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fase della storia della Sardegna (VI - IX secolo) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
L'età bizantina nella storia sarda si fa iniziare convenzionalmente con la riconquista da parte di Giustiniano nel 534 che mise fine dopo circa ottant'anni all'età vandalica. A quella data, però, si mantenne una continuità sostanziale con la fase romana. L'invasione dei Longobardi (568), che mutò il volto dell'Italia, non toccò la Sardegna (si veda 599) anche se vi sono nell'isola tracce della loro presenza documentate dal ritrovamento di diversi oggetti, tra cui numerose monete[1][2]. L'Impero bizantino era uno Stato autocratico ed intorno alla figura dell'imperatore ruotava tutta l'amministrazione. Oltre che capo supremo dell'esercito era anche capo della Chiesa, il suo trono però non era ereditario ma elettivo per acclamazione del senato, dell'esercito e del popolo che se tradito aveva il diritto legale a ribellarsi. Molte di queste istituzioni saranno fatte proprie dai regni giudicali.
La Sardegna fu conquistata da Bisanzio durante la guerra vandalica combattuta contro i Vandali per il possesso dell'Africa. Sconfitti i Vandali in Africa, a Tricameron, e avendo la vittoria in pugno, il generalissimo bizantino Belisario inviò il generale Cirillo in Sardegna con una flotta per sottometterla:
«[Belisario] inviò subito Cirillo con la testa di Zazone e con molti soldati in Sardegna, essendosi rifiutati quelli isolani, timorosi dei Vandali e non ancora certi di quanto era accaduto presso Tricamaro [la sconfitta vandala], di obbedire a Giustiniano. ... Cirillo adunque approdato nella Sardegna, ed esposto in pubblico luogo il capo di Zazone, riuscì onorevolmente a ridurre le due isole [Sardegna e Corsica] tributarie dell’impero come lo erano un tempo.»
Poco dopo la conquista, Giustiniano stabilì che la nuova provincia di Sardegna avrebbe fatto parte della prefettura del pretorio d'Africa:
«Et ab ea auxiliante deo septem provinciae cum suis iudicibus disponantur, quarum zeugi, quae proconsularis antea vocabatur, carthago et byzacium ac tripolis rectores habeant consulares: reliquae vero, id est numidia et mauritaniae et sardinia, a praesidibus cum dei auxilio gubernentur.»
«Da questa [prefettura], con l'aiuto di Dio, dipenderanno sette province con i loro giudici, di cui Zeugi, che in precedenza veniva chiamata Cartagine Proconsolare, Byzacium e Tripoli avranno per governatori dei consulares; mentre le altre, cioè la Numidia, le Mauritanie e la Sardegna saranno, con l'aiuto di Dio, governate da praesides.»
I Bizantini dovettero però lottare contro i Barbaricini che occupavano l'interno dell'isola, e il magister militum per Africam Salomone, negli anni 530, inviò alcuni duces in Sardegna per combatterli.[3] Il dux di Sardegna, che aveva l'incarico di combattere i Barbaricini, aveva la residenza proprio nei monti della Barbagia dove questo popolo, restio ad essere sottomesso, viveva;[4] più precisamente la sede del dux era Forum Traiani, le cui mura furono rifatte per volere di Giustiniano.[5]
Nel 551 l'Isola fu invasa dagli Ostrogoti di Totila e occupata[6]; il magister militum per Africam, Giovanni Troglita, tentò di recuperarla, ma fu sconfitto dai Goti.[7]
«Totila era ora desideroso di impadronirsi delle isole che appartengono alla Libia. Raccolse quindi subito una flotta di navi e, mettendo a bordo un esercito adeguato, la inviò in Corsica e in Sardegna. Questa flotta prima salpò per la Corsica e, non trovando difensori, prese l'isola, e poi si impossessò anche della Sardegna. E Totila fece assoggettare al pagamento del tributo entrambe queste isole. Ma quando questo fu appreso da Giovanni, che comandava l'esercito romano in Libia, inviò in Sardegna una flotta di navi e un forte esercito di soldati. E quando furono vicini alla città di Caralis, si accamparono con lo scopo di stabilire un assedio; ma non si ritennero in grado di prendere d'assalto le mura, poiché i Goti avevano lì una guarnigione sufficiente. Quando i barbari lo seppero, fecero una sortita contro di loro dalla città e, piombati improvvisamente sui nemici, li sconfissero senza difficoltà e ne uccisero molti.»
