giornalista, saggista e scrittore italiano (1935-2020) Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Giampaolo Pansa (1935 – 2020), giornalista, scrittore e storico italiano.
C'è un De Mita timido. E anche un De Mita scontroso. E poi introverso. E non facile al rapporto col prossimo. E talvolta sospettoso, molto sospettoso. [...] Uno che non si plasma su chi gli sta di fronte per averne il consenso, ma che ama parlar chiaro e ti dice in faccia quello che pensa. Insomma, un duro. Furbo e duro. E qualche volta cattivo.[1]
Con la tua partenza, quel mondo è finito del tutto. Da una settimana cerco di non pensare che tu, caro Alessandro, te ne sei andato chissà dove. E ti confesso che ho il terrore di sognarti. Però, mio bel fieu, mio bel ragazzo, ti accoglierò sempre a braccia aperte. [...] Ti voglio bene. Giampaolo, il tuo papà.[2]
Giorgio Bocca può essere raccontato anche in poche parole. Il suo è stato un grande giornalismo, ma anche una grande faziosità e anche grandi errori. Abbiamo lavorato insieme negli stessi giornali, a cominciare dal Giorno per concludere, poi, tanti anni a Repubblica, L'Espresso, ma non siamo mai stati amici. Bocca era un tipo d'uomo complesso: non amava avere concorrenti e neppure contraddittori. Abbiamo combattuto molte guerre uno contro l'altro, inutile rievocarle. Oggi Giorgio è scomparso. Non so se mancherà all'Italia come dice qualcuno dei suoi colleghi di Repubblica, però certamente lascerà un vuoto... che io, però, non rimpiango.[3]
La [sconfitta] più dura emerse nel 2014 quando il governo di Matteo Renzi, insediato da qualche settimana, mandò via i capi di tutte le aziende partecipate dallo Stato. In quel momento eri l'amministratore delegato della grande Finmeccanica. Conoscevi tutto di quel gruppo poiché ci lavoravi da 12 anni, salendo gradino dopo gradino. E, insieme a un gruppo ristretto di giovani dirigenti, ne avevi retto il timone con mani salde. Con me non parlavi mai della tua caduta, ma avvertivo l'amarezza mista a rabbia.[2]
La sinistra ha sempre raccontato balle, a partire dall'invasione dell'Ungheria passando per la campagna del Fronte popolare. Tutti i partiti mentono, ma qualcuno di più. Il Pci però ha sempre mentito.[4]
Governo gialloverde? Non è un banale governo di centrodestra, ma un governo di terroristi. Un governo terrorista che vuole sfasciare tutto, fare piazza pulita dell'Italia e della sua democrazia. Noi siamo sull'orlo di un baratro.[5]
[Se aspettavi ancora un po' a scrivere, tutto sarebbe sparito, qualcuno dice che è meglio l'oblio...] Guai, guai. Che si vive a fare se si rinuncia alla verità? La storia di un Paese è fatta di coloro che hanno combattuto guerre sbagliate, cercato traguardi assurdi. Occorre accettare questo, e onorare chi ha sofferto, non per forza condividerne la memoria, ma accettarla, darle cittadinanza. [...] Da sinistra si tira fuori sempre questo antifascismo. Berlusconi come Mussolini, lo Stato autoritario imposto da Mediaset... Balle sovrane. Da destra, fate voi la riflessione. Bisognerebbe ricominciare da questo riconoscimento reciproco del diritto pubblico alla propria memoria.[6]
Le parole possono trasformarsi in pietre, le pietre in pallottole. È già accaduto, l'Italia è stata per quasi vent'anni prigioniera del terrorismo. È un pericolo che può ripresentarsi e non vorrei che Grillo, anche contro i suoi progetti ed i suoi programmi, diventi il veicolo per questo male terribile.[7]
Qualcuno ha detto di Mattarella: in politica è tenacissimo e insistente, come la goccia che cade.[8]
Quando sento Grillo urlare, italiani, mi viene il gelo nel sangue, perché mi ricorda qualcuno che strillava la stessa parola con la stessa enfasi da un balcone di Palazzo Venezia.[7]
