Rinoceronte (Dürer)
famosa stampa eseguita nel 1515 da Albrecht Dürer Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
famosa stampa eseguita nel 1515 da Albrecht Dürer Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il Rinoceronte è una famosa stampa eseguita nel 1515 da Albrecht Dürer.
Il Rinoceronte | |
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Autore | Albrecht Dürer |
Data | 1515 |
Tecnica | xilografia |
Dimensioni | 23.5×29.8 cm |
Ubicazione | British Museum |
L'animale era allora sconosciuto in Europa e un esemplare indiano fu importato in quell'anno per la prima volta a Lisbona come dono al re portoghese Manuele I. Suscitò molta curiosità non solo tra gli studiosi, ma anche nel popolo portoghese. L'anno successivo il re volle farne dono al papa Leone X e lo spedì a Roma via mare, ma l'animale perì per un naufragio nel golfo della Spezia nel 1516.
Dürer non vide mai il rinoceronte dal vero, ma ne conobbe la descrizione contenuta in una lettera inviata da Lisbona a Norimberga e su questa base eseguì l'incisione con la tecnica della xilografia su legno che, nonostante le varie inesattezze anatomiche, divenne molto popolare e tuttora è ripresa da vari artisti soprattutto per il suo carattere surreale.
Il 20 maggio 1515, un rinoceronte indiano arrivò al porto di Lisbona trasportato a bordo di un vascello proveniente dall'Estremo Oriente. Un anno prima, nel 1514, Alfonso de Albuquerque, governatore delle Indie Portoghesi, inviò degli ambasciatori al sultano Muzafar II, sovrano dell'attuale Gujarat, chiedendo il diritto di costruire un forte portoghese sull'isola di Diu. Il sultano non rilasciò l'autorizzazione, ma inviò comunque alcuni omaggi diplomatici, fra cui proprio il rinoceronte:[1] all'epoca, infatti, i governatori erano soliti scambiarsi animali esotici da tenere in apposite ménagerie.
Albuquerque decise di inoltrare il dono al re portoghese Manuele I: il pachiderma venne quindi fatto imbarcare su un vascello, la Nossa Senhora de Ajuda,[2] carico anche di spezie, che venne indirizzato verso il Portogallo, con delle tappe intermedie in Mozambico, Sant'Elena e nelle Azzorre.
Dopo un viaggio relativamente breve, di 120 giorni, il rinoceronte - battezzato dai marinai Ulisse - venne finalmente scaricato in Portogallo, vicino al sito dove la torre di Belém era in costruzione (l'edificio, tra l'altro, venne più tardi ornato con delle protomi una delle quali è a forma di testa di rinoceronte).[3] Questo tipo di pachiderma non metteva piede in Europa dall'epoca romana: veniva quindi considerato una creatura leggendaria, reputata inesistente, e frutto di fantasie da scrittori e bestiari (che, non di rado, lo confondevano con l'unicorno).
Il quadrupede, dopo esser stato esaminato dagli studiosi, venne scortato in processione per il centro di Lisbona: al termine della cerimonia fu portato da Manuele I. Il monarca ne rimase molto impressionato e volle tenerlo nel giardino del suo palazzo della Ribeira, per esibirlo come trofeo e come simbolo della potenza dell'Impero. Manuele, colmo di ammirazione verso la bestia e desideroso di offrire alla corte dei divertimenti stravaganti, la fece combattere addirittura contro un elefante; il re voleva anche testare l'attendibilità delle fonti classiche, soprattutto quelle di Plinio il Vecchio, che dipingevano il rinoceronte come l'acerrimo nemico dell'elefante. Lo spettacolo, tenutosi nella domenica della Santissima Trinità, si concluse con la disonorevole fuga dell'elefante scelto per fronteggiare il nuovo acquisto della menagerie regia.[4] Si noti che già otto settimane dopo il suo arrivo nel Vecchio Continente, il rinoceronte venne raffigurato in un poemetto di Giovanni Giacomo Penni, Forma e natura e costumi de lo rinocerote pubblicato il 13 luglio 1515 a Roma.
