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La donna nella storia del cristianesimo ha ricoperto una serie di ruoli, in particolare nell'ambito del monachesimo, della cura della salute, dell'educazione e dell'attività missionaria. Fino in epoca contemporanea, le donne erano escluse dai ministeri episcopali e clericali in alcune Chiese cristiane; di contro, un numero significativo di donne ha esercitato la sua influenza sulla vita della Chiesa, a partire dalle contemporanee di Gesù Cristo, passando per sante, teologhe, Dottoresse della Chiesa, missionarie, badesse, suore, mistiche, fondatrici di istituti di vita religiosa, leader militari, sovrane e martiri.
«Non c'è Giudeo né Greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù.»
La cristianità è sorta in seno a società patriarcali che ponevano gli uomini in posizioni di autorità nel matrimonio, nella società e nel governo e, nonostante restringesse l'accesso al sacerdozio ai maschi, nei suoi primi secoli ha offerto alle donne un migliore status sociale e per questo ha trovato consenso nella comunità femminile. Con l'eccezione delle Chiese orientali,[2] nella maggior parte delle confessioni le donne hanno rappresentato la maggioranza dei praticanti delle funzioni religiose dal cristianesimo primitivo all'epoca presente.[3] In seguito, in qualità di monache, le donne hanno avuto un ruolo importante nel cristianesimo attraverso conventi e abbazie, e hanno continuato nel corso della storia a essere attive nella fondazione di scuole, ospedali, case di cura e insediamenti monastici. Le donne rappresentano la grande maggioranza dei membri della vita consacrata nella Chiesa cattolica, la chiesa cristiana più diffusa. Dal XX secolo, l'ordinazione femminile si è diffusa in alcune chiese protestanti. Le donne laiche sono state molte attive nel quadro generale della vita delle chiese, supportando le comunità delle parrocchie.
Nella Chiesa cattolica, nella Chiesa ortodossa e nel luteranesimo, a Maria, la madre di Gesù, è riservata una particolare venerazione, che la assurge a modello di virtù materne centrali nella loro visione del cristianesimo.[4] La devozione mariana non è invece una caratteristica del cristianesimo riformato.
«E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. [...] Allora l'uomo disse: "Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall'uomo è stata tolta." [...] Alla donna disse: "Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà»
La Bibbia inizia proprio con un racconto cosmogonico nel quale uomo e donna sono creati insieme, tanto da arguirne una perfetta simmetria e la medesima dignità.[Nota 1]
Ma è il secondo racconto della creazione che ha avuto più fortuna, quello nel quale la donna, generata a partire dall'uomo, tradisce Dio e l'uomo, e porta il peccato nel mondo. L'asimmetria viene anticipata nell'Eden con il riconoscimento di un ruolo "strumentale" della donna rispetto all'uomo, essendo la donna riconosciuta come "aiuto" all'uomo: «Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo» (Gn 2, 22), perché «non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto.» (Gn 2, 18).
Il peccato originale, compiuto per primo dalla donna (Gn 3, 6), istituzionalizza l'asimmetria di ruolo tra i due generi. Dopo il peccato le caratteristiche dell'uomo e della donna sono distinte:[5] l'uomo deve faticare per procurarsi il cibo («il suolo … Con dolore ne trarrai il cibo … con il sudore del tuo volto mangerai il pane», Gn 3, 17-19), mentre la donna è caratterizzata dalla condizione di madre e dall'attrazione-sottomissione verso l'uomo («Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà», Gn 3, 16).
Vengono qui enunciate due caratteristiche fondamentali della femminilità, le quali si caratterizzano tradizionalmente come costanti nella donna: la maternità, legata alla procreazione, e la sua incapacità di esercitare potere sopra l'uomo.
Dal testo originale non emerge alcunché di sessuale,[Nota 2] ma l'aver mangiato dell'albero della conoscenza del bene e del male viene spesso collegato alla scoperta della sessualità.[6] Da ciò seguono le interpretazioni della prima donna, Eva, come colpevole e seduttrice.