Dopo la sconfitta di Totila e Teia (552) e la sottomissione dei Goti, venne comunque recuperata dall'Impero.
Durante il pontificato di papa Gregorio I (590-604) la Sardegna rientra ancora in una sfera romana partecipando dell'opera di tutela, amministrazione ed evangelizzazione di questo pontefice. Le molte lettere che il pontefice dedicò a personaggi e problemi sardi sono, inoltre, la documentazione più ricca conservatasi sulla Sardegna tardo-antica. Esse documentano - tra l'altro - la perdurante divisione della Sardegna in un'area romanizzata (coste e città costiere, pianura) e una regione interna ancora barbarica. Alla conversione al cristianesimo di queste popolazioni dell'interno, papa Gregorio si adoperò inviando lettere e degli emissari. In particolare, per convertire le popolazioni dell'interno, inviò il dux Zabarda che nel 594 stipulò un patto con il capo dei Barbaricini Ospitone. Nel 595 tuttavia papa Gregorio scoprì, inviando il vescovo Felice in Sardegna per continuare la missione di conversione, che lo Iudex Provinciae di Sardegna, per recuperare i soldi persi per comprare la carica di governatore tramite versamento di suffragia, permetteva ai pagani di continuare a venerare i propri idoli in cambio del pagamento di una tassa:[8]
«Essendo venuto a conoscenza che molti dei nativi della Sardegna ancora ... fanno sacrifici agli idoli..., ho inviato uno dei vescovi dell'Italia, che... convertì molti dei nativi. Ma mi ha narrato che... quelli nell'isola che sacrificano gli idoli pagano una tassa al governatore della provincia per fare ciò. E, quando alcuni sono stati battezzati e hanno cessato di sacrificare agli idoli, il suddetto governatore dell'isola continuava a richiedere da essi il pagamento della tassa... E, quando il suddetto vescovo parlò con lui, egli replicò che aveva promesso un suffragium così grande che non ce l'avrebbe fatta a pagarlo se non agendo in questo modo... Sospetto che tali misfatti non siano giunti alle vostre Più Pie Orecchie, perché se fosse stato così, non sarebbero affatto continuati fino ad oggi. Ma è ora che il Nostro Più Pio Signore [l'Imperatore] venga a conoscenza di ciò, così che possa rimuovere un così grave peso di colpa dalla sua anima, dall'Impero e dai suoi figli. Lo so ch'egli dirà che quel che si ritrae da queste isole, è impiegato nelle spese delle armate per loro difesa; ma è questo forse il motivo del poco profitto ch'elle ricavano da tali riscossioni, essendo tolte altrui non senza mescolanza di colpa...»
È, comunque, a partire dalla mancata invasione longobarda - attacco respinto nel cagliaritano del 599 - che la storia della Sardegna comincia a divergere da quella dell'Occidente romano-barbarico e ad entrare in una vera e propria fase bizantina. Non mancarono tuttavia altri tentavi barbarici, un'iscrizione commemorativa bizantina da Porto Torres recita:
«Tu, trionfatore unico, signore di tutta la terra abitata, distruttore dei nemici Longobardi e degli altri barbari. Mentre lo stato era colpito da avvenimenti incerti, le navi e le armi dei barbari hanno attaccato i Romani. Ma tu, Costantino, armato contro di loro con la tua saggezza e con la tua prudenza hai mostrato il Verbo divino che pacifica il mondo. Costantino celeberrimo console e duca offre al signore della terra i simboli della vittoria per la caduta dei tiranni longobardi e degli altri barbari, che si sono armati contro la tua serva, l’isola dei Sardi.»
