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Il revisionismo storiografico, nella storiografia, è il riesame critico di fatti storici sulla base di nuove evidenze o di una diversa interpretazione delle informazioni esistenti, considerando tutte le parti politiche e sociali in causa come testimoni importanti. L'uso negativo del termine revisionismo si riferisce invece alla manipolazione della storia per scopi politici. Inoltre occorre non confondere il revisionismo a tutti gli effetti con la pseudostoria, il revisionismo politico, il negazionismo e le teorie del complotto.[1]
«Che cosa è la storia se non un gioco su cui tutti si sono messi d'accordo?»
Gli storici che lavorano all'interno dello establishment esistente ed hanno un corpus di lavori che gli hanno conferito autorevolezza, spesso non hanno interesse in ipotesi revisioniste, e ciò si traduce nel mantenimento dello status quo. Questo può essere considerato come un paradigma accettato, che in taluni circoli può diventare una denuncia contro ogni forma di revisionismo.
Se c'è un modo consolidato di vedere determinati eventi storici che si è mantenuto tale nel tempo, potrebbe non esserci interesse ad ulteriori ricerche. Molti degli storici che compiono analisti revisioniste sono motivati da un genuino desiderio per educare ad una storiografia corretta. Ma diverse scoperte sono derivate dalla ricerca di uomini e donne che sono stati curiosi a sufficienza per rivedere certi eventi storici esplorandoli a fondo da nuove prospettive.
Gli storici, come tutta l'umanità, sono inesorabilmente influenzati dallo spirito del tempo (Zeitgeist). Lo sviluppo in altre aree accademiche, culturali, politiche, tutto concorre a formare il modello corrente ed accettato delle linee correnti della storia (il paradigma consolidato). Con il passare del tempo queste influenze possono cambiare, evolvere, modificarsi, così la prospettiva degli storici sulla spiegazione degli eventi. Il vecchio consenso potrebbe non essere più sufficiente per spiegare come e perché certi eventi sono occorsi in passato, e così il modello consolidato viene revisionato nelle nuove prospettive. Alcune delle influenze sugli storici che possono evolvere e modificarsi nel tempo, possono essere:
Di seguito alcuni esempi di revisionismo storiografico.
Parte della storiografia ha riveduto molti miti sull'antichità, spesso tramandati anche dalla cultura di massa, oltre che dagli storici antichi (talvolta con intenti politici, come in Svetonio). La rivalutazione dell'età antica è cominciata a partire dal Rinascimento, con la riscoperta di testi e fonti, mentre in tempi recenti ci si è dedicati alla decostruzione di credenze diffuse.
Basandosi sulle teorie di studiosi greci antichi come Erodoto o su racconti come l'Esodo della Bibbia, con resoconti scritti molti anni dopo la costruzione dei monumenti, si credette a lungo che le piramidi egizie e i monumenti dell'Antico Egitto fossero stati costruiti grazie al lavoro degli schiavi. Al giorno d'oggi gli archeologi credono che, almeno, la grande piramide di Giza fu costruita da decine di migliaia di operai specializzati (talvolta anche contadini durante le piene del Nilo) che si accamparono nei pressi della piramide lavorando in cambio di un salario, o come forma di pagamento delle tasse (tributi) fino al completamento dell'opera; questo sarebbe dimostrato dall'esistenza dei cimiteri degli operai scoperti nel 1990 dagli archeologi Zahi Hawass e Mark Lehner. Per la piramide di Amenemhat II, risalente al Medio Regno, esistono prove dell'utilizzo di stranieri provenienti dalla Palestina, come descritto sulla pietra tombale del re.[4]
Diversi storici si sono occupati di approfondire e talvolta rivalutare figure storiche di imperatori e politici di Roma antica, denigrate dai contemporanei, in maniera ritenuta eccessiva[5], come Catilina, Caligola, Nerone, Commodo, Eliogabalo, Tiberio o Flavio Claudio Giuliano. Allo stesso modo sono state smentite alcune leggende, talvolta frutto della propaganda degli stessi imperatori, come alcune su Augusto.[6]
Altri storici si sono concentrati su aspetti della vita dei romani. Ad esempio si è scoperto che non tutti i gladiatori erano schiavi: alcuni erano difatti avventurieri che, come per gli aurighi, intraprendevano questa pericolosa carriera per ottenere fama e denaro. Inoltre alcuni combattimenti erano simulati ("lusio") e non si concludevano per forza con la morte del gladiatore perdente.[7] Anche il famoso gesto del pollice verso è stato appurato essere un falso storico, alimentato da quadri di epoca ottocentesca e da film hollywoodiani.[8]
Studi sono stati condotti sulla pratica della crocifissione, scoprendo, anche sulla base di dati archeologici, che probabilmente non veniva usata la croce latina ma la croce di Sant'Andrea (forse la confusione iconografica fu dovuta al simbolo solare adottato da Costantino, in origine una croce greca).[9]
Storici come Alessandro Barbero e Franco Cardini hanno rivisto diversi miti sul Medioevo (talvolta di origine illuminista o più spesso romantico-romanzesca ottocentesca), che persistevano ancora nella storiografia.