Il Vecchio Testamento tratteggia una società patriarcale e maschilista, in linea con il suo tempo. La donna ebraica doveva fare i conti con la Legge che limitava le sue libertà considerevolmente: per esempio durante le mestruazioni era considerata impura[7] ed era impuro tutto ciò che da lei veniva toccato in quei giorni.
Tuttavia non sono mancati nell'Antico testamento personaggi femminili di rilievo: è il caso di Debora, che raggiunse quella che ai tempi era la più alta carica amministrativa, quella di Shofetim, cioè giudice e governatore; ma bisogna ricordare anche Tamar, la nuora di Giuda, che si prostituì e concepì Perez e Zerach, da cui discenderà il santo profeta re Davide e tutta la sua casa regnante sino a Gesù. Inoltre, un'esaltazione della donna appare nei Salmi e nel Cantico dei Cantici.
Nei Vangeli Gesù è presentato vicino ai più deboli, per esempio bambini, lebbrosi e donne.
Con queste ultime Gesù si comporta in modo liberale: difende una prostituta dal linciaggio,[8] dialoga di religione con una samaritana (cioè una reietta, secondo le concezioni ebraiche),[9] permette a una malata (l'emorroissa) di toccarlo e la guarisce per la sua fede.[10] Infine, la vergine Maria riceve l'Annunciazione dell'arcangelo Gabriele ed è presente nel cenacolo degli Apostoli (Atti 1,12-14[11]), uniti dalla preghiera e dalla carità; Gesù risorto si rivela per primo a due donne.
Questo atteggiamento ha di sicuro comportato dello scandalo non solo tra i suoi detrattori, ma anche tra i suoi più intimi.[12] Paolo nella lettera agli Efesini conferma la pari dignità dei due sessi, dicendo che le gli uomini sono a capo delle donne come Cristo lo é per la Chiesa. [13]
L'eguaglianza tra uomini e donne nelle comunità cristiane fu difesa nel Vangelo secondo Filippo che fa di Maria Maddalena «la consorte di Cristo. Il Signore amava Maria più di tutti i discepoli e la baciava spesso sulla bocca. Gli altri discepoli allora gli chiesero: - Perché ami lei più di tutti noi? - Il Salvatore rispose chiedendo loro: - Perché non vi amo come lei?»,[Nota 3] e lo gnostico Dialogo del Salvatore fa di Maddalena, con Filippo e Tommaso, il discepolo preferito «che parlava come una donna che conosceva il Tutto».[14]
Nel Vangelo di Maria, dopo la crocifissione, Maddalena insegna agli apostoli, suscitando la reazione di Pietro, irritato di dover ascoltare lei, «preferita di molto a tutti noi» e Levi gli fa osservare che «se il Salvatore l'ha fatta degna, chi sei tu per rifiutarla? Certamente il Signore la conosce molto bene. Perciò l'ha amata più di noi».[15]
«Voglio tuttavia che sappiate questo: Cristo è il capo di ogni uomo, l'uomo è capo della donna e Dio è capo di Cristo. Ogni uomo che prega o profetizza a capo coperto, disonora il suo capo; al contrario, ogni donna che prega o profetizza a capo scoperto, disonora la sua testa, perché è come se fosse rasa. Se una donna, dunque, non vuol portare il velo, si faccia anche tagliare i capelli! Ma se è vergognoso per una donna essere rasa, si copra col velo. L'uomo, invece, non deve coprirsi la testa, perché è immagine e gloria di Dio; mentre la donna è gloria dell'uomo. Infatti, l'uomo non ebbe origine dalla donna, ma fu la donna ad esser tratta dall'uomo; né fu creato l'uomo per la donna, bensì la donna per l'uomo»
Si fa risalire a norme dettate da Paolo di Tarso la sottomissione delle donne nelle comunità cristiane ma la sua posizione appare contraddittoria. Paolo insiste nel tentativo di conciliare la predicata uguaglianza di tutto il genere umano («non esiste più né giudeo né gentile, né uomo né donna», Lettera ai Galati 3,28[16]) con il consiglio alle donne di sottomettersi ai propri mariti. Nella Lettera ai Romani 16[17], egli raccomanda la diacona Febe e saluta Giunia, «segnalata tra gli apostoli ed è stata in Cristo prima di me»; nella Prima lettera ai Corinzi (11,5[18]) le donne possono profetizzare ma in 14,34-35[19]
«Le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la Legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea.»
