano quali erano le intenzioni di Mosca al suo riguardo. (p. 339)
Il fatto era che senza proprietà privata, libera concorrenza e incentivazione personale, il blocco sovietico non era in grado di un reale progresso tecnologico. Tuttavia, i paesi del blocco sovietico davano prova di grande abilità nel procurarsi, copiandole o rubandole, le tecnologie occidentali. (p. 371)
Explicit
Dopo la diserzione del generale Ion Mihail Pacepa nel 1978, Ceausescu non fu più invitato a mettere piede negli Stati Uniti. Il governo degli Stati Uniti, comunque, continuò a rinnovare lo status di nazione commercialmente privilegiata alla Romania, accordando così al regime di Bucarest un significativo sostegno finanziario e un non meno significativo sostegno politico. Grazie all'operazione "Orizzonte", e ad altre simili operazioni di influenza, Ceausescu poté continuare decisamente nella trasformazione della Romania in un eccezionale monumento al marxismo e a se stesso, simbolicamente espresso nella scritta che campeggiava all'ingresso della Fiera internazionale di Bucarest del 1986: «L'epoca d'oro – L'epoca di Nicolae Ceausescu».
L'effetto della defezione di Pacepa sullo stato mentale di Ceaușescu fu di destabilizzarlo ancora di più. Divenne un po' pazzo per qualche tempo e soffrì un ulteriore, permanente perdita di proporzione. Qualunque talento rimanesse nella sua cerchia fu rimosso nella caccia alle streghe che seguì alla defezione. (John Sweeney)
Orizzonti rossi non è meglio del gossip di un poliziotto segreto di Bucarest: squallido, noiosamente pornografico, intrusivo, moralmente ripugnante, incoerente eppure infinitamente affascinante. Ceaușescu viene rappresentato come un paranoico portato ad abusare del proprio potere, profondamente disonesto che, inoltre, bara a scacchi. Elena ne esce fuori peggio, se possibile, come una cretina dissoluta e irascibile. [...] Magari Orizzonti rossi è un'opera copia-incolla di un ghostwriter anonimo, approvato dalla Cia. Il materiale grezzo si legge come le trascrizioni tradotte degli interrogatori di Pacepa in romeno da parte dei suoi ufficiali di riferimento della Cia immediatamente dopo la sua defezione. Pacepa spesso cita brani dei vecchi discorsi di Ceaușescu, liberamente disponibili nelle ambasciate romene e nelle biblioteche occidentali, come "conversazioni ricordate"; ogni tanto cita pure il testo di decreti romeni come sgorgati dalla bocca di Ceaușescu. (John Sweeney)
Ion Mihai Pacepa, Orizzonti rossi. Memorie di un capo delle spie comuniste. La vera storia della vita e dei crimini di Elena e Nicolae Ceausescu, traduzione di Antonio Pitamitz, L'Editore, 1991. ISBN 88-7165-065-4