Si è sottolineata la contiguità della tarda antichità greco-romana con l'alto medioevo, mentre precedentemente si tendeva a considerare il V secolo come uno spartiacque, cosa del tutto arbitraria e posteriore. Infatti la deposizione di Romolo Augusto (476) non segnò la fine della romanità ma fu solo un atto politico-amministrativo simbolico, in quanto già da almeno una sessantina d'anni - ad esempio dal sacco di Roma (410) di Alarico - il potere imperiale centrale, romano occidentale, era in crisi, poiché soggetto ai generali romano-barbarici, i cosiddetti magister militum (come Alarico stesso) che detenevano il potere reale. Da due secoli la situazione era cambiata e comunque un'identità romana durerà in Occidente (fondendosi con la cultura dei barbari civilizzati e venendo restaurata politicamente anche se brevemente da Giustiniano di Bisanzio), almeno fino al IX secolo. L'ipotesi di una "decadenza" e del "tramonto" veloci dell'antichità è stata quindi abbandonata in favore di quella della "trasformazione graduale" del mondo antico, che si tramutò lentamente in quello che, secoli dopo, verrà chiamato "Medioevo" (cioè età di mezzo, tra antichità e modernità) dalla storiografia.
Si è rivalutata, con una tendenza iniziata nel XIX secolo, l'importanza del Medioevo sulla formazione del Rinascimento e dell'età moderna, nonché la sua influenza sulla cultura successiva[10]; la maggior parte degli studiosi ormai ritiene che nel Medioevo gli istruiti non credessero alla terra piatta. Scuole di pensiero, in particolare legate a studiosi di area cattolica, sostengono che fossero enfatizzate in maniera spropositata le cacce alle streghe e l'inquisizione. Viene anche negato che vigesse lo ius primae noctis[11] o fossero usate le cinture di castità[12] o strumenti come la vergine di Norimberga. Anche le crociate sono state spesso al centro di questo revisionismo, così come la reale importanza della vittoria cristiano-europea nella battaglia di Lepanto (avvenuta in età moderna, nel 1571, ma talvolta inclusa negli studi medievalistici), secondo Barbero sopravvalutata in quanto la flotta dell'impero ottomano era ormai in decadenza.
