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film del 1940 diretto da Alfred Hitchcock Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Rebecca - La prima moglie (Rebecca) è un film del 1940 diretto da Alfred Hitchcock, tratto dal romanzo Rebecca, la prima moglie di Daphne du Maurier, vincitore di due premi Oscar, tra cui quello per il miglior film. Il film è stato distribuito in Italia anche con i titoli La prima moglie (Rebecca) e Rebecca.
Rebecca - La prima moglie | |
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La locandina d'epoca | |
Titolo originale | Rebecca |
Lingua originale | inglese, francese |
Paese di produzione | Stati Uniti d'America |
Anno | 1940 |
Durata | 130 min |
Dati tecnici | B/N rapporto: 1,37:1 |
Genere | drammatico, thriller |
Regia | Alfred Hitchcock |
Soggetto | dal romanzo di Daphne du Maurier adattamento di Philip MacDonald, Michael Hogan |
Sceneggiatura | Robert E. Sherwood, Joan Harrison |
Produttore | David O. Selznick |
Casa di produzione | United Artists, Selznick International Pictures |
Distribuzione in italiano | Generalcine |
Fotografia | George Barnes |
Montaggio | W. Donn Hayes |
Effetti speciali | Jack Cosgrove |
Musiche | Franz Waxman |
Scenografia | Lyle R. Wheeler |
Costumi | Irene |
Trucco | Monte Westmore |
Interpreti e personaggi | |
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Doppiatori italiani | |
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Logo ufficiale del film |
Scelto come film di apertura al primo Festival internazionale del cinema di Berlino nel 1951, nel 1940 il National Board of Review of Motion Pictures l'ha inserito nella lista dei migliori dieci film dell'anno.
A Monte Carlo una giovane dama di compagnia, di cui non conosceremo mai il nome, incontra e sposa il ricco e aristocratico Massimo de Winter. Questi è vedovo della prima moglie, Rebecca, con cui ha vissuto nel castello di Manderley, in Inghilterra, un sontuoso maniero a strapiombo su una costa rocciosa. Rebecca era morta nell'affondamento del suo yacht ed era stata seppellita nella cappella di famiglia dopo che il marito aveva riconosciuto il cadavere.
Massimo e la nuova moglie, giovane, timorosa e ingenua, giungono al castello, dove la governante, la signora Danvers, una donna dura e inquietante, nutre ancora un'ammirazione incondizionata nei confronti della precedente datrice di lavoro, cosa che porta la nuova moglie alla gelosia e all'esasperazione. La Danvers manifesta infatti un affetto maniacale per la defunta Rebecca, mantenendo atteggiamenti distaccati verso la seconda signora de Winter, che oltretutto constata la presenza del ricordo di Rebecca nei pensieri del marito.
Un giorno un vascello affonda casualmente, cozzando su insidiosi scogli, davanti al castello di Manderley. I palombari trovano accanto a questo il relitto dello yacht affondato di Rebecca. Durante le ispezioni si scopre che il corpo della donna è ancora nel relitto in una cabina chiusa, che le paratie sono state sfondate dall'interno e che le valvole di sicurezza sono state aperte, in un evidente tentativo di danneggiare e far affondare lo yacht.
Massimo è così costretto ad affrontare un nuovo processo. Prima di recarsi in tribunale confessa però, solo alla moglie, la verità. Rebecca era morta accidentalmente di fronte a lui: infatti un giorno in cui i due erano nel capanno di famiglia, sul mare, dove abitualmente la donna incontrava i suoi numerosi amanti, lei gli aveva annunciato d'essere incinta di un altro; Massimo poi la schiaffeggiò e Rebecca accidentalmente cadde battendo violentemente la testa contro una carrucola. La donna rimase uccisa e Massimo, nel timore di essere accusato di omicidio, affondò il proprio yacht con all'interno il corpo della moglie, simulando poi il riconoscimento del cadavere di una sconosciuta. La giovane sposa crede nella buona fede di Massimo ed è pronta a difenderlo.
Durante il processo Massimo ribadisce che la morte di Rebecca fu una disgrazia, ma il colonnello Julyan incaricato dell'indagine vuole approfondire le circostanze della morte della donna chiamando come testimoni Jack Favell, cugino di Rebecca, e la Danvers.