Nella coppia Paolo proclama l'uguaglianza dei due sessi, impone al marito di rispettare la propria moglie, ma ciò non va al di là del talamo coniugale:
« Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l'uomo » ( 1Cor 11,3, su laparola.net.) |
In compenso, lo pseudo-Paolo della Prima lettera a Timoteo 3,2[20] e della Lettera a Tito 1,6[21] e 2,5[22] stabilisce che il vescovo sia un uomo e invita le donne «a essere prudenti, caste, dedite alla famiglia, buone, sottomesse ai propri mariti, perché la parola di Dio non venga screditata».
Torna la sottomissione all'uomo, giustificata dal riferimento al Genesi:
« La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna d'insegnare né di dettare legge all'uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva, e non fu Adamo a essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. » ( 1Tim 2, 11-15, su laparola.net.) |
I passi «più pesantemente anti-femministi» del Nuovo Testamento si trovano nelle lettere di Paolo, nei versi si commenta come la donna, sia per l'essere stata creata dall'uomo e dopo di lui, che per essere stata ingannata dal serpente' disobbedendo poi al volere divino, sia ritenuta incapace di avere giudizio; ella pertanto è tenuta add'astenersi dall'imporsi sull'uomo. Del resto, Paolo era preoccupato di mantenere l'"ordine" nelle assemblee cristiane, per evitare che dall'esterno arrivassero pettegolezzi e critiche alla nuova setta, che già subiva accuse d'immoralità e di effeminatezza. Perciò insistette su un comportamento sessuale "corretto", compreso l'atteggiamento sottomesso delle donne nelle assemblee.[23]
Nel cristianesimo, l'impressione che Dio sia definito in termini tipicamente maschili, quali "padre", "signore", "re", "giudice", ribaditi anche, dove possibile, nell'iconografia artistica, è stata ulteriormente confermata dalla formulazione del dogma trinitario, che associa all'idea di un "Dio padre" quella di un "Dio figlio", mentre la terza persona della Trinità – neutro nell'espressione greca di pneuma e femminile in quella ebraica di ruah – è tradotta anch'essa nelle lingue europee con il termine maschile di "Spirito".