È, invece, dall'intensificarsi della presenza araba nel mediterraneo occidentale con data cruciale nella conquista islamica della Sicilia - nell'827 - che i contatti con Bisanzio dovettero diradarsi; probabilmente nei secoli IX e X venne a maturazione l'autonomia politica che sarà propria della Sardegna giudicale.
I dati essenziali sull'organizzazione amministrativa bizantina in Sardegna sono i seguenti:
La Sardegna faceva parte della prefettura del pretorio d'Africa, al cui capo c'era un capo militare (magister militum) e un capo civile (prefetto del pretorio).
La provincia di Sardegna era governata da un praeses, detto anche iudex provinciae, con incarichi civili che risiedeva a Cagliari e da un dux con compiti militari che risiedeva, assieme ai soldati di manovra (comitatenses), a Fordongianus (Forum Traiani) che era sin da tempo romano un baluardo fortificato contro gli abitanti delle Barbagie.
Lungo questo antico confine, in fortezze come quelle di Austis, Samugheo, Nuragus e Armungia, furono stanziati soldati detti limitanei, probabilmente reclutati tra le popolazioni straniere come i Longobardi o gli Avari[10]; alcuni di questi kaballaroi (cavalieri) ricevettero come compenso del loro servizio militare appezzamenti di terra per lo sfruttamento agricolo[11]. Le due più importanti cariche, nel VII secolo furono unificate. Per permettere il controllo delle rotte che attraversavano il mar Tirreno l'isola era sede di scali per la flotta bizantina.
La Sardegna viene inizialmente costituita quale ducato nell'ambito dell'Esarcato d'Africa (che dal 585/590 sostituì la prefettura d'Africa), successivamente alla caduta dell'Esarcato il ducato dipende direttamente da Costantinopoli divenendo in seguito arcontato nel X secolo, cioè una circoscrizione con le stesse caratteristiche del thema ma meno ricca e territorialmente estesa. I governatori dell'isola portavano inizialmente il titolo di hypatos per poi passare a quello di protospatario ed infine a quello più importante di patrizio dalla metà del IX secolo.[12] Sappiamo dal "De Caerimoniis" di Costantino VII che i buoni rapporti tra Sardegna ed impero bizantino continuarono sino almeno al decimo secolo, nell'opera infatti viene menzionato un reggimento di sardi come guardia palatina a Costantinopoli.[13]
Gli storici hanno spesso evidenziato le affinità delle istituzioni bizantine con quelle sarde giudicali, che rendono molto probabile una filiazione. Abbiamo accennato sopra alle caratteristiche, derivate da una concezione romana del diritto, che separano nettamente la Sardegna giudicale dal contesto dell'Europa feudale.
Un settore importante è quello della concezione dello Stato e delle modalità di esercizio della sovranità. Si è voluta riscontrare un'affinità tra le strutture dello Stato bizantino e quelle sarde giudicali. Per esempio, Francesco Cesare Casula scrive:
«L’impero bizantino era uno Stato autocratico, perché tutto ruotava attorno alla figura dell’imperatore, che creava e sostituiva i ministri a piacimento; aveva il totale controllo delle finanze; la legislazione era nelle sue mani; era il comandante supremo di tutte le forze militari ed era, inoltre, il capo della Chiesa.
Tuttavia, in virtù della lex de imperio, il trono non era ereditario ma elettivo per acclamazione del senato, dell’esercito e del popolo il quale, se ingannato nelle proprie prerogative, «aveva il diritto legale alla rivolta». Era ammesso, nella pratica, che il sovrano potesse scegliere per cooptazione il suo successore; e poteva anche darsi che coesistessero contemporaneamente più imperatori, di cui però uno solo esercitava l’effettiva autorità (autocrator basiléus).