[Su Mario Capanna] Un leader, insomma, della contestazione: senza le briglia, ma anche senza le difese degli apparati di partito, costretto sempre ad essere in prima fila, a sbagliare e a pagare di persona.[9]
[Ad Angelo D'Orsi che gli contestava l'assenza di qualsiasi nota nei suoi testi revisionistici del fascismo] Tu vendi 2 000 copie e io 400 000... vuoi anche le note?[10]
Il bestiario
[Fabio Fazio] Anche lui è rosso, un ciliegione che non ha eguali neppure nella vermiglia Rai Tre. Però ama interpretare il ruolo opposto. Quello dell'abatino innocente senza parrocchia, amico di tutti e nemico di nessuno. In realtà, nella Rai odierna frantumata in sultanati, non c'è nessuno più fazioso di lui. Ha la manina avvolta nel velluto grigio, ma dentro vi nasconde lo stiletto avvelenato. È con questa lama che Fazio pratica una censura inflessibile. [...] Fazio aveva invitato Pietro Ingrao [...]. In preda a vuoto di memoria, il vecchio capo comunista sostenne che il Pci aveva preso aspre distanze dall'invasione sovietica dell'Ungheria, nel 1956. Un falso totale, come ci insegna la storia. Ma Fazio, e il pubblico invitato, si guardarono bene dall'obiettare. Nemmeno un mormorio, un colpo di tosse, un'occhiata di sbieco. Come mai? Edmondo Berselli, un intellettuale libero scomparso da poco, lo spiegò così sull'Espresso: «Perché in quel momento si stava celebrando l'apoteosi senescente, ma non senile, di un comunismo impossibile, l'utopia, il grande sogno, l'assalto al cielo. E quindi tanto peggio per i fatti, se i fatti interrompono le emozioni». A Fazio la verità dei fatti non interessa. Soprattutto quando traccia un quadro della storia e della realtà italiana che fa a pugni con il suo ristretto orizzonte politico.[11]
In Rai la satira è vietata, tranne nei casi che sia diretta contro il Caimano, odiato dai sultani rossi. Costoro sono i padroni dei tanti talk show in mano alla sinistra guerrigliera. Quelli che con i soldi pubblici, le tasse e il canone pagati dai noi contribuenti fessi, si sono dati una missione fanatica: spedire all'inferno Berlusconi e il centrodestra. [...] Sanno di avere alle spalle un pubblico militante e lo eccitano in molti modi. [...] Questi si muovono come i khmer rossi nella Cambogia di Pol Pot. Non tagliano la testa agli avversari, però attaccano con la stessa rapida sfrontatezza, provocano il nemico, assaltano a sorpresa. "Vieni via con me" è l'esempio più chiaro di questa tattica. [...] La vicenda è un esempio di quale paese sia diventato l'Italia. Una babele dove a comandare sono soltanto i distruttori. Mentre la Casta si riempie la bocca con la parola "legalità" e al tempo stesso ne fa scempio. Come il Fini doppiolavorista. Lui avrà il bacio di Fazio e di Saviano, pur essendo incollato a una poltrona che non merita più.[12]
Mi ha indignato, e spaventato, l'assalto al Senato, che ha visto una squadra di incappucciati superare il primo ingresso. Il Senato, come la Camera, è di tutti gli italiani. E mi dà sgomento la domanda della Jena apparsa giovedì sulla Stampa. Diceva: «Bisogna rispettare il Senato. Anche se c'è Schifani?». Basta un dettaglio, ben poco ironico, per intuire che la sinistra non sta più scherzando con il fuoco, bensì con il morto.[13]
L'odierno movimento di piazza non è per niente roba di studenti. È la sommossa di un'altra Casta: quella dei baroni e dei ricercatori universitari. Non vogliono perdere i loro privilegi, tanti per i primi e pochi per i secondi. È questo che gli importa, non lo stato comatoso dell'università italiana.[13]
Non esistono ragioni che tengano di fronte a un caos che ha un chiarissimo obiettivo politico: far cadere il governo Berlusconi. Forse non sarà un'impresa difficile, visto lo stato comatoso dell'esecutivo. Ma l'eventuale successo non cancellerà l'ipocrisia di troppi media. Giornali e tivù stanno per lo più dalla parte dei cortei.[13]
