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associazione femminista italiana Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
L'Unione Donne in Italia (UDI), fino al novembre 2003 Unione donne italiane, è un'associazione femminista di promozione politica, sociale e culturale, senza fini di lucro.
L'associazione pubblica il mensile Noi donne.
Nel novembre 1943 erano stati creati i Gruppi di difesa della donna diretti da Caterina Picolato, riunendo gruppi femminili e donne antifasciste d'ogni provenienza con lo scopo di mobilitare le masse femminili contro l'occupazione. Dai gruppi escono le prime gappiste (appartenenti ai Gruppi di Azione Patriottica), le partigiane combattenti, le staffette tanto che i Gruppi vennero ufficialmente riconosciute con il loro organo clandestino Noi donne dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia[1].
Nel settembre 1944 a Napoli vengono poste le basi dell'UDI e anch'essa partecipa alla Resistenza.[2]
L'Unione Donne Italiane si costituisce ufficialmente il 1º ottobre 1945 e pochi giorni dopo il primo congresso nazionale vede i Gruppi di difesa della donna confluire nell'unione per creare la più grande organizzazione per l'emancipazione femminile italiana. In essa confluisce anche l'Associazione femminile per la pace e la libertà fondata dalla partigiana e scultrice Velia Sacchi[3],
Nel 1947 al termine del secondo congresso viene eletta presidente dell'UDI la comunista Maria Maddalena Rossi. Segretaria generale è la socialista Rosa Fazio Longo[4]. Nel comitato d'onore vengono chiamate Rita Montagnana, Ada Gobetti e Lina Merlin, più tardi prima firmataria della norma che mise fuori legge le case di tolleranza. A dirigere l'UDI viene creato anche un direttivo di 27 donne e un consiglio nazionale di 150 componenti[5]. Con l'avvento del femminismo in Italia, l'UDI si costituisce come un'associazione che mira ad avere un obiettivo ben preciso: iscrivere i diritti della donna nella Carta costituzionale. L'UDI decide di investire sulle donne: nella ricostruzione post-bellica, occupandosi dei bambini rimasti orfani, illegittimi e combattendo contro le discriminazioni salariali, nella solidarietà nazionale e internazionale. Man mano l'associazione espande il proprio interesse e impegno a favore dei diritti dell'infanzia e dei diritti delle donne al lavoro.
Nel corso degli anni '60 si fa portavoce di un movimento di massa delle donne iniziando lunghe battaglie per far ottenere la pensione alle casalinghe, in quanto si metteva in discussione il lavoro domestico non pagato. Ci si impegna a cambiare anche la concezione di asilo nido, visto non solo come un sollievo per le madri che svolgono un doppio lavoro, madri e lavoratrici, ma anche come funzione di socializzazione della crescita e della cura dell'infanzia.
Tra la fine degli anni '60 e l'inizio dei '70 per l'UDI e il femminismo italiano diventa centrale il divorzio, introdotto nel 1970 con la legge Fortuna-Baslini. La questione si conclude con il referendum nel 1974, dove il 59,3% dei voti fermano l'abrogazione, confermando la legge.[6]
Negli anni '70 temi quali aborto e contraccezione sono tra i primi obiettivi da raggiungere. Questo porta a scontrare e poi incontrare l'UDI e il neofemminismo, il quale movimento venne inizialmente percepito dall'UDI come estraneo. Le manifestazioni furono diverse, quelle più note:
Con l'XI Congresso del 1981-1982 viene avviata una rifondazione che porta a una nuova struttura.[8] Di fatto viene accantonato un modello organizzativo che in quel momento contava su 210mila donne comuniste, socialiste e cattoliche distribuite in 84 sedi provinciali e 1235 circoli[9]. Fu una mossa molto discussa e complessa.
Già dall'anno successivo si comincia a progettare la costituzione di quella che nel 2001 sarà l'"Associazione Nazionale degli Archivi dell'Unione Donne in Italia". Nello Statuto della neonata Associazione c'è la condivisione della Carta degli intenti che dal 1983 rappresenta il patto fondativo dell’UDI stessa e l'assumere la responsabilità di un patrimonio archivistico significativo della storia delle donne italiane e della politica. La prima presidente è Marisa Ombra [10], che insieme a Maria Michetti e Luciana Viviani hanno portato avanti il riordino dell’Archivio Centrale dell’Udi rendendolo interamente consultabile. Analogamente poi le strutture territoriali si sono impegnate a rendere consultabili i materiali archivistici, come risulta già dal censimento del 2002 e successivo aggiornamento del 2012[11].
Con il XIV Congresso del 2002-2003 mette al centro la dimensione nazionale dell’UDI; il 29 novembre 2003 assume il nome di Unione Donne in Italia, per accogliere anche le donne immigrate residenti e lavoratrici nel nostro Paese.[12]
Ancora oggi l’obiettivo dell’UDI è quello di impegnarsi per la difesa dell’autodeterminazione delle donne e di contrastare ciò che viene definita una piaga sociale: la violenza da parte di uomini nei confronti delle donne, specie in ambito familiare. L'UDI ricorda di mettere in pratica quanto riportato nell’art. 51 della Costituzione Italiana, secondo il quale uomini e donne debbano trovarsi in una posizione paritaria in assemblee elettive o luoghi decisionali. L’UDI collabora anche con diverse associazioni per aiutare le donne dei Paesi senza diritti, ad esempio l’AIDOS (Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo), insieme alla quale si impegna nella lotta contro le mutilazioni genitali femminili. Anche in Bosnia hanno sostenuto le donne rimaste sole al termine dei conflitti. Nel 2006 sono state promosse diverse azioni di sensibilizzazione come lo STOP FEMMINICIDIO.
Nel 2008 è stata lanciata la campagna "Staffetta di donne contro la violenza sulle donne".[13]
L'Unione Donne in Italia ha sede a Roma e ha gruppi attivi in quasi tutte le regioni d'Italia[14].
L’Archivio Centrale dell'associazione è conservato nella sede nazionale di via della Penitenza 37. Riconosciuto come “di notevole interesse storico” da parte della Soprintendenza Archivistica del Lazio, conserva un ricco patrimonio tra cui 1374 manifesti, 3000 fotografie e una collezione di giornali d’epoca, oltre alle annate complete di Noi donne. Alla documentazione cartacea dal 1944 al 2000, si è aggiunta quella digitale con un progetto avviato e tuttora in corso [15].
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