economista statunitense Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Henry George (1839 – 1897), economista, politico e scrittore statunitense.
L'intelligenza che si invoca per la soluzione dei problemi sociali non è la facoltà meramente intellettuale. Animati dai più puri sentimenti religiosi e dalla più disinteressata simpatia per le sofferenze umane, conviene elevarsi oltre il proprio interesse individuale, giacché qui non c'è il solo interesse di pochi, ma v'è l'interesse di tutti; fa d'uopo inaugurare il regno della giustizia, perché al fondo di ogni problema sociale esiste un torto sociale da raddrizzare.[1]
Il secolo XIX fu contrassegnato da un aumento prodigioso della potenza produttrice di ricchezza. L'impiego del vapore e della elettricità, la introduzione di processi perfezionati e di macchine economizzatrici del lavoro, la maggior suddivisione e la più vasta scala della produzione, le meravigliose facilitazioni degli scambi, hanno enormemente moltiplicato la efficacia del lavoro.
Citazioni
Voglio dire che la tendenza, che noi chiamiamo progresso materiale, non migliorerà in alcun modo la condizione delle classi inferiori per ciò che riguarda le condizioni essenziali di una vita sana e felice, che anzi la renderà sempre più disgraziata. Le nuove forze, per quanta possa essere la loro azione elevatrice, non agiscono punto, come per lungo tempo si è sperato e creduto, alla base della società, bensì su un punto intermedio fra la base e il vertice. Gli è come se un immenso cuneo fosse introdotto, non sotto la società, ma a traverso di essa: quelli che sono al disopra del punto di separazione vengono elevati, ma quelli che sono al disotto ne sono schiacciati. (Introduzione, p. 319)
Infino a tanto che l'aumento di ricchezza, che il moderno progresso seco adduce, non servirà che a far sorgere grandi fortune, ad aumentare il lusso, a rendere più stridente il contrasto fra la casa del ricco e il tugurio del povero, il progresso non sarà reale e non potrà durare. (Introduzione, p. 319)
Invero, l'economia politica non è un complesso di dogmi, bensì la spiegazione di un complesso di fatti. Essa è la scienza, che nella successione di certi fenomeni cerca di scoprire mutui rapporti, d'identificare la causa e l'effetto, precisamente come fanno per altri ordini di fenomeni le scienze fisiche. Essa getta le sue basi su un terreno solido. Le premesse, da cui essa trae le sue deduzioni, sono verità, che hanno la più alta sanzione, assiomi che noi tutti ammettiamo, sui quali fondiamo con piena sicurezza i nostri ragionamenti e gli atti della nostra vita d'ogni giorno e che si possono ridurre all'espressione metafisica della legge fisica che il movimento cerca sempre la linea di minor resistenza, cioè, che gli uomini cercano di soddisfare i loro desideri col minor sforzo possibile. Partendo da una base così sicura, i suoi processi, che consistono semplicemente nella identificazione e nella analisi, hanno la stessa certezza. In questo senso la economia politica è una scienza così esatta come la geometria, la quale da verità similari relative allo spazio trae conclusioni con mezzi similari e le sue conclusioni, se giuste, dovrebbero essere come evidenti in se stesse. E sebbene nel campo della economia politica noi non possiamo, come si può in altre scienze, mettere alla riprova le nostre teorie mediante condizioni o combinazioni artificialmente prodotte, a riprove non meno conchiudenti noi possiamo sottoporle col paragonare fra loro società poste in condizioni diverse; finalmente, noi possiamo ancora, idealmente, separare, combinare, aggiungere od eliminare forze o fattori operanti in una direzione nota. (Introduzione, pp. 320-21)
Al di fuori e al di sopra della natura, in sé e al di sopra di sé, spingendo l'occhio indietro attraverso le nebbie che avviluppano il passato e avanti, attraverso le ombre che cuoprono l'avvenire, l'uomo è senza posa tormentato da altri desideri, mentre i bisogni dei bruti si acquetano nel soddisfacimento. Dietro alle cose ei cerca la legge che le governa; ei vorrebbe sapere come fu formato il mondo, come sospese le stelle e scuoprire le fonti della vita. Allora, quando l'uomo ha sviluppato la nobiltà della sua natura, nasce in lui un desiderio più alto ancora, la passione delle passioni, la speranza delle speranze: il desiderio di potere, lui, uomo, concorrere in qualche modo a rendere migliore e più bella la vita col distrurre la miseria, il male, le