Molte di queste istituzioni saranno assunte nel X secolo dai regni giudicali di Calari, Torres, Gallura, Arborea"»
Altri autori sono molto più cauti nell'indicare analogie. Francesco Artizzu scrive che, nel considerare la funzione di patrocinio che i Giudici sardi esercitavano sulla chiesa locale, verrebbe quasi da parlare "di una forma – tipicamente orientale – di cesaropapismo su scala ridotta". Ma poi osserva anche che
«nessun documento, fra quelli a noi pervenuti, riferisce di decisioni prese dai giudici in materia più propriamente ecclesiastica. Si sarà arrivati all’imposizione dall’alto di un cappellano, o forse anche di un vescovo, ma nessuna testimonianza ci è pervenuta, ripetiamo, di decisioni prese dai giudici in materia teologica e liturgica. In questo, l’atteggiamento dei giudici si discostava molto dalla tradizione bizantina»
Nella Sardegna giudicale, vissuta per secoli estranea alla cultura ed alle istituzioni politiche dell'Occidente feudale, si trovano molte tracce dell'eredità bizantina; soprattutto una concezione del diritto di stampo prettamente romano e una concezione dello Stato e della dimensione pubblica come nettamente separata da quella privata (l'esatto contrario del feudalesimo). In età giudicale infatti vigeva la distinzione tra patrimonio pubblico (de rennu = del Regno, dello Stato) e patrimonio privato del giudice (detto de pegugiare, ossia peculiare) e inoltre, l'indivisibilità del regno anche nei casi - che talvolta si sono dati - di condominio tra coeredi della corona di Giudice.
Estranea al feudalesimo sarà anche l'istituzione giudicale della servitù; nella Sardegna giudicale il servo (in genere tale dalla nascita) era soggetto nei confronti del padrone (o di più padroni) a delle prestazioni d'opera, ma (a differenza che nell'Europa feudale) aveva personalità giuridica, poteva testimoniare o ricorrere in giudizio ed era libero p. es. nel contrarre matrimonio o nell'acquistare, vendere, trasmettere in eredità beni di sua proprietà (sono documentati perfino casi di donazioni a chiese); poteva anche riscattarsi tramite pagamento.
Molti altri aspetti si potrebbero aggiungere a proposito delle permanenze bizantine. Occorre, però, anche ricordare che, dopo l'età di papa Gregorio I, questa fase ci ha lasciato pochissima documentazione diretta. Un aspetto di solito sottolineato negativamente è il fiscalismo: le popolazioni soggette all'Impero bizantino furono vessate con il lavoro e ogni sorta di tributi a cui si aggiungevano i suffragia, tassazioni aggiuntive con cui gli ufficiali imperiali cercavano di recuperare le somme spese per ottenere l'incarico.
La Chiesa sarda seguì il rito orientale per cui battesimo e cresima erano impartiti assieme. Il battesimo era effettuato per infusione in vasche dove l'acqua arrivava alle ginocchia dei catecumeni. Fonti battesimali simili si trovano a Tharros, Dolianova, Nurachi, Cornus e Fordongianus.
Nel periodo bizantino furono erette diverse chiese a croce greca, con i quattro bracci con cupola sulla parte centrale. Fra queste la basilica di San Saturnino a Cagliari, Nostra Signora di Mesumundu di Siligo che fu costruita alla fine del VI secolo sulle rovine di un preesistente insediamento romano del II secolo d.C., chiesa di Santa Sabina di Silanus, Santa Maria Iscalas di Cossoine, San Giovanni in Sinis, il Santuario di Nostra Signora di Bonacattu di Bonarcado, San Lussorio di Fordongianus, chiesa di San Giovanni di Assemini, Santa Sofia di Villasor, chiesa della Vergine degli Angeli di Maracalagonis, Sant'Elia di Nuxis, Sant'Antioco di Sulcis, San Saturnino di Cagliari, San Pietro pescatore di Giorgino, Sant'Efisio a Nora (Pula), Sant'Elia e Sant'Enoc (Nocco) a Lunamatrona, chiesa di Santa Croce di Ittireddu, Santo Salvatore ad Iglesias.