L'analisi di testi non latini, come quelli gallesi, gaelici, le saghe, la loro aggiunta sulle conoscenze canoniche del periodo e il rinvenimento di nuove evidenze archeologiche, hanno ulteriormente messo in discussione la definizione di secoli bui, tradizionalmente impiegata per descrivere l'alto Medioevo.[13]
Il concetto di feudalesimo, specie la sua cosiddetta "invenzione" ad opera di Carlo Magno, è stato sottoposto a diverse revisioni. In particolare a partire dagli anni settanta alcuni revisionisti, a partire da Elizabeth A. R. Brown ed in seguito da Susan Reynolds, hanno completamente rifiutato il concetto, considerandolo un anacronismo che fornisce un falso senso di uniformità, e sostenendo che non debba essere utilizzato. Il governo feudale acquisì inoltre le caratteristiche difettive con cui si è abituati a fare ad esso riferimento a partire dalla metà del XVIII secolo, cioè in piena età illuministica. Alfonso Longo, ad esempio, che nel 1773 succedette a Cesare Beccaria nella cattedra di Istituzioni civili ed economiche a Milano (il cui corso, mai pubblicato, fu poi recuperato in volume),[14] lo definisce una forma di governo "tutta imperfetta nelle sue parti, erronea nei principii e disordinata nei mezzi". E, in effetti, fu sempre considerata cardinale dagli Illuministi l'interezza della sovranità, mentre, soprattutto a partire dal Capitolare di Quierzy (877),[15] la sicurezza del possesso del feudo rese più lassi i vassalli e più disposti a seguire il proprio arbitrio, assecondando l'inosservanza delle leggi in favore della forza, svuotando di potere i tribunali, opprimendo il popolo.
Nella battaglia di Azincourt per secoli si è ritenuto che l'esercito inglese sconfisse il più numeroso esercito francese, che lo sorpassava in un rapporto 4 a 1. Recenti ricerche ad opera di Anne Curry, facendo riferimento alle cronache ufficiali, hanno contestato questa versione, sostenendo che i francesi sorpassavano sì gli inglesi, ma solo di 12.000 uomini contro 8.000[16][17]. Se verificato il numero potrebbe essere stato esagerato per motivi patriottici dagli inglesi.[18]
Gli storici della scienza stanno dando una nuova prospettiva all'alchimia, argomento fino a poco tempo fa relegato al "convertire il piombo in oro", più vicino a magia e misticismo piuttosto che alla scienza. Comunque si è avuta una ripresa degli studi su questo argomento, che hanno fornito, almeno ad una parte dell'alchimia, una nuova interpretazione, che la fa diventare determinante nell'emergere della moderna chimica come scienza.[19]
Nel raccontare la colonizzazione europea delle Americhe i libri di storia del passato dedicavano poca o nulla attenzione alle popolazioni indigene americane, limitandosi a citarli di passaggio, senza fornire alcun tentativo per comprendere gli eventi dal loro punto di vista. Questo era riflesso nel presentare Cristoforo Colombo come lo Scopritore dell'America. La realtà e la rappresentazione dei fatti sono stati ampiamente revisionati, ed ora l'impatto della esplorazione e colonizzazione europea sulle popolazioni locali è largamente condiviso.[20][21] Oggi, nella prospettiva storiografica più comune, il termine "scoperta delle Americhe" è sempre accompagnato da virgolette, anche perché i primi europei a scoprire l'America furono i vichinghi molti secoli prima.
La percezione delle guerre indiane e della conquista europea come un genocidio è un dato storiografico assunto di recente. Per lungo tempo lo sterminio dei nativi – anche quello scientifico e voluto esplicitamente – venne ignorato o sottovalutato dalla storiografia ufficiale, perlomeno fino alla metà del XX secolo.
Franco Cardini ha sottolineato invece, a discapito della storiografia che vorrebbe la conversione forzata degli indigeni e la distruzione della loro cultura da parte dei cattolici spagnoli, che i missionari cattolici e i papi stessi si schierarono sempre a loro difesa, contro gli abusi dei conquistadores.[22]
Nei periodi in cui la schiavitù era pratica accettata, l'ineguaglianza era riflessa nella storiografia dell'epoca. Un esempio è nello studio dell'Era della Ricostruzione, dove l'interpretazione revisionista degli eventi ha completamente sostituito l'interpretazione della Dunning School.
Inoltre un paradigma maggiormente afrocentrista è andato via via assumendo maggiore importanza nello studio della schiavitù nel nuovo mondo, anche per quanto riguarda valori, credenze e tradizioni degli afroamericani, enfatizzando la continuità con le culture africane.