A questo punto, Manuele I decise di donare l'animale a Leone X, per mantenersi in buoni rapporti con lo Stato Pontificio. Già l'anno precedente il Papa aveva ricevuto in dono dallo stesso Manuele un elefante, sempre dall'India: si trattava del celebre Annone. Con gran fatica, il rinoceronte fu imbarcato a bordo di un veliero: quest'ultimo, tuttavia, prima di fare arrivo a Roma fece una sosta a Marsiglia, che tra l'altro era in festa per la vittoria della battaglia di Marignano. Il re Francesco I di Francia, venuto a sapere della presenza del curioso ospite, non si lasciò sfuggire l'occasione di vedere il rinoceronte: fu proprio quest'ultimo, tra l'altro, a stimolargli il desiderio di acquisire animali esotici per la sua corte.
Il proseguimento del viaggio fu meno felice: la nave, arrivata all'altezza della città ligure di Portovenere, naufragò a causa di una violentissima tempesta. Il rinoceronte, che prima dell'imbarco era stato incatenato per esser tenuto sotto controllo, non era in grado di nuotare e quindi annegò tra i flutti.[5] Sulla vicenda, Paolo Giovio scrisse:[6]
«Il mare invidiò e tolse all'Italia questa bestia di inusitata fierezza, la quale si haveva a mettere a combattere nell'arena dell'Anfiteatro con l'elefante, perciocché il naviglio nel quale egli era menato, urtando agli scogli della riviera di Genova andò a traverso per fortuna di mare e ciò fu con tanto maggior dolore di ognuno, poiché la bestia, la quale era usata a passare il Gange e l'Indo, altissimi fiumi del suo paese, fu creduto che anche avrebbe potuto venire a riva sopra a Portovenere, ancora che ella sia asprissima per duri sassi; se non che, trovandosi impedita da catene grandi, benché molto superbamente facesse ogni sforzo per aiutarsi, fu però inghiottita dal mare.»
Quando la carcassa riaffiorò presso la spiaggia di Villefranche-sur-Mer, fu impagliata e inviata nuovamente al Pontefice. Il destino del rinoceronte rimane sconosciuto: probabilmente venne distrutto durante il Sacco di Roma ad opera dei lanzichenecchi, oppure trasferito alla collezione naturalistica della famiglia fiorentina dei Medici. In ogni caso, a Roma l'animale non riscosse lo stesso successo che invece ottenne a Lisbona: ciononostante, compare lo stesso in alcune opere di Giovanni da Udine e di Raffaello.[7][8]
Valentim Fernandes, un tipografo moravo, vide il rinoceronte appena dopo il suo arrivo a Lisbona e, incuriosito dall'animale, nel giugno 1515 ne citò dettagliatamente le caratteristiche in una lettera ad un suo amico di Norimberga. Nello stesso periodo venne mandata un'epistola alla stessa città - si tratta della Lettera scripta a li mercatanti di Norimberga, custodita presso la Biblioteca Nazionale di Firenze - con uno schizzo e una descrizione dello straordinario animale, che Dürer ebbe modo di leggere. Lo schizzo di Valentim Fernandes è conservato oggi presso il British Museum nella Sloane Collection. Senza mai aver visto il rinoceronte, Dürer fece due schizzi a penna e inchiostro; la seconda bozza, in particolare, gli servì per realizzare la famosa xilografia.