[Il quotidiano la Repubblica] Un foglio guerrigliero che ogni giorno scende in battaglia per distruggere Berlusconi.[13]
[Il telegiornale Skytg24] È malato di settarismo anti-Cav. Mi sembra diventato la Telekabul di Murdoch. Un gemello del Tg3, il telegiornale rosso della Rai. Strano? Mica tanto. Il proprietario di Sky, l'australiano Rupert Murdoch, lo Squalo, non ama per niente Berlusconi. E da che mondo è mondo, l'asino va sempre legato dove vuole il padrone. Soprattutto se è un asino televisivo.[13]
Gianfranco Fini, il camaleonte più sorprendente dello zoo partitico nazionale. Lui doveva tutto a Berlusconi, a cominciare dall'uscita dal ghetto post-fascista. Eppure ha cercato di ucciderlo. Con una guerriglia continua, iniziata subito dopo l'ingresso nel Popolo della libertà. È inutile che gli scudieri finiani ripetano di continuo che Gianfry è stato espulso dal Berlusca. Gli italiani non sono fessi.[14]
Siamo abituati a dire che bisogna difendersi nei processi e non dai processi. Eppure vorrei vedere come si comporterebbero i tanti politici che predicano così.[14]
Siamo un popolo di formiche, pazienti e laboriose. Eppure è da saggi non dimenticare il vecchio adagio: talvolta anche le formiche, nel loro piccolo, s'incazzano.[14]
Ho imparato che i giudici non vanno criticati. Sono un potere molto forte e geloso della propria autonomia.[15]
Non me l'aspettavo, il guaio che mi capitò a Reggio Emilia. Nel corso degli anni avevo presentato in pubblico decine e decine di libri, miei e di altri. E non mi era mai successo, proprio mai, di essere aggredito: per nessun motivo, tanto meno per ragioni di ostilità politica.
Citazioni
Come si muove un gendarme? Quando s'imbatte in qualcuno che infrange la legge, lo acchiappa e lo schiaffa in guardina. Perché non osi più disobbedire alla norma. Si comportano così anche i Gendarmi della Memoria. Loro si sentono gli unici custodi del solo racconto autorizzato e legittimo del conflitto interno che insanguinò l'Italia fra l'autunno del 1943 e l'aprile 1945. Per poi sfociare in una dura resa dei conti sui fascisti sconfitti. E tutto ciò che contraddice il racconto da loro difeso deve essere smentito. O, meglio, ancora, taciuto, ignorato, cancellato. (p. VII)
È indubbio che senza il PCI non ci sarebbe stata nessuna guerra partigiana. E la Resistenza si sarebbe rivelata un'impresa modesta. Ma con il PCI la guerra di liberazione è diventata anche una guerra rivoluzionaria, per la conquista del potere in Italia. E questo progetto eversivo ha autorizzato un succedersi di errori, di menzogne, di intrighi, di soprusi, di delitti e di misteri: tutta robaccia occultata da una storiografia succube degli interessi di quel partito. (p. IX)
L'Italia di questi tempi non è più un Paese normale. Nei paesi normali, violenze come quelle commesse contro la libreria di Bassano [le serrature dei tre ingressi erano state sabotate e bloccate] non accadono. E se capitano, di solito vengono sanzionate in modo severo. Come merita chi si arroga il diritto di fare di tutto, in nome di una perversione totalitaria che l'autorizza a essere prepotente con chi la pensa in modo diverso. Ma da noi la regola numero uno, quella che recita: chi offende va punito, non si applica quasi più. (pp. 54-55)
In molte bande partigiane rosse emerse il proposito di sopprimere esponenti dei partiti del fronte resistenziale. Per un motivo che si presta a pochi dubbi: chi non era comunista, ma era attivo in partiti come la DC, per esempio, poteva diventare un nuovo avversario. E questo nuovo nemico si sarebbe di certo opposto alla strategia rivoluzionaria del PCI e al suo disegno di conquistare il potere nell'Italia appena liberata. Si trattava, dunque, di delitti politici mirati. Diretti a terrorizzare gli avversari interni all'alleanza antifascista e ad annientarne la capacità di resistere ai progetti dei comunisti. (pp. 200-201)