Il matrimonio dei De Winter, in apparenza perfetto, celava un rapporto fatto di odio. Rebecca infatti non amava il marito e già pochi giorni dopo il matrimonio lo tradiva senza pudore. Per questo Massimo la odiava, nascondendo però a tutti la crisi coniugale per evitare uno scandalo nella piccola contea.
Jack Favell, cugino e anche amante di Rebecca, credendo che la donna aspettasse un figlio da lui, cerca di ricattare Massimo. Quando le indagini portano però alla rivelazione che Rebecca era in realtà malata terminale di cancro e non era in stato di gravidanza, il giudice scagiona Massimo. L'uomo si rende quindi conto che Rebecca aveva usato lui per sfuggire a una devastante agonia, provocando la sua ira con una menzogna.
Mentre Massimo torna in auto a Manderley, felice di dare la buona notizia alla moglie, Jack telefona alla Danvers, comunicandole che l'uomo è stato scagionato e che i due sposi ora potranno vivere felici nel castello di Manderley.
La Danvers, ormai in preda alla pazzia, appicca il fuoco a Manderley, morendo nell'incendio che distrugge per sempre il castello ma non il matrimonio di Massimo, che finalmente può dimenticare Rebecca.
Si tratta del primo film girato negli USA da Hitchcock per il produttore David O. Selznick.
La storia narrata nel film segue abbastanza fedelmente l'omonimo romanzo di Daphne du Maurier, differendone solo lievemente per qualche dettaglio. Per esempio Hitchcock, per rispettare il Codice Hays, ha dovuto modificare il racconto della morte di Rebecca: nel libro Massimo afferma di averle sparato, nel film invece dice di averla colpita e fatta cadere accidentalmente su una carrucola. Uno dei tratti salienti dell'opera che è stato mantenuto nella trasposizione della pellicola è il fatto che il personaggio centrale della giovane de Winter, interpretata da Joan Fontaine, non ha un nome, e questo ne enfatizza il contrasto con la signora de Winter, l'unica possibile per Miss Danvers. L'assenza del nome per la seconda moglie rappresentò però un problema in fase di scrittura della sceneggiatura.
Collaborarono alla sceneggiatura lo scrittore Michael Hogan, Joan Harrison, segretaria e sceneggiatrice del regista, e Robert Sherwood, che operò sulla parte finale. Ai dialoghi lavorò Philip MacDonald.[1]
Il cast è quasi completamente inglese. Tra le attrici che si presentarono al provino per il ruolo della signora De Winter, vanno ricordate Loretta Young, Margaret Sullavan, Vivien Leigh e Anne Baxter. Fu scelta Joan Fontaine, allora ventiduenne, che si rivelò perfetta in quella parte: dolce e intelligente, modesta e timida, spaventata e insicura, innamorata e tenace; Hitchcock la volle anche come protagonista nel film Il sospetto.
Il protagonista maschile fu Laurence Olivier, anch'egli molto indovinato nel ruolo di un personaggio complesso e misterioso, elegante e melanconico, autoritario e tormentato.
Nella parte della signora Danvers, la spietata e folle governante, fu scelta Judith Anderson: gelida, rigida, un viso senza espressione, l'attrice riesce a trasformarsi in una presenza terrificante.
Nel ruolo di Jack Favell, l'amante-cugino della prima moglie Rebecca, recita George Sanders, che interpreterà nel film successivo di Hitchcock, Il prigioniero di Amsterdam, il giornalista Scott Folliott.
Le riprese iniziarono nel settembre del 1939, proprio mentre in Europa la Polonia era invasa dall'esercito tedesco e scoppiava la Seconda guerra mondiale.
Il film costò più di un milione di dollari e fu il più costoso girato dal regista fino ad allora, avendo in compenso un grande riscontro negli incassi.[2]
Come da tradizione il regista appare in un cameo: lo si può individuare dietro la cabina telefonica dove c'è Jack Favell.
La prima ebbe luogo il 12 aprile 1940.
Nella versione in italiano del film la colonna sonora originale è rielaborata attraverso un commento musicale integrativo curato dal compositore Umberto Galassi.[3]
Per l'Italia i manifesti del film furono realizzati nel 1940 dal pittore cartellonista Sergio Gargiulo.