Storici come Edward Peters ed Henry Kamen, ma anche Franco Cardini, hanno cercato di ridimensionare l'aspetto negativo che l'Inquisizione ebbe, ritenendo che esista un pregiudizio illuminista di fondo delle ricostruzioni storiche classiche.[23]
Tale teoria è stata anche definita come leggenda nera dell'Inquisizione o "del secolo dell'intolleranza"; secondo Peters e Kamen i dati storici sull'Inquisizione sarebbero stati distorti a opera di ambienti protestanti e, a seguire, illuministi, a partire almeno dal XVI secolo, con l'obiettivo di screditare l'immagine dell'Impero spagnolo al fine di limitarne l'influenza politica.
Si afferma che l'Inquisizione sia stata molto meno violenta e crudele di quanto generalmente si reputi, mentre il mainstream storiografico sostiene che, i dati storici dimostrino l'opposto.
Questa teoria è stata duramente avversata da diversi storici e intellettuali, come Italo Mereu, Giuseppe Pitrè, Leonardo Sciascia, Karlheinz Deschner, Guy Bechtel, a cui si aggiunge Adriano Prosperi.[24]
Anche il periodo risorgimentale così come è conosciuto è stato soggetto negli ultimi anni a critiche da parte di alcune opere di revisione. Nonostante prime riletture risalgano già a fine ottocento con l'apporto di studiosi come Alfredo Oriani, Francesco Saverio Nitti e Antonio Gramsci, il revisionismo del Risorgimento riprese vigore dopo la caduta del fascismo, per diventare oggetto di studio nel mondo accademico con Denis Mack Smith, Christopher Duggan e Martin Clark e strumento di supporto a tesi politiche antirisorgimentali da parte di scrittori come Pino Aprile, Carlo Alianello, Michele Topa, Nicola Zitara, Gigi Di Fiore e Tommaso Pedio. Talvolta tale revisionismo è stato utilizzato anche in maniera strumentale, come da parte della storiografia di area cattolica tradizionalista o neoborbonica.[25][26]
Nonostante vi siano alcune discordanze tra vari studiosi, i punti maggiormente sviluppati dai revisionisti risorgimentali sono:
Secondo lo storico italiano Emilio Gentile non è mai venuta meno in Italia la tentazione di "defascistizzare" il fascismo italiano, ovvero di negare il carattere totalitario del Ventennio[37] (rivelatrice di tali atteggiamenti totalitari sarebbe per esempio il mito dell'Uomo nuovo nella storiografia anche recente, mito invero creato dal fascismo con intenti pseudorivoluzionari).[38] Tale tentativo si traveste spesso nel ridurre il fascismo al cosiddetto "mussolinismo", ovvero alla vicenda politica del duce, svuotando il fascismo degli stessi fascisti.[39]
Pubblicazioni sulla Resistenza italiana, sul fascismo e la guerra civile del 1943-45 sono stati spesso tacciati di volontà revisionista e rivalutativa verso il regime mussoliniano[40].
Studi considerati revisionisti, a vario titolo, sono quelli di Renzo De Felice, Giorgio Pisanò (in senso più politicizzato), Ernesto Galli Della Loggia, Giordano Bruno Guerri e Giampaolo Pansa.
Il revisionismo di Renzo De Felice e degli storici che a lui si rifanno (tra i maggiori storici attuali, ad esempio il suo ex studente Giovanni Sabbatucci, più che il citato Emilio Gentile che ha intrapreso una propria strada storiografica; Sabbatucci sostiene l'ipotesi del "totalitarismo imperfetto") intende, senza negare la dittatura e le sue colpe maggiori (come la guerra, l'abolizione della libertà di stampa e le leggi razziali), rivedere il giudizio storico tradizionale sul fascismo (quello di una semplice "malattia morale", proposta da Benedetto Croce o quella di un comune regime reazionario e "borghese", proposta dai marxisti), sottolineando, fra l'altro, il consenso raggiunto dal regime fascista, soprattutto fra il 1929 e il 1936, nella società italiana. La definizione di tale interpretazione come "revisionismo" (scevro di ogni intento filofascista), tuttavia, è essenzialmente limitata all'ambito culturale italiano, essendo il termine revisionismo riferibile in genere ad ambiti più vasti e differenziati in sede di dibattito storico internazionale.