onte, i dolori. Ei doma e si fa schiavo l'animale, volge le spalle al festino e rinuncia al potere, lascia ad altri la cura di accumulare ricchezze, di soddisfare gusti delicati, di scaldarsi al sole di questo giorno così breve. Ei lavora per quelli che non ha mai visto e non potrà veder mai, per acquistar gloria, od anche solo perché gli si renda giustizia; gloria e giustizia che non gli verranno se non assai dopo che le zolle della sua fossa saranno cadute sul coperchio del suo feretro. Ei lavora nella solitudine, dove è freddo, dove poco è il plauso degli uomini e pungenti le pietre e intricati i rovi. In mezzo agli scherni dei contemporanei ed ai sogghigni che feriscono come colpi di coltello, ei lavora per l'avvenire; egli apre il sentiero che l'umanità, nel suo progresso, allargherà a via maestra. A sempre più eccelse e larghe sfere sale il desiderio, ed una stella, sorta all'Oriente, lo guida. I polsi dell'uomo battono col cuore di Dio; ei vorrebbe aiutare a governare i mondi. Non è questo troppo profondo abisso, perché l'analogia possa colmarlo? Date maggior alimento, assicurate in modo più pieno le condizioni della vita, i vegetali e gli animali non faranno che moltiplicare, l'uomo si svilupperà. In quelli la forza espansiva non può che dare l'esistenza ad un maggior numero di individui; in questo tende ineluttabilmente a sviluppare la vita in forme più nobili e con facoltà più elevate. L'uomo è un animale, più qualche cosa d'altro. È il mistico albero terrestre, le cui radici si sprofondano nel suolo, ma i cui rami più eccelsi possono fiorire nei cieli. (lib. II, cap. III, p. 394)
Le leggi della natura sono i decreti del Creatore. Non è scritto in esse il riconoscimento di nessun altro diritto, tranne quello del lavoro; ma in esse è scritto a grandi e chiare lettere il diritto eguale per tutti gli uomini a servirsi ed a godere della natura, ad esercitare su di essa la propria attività, a ricevere da essa ed a possedere la ricompensa del proprio lavoro. (lib. VII, cap. I, p. 512)
Il diritto eguale degli uomini all'uso della terra è altrettanto chiaro, quanto il loro diritto eguale a respirar l'aria; è un diritto proclamato dal fatto stesso della loro esistenza. Imperocché, noi non possiamo supporre che alcuni abbiano diritto di stare a questo mondo ed altri no. (lib. VII, cap. I, p. 513)
Come nel regno delle api la semplice ape operaia è, al bisogno, trasformata in regina, similmente, se le circostanze favoriscono il suo sviluppo, quegli, che altrimenti sarebbe stato non altro che un uomo comune, può diventare un eroe o un capo, un inventore o un dotto, un savio o un santo. Il seminatore ha così largamente profuso la semente e la potenza germinativa è tale, che per forza debbon svolgersi germogli e fiori. Ma per uno che raggiunge il suo sviluppo completo, quanti non sono soffocati o deformati! (lib. IX, cap. IV, p. 590)
La verità, che ho tentato di render chiara, non sarà facilmente accettata; ché altrimenti sarebbe stata accettata da tempo o piuttosto non sarebbe stata oscurata mai. Ma essa troverà amici, troverà chi sarà presto a lavorare per essa, a soffrire per essa ed anche, se necessario, a dare per essa la vita. Ché tale è la potenza della verità. [epitaffio][2] (Conclusione, p. 639)
Le anime degli uomini, rivestite quaggiù di corpo e di passioni, non comunicano con Dio che per la concezione, che esse possono asseguire per mezzo della filosofia come in un vago sogno. Ma quando sono sciolte dal loro corpo e assunte alla regione ignota, invisibile e pura, Dio è allora il loro capo e il loro re; là esse aderiscono intieramente a Lui, lo contemplano senza stancarsi ed amano appassionatamente quella bellezza, che non può essere espressa dagli uomini.
E ricordò con esattezza le tesi fondamentali di Henry George e il suo entusiasmo per lui, e si stupì di aver potuto dimenticare tutto ciò. – La terra non può essere oggetto di proprietà, non può essere oggetto di compravendita, come l'acqua, come l'aria, come i raggi del sole. Tutti hanno un uguale diritto sulla terra e su tutti i vantaggi che essa offre agli uomini. (Lev Tolstoj)
↑ Da Problemi sociali, cap. I; citato in Eva Amendola Kühn, Henry George e il movimento dei riformatori fondiari, in Nuova antologia, gennaio-febbraio 1913, p. 278.
Henry George, Progresso e povertà, traduzione di Ludovico Eusebio, in Biblioteca dell'economista, serie terza, volume nono, parte terza, Unione tipografico-editrice, Torino, 1891.