Il film, che venne scelto come film di apertura al primo Festival internazionale del cinema di Berlino nel 1951, ebbe un grande successo di pubblico e di critica, come dimostrano i riconoscimenti ottenuti.
François Truffaut, nella celebre e fondamentale intervista fatta al regista, afferma: «... è il primo dei suoi film che faccia pensare a una fiaba» e che «... la storia di Rebecca è molto simile a quella di Cenerentola». Hitchcock conferma e aggiunge «... la protagonista è Cenerentola e la signora Danvers è una delle sorelle cattive».[4] Questa interpretazione è stata ripresa più volte dai critici successivi.
«Un giallo fiabesco, moderno ed inquietante» lo definiscono Éric Rohmer e Claude Chabrol.[5]
«Ci si accosta a questa trasposizione dell'altrettanto celebre romanzo di Daphne Du Maurier subito coinvolti in un'atmosfera da favola gotica, si sfiora l'horror, si costeggia il melò e si precipita in un rebus di cristallina coerenza poetica».[6]
La struttura del film segue una geometria rigorosa:
A = Prologo: il sogno.
B = Sviluppo in tre atti:
C = Epilogo: l'incendio e la distruzione del castello.[7]
«Sognai l'altra notte che ritornavo a Manderley»
Il film inizia esattamente come il libro di Daphne du Maurier. Nel prologo la voce fuori campo della protagonista racconta un sogno. Lo spettatore è trasportato in un'atmosfera incantata. Dell'immaginario del Romanticismo ci sono parecchi elementi: un notturno, il chiaro di luna, un sentiero tortuoso e interrotto da una selva intricata e infestante, un cancello in ferro battuto chiuso con la catena attraversato da una "soprannaturale potenza", le rovine di un castello abbandonato. Il gioco di luci e ombre pare rianimare la vita fra quelle mura misteriose ma è un'illusione. Una nube nasconde la luna piena, "per un istante aleggiò sulla faccia come una mano oscura" e il miraggio svanisce.[8] Il sogno riporta indietro, nel passato, tutto il film è un flashback, un unico lungo ricordo.
Il mare è l'immagine simbolo che accompagna Rebecca e che tormenta Massimo De Winter. Nella sequenza che racconta il casuale incontro fra i due protagonisti, immediatamente successiva a quella del sogno, l'immagine del mare s'accompagna a quella della vertigine. Nella prima inquadratura onde gonfie e spumeggianti sbattono contro le rocce, un movimento della macchina da presa percorre dal basso verso l'alto il pendio scosceso della rupe, un uomo è pericolosamente in bilico sullo strapiombo. La successiva inquadratura dell'uomo di spalle e il dettaglio dei piedi, instabilmente poggiati al suolo, rinforzano l'effetto di pericolo. Le immagini contengono già la verità del personaggio, pur riuscendo, per il momento, misteriose e indecifrabili per lo spettatore.
Hitchcock ebbe a dichiarare: «il film è la storia di una casa; si può dire che la casa è uno dei tre personaggi principali del film».[9]
In realtà la casa – quando la si vede per intero – era un modellino, così come il vialetto che ci arriva. Hitchcock girò l'opera ad Hollywood; Daphne du Maurier s'ispirava ai luoghi della sua infanzia a Fowey e in età adulta in quei luoghi affittò il maniero di Menabilly.
Il film è stato oggetto di analisi condotte da studiose americane interessate a problematiche legate alla femminilità e alla psicanalisi.[10][11]
Secondo questi studi Hitchcock traccia, nel personaggio della protagonista, un ritratto femminile molto moderno, complesso e profondo, anche alla luce delle teorie psicanalitiche. Presenta una figura di donna alla ricerca della propria identità, che conquista faticosamente, sottraendosi alla dipendenza ed alla conflittualità con le altre tre figure femminili: Mrs. Van Hopper, Mrs. Danvers e Rebecca. Il rapporto d'amore con Massimo è un percorso di conoscenza e di presa di coscienza di sé stessa.
Il regista sa descrivere ogni mutamento d'umore ed ogni stato d'animo: la soggezione, la dignità, la fantasia, l'audacia, la gelosia e lo scoramento.
