regista e sceneggiatore italiano (1945-) Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Gianni Amelio (1945 – vivente), regista e sceneggiatore italiano.
Alla mia età sarebbe un po' tardivo, forse ridicolo. Altri dovrebbero essere i coming out davvero importanti, di chi froda il fisco per esempio, di chi usa la politica per arricchirsi. Comunque credo che chi ha una vita molto visibile abbia il dovere della sincerità: e allora sì, lo dico per tutti gli omosessuali, felici o no, io sono omosessuale. (citato in Natalia Aspesi, la Repubblica, 28 gennaio 2014)
Con Gian Maria c'è stato un amore non corrisposto. Aveva un carattere aspro. Non mi amava: accettò il film "Porte aperte" perché voleva interpretare il libro di Sciascia. Sul set litigammo molto e fu durissimo, ma se oggi sono un regista "forte" lo debbo a lui e alle risse verbali. (citato in Corriere della sera, 26 ottobre 1998)
Nel finale de Lamerica non sapevo che atteggiamento fisico dare a Carmelo, in rapporto al giovane Lo Verso sulla nave. Poi mi sono ricordato come era morto il ragazzo albanese nella scena del camion, e ho detto: chissà che Lo Verso non debba pure lui portare, senza sforzo o con uno sforzo o con uno sforzo pazzesco, il peso di questo essere che gli si addormenta su una spalla e che, guarda caso, è suo padre ma è anche suo figlio, perché nel film dice di essere più giovane di lui.[1]
Prima di raccontare, osserva; prima di comunicare qualcosa agli altri con immagini e parole, fai in modo che quelle immagini e quelle parole ti suonino familiari; prima di muovere la fantasia, afferra le cose che hai intorno. (da Il vizio del cinema, Einaudi, 1994; citato in Sebastiano Gesù, Raccontare i sentimenti. Il cinema di Gianni Amelio, G. Maimone, 2007)
Intervista di Michele Anselmi, l'Unità, 16 luglio 1994
Immaginiamo l'Albania sei mesi dopo la caduta del regime. C'è una specie di interregno, in cui allo sbando della gente si sovrappone lo sbando dei vertici. La confusione, ai livelli bassi e alti, regna sovrana. E i furbi ne approfittano.
Abbiamo portato le comparse quasi sul confine con la Jugoslavia. Una gioia per loro, stampata sui visi. Nessuno s'era mai potuto spingere fin lì negli anni del regime. I militari impedivano a chiunque di avvicinarsi alla frontiera.
[«Perché ha deciso di fare un film proprio sull'Albania?»] Perché è troppo vicina a noi per non far parte della nostra storia. Eppure non sapevamo niente. Colonia fascista prima, anomalia comunista dopo, qualche libro di testimonianze e basta. Poi, all'improvviso, «l'invasione» drammatica, l'esodo dell'estate '91.
Enver Hoxha era un dittatore, la vita era grama sotto di lui, eppure ho la sensazione che il capitalismo stia producendo nuovi squilibri. Gli albanesi stanno accorgendosi che il toccasana occidentale ha delle controindicazioni. Oggi per fare un dollaro ci vogliono 100 Lek.
Tra i difetti del popolo albanese c'è una certa apatia, una mancanza di spinta in avanti, se non dettata dalla disperazione.
Combattere la burocrazia albanese è qualcosa di titanico. C'è qualcosa di perfido e irrazionale nell'ostinazione con cui a volte ci sono stati negati dei permessi.
Le autorità albanesi sospettavano che le comparse, una volta salite sulla nave, armi alla mano avrebbero costretto il comandante a fare rotta verso l'Italia. Per evitare ciò, volevano imporci militari e portuali.
Ciò che io chiedo a un film è di aiutarmi a fare il successivo.
[«Perché ha tolto l'apostrofo dal titolo?»] Per indicare un sentimento, qualcosa di più segreto e simbolico, non un continente ben definito. Ma si sa, i titoli sono delle suggestioni. Io non ci rifletto, sennò perché chiamare Il ladro di bambini un film su un carabiniere? Lamerica suona bene: questo mi basta.
Perché Lamerica e non L'America? Perché così lo avrebbe scritto un emigrante mi sono detto. Così lo leggevo infatti nelle tante lettere di emigranti che arrivavano in Calabria, quando ero bambino.
Il mio viaggio attraverso l'Albania allora, è un viaggio attraverso un paese poverissimo e disgregato dove il pane ha ancora un valore, ma è anche un viaggio nell'Italia della mia infanzia, un paese convinto che aldilà del mare ci fosse il Paradiso, la felicità.
Qualcuno ha scritto che lo sguardo di Gino, sul ponte della nave, quando ritrova il vecchio che crede di andare in America, somiglia allo sguardo di Baggio quando sbagliò il rigore ai mondiali. L'ho trovato un parallelo interessante, perché c'è lo stesso smarrimento, l'idea di aver fallito e la consapevolezza che quel tuo fallimento fa crollare tutto un castello di illusioni. Gino ha attraversato fisicamente il dolore, la povertà, il bisogno. La sua arroganza, i suoi falsi miti, i suoi progetti di vita sono spenti. E io spero di aver dato, attraverso questa parabola, una possibilità a tutti i Gino di questo mondo di interrogarsi, di chiedersi «chi sono?». Per non ritrovarli più tra quelli che di fronte agli albanesi ammassati allo stadio, credettero di fare un bel gesto tirando loro il pane attraverso le sbarre. Come alle bestie.
l'Unità, a cura di Daniela Sanzone, 20 dicembre 1994
Sfido Kadarè a tornare sulle montagne albanesi, a recarsi a Durazzo, a parlare col suo popolo, a vedere la folla che cerca di sbarcare a Bari anche oggi. Gente che farebbe qualsiasi cosa per venire in Italia, persino chiedere che i politici italiani annettano l'Albania al nostro paese.