È tuttavia esistita una tradizione cristiana-gnostica che descriveva Dio in termini di dualità sessuata: una preghiera gnostica recitava «Da Te, Padre, e tramite Te, Madre, i due nomi immortali, genitori dell'essere divino».[24]
Secondo lo gnostico Valentino, pur essendo in realtà indescrivibile, Dio può essere espresso come "Padre e Madre del Tutto", o "Padre Silenzio" (alogia, femminile) dove il "Silenzio" è il grembo che riceve il seme dalla "Fonte ineffabile" generando coppie di energia maschile e femminile. Il valentiniano Marco, che si definisce "grembo ricevente il Silenzio", celebra la messa invocando la Madre, «prima di ogni cosa, incomprensibile e indescrivibile Grazia [charis, femminile]», pregandola di scorrere come il vino dell'offerta.[25]
Lo scritto gnostico La grande rivelazione descrive l'origine dell'universo: dal Silenzio apparve «un grande potere, la Mente [nous, maschile] dell'universo che governa ogni cosa ed è un maschio, e una grande Intelligenza [epinoia, femminile], una femmina che produce ogni cosa», un potere che è uno ed è, insieme, diviso, è «madre, padre, sorella, sposa, figlia e figlio di se stesso, è l'unica radice del Tutto».[26]
Nell'Apocrifo di Giovanni, alla morte in croce di Cristo, l'apostolo Giovanni ha la visione di "una sembianza triforme" che gli dice: «Io sono il Padre, sono la Madre, sono il Figlio» e la Madre è descritta come «la Madre di ogni cosa, perché esisteva prima di tutti, il madre-padre».[27] Qui la Madre appare coincidere con lo Spirito, come si afferma nello gnostico Vangelo secondo Filippo in cui «Adamo è stato fatto da due vergini, lo spirito e la terra vergine», proprio come Cristo, «generato da una vergine»[28] che non è però Maria, ma lo Spirito (femminile), che ha generato unendosi al Padre: infatti, chi crede che Cristo sia stato generato da Maria, moglie di Giuseppe, «non sa quello che dice: quando mai una donna ha concepito da una donna?».[29]
D'altra parte da Salomone «Il Signore ha fondato la terra con sapienza, ha consolidato i cieli con intelligenza;»,[30] si trasse che la Sapienza (sophia in greco e hokhmah in ebraico, femminili) generò il mondo e Valentino narra il mito di Sapienza che concepì da sola ogni cosa, identificandosi con Eva, la "Madre di tutti i viventi"; successivamente abortì, introducendo il dolore nella creazione, per governare la quale generò il Dio del Vecchio Testamento.[31] Fu ancora la Sapienza a opporsi a Dio che, «poiché non era adorato o onorato dagli uomini come Dio e Padre, scagliò un diluvio sopra di loro che potesse distruggerli tutti. Ma Sapienza gli si oppose e Noah e la sua famiglia si misero in salvo nell'arca grazie ai raggi di luce che emanavano da lei».[32]
Il primo racconto della creazione in Genesi (1, 27): «E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò.», più del secondo, (Genesi 2, 7-24) nel quale la donna è creata successivamente dall'uomo, attira l'attenzione degli gnostici che lo interpretano come una creazione androgina: per Marco Dio, che è Padre e Madre, creò l'essere maschile-femminile,[33] mentre Teodoto di Bisanzio interpreta il passo biblico affermando che «gli elementi maschio e femmina insieme costituiscono la migliore produzione della Madre Sapienza».[34]
Alla grande rilevanza assunta nella gnosi dall'elemento femminile corrispondeva un ruolo importante rappresentato dalle donne nelle comunità gnostiche, anche in quelle nelle quali si era sviluppata una teologia meno radicale sotto l'aspetto "femminista", come la marcionita, che conosceva preti e vescovi donne, la montanista, che sosteneva di essere stata fondata da due donne, Prisca e Massimilla e la carpocraziana, alla quale apparteneva Marcelliana, che andò a insegnare a Roma[35] e affermava di aver avuto insegnamenti da Maria, da Marta e da Salomé.