De Felice è stato inizialmente molto contestato, pur essendo oggi considerato il maggior storico del Ventennio; quando pubblicò il primo volume della nota biografia di Mussolini, la storiografia e la cultura italiane erano divise da barriere ancora molto rigide e una ricerca che contraddicesse l'interpretazione storiografica prevalente del fascismo, di Mussolini e della guerra di liberazione, si esponeva a forti critiche e pesanti polemiche[41]; lo storico venne accusato da sinistra di giustificare il fascismo e di eccessiva adesione al personaggio oggetto del suo lavoro.
D'altra parte, le sue ricerche, poi riconosciute da buona parte degli accademici come generalmente serie e scrupolosamente documentate, furono spesso piegate (con evidenti forzature delle tesi defeliciane) dai seguaci delle teorie più politicizzate al fine di negare le responsabilità storiche del fascismo[42].
In definitiva il lavoro svolto da De Felice permise l'inizio di un nuovo modo di porsi riguardo allo studio degli anni del fascismo, affrancando quest'ultimo "dagli stereotipi e dalle secche dell'antifascismo di maniera".[43][44].
Pisanò era invece un dichiarato ammiratore del fascismo e le sue ricerche furono per molto tempo confinate nell'area della destra; fu autore di diverse pubblicazioni sulla Repubblica Sociale Italiana come Sangue chiama sangue, La generazione che non si è arresa, Storia della guerra civile in Italia, 1943-1945, Il triangolo della morte e Gli ultimi cinque secondi di Mussolini.
Il giornalista Giampaolo Pansa, allievo di Alessandro Galante Garrone, ha invece dato adito a infuocate polemiche nei confronti dei suoi saggi storici e romanzi e accusato di voler "rivalutare il fascismo" in maniera da apparire però neutrale, cosa da lui respinta.[40]
In particolare per il romanzo-saggio Il sangue dei vinti, il cui argomento furono le ritorsioni e le vendette di alcuni partigiani contro i fascisti ormai sconfitti o i loro famigliari, Pansa è stato oggetto di critiche in quanto avrebbe "infangato" la Resistenza[40][45] utilizzando, a detta dei detrattori, quasi esclusivamente fonti revisioniste di parte fascista[45] accuse che Pansa ha sempre respinto con decisione[46].
Egli sostiene di aver utilizzato fonti di diverso colore politico e di aver spesso descritto i crimini che certi esponenti fascisti avevano commesso ai danni dei partigiani prima di essere a loro volta uccisi.
Critiche in merito alla veridicità dei racconti di Pansa sono venute anche da Lucio Villari e Giovanni De Luna nelle recensioni all'autobiografia di Pansa Il revisionista. Tali racconti sono stati considerati spesso semplicistici e fuori contesto; ma vi è stato anche chi, come Ernesto Galli della Loggia, ha giudicato positivamente il lavoro di Pansa, chiedendosi però come mai l'Italia si permetta di far luce sui crimini ignorati della sua storia solo quando sono gli intellettuali di sinistra a renderli noti al grande pubblico[47].
Anche lo storico Sergio Luzzatto, dopo una iniziale perplessità su Il sangue dei vinti, che comportò da parte sua anche dure prese di posizione[48], dichiarò in seguito che nelle sue opere «nulla si inventa» e c'è «rispetto per la storia»[48].
Analoghe polemiche, come l'accusa di revisionismo in favore del fascismo, hanno subito per molti anni gli storici che si sono occupati, anche senza sminuire le responsabilità italiane, di raccontare i massacri delle foibe e i drammi dell'esodo istriano, per lungo tempo taciuti o minimizzati per convenienza politica con la Jugoslavia.
È fatto particolare riferimento in diritto internazionale alla politica estera tenuta da alcune potenze europee, vincitrici e sconfitte, che denunciavano le ingiuste clausole della pace sottoscritta a Versailles nel 1919, con particolare riferimento alla determinazione dei nuovi confini nazionali. La Germania, quale prima potenza sconfitta, contestò, specialmente con l'avvento del Nazionalsocialismo i suoi confini di fatto determinati dai vincitori.
