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giornalista, saggista e scrittore italiano (1935-2020) Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Giampaolo Pansa (1935 – 2020), giornalista, scrittore e storico italiano.
Non me l'aspettavo, il guaio che mi capitò a Reggio Emilia. Nel corso degli anni avevo presentato in pubblico decine e decine di libri, miei e di altri. E non mi era mai successo, proprio mai, di essere aggredito: per nessun motivo, tanto meno per ragioni di ostilità politica.
Eravamo ingenui.
Ingenui e prigionieri di un mito e di un sogno.
Il mito dei freschi inchiostri all'alba.
Il sogno di cominciare "il mestiere" dentro un grande giornale.
Una domenica del gennaio 2011 telefonai a Livia Bianchi. I miei lettori si ricorderanno certo di lei: la bibliotecaria di Firenze che mi aveva affiancato nella ricerca per i libri sulla guerra civile. A cominciare dal primo, Il sangue dei vinti, fino all'ultimo uscito nel 2010, I vinti non dimenticano. Livia conosceva tutto di me, tranne l'impresa che avevo appena concluso.
Le chiesi: «Cara Livia, prima di tutto come sta?».
«Molto bene» rispose, allegra. «Ma non credo che lei mi abbia telefonato per sapere come sto. Non lo vedo il Pansa che mi cerca senza un secondo fine. Ha in mente qualche altro libro da scrivere e vuole di nuovo il mio aiuto?»
«No, non ho in programma nessun libro. Per il semplice motivo che l'ho già scritto. E da solo.»
«Infame! Quello lì è davvero un infame. Se lo incontro, lo prendo a schiaffi!»
Era stravolto, Bettino Craxi. Era gonfio d'ira. La lettura di qualche giornale, fogliacci zeppi di cronacacce sul suo discorso d'apertura del 46° Congresso socialista a Bari, l'aveva fatto uscire dai gangheri. E adesso, la mattina di venerdì 28 giugno 1991, tornato sul palco, il padre-padrone del Psi si sfogava. A un inviato del Manifesto ringhiò: «Avete scritto che Craxi è nudo... Ricordatevi: chi semina vento, raccoglie tempesta». L'infame, invece, quello da prendere a schiaffi, ero io, il Pansa di Repubblica.
Mia nonna Caterina non era comunista.
E canticchiava, beffarda: «Bandiera rossa la trionferà / sui cessi pubblici della città».
La nonna non era neppure democristiana.
I preti non le piacevano, andava d'accordo soltanto con i frati francescani di un convento vicino.
Li vedeva girare in sandali e senza calze, anche d'inverno.
E questo li faceva sembrare poveri, com'era stata sempre lei.
Era una bella donna sui quarant'anni, alta, più cicciosa che asciutta, capelli neri sciolti sulle spalle. Vestiva un abito intero, di colore scuro, che le disegnava con malizia le forme. Il viso era dominato da un naso sottile, lungo nel modo giusto. E da due occhi che ti scrutavano con un'espressione cortese, quasi dolce.
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