Presso i valentiniani anche le donne erano preti e predicavano e profetavano allo stesso titolo degli uomini e il vescovo cattolico Ireneo racconta scandalizzato di Marco che eleva preghiere a Grazia, «colei che è prima di ogni cosa», a Sapienza e a Silenzio, invita le donne a profetare e permette che esse celebrino l'eucaristia.[36]
Quando Ireneo scriveva, nella seconda metà del II secolo, era in corso la polemica contro le dottrine gnostiche la quale investiva anche il ruolo paritario all'uomo assunto dalle donne in quelle comunità cristiane. Così, anche Tertulliano scriveva: «Queste donne eretiche, come sono audaci! Non hanno modestia, sono così sfrontate da insegnare, impegnarsi nella disputa, decretare esorcismi, assumersi oneri e, forse, anche battezzare!».[37] E decretava: «Non è permesso che una donna parli in chiesa, né è permesso che insegni né che battezzi, né che offra l'eucaristia, né che pretenda per sé una parte in qualunque funzione maschile, per non parlare di qualunque ufficio sacerdotale».[38] Anche Clemente, nella Lettera ai Corinzi riteneva di raccomandare alle donne di «ben accudire alla casa, attenendosi alla norma della sottomissione e a essere assai prudenti [...] rendano palese la moderazione della loro lingua mediante il silenzio».[39]
Nel III secolo, la separazione e sottomissione delle donne agli uomini nelle comunità cristiane, organizzate come le sinagoghe, nelle quali le donne ebree erano da sempre escluse dall'attiva partecipazione al culto, è compiuta. È possibile che una rilevante presenza di giudei, per quanto ellenizzati, abbia favorito e imposto questo processo di emarginazione[40] che tuttavia dovrebbe avere una spiegazione più generale nell'avvenuto inserimento, nelle comunità cristiane, di molte famiglie delle classi medie, nelle quali, a differenza delle classi inferiori in cui le donne svolgevano pressoché le stesse attività degli uomini, esisteva una più marcata divisione dei ruoli.[Nota 4]
Fatta eccezione per gli Atti di Perpetua e Felicita (II sec.) la cui attribuzione è in parte ascritta a Tertulliano, Proba ed Egeria sono le prime ricche nobildonne cristiane ad avere lasciato dei documenti scritti nel IV secolo. Questo periodo si contraddistingue per la presenza di ricche nobildonne colte, che sanno leggere e scrivere in latino, fondano monasteri nelle proprie dimore e all'estero, di cui resta testimonianza nelle lettere di alcuni Padri della Chiesa.
Santa Macrina fonda una comunità femminile ad Annesi, precedendo di vari anni il monachesimo cenobitico dei fratelli Basilio e Gregorio.
Paola di Roma e la figlia Eustochio entrano a fare parte del circolo intellettuale di santa Marcella sull'Aventino e poi seguono san Girolamo a Betlemme, parlando latino, greco e un ebraico migliore del suo direttore spirituale.[41]
Marcella è interrogata dai sacerdoti romani sui passi biblici per conto di Girolamo e prende parte alla controversia origenista.
Melania l'Anziana fonda con Rufino di Aquileia un doppio monastero sul Monte degli Ulivi, convince Evagrio Pontico ad indossare l'abito monastico ed è l'unica persona con la quale Evagrio discute di teologia. La nipote Melania la Giovane, persi i due figli maschi, convince il marito a farsi monaci, libera le schiave, trasforma la casa in monastero domestico e si dedica ai lavori manuali, ponendo su un piano paritario schiave e padrone.
Olimpia di Nicomedia fonda una comunità femminile a Santa Sofia, attirando alcune centinaia di monache provenienti da famiglie senatoriali romane.
Oltre ai Padri del deserto, nel IV secolo esistono anche delle monache eremite più anziane e ritenute più sante ed esperte nel cammino di ascesi dagli altri eremiti, intorno alle quali sorgevano delle comunità. Venivano chiamate col titolo ebraico di Amma (madre) corrispondente di abba (padre, per gli abati maschi) I loro apoftegmi furono trascritti da figure maschili.[42] Ne è un esempio santa Sincletica.
Per Agostino di Ippona (354-430) l'atto d'amore coniugale stesso rimane un peccato, ma tollerabile. Il matrimonio è giustificato da tre funzioni: proles, procreare i figli, fides, essere fedeli per evitare le concupiscenze esterne, e sacramentum, l'indissolubilità del matrimonio come unione divina.[43]
Per Isidoro di Siviglia (560-636) la madre mater è riconducibile a della "materia" che ha una porta (valva) per la quale l'uomo (vir) trasferisce la sua forza (vis) e fornisce al bimbo l'essenza,[44] andando oltre le affermazioni di Aristotele sostenendo che mulier, moglie, derivi da mollities, mollezza, deducendone il carattere d'infamità della donna[senza fonte].