[Secondo la sinistra] Il revisionismo è pericoloso quanto il cianuro. Ma se è la sinistra a praticarlo, diventa un'aspirina che bisogna ingoiare perché ci regalerà soltanto la buona salute. Questo è il revisionismo fasullo dei soliti noti. Di sicuro non ha vinto. E non credo che vincerà mai. (p. 328)
Un amico mi ha domandato: «Hai dei rimpianti?». Ho risposto: «Assolutamente no. Anche perché ho scoperto un'umanità che non conoscevo[16]. In più ho capito qual è la malattia che mina la Quercia». Il male, per me non più oscuro, è la paura di dover riflettere su se stessi e di rileggere la propria storia politica. E, di conseguenza, il rifiuto di discutere con chi ti obbliga a scoprire le carte e a smettere un gioco reticente e pavido. (p. 342)
Istria, Dalmazia, Fiume, Pola, Zara, l'esodo dei 300 000 che non volevano vivere sotto Tito, il loro arrivo in Italia tra gli insulti e gli sputi degli attivisti organizzati dal PCI… Di queste tragedie è inutile parlare ai gendarmi della memoria. Loro danno il via libera soltanto ai ricordi che gli fanno comodo. Invece, la memoria che li mette in difficoltà preferiscono tenerla sotto chiave nella guardina del silenzio, zittirla, fingere che non esista. (p. 365)
Eravamo ingenui.
Ingenui e prigionieri di un mito e di un sogno.
Il mito dei freschi inchiostri all'alba.
Il sogno di cominciare "il mestiere" dentro un grande giornale.
Citazioni
Questo vale per i giornalisti giovani. Non per tutti, certo, ma per molti sì. Sono ignoranti. Magari intelligenti, ma ignoranti. Nel senso che la scuola di questi anni gli ha insegnato poco. E da soli hanno imparato anche di meno. (p. 28)
Ah, il giornalismo obiettivo! Quante fregature abbiamo dato al lettore sventolando questa bandiera fantasma. (p. 49)
Non tutti i giornalisti italiani mentono. Ma una parte di noi, in epoche diverse, ha sempre mentito. Abbiamo mentito per conto del padrone del giornale, soprattutto quando l'interesse numero uno del padrone non era quello di vender notizie. Abbiamo mentito per riguardo al potere politico dominante. Abbiamo mentito per favorire l'opposizione. (p. 51)
Carta straccia
Una domenica del gennaio 2011 telefonai a Livia Bianchi. I miei lettori si ricorderanno certo di lei: la bibliotecaria di Firenze che mi aveva affiancato nella ricerca per i libri sulla guerra civile. A cominciare dal primo, Il sangue dei vinti, fino all'ultimo uscito nel 2010, I vinti non dimenticano. Livia conosceva tutto di me, tranne l'impresa che avevo appena concluso.
Le chiesi: «Cara Livia, prima di tutto come sta?».
«Molto bene» rispose, allegra. «Ma non credo che lei mi abbia telefonato per sapere come sto. Non lo vedo il Pansa che mi cerca senza un secondo fine. Ha in mente qualche altro libro da scrivere e vuole di nuovo il mio aiuto?»
«No, non ho in programma nessun libro. Per il semplice motivo che l'ho già scritto. E da solo.»
I bugiardi
«Infame! Quello lì è davvero un infame. Se lo incontro, lo prendo a schiaffi!»
Era stravolto, Bettino Craxi. Era gonfio d'ira. La lettura di qualche giornale, fogliacci zeppi di cronacacce sul suo discorso d'apertura del 46° Congresso socialista a Bari, l'aveva fatto uscire dai gangheri. E adesso, la mattina di venerdì 28 giugno 1991, tornato sul palco, il padre-padrone del Psi si sfogava. A un inviato del Manifesto ringhiò: «Avete scritto che Craxi è nudo... Ricordatevi: chi semina vento, raccoglie tempesta». L'infame, invece, quello da prendere a schiaffi, ero io, il Pansa di Repubblica.
Il revisionista
Mia nonna Caterina non era comunista.