Accanto al clero secolare operavano i monaci basiliani (impropriamente detti), che diffusero il cristianesimo in Barbagia fino all'XI secolo. Non erano eremiti (solitari), ma cenobiti (vivevano in comune). Costruivano i loro cenobi in località d'antico culto pagano e ponevano le loro celle attorno alle chiese (muristenes o cumbessias). Queste non erano nuove in Sardegna, ove si ricorda il santuario nuragico di Santa Vittoria di Serri. Sono edifici di questo genere Santa Maria di Bonarcado, San Salvatore di Sinis, San Mauro di Sorgono, Nostra Signora di Gonare, Santi Cosma e Damiano di Mamoiada, San Francesco di Lula, Beata Vergine d’Itria di Gavoi, i Santi Martiri di Fonni, San Gavino a Porto Torres, San Serafino a Ghilarza e Santu Antine di Sedilo. Proprio all'inizio dell'impero di Giustiniano I nel 529 san Benedetto da Norcia fondava a Montecassino il monachesimo occidentale basato sul motto “ora et labora”.
I basiliani diffusero il vangelo tra i Barbaricini e introdussero la coltivazione del fico dei cui frutti si cibavano nei periodi d'astinenza e di digiuno[14]. Introdussero pure alcuni vitigni per la produzione di vini dolci per la messa (moscato e malvasia), praticavano i riti della Chiesa orientale, avevano la barba fluente e dedicarono le chiese ai santi del calendario greco. Tra questi notiamo il Santo Salvatore (Redentore) a Cabras, Villamar, Nuoro; La Madonna d'Itria (Odigitria o del Buon Cammino), la Vergine Assunta (dormiente), i Santi Profeti Elia ed Enoc; tra gli apostoli Pietro, Paolo, Andrea, Giacomo e Bartolomeo, tra i santi confessori e/o martiri ci sono San Basilio, San Giovanni Battista, Santa Sofia, Santa Reparata, Santa Barbara, Santa Caterina d'Alessandria, Santa Margherita d'Antiochia, San Giorgio.
Nelle campagne continuò il permanere dei grandi latifondi, ma anche le piccole proprietà e le terre comuni. La vita rustica era condotta da liberi (i possesores) e servi che abitavano nei paesi (ville) o nei vici, formati da poche case. Lavoravano i fondi privati e le terre comunitarie con la zappa e l'aratro a chiodo, pascolavano il bestiame brado, pescavano a rete e ad amo. Si coltivavano le vigne e sembra che esistessero pochi frutteti.
Le donne erano obbligate ai lavori domestici pesanti, alla cura della casa, generalmente bassa e con pochi arredi, costruita con mattoni crudi o pietre, senza intonaco e con il pavimento in terra battuta. Mangiavano cibi semplici e poco nutrienti. Lo stesso clero e i ricchi mangiavano carne e pesce solo la domenica e per le feste. L'anno civile iniziava nel mese di settembre e tale usanza è rimasta ancora negli usi attuali della Sardegna contadina: questo mese è ancora chiamato cabidanni e a cabidanni si rinnovano i contratti agrari.
Esisteva un sistema scolastico che, a livello elementare, era condotto nelle parrocchie a vantaggio dei chierici ed alcuni laici. Pochissimi proseguivano gli studi nelle scuole vescovili per conseguire una licenza d'insegnamento o di notariato (tabellionato). La lingua ufficiale era il greco bizantino con cui erano scritti i decreti, impartiti gli ordini militari e officiati i riti religiosi.
Risalgono a questo periodo termini come:
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