Nel 593 si tenne un concilio regionale a Mâcon, in Francia, cui parteciparono 21 vescovi. Di questi uno, facendo confusione tra i termini latini vir, uomo nel senso di "maschio", e homo, cioè "essere umano", sostenne che la donna non poteva essere definita "essere umano". Egli non poneva il problema se la donna potesse essere definita "essere umano", ma semplicemente se essa potesse essere chiamata con il nome "homo". In altri termini, il sostantivo "homo" significa "essere umano maschio" oppure "essere umano" a prescindere dal sesso? Citando la Sacra Scrittura i vescovi dimostrano che "homo" deve essere inteso nel secondo senso, e la questione non entrò neanche negli atti ufficiali del concilio.[45] Su tale divagazione, linguistica e non dottrinale, l'unica fonte a disposizione è Gregorio di Tours nell'Historia Francorum.[Nota 5]
Secondo il medioevalista Jacques Le Goff proprio nella società cristiana medioevale si ebbe un miglioramento della condizione femminile, che venne perso nel XIX secolo con l'instaurazione dei valori borghesi nella società cristiana.[46]
Tra le figure femminili importanti nel cristianesimo medievale:
Tommaso d'Aquino dedica alla posizione della donna rispetto all'uomo e rispetto a Dio alcune questioni da lui dibattute e risolte nella sua Summa Theologiae.
Nella questione 90, relativa alla creazione dell'essere umano (homo) e quindi dell'anima introduce le seguenti problematiche sequenziali: per primo la creazione dell'anima e dell'uomo, quindi la creazione del corpo dell'uomo e come ultimo passaggio la "produzione" della donna, passaggio che viene discusso nella specifica questione 92.
La questione 92 ruota attorno al "Problema della origine della donna". Tommaso articola la questione in quattro quesiti:
Tommaso d'Aquino osserva che secondo la Genesi 2,22-23[49] la donna fu l'ultimo essere creato da Dio e non fu creata dal nulla, come tutte le altre creature, ma fu creata da una costola di Adamo. Infatti, scrive Tommaso, «la donna non doveva essere creata nella prima creazione delle cose. Dice infatti Aristotele (De Generatione Animalium 2,3) che la femmina è un maschio mancato. Ma niente di mancato e di difettoso vi doveva essere nella prima istituzione delle cose. Dunque, in quella prima istituzione delle cose la donna non doveva essere prodotta».[Nota 7]
Ci si chiede perché Dio abbia creato la donna, se sapeva che essa sarebbe stata la causa del peccato originale:[Nota 8] il motivo della sua creazione sta nel fatto che, com'è scritto nella Genesi 2,18[50], non era bene che l'uomo fosse solo e doveva avere un aiuto simile a lui.[Nota 9]
Questo, afferma Tommaso, è unicamente un aiuto alla procreazione, non un aiuto a qualunque altra attività dell'uomo (vir), per la quale anzi sarebbe più conveniente che l'uomo (vir) fosse aiutato da un altro uomo (vir), piuttosto che da una donna.[Nota 10] Si comprende perché il sesso maschile (la virtus activa) e femminile (la virtus passiva) siano uniti nelle piante, la cui attività più nobile è la procreazione; negli animali superiori i due sessi sono separati, in modo che si uniscano solo il tempo necessario alla procreazione, perché in loro «vi è qualcosa di più nobile del procreare»;[Nota 11] così è per l'essere umano (homo), la cui attività più nobile consiste nella conoscenza, e a maggior ragione i due sessi devono essere distinti nell'essere umano.[Nota 12]
Se è perciò vero che, per Tommaso e Aristotele, la femmina - in quanto "natura particolare", ossia confrontata con il maschio - è un "maschio mancato", considerata in sé stessa, nella sua "natura universale", per Tommaso «la femmina non è un essere mancato, ma è, secondo l'intento naturale, ordinata all'attività generativa», preordinata da Dio, che a questo scopo creò sia il maschio che la femmina.[Nota 13]