E canticchiava, beffarda: «Bandiera rossa la trionferà / sui cessi pubblici della città».
La nonna non era neppure democristiana.
I preti non le piacevano, andava d'accordo soltanto con i frati francescani di un convento vicino.
Li vedeva girare in sandali e senza calze, anche d'inverno.
E questo li faceva sembrare poveri, com'era stata sempre lei.
Il sangue dei vinti
Era una bella donna sui quarant'anni, alta, più cicciosa che asciutta, capelli neri sciolti sulle spalle. Vestiva un abito intero, di colore scuro, che le disegnava con malizia le forme. Il viso era dominato da un naso sottile, lungo nel modo giusto. E da due occhi che ti scrutavano con un'espressione cortese, quasi dolce.
Allora, io devo confessare che i libri di Giampaolo Pansa non li ho mica letti tutti e a fondo perché mi prende un rigurgito a prendere in mano quei libri, tuttavia so più o meno come vengono vissuti da quelli che li leggono. Noi non possiamo essere nella testa di Giampaolo Pansa e quindi non possiamo sapere se quest'uomo, che era stato di sinistra, a un certo punto ha avuto una conversione e davvero si è detto: i vinti meritano di essere ricordati... è stata fatta un'ingiustizia in Italia... Se non si è reso conto dell'effetto che stava provocando con i suoi libri, o se se ne è reso conto ma è cinicamente andato avanti perché gli rendevano un sacco di soldi. Noi questo non possiamo più dirlo; certamente i libri sono spregevoli, non perché possano contenere delle inesattezze [...]. Ma non mi stupirei per niente neanche se questi libri riportassero soltanto episodi autentici, perché si sa da sempre in Italia che ovviamente nella Resistenza è potuto succedere di tutto. Son cose che già negli anni '50 i fascisti, che per inciso erano perfettamente liberi in democrazia di pubblicare libri in cui raccontavano queste cose, per cui queste cose le sapevano già tutti anche prima. [...] Dopodiché appunto, episodi drammatici? Tragici? Crimini? Crimini dei partigiani con l'autorizzazione delle autorità alleate, che in genere dicevano ai partigiani "Fate pulizia"? Chi può dire non importa? Certo che è sempre una tragedia, però appunto se andiamo a vedere i crimini che hanno commesso i liberatori allora? Gli eserciti che risalivano la penisola ne hanno commesso di crimini, contro la popolazione civile, contro i prigionieri di guerra... Fin da quando sono sbarcati in Sicilia, e tuttavia le popolazioni delle città italiane li accoglievano festanti, felici che fossero arrivati. Quindi appunto, il problema è che di singoli episodi se ne potranno sempre trovare in qualunque contesto per mettere in buona o cattiva luce chiunque: quello che conta è chi stava dalla parte giusta e chi stava dalla parte sbagliata. E io sfido chiunque oggi arriccia il naso davanti ai partigiani o ha i libri di Pansa sullo scaffale in bella vista a dire: "Ma tu avresti preferito che vincessero quegli altri? Ma tu vorresti vivere in un mondo in cui avrebbe vinto Hitler? E in cui le camere a gas avrebbero continuato a funzionare? Davvero?". Se tu me lo dici sinceramente mi sta bene, d'accordo. Ma io voglio vedere quali lettori dei libri di Pansa risponderebbero sì a questa domanda. (Alessandro Barbero)
Leggeva tutti i pezzi dalla prima all'ultima riga e ci urlava dietro: analfabeti, somari, ignoranti. Si placava a tarda sera, quando telefonava in Piemonte alla moglie, al figlio e al cane Muso. [Al cane?] Con i familiari era di poche parole, ripeteva sempre: "Dai, passami Muso!" (Laura Laurenzi)
↑ Da De Mita è bello perché è vario, L'Espresso, 20 giugno 1982.
1 2 Dalla lettera al figlio Alessandro, pubblicata nel quotidiano La verità. Citato in:
↑ Durante il programma televisivo TG2, Rai 2, in ricordo di Giorgio Bocca il giorno dopo la sua morte, 26 dicembre 2011. Citato in News.centrodiascolto.it.