Oggetto di contestazione furono i seguenti territori:
Ma, alleatasi con la Germania (25 giugno 1941), la Finlandia liberò i territori perduti e si prese quasi tutta la Carelia russa fino alla controffensiva sovietica della primavera del 1944.
Particolare posto nell'ambito del revisionismo scientifico a causa della sua contiguità con varie forme di negazionismo e giustificazionismo è quello che riguarda le origini politiche della Seconda guerra mondiale e le sue conseguenze.
Alcuni storici revisionisti, ad esempio Charles A. Beard, sostengono che gli Stati Uniti siano in parte colpevoli di aver causato il conflitto per l'eccessiva pressione sul Giappone nel 1940-41 e per la mancata ricerca di compromessi.[49]
Il politico statunitense Patrick Buchanan ha sostenuto che la garanzia franco-britannica di difendere la Polonia dall'espansionismo tedesco abbia incoraggiato il governo polacco a non cercare un compromesso sulla questione di Danzica, sebbene Francia e Inghilterra non fossero in grado di soccorrere la Polonia e il governo tedesco avesse proposto in cambio un'alleanza tra Berlino e Varsavia all'interno del Patto Anticomintern.[50] Buchanan afferma che in tal modo una disputa di confini sia stata trasformata in un catastrofico conflitto mondiale, col risultato di consegnare l'Europa Orientale, Polonia inclusa, alla Russia stalinista.
I processi di Norimberga sono spesso stati sottoposti a critica. Alcuni revisionisti discutono le basi giuridiche di tali processi e la loro legittimità procedurale. Altri invece si concentrano su aspetti come il fatto che i vincitori avrebbero, a loro avviso, commesso crimini paragonabili (se non maggiori, per la pura quantità numerica) a quelli degli sconfitti (come i gulag sovietici, i massacri di prigionieri di guerra e l'averli privati di cibo, i bombardamenti indiscriminati sui civili, l'utilizzo di bombe atomiche e l'invasione di stati filotedeschi neutrali).
Revisionismo sull'Olocausto è la definizione che alcuni esponenti del negazionismo dell'Olocausto hanno attribuito alle proprie teorie, i cui sostenitori (fra essi David Irving e Carlo Mattogno) spesso reclamano per sé la definizione di "storici revisionisti". In realtà (come osserva lo storico Claudio Vercelli) l'«autoappropriazione», da parte dei negazionisti, «del termine "revisionismo" viene fortemente contestata dalla comunità scientifica, che vede in essa un tentativo di occultare, dietro una parola di uso corrente in ambito storiografico, un'operazione di ben diverso costrutto, poiché scientificamente infondata, politicamente indirizzata e moralmente inaccettabile. Il termine "negazionista", in genere non accetto dai negazionisti medesimi, che ne colgono le implicazioni delegittimanti, è invece quello propriamente usato dagli studi storici per definire le condotte che, sotto la parvenza di un'elaborazione critica della rilettura delle fonti, rivelano da subito un intendimento dichiaratamente ideologico, volto a stravolgerne il senso ultimo, sostituendolo con un orizzonte di significati destituito di fondamento fattuale»[51].
Oggetto di controversie, causa collaborazionismo con i tedeschi contro l'Armata Rossa, sono state le attività dell'Esercito insurrezionale ucraino di Stepan Bandera, recentemente rivalutate in funzione anti-russa, specialmente a partire dal 2004. Giù dopo l'indipendenza dall'URSS nel 1991, l'Ucraina tentò di riabilitare i membri della UPA considerandoli legittimi combattenti. Numerose correnti di pensiero, anche non politiche, hanno rivalutato l'opposizione e la resistenza opposta dai nazionalisti alla superpotenza confinante.