Questo signore se invece di abitare a Parigi vivesse in Albania, si renderebbe conto di come il suo Paese si è trasformato in questi anni, e di come continua a cambiare adesso di giorno in giorno. Ha detto delle stupidaggini fragorose, è un trombone, un vate retorico che crede di avere l'esclusiva sull'Albania, per cui solo lui può parlarne. Vada in Albania, ci torni! Lui parla di un posto che non esiste più, come se io parlassi dell'Italia attuale riferendomi alle tradizioni medievali.
Questo signore è in perfetta malafede quando non nota che in realtà il film [Lamerica] è molto duro verso gli italiani. Allora cosa dovrebbe dire la povera Italia quando io la rappresento attraverso i caratteri dei due protagonisti? Ci sono delle persone che sono talmente cattive nell'anima che non riescono a leggere nient'altro che i propri libri, che avrebbero bisogno di essere rieletti, ma anche di essere riscritti.
Il mio è un film feroce sull'Italia e pieno d'amore per l'Albania! Se qualche problema può avere l'Albania, forse, è che viene rappresentata all'estero e all'interno da gente che non la stima più, non l'ama più. È chiaro che è difficile accettare che qualcuno ti parli del tuo paese, quello stesso che tu stai raccontando in modo aulico e falso, e con un profondo atto d'amore dica le cose come sono.
l'Unità, a cura di Dario Zonta, 24 agosto 2004
Il tema del rapporto tra generazioni ha sempre avuto, nei miei film, uno sfondo sociale discreto ma importante. Il ladro di bambini non è solo la storia di un carabiniere che accompagna il ritratto in filigrana di un'Italia allo sbando. Dietro Porte aperte non c'è solo il rovello di un giudice, ma gli interrogativi sul presente e su quanto valga e pesi l'intolleranza nei rapporti civili. E in Colpire al cuore il terrorismo mette in atto il tema edipico tra padre e figlio.
Inconsciamente ho cercato la scusa per uscire dall'Italia. Così come l'ho cercata, a ben vedere, con Lamerica e con Così ridevano, che erano una fuga dall'Italia per raccontarla a distanza, non avendo il coraggio e la forza di descriverla "a tu per tu", per quanti problemi ha oggi.
In Nati due volte non c'è solo un'indagine letteraria, ma soprattutto una difficilissima elaborazione psicologica. Non a caso Pontiggia scrive questo suo ultimo romanzo in tarda età, quando il figlio è già adulto. Immagino che non abbia trovato la forza e i mezzi letterari per scriverlo prima. Che diritto ho di saccheggiare questo bagaglio? Se Pontiggia è l'uomo che sapeva tutto, io sono l'uomo che non sa, o non sapeva nulla. Mi sembrava un atto di presunzione mettermi nei suoi panni. Per questo ho tolto la dicitura di un film tratto da. Guai se la materia non diventa mia, guai se l'elemento biografico dello scrittore non diventa l'elemento biografico mio. Io lavoro sulla mia pelle, Pontiggia pure. Si trattava di trovare la mia pelle e non lavorare su quella di un altro.
Gli attori, anche non professionisti e anche i bambini, danno tutto nei primi quattro ciak.
Il secolo XIX, a cura di Silvia Neonato, 3 ottobre 2004
[Riferendosi al "vizio del cinema"] L'impossibilità di stare senza girare un film. Quella voglia che ti spinge a ricominciare a girare, appena hai finito, dimenticando i problemi e le fatiche del film precedente. Perché fare il regista è un mestiere faticoso persino fisicamente: sul set io non sto un attimo fermo, sposto gli oggetti, seguo gli attori... Devi essere vergine e puttana, per fare il regista. Manageriale e machiavellico. Gestisci tanti rapporti umani, rispondi di tanti soldi investiti e da soggetti diversi, se sgarri sui tempi sono guai, perché i costi aumentano. Eppure, appena hai finito, non vedi l'ora di ricominciare. Come le donne che finiscono per dimenticare i dolori del parto poco dopo che hanno abbracciato il loro bambino. Fare cinema è un piccolo parto. Per quel figlio che metti al mondo sei disposto anche a piegarti ad andare ai festival, a presentarlo in giro.
Non amo particolarmente i fasti di Hollywood, ma questo non significa che non sia onorato [delle candidature all'Oscar]. Solo che a 59 anni capisci delle altre cose che non a 30 e guai se non fosse così. Io ho capito che il bello del mio lavoro è quando lo faccio. I premi, il pubblico che ti gratifica, gli incassi sono indispensabili a fare un nuovo film. Che è appunto ciò che non vedo l'ora di tornare a fare.
Sono convinto che noi facciamo dei figli per rivincita, perché speriamo siano più bravi, belli, vincenti, fortunati di noi.