Tommaso ammette la sudditanza della donna all'uomo, indicata nella Genesi 3,16[51]: «sarai sotto la potestà del marito», e in Agostino (Gen. ad Litt. 12,16): «il soggetto attivo [il maschio] è più nobile di quello passivo [la femmina]» ma Tommaso specifica che questa sudditanza non è del tipo riscontrabile nei rapporti fra servo e padrone, «per cui chi comanda si serve dei sottoposti per il proprio interesse», ma del tipo "economico o politico", secondo il quale, secondo Tommaso, il governante (praesidens) si serve dei sudditi per il loro stesso interesse e bene. Questa deve essere la naturale sudditanza della femmina rispetto all'uomo (viro), «poiché l'essere umano (homo) ha per natura un più vigoroso discernimento razionale».[Nota 14]
Nell'articolo 2 della questione 92 Tommaso specifica che era conveniente che la donna, diversamente dagli altri animali, derivasse dall'uomo, perché questo fatto conferirebbe maggior dignità al primo uomo (homo) e poi perché «l'uomo (vir) amasse maggiormente la donna e le fosse indissolubilmente unito» non solo per la necessità della generazione ma anche per quella della vita comune nella quale «l'uomo (vir) è il capo della donna».[Nota 15]
Nell'articolo 3 Tommaso giudica anche opportuno che Eva abbia avuto origine dalla costola e non da altre parti del corpo di Adamo, in quanto «la donna non deve dominare sull'uomo» (1 Timoteo 2,12[52]) «e per questo non fu formata dalla testa, né deve essere disprezzata dall'uomo come una schiava, e per questo non fu formata dai piedi».
Nella questione 93, articolo 4, Tommaso tratta la tesi di Paolo (1 Corinzi 11,7[53]), secondo la quale «il maschio (vir) è immagine di Dio, la donna (mulier) invece è immagine del maschio». Tommaso precisa che «sia nell'uomo che nella donna si trova l'immagine di Dio quanto a ciò in cui principalmente consiste la sostanza dell'immagine, cioè quanto alla natura intellettiva».[Nota 16] Tuttavia, «sotto certi aspetti secondari, l'immagine di Dio che si trova nell'uomo non si trova nella donna: infatti l'uomo è il principio e il fine della donna, come Dio è principio e fine di tutte quante le creature. Quindi l'apostolo [Paolo], dopo aver detto che «l'uomo (vir) è immagine e gloria di Dio, mentre la donna è gloria dell'uomo», mostra perché disse questo, aggiungendo che infatti «non l'uomo deriva dalla donna, ma la donna dall'uomo».[Nota 17]
È stato il primo pontefice a proclamare, dopo 2000 anni di storia del cristianesimo, dottori della chiesa di sesso femminile. Il 4 ottobre 1970 egli riconobbe questo titolo a Teresa d'Avila e a Caterina da Siena. Sotto il suo pontificato, la Congregazione per la Dottrina della Fede emanò, il 15 ottobre 1976, la dichiarazione Inter Insigniores con la quale si ribadiva l'impossibilità per le donne di accedere al sacerdozio, giustificata con la tradizione della Chiesa: «La Chiesa cattolica non ha mai ritenuto che le donne potessero ricevere validamente l'Ordinazione presbiterale o episcopale. Alcune sette eretiche dei primi secoli, soprattutto gnostiche, vollero affidare esercizio del ministero sacerdotale a delle donne: tale innovazione fu subito rilevata e biasimata dai Padri, i quali la giudicarono come inaccettabile nella Chiesa [...] la Chiesa, chiamando unicamente uomini all'Ordine sacro e al ministero propriamente sacerdotale, intende restare fedele al tipo di ministero ordinato, voluto dal Signore Gesù Cristo e scrupolosamente conservato dagli Apostoli. La medesima convinzione anima la teologia medioevale, anche se i maestri della Scolastica, nel tentativo di chiarire con la ragione i dati detta fede, presentano sovente su questo punto argomentazioni, che il pensiero moderno difficilmente potrebbe ammettere [...].[57]
Nell'angelus del 10 settembre 1978, Giovanni Paolo I rivalutò in maniera straordinaria il ruolo della donna nella Chiesa, con un'affermazione che all'epoca fece scandalo: "Noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. È papà; più ancora è madre. Non vuol farci del male; vuol farci solo del bene, a tutti. I figlioli, se per caso sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma."[58] L'interpretazione da parte di papa Luciani del concetto di Dio-madre fu visto con grande diffidenza dalla Curia romana, mentre fu accolta con favore dai fedeli. L'improvvisa morte di Luciani dopo solo 33 giorni di pontificato non permettono di capire quale avrebbe potuto essere l'evoluzione del pensiero di papa Luciani relativamente al ruolo della donna nella chiesa cattolica.