La scritta in tedesco posta nella parte alta dell'incisione, attinta principalmente dalle fonti pliniane, recita:
«Il primo maggio 1513 d.C. (sic), il potente re del Portogallo, Manuele di Lisbona, portò dall'India questo essere vivente chiamato rinoceronte. Questa ne costituisce un'accurata rappresentazione. Ha il colore della tartaruga maculata[9] ed è quasi interamente ricoperto da squame spessissime. Ha le dimensioni di un elefante, ma ha gambe più corte ed è quasi invulnerabile. Ha un forte corno appuntito sulla sommità del naso che affila sulle pietre. È l'acerrimo nemico dell'elefante. L'elefante ha paura del rinoceronte, quindi, quando i due si incontrano, il rinoceronte carica con la testa tra le gambe anteriori al fine di squarciare il ventre dell'elefante, che non può difendersi. Il rinoceronte è così ben corazzato che l'elefante non gli può fare alcun danno. Si dice che il rinoceronte sia veloce, impetuoso e astuto.»
Com'è noto, tuttavia, l'incisione presenta numerose inesattezze che non trovano riscontri nella realtà. Il rinoceronte di Dürer, infatti, presenta un piccolo corno che spunta sulla schiena, una pelle quasi simile ad un'armatura, una gorgiera sul collo e gambe squamose: nessuna di queste caratteristiche, in realtà, è presente in un rinoceronte reale. È possibile che in occasione dello scontro con l'elefante sia stata forgiata un'armatura per la fiera; in alternativa, può darsi che l'«armatura» di Dürer sia un richiamo alle pieghe presenti sulla pelle del rinoceronte indiano oppure semplicemente un'aggiunta di fantasia, o magari un equivoco.[5] Una seconda incisione, oggi conservata alla biblioteca Albertina di Vienna, venne ricavata dalle stesse fonti da Hans Burgkmair, amico di Dürer. Si trattava di un disegno più preciso, ma essendo l'autore meno noto, non godette di molta popolarità.[10]
In ogni caso, l'incisione di Dürer, nonostante tutte le sue imprecisioni, ebbe uno straordinario successo, e fu presa a modello d'innumerevoli illustrazioni, dipinti e sculture fino al XVIII secolo. La xilografia, infatti, è presente nella Cosmographiae di Sebastian Münster (1514), nella Historiae animalium di Conrad Gessner e nella Histoire of Foure-footed Beastes di Edward Topsell (1607), oltre che nel Quadrupedum omnium bisulcorum historia di Ulisse Aldrovandi[11].
Il duca Alessandro de' Medici, tra l'altro, basò il proprio emblema proprio sul Rinoceronte, con il motto Non Vuelvo Sin Vencer, ossia «non assalgo senza vincere».[12] Vi è una scultura basata sul disegno di Dürer anche nell'obelisco di rue Saint-Denis a Parigi, progettato da Jean Goujon nel 1549;[13] un simile rinoceronte è presente anche in uno dei portali di bronzo del duomo di Pisa.
La posizione di preminenza dell'immagine di Dürer e dei suoi derivati diminuì solo nel Settecento, quando vennero portati in Europa altri rinoceronti, raffigurati quindi più accuratamente. Fra i disegni più famosi, vi sono quello di Jean-Baptiste Oudry del rinoceronte Clara (1749), e quello di George Stubbs, incentrato sulla figura di un grande rinoceronte portato a Londra intorno al 1790. Ambo le opere erano molto più accurate della xilografia di Dürer, e ciò contribuì a far degradare l'opera del pittore tedesco nell'immaginario collettivo.
Non a caso, nel diario di viaggio di James Bruce, alla ricerca delle sorgenti del Nilo Azzurro, l'opera di Dürer viene stigmatizzata come «meravigliosamente mal eseguita in tutte le sue parti»; viene anche citata come la causa di «tutte le forme mostruose con cui tale animale è stato dipinto, da allora». Umberto Eco, nel suo Trattato di semiotica generale, afferma che le «scaglie e piastre imbricate» divennero un elemento necessario per raffigurare l'animale, anche per chi conosceva meglio l'anatomia della bestia, visto che «solo quei segni grafici convenzionalizzati possono denotare 'rinoceronte' al destinatario del segno iconico».[14]
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