Intervista di Maurita Cardone, Lavocedinewyork.com, 6 giugno 2015.
Io racconto, racconto ciò che vedo e ciò che sento, non giudico i personaggi.
Tutti noi siamo posizionati in una specie di scacchiere sociale, antropologico più che sociologico. E ci muoviamo in questa parte che ci è stata assegnata.
Mi piace la parola antropologico più che sociologico perché sociologico mi porta a uno schematismo, mentre l'antropologia è uno sguardo su come ci si comporta, sulle regole, sui rapporti di forza, un racconto senza giudizio.
Io cerco sempre di schiodare la gente dall'idea di luogo comune per cui gli intellettuali di sinistra sono tutti radical chic, o i sedicenni sono tutti così. Non esistono i sedicenni, esiste il mio. Uno. Perché siamo tutti diversi.
Ricordare da dove vieni significa soltanto avere molto più precisa la gittata del tuo futuro. Siamo anche quello da cui veniamo, però, di nuovo, mi è difficile ragionare per precetti e dire cosa la gente dovrebbe fare.
Io racconto, non voglio mandare messaggi. Se li devo proprio mandare, li mando a me stessa.
Il lavoro delle persone che raccontano è un lavoro antico come la prostituzione, come l'agricoltura. Esseri umani hanno cominciato a raccontare la vita di esseri umani ad altri esseri umani. Da sempre.
Alessandro è un principe, lo è dentro. È uno che ha un senso dell'equità, della giustizia. Potrebbe guidare una nazione.
Valeria illumina qualsiasi cosa tocchi, qualsiasi relazione, una stanza: entra Valeria, si accende un fascio di luce.
Rocco è un pezzo unico. L'originalità. Rocco non assomiglia a niente altro che a Rocco Papaleo.
L'Italia è afflitta da un problema serio che è il nepotismo, soprattutto nel cinema, e da una mentalità mafiosa. È un problema che ci ha bloccato l'ascensore sociale.
Essere nati ricchi o poveri, belli o brutti sono tutte cose fondamentali, ma sono grandi insiemi, grandi campi semantici, poi c'è l'unità particolare. Ed è nell'unità particolare che si esprime l'artista.
Ero felicemente pronta a fare la cineasta sfortunata, mi sembrava già una vita stupenda, la marginalità non mi dispiaceva. Poi Mignon è partita e ha incassato tantissimo, anche se io pensavo fosse un film minore e improvvisamente mi sono ritrovata che tutti mi cercavano.
Sono figlia di genitori separati, mio padre non sapeva cosa fare con i figli e ci portava a vedere di tutto, anche Antonioni. A volte mi addormentavo in sala. Crescendo, ho affinato il mio gusto, mi piaceva per esempio il cinema di Polanski.
[Su Paolo Virzì] Ogni volta che gli dai una scena la “paolizza”, sempre in bilico tra il grottesco, l’esagerato, il profondamente umano, mi sorprende sempre, tra parola scritta e messa in scena è sempre una sorpresa, come una realtà aumentata.
[Su Nanni Moretti] Lo conosco da una vita, gli voglio bene. È un grande regista, è stato dolce, presente. È un uomo generoso. Lavorare con lui è stato semplice.
La persona che invidio di più al mondo è Elena Ferrante. La stimo come scrittrice e la ammiro come essere umano. [...] invidio idea di poter avere la tua vita, mantenere la tua identità nascosta, non essere condizionato da come gli altri ti vedono.
Ho avuto infanzia e adolescente vivida a tinte forti, piene di conflitti, la mia era una famiglia terrificante, litigiosissima. Tutte le domeniche finivano in liti tra figli, fratelli, fratellastri, mogli, mogliastre.
[Su Giorgia Meloni Presidente del Consiglio] Cosa mi cambia se è donna o maschio, se ha un programma contrario ai miei valori?
Mi sembra che ci sia un programma chiaro di ignorantizzazione. Ma più sei istruito e più puoi difenderti da idee che hanno scartamento ridotto.
Ho una passione: costruire i muretti a secco. Se trovo un bel pietrone non resisto.
Francesca Archibugi è stata una maestra straordinaria. Un incontro importantissimo. Ti dice due parole, quelle due parole, e ti tira fuori tutto. In Questione di cuore mi costringeva a stare immobile per dare maturità e durezza al personaggio. Tra l'altro lei mi ha salvata. Rischiavo di rimanere appiccicata all'immagine di Sonia: ragazza madre, svampita, sensuale e fragile. Archibugi, invece, mi ha fatto interpretare una donna tosta e combattiva, che difende il suo mondo e la sua famiglia. (Micaela Ramazzotti)