Il papa polacco fu autore del primo documento specifico del magistero della Chiesa sulla donna, la Mulieris dignitatem.[59][60] Seguendo le orme di Paolo VI, il 19 ottobre 1998 nominò Teresa di Lisieux 32º dottore della chiesa, terza donna a fregiarsi di questo titolo che era stato appannaggio degli uomini per circa 700 anni.[Nota 19]
In un documento ufficiale della Santa Sede dal titolo Ordinatio Sacerdotalis Giovanni Paolo II è ritornato sulla questione dell'ordinazione sacerdotale confermando l'inammissibilità del sacerdozio femminile secondo le motivazioni espresse nella dichiarazione Inter Insigniores.[61]
In occasione del Giubileo del 2000, papa Giovanni Paolo II fece pubblica ammenda per i peccati commessi nel passato dagli ecclesiastici: tra le sette categorie di peccati menzionati, vennero anche nominati i peccati contro la dignità delle donne e delle minoranze. Inoltre, il 10 luglio 1995 inviò una lettera destinata "ad ogni donna" in cui chiedeva perdono per le ingiustizie compiute verso le donne nel nome di Cristo, la violazione dei diritti femminili e per la denigrazione storica delle donne.
Un documento inerente alle donne è quello del luglio 2004 indirizzato ai vescovi della Chiesa cattolica avente per oggetto il "femminismo radicale" firmato in qualità di cardinale preposto alla Congregazione per la dottrina della fede non essendo stato ancora eletto alla suprema carica della Chiesa Cattolica.[62]
Il 7 ottobre 2012, da papa, ha proclamato Dottore della Chiesa la monaca medievale Ildegarda di Bingen.[63]
In un passo dell'esortazione apostolica Evangelii gaudium, Francesco ha parlato del ruolo della donna nella Chiesa. Pur ribadendo l'esclusione delle donne dal sacerdozio, Papa Francesco ha precisato come l'avere il potere di amministrare i sacramenti (che nella chiesa cattolica è prerogativa dei sacerdoti) non rende i sacerdoti più degni degli altri battezzati (e quindi delle donne), perché il loro è un servizio al popolo di Dio. Pertanto ha invitato i teologi a indagare il possibile ruolo della donna negli ambiti dove si prendono decisioni importanti per la Chiesa[64] e ne ha ammesso il voto in particolari contesti sinodali.[65]
Dall'11 novembre 1992 la Chiesa anglicana permette alle donne di diventare sacerdoti, In quasi tutte le province anglicane le donne possono essere ordinate diacono, in molte prete e in alcune anche vescovo. Si osserva inoltre che le funzioni di governatore supremo della Chiesa sono svolte dal Sovrano inglese e che a suo tempo a capo di questa chiesa vi siano state alcune donne, come la regina Elisabetta II o la regina Vittoria.
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