In ambito politico stalinista è stato chiamato antirevisionismo l'opposizione al revisionismo del marxismo e alle sue derivazioni, sostenendo che il vero revisionismo sia quello degli antistalinisti. Questo ha influito anche in ambito storico, sebbene oggi si definiscano revisionisti molti neostalinisti, contrari al revisionismo politico ma favorevoli al revisionismo della storiografia maggioritaria, che ha definito quello di Iosif Stalin come un governo dittatoriale e personale.[senza fonte] Quest'ultimi affermano che l'Unione Sovietica di Stalin realizzasse nel modo più corretto ed efficace le idee di Marx, Engels e Lenin (dittatura del proletariato al fine di costruire il comunismo), in quanto tra gli anni venti e cinquanta quel paese mantenne un elevato tasso di crescita economica, trasformandosi da stato feudale agricolo in una superpotenza mondiale. Ipotizzano, che se l'Unione Sovietica avesse continuato a seguire la politica stalinista, da essi indicata come una politica di emergenza e di lotta contro numerosi nemici interni ed esterni e non come politica paranoica e dittatoriale (come descritta di Nikita Kruscev) sarebbe stata in grado anche di realizzare un comunismo prospero. Per questa ragione le successive "revisioni[non chiaro]" del sistema sovietico sono, per loro, ingiustificate ed all'origine del declino del regime di quel paese e di tutti i suoi stati satelliti. Studi revisionisti sul socialismo stalinista sono stati condotti da Ludo Martens (antirevisionista politico e revisionista storico), ma anche da Giorgio Galli[senza fonte] e Domenico Losurdo.
Secondo la Nuova storiografia israeliana (Simha Flapan, Benny Morris, Avi Shlaim, Tom Segev, Zeev Sternhell, Ilan Pappé e altri) – che ha cominciato a esprimersi dopo la cosiddetta Operazione Pace in Galilea del 1982 – è totalmente non documentata l'affermazione israeliana che centinaia di migliaia di Palestinesi avrebbero abbandonato le loro terre e le loro case nel 1948-49, a ciò spinti dalle esortazioni e disposizioni date in tal senso dagli alti comandi arabi (Muftī di Gerusalemme Amīn al-Husaynī e Alto Comitato Arabo in Palestina).
L'apertura degli archivi militari israeliani e il materiale degli anni quaranta, diventato quasi interamente consultabile, avvalorano tale intento storiografico, dimostrando il coinvolgimento dei quadri organizzativi dei gruppi terroristici sionisti, come Irgun[52].
In Cile, e non solo, si è diffusa una corrente revisionista sul periodo del regime militare, ossia la dittatura del generale Augusto Pinochet (1973-1990). I cileni stessi rimangono divisi[senza fonte] tra quanti vedono in lui un brutale dittatore, che pose fine al governo democratico di Salvador Allende e guidò un regime caratterizzato da violente repressioni, e quanti affermano che egli abbia evitato al Paese una deriva verso il comunismo e guidato la trasformazione dell'economia cilena in un'economia moderna. Anche se vi è un crescente riconoscimento della innegabile violenza del suo regime, i revisionisti (e i sostenitori di Pinochet) giustificano ciò nel contesto della crescente violenza nella società cilena provocata dai gruppi politici armati rivoluzionari nel decennio che precedette il colpo di Stato.
I revisionisti su Pinochet affermano in particolare che[53]:
Pinochet venne sostenuto e difeso anche da politici ed esponenti liberaldemocratici contemporanei (come Margaret Thatcher o Friedrich von Hayek), che giustificarono il suo governo come "emergenziale" anche dopo la sua caduta.[61] Nel 2012 il governo liberal-conservatore cileno di Sebastián Piñera (fratello di José Piñera, ex Ministro liberista di Pinochet), benché sia un governo democratico e rispettoso dei diritti civili, è stato accusato di promuovere il revisionismo storiografico esplicito e il negazionismo nei confronti della dittatura pinochetista, negli anni precedenti (1990-2010) sottoposta a dura critica: in particolare il Ministero dell'Istruzione ha ordinato di cancellare la parola "dittatura" per descrivere il periodo di Pinochet nei libri di scuola elementare.[senza fonte]
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