Ricca vedova in vacanza a Montecarlo, funge nei confronti della giovane dama di compagnia da vice-madre, fintamente protettiva. Pettegola, sfrontata e invadente, è stupefatta della proposta di matrimonio ricevuta dalla sua protetta e reagisce poco generosamente insinuando giudizi maliziosi: «Le acque chete hanno un fondo turbolento... dite un po', non avrete fatto nulla di sconveniente?». E poi sferra il colpo basso, la battuta velenosa: «Non v'illuderete che sia innamorato!»
Proprio dalla sua invisibilità, il personaggio acquista una grande forza. La sua presenza è ovunque: nei discorsi di chi l'ha conosciuta, negli oggetti, eleganti e raffinati, che le sono appartenuti (la carta da lettere intestata, il prezioso Cupido di porcellana, il fazzoletto con le iniziali ricamate, la biancheria, la pelliccia), nelle stanze e nell'arredamento del castello, nelle consuetudini della casa. Giganteggia soprattutto nell'immaginario della protagonista, ossessionata dal suo senso di inadeguatezza e dalla paura di non essere amata.
È la governante di Rebecca, custode devota della casa-reliquiario, implacabile nel celebrare la defunta padrona. Incarna l'ambiguo rapporto d'identificazione fra servo e padrone. Intollerante della nuova moglie del padrone, fa di tutto per farla sentire un'intrusa, un'ospite sgradita. Punta ad annientarla e distruggerla psicologicamente. Sottile, vestita sempre di nero, appare all'improvviso e silenziosamente, in piedi, immobile. «La signora Danvers quasi non camminava, non la si vedeva mai muoversi da un posto all'altro [...] Veder camminare la signora Danvers l'avrebbe umanizzata».[9]
Nella sua ostinata difesa del passato si oppone al rinnovarsi della vita e dà fuoco al castello: «...ma, se può servire solo le forze del passato, vivendo materialmente nel passato, ella riesce a distruggere nient'altro che il passato».[12].
Hitchcock propone una visione della realtà che si modifica continuamente, in una specie di gioco di parvenze ingannevoli. La stessa Du Maurier nel suo romanzo fa del suo meglio per mantenere l'ambiguità e il mistero, anche se non può, oggettivamente, cambiare di capitolo in capitolo la realtà scritta nero su bianco. Hitchcock, grazie al mezzo visivo, può invece avere piena libertà di passare dalla storia alle memorie alle visioni. Lo studioso Robert J. Yanal nel libro Hitchcock as Philosopher, analizzando il film, approfondisce il tema della conoscenza e della verità.[7]
Hitchcock racconta una storia filtrata dalla soggettività della persona che la vive. È attraverso i suoi occhi, le sue reazioni, il suo punto di vista che lo spettatore entra nella storia e interpreta gli eventi. Questa tecnica non permette allo spettatore di essere neutrale, costringendolo a essere emotivamente coinvolto. Significativamente, in questo che è forse il suo primo grande film, gli occhi con cui guarda sono quelli di una donna, come avverrà nella grande maggioranza dei suoi lavori.
Fin dal prologo il regista accende la curiosità dello spettatore sul misterioso castello del sogno: che cosa è accaduto in quel luogo? Continuamente, lungo tutto il film, il regista tiene tesa l'attenzione e la partecipazione di chi guarda: crea situazioni il cui esito incerto mette ansia, inserisce imprevisti che interrompono il fluido svolgersi degli avvenimenti, allude a segreti che incombono, fino all'ultimo spettacolare colpo di scena dell'incendio.
Soprattutto nelle sequenze girate dentro il castello di Manderley il lavoro della cinepresa contribuisce, insieme alla sceneggiatura, a esprimere il senso d'inadeguatezza della protagonista. I corridoi, le finestre, le scale, i saloni sono inquadrati dalla cinepresa in modo che appaiano un labirinto in cui «...la bella intrusa sembra bloccata, schiacciata, incarcerata dai numerosi primissimi piani che popolano il film di dettagli, di particolari, di sguardi».[6]
Hitchcock tornò sul tema del condizionamento del passato e del complesso di colpa nel 1949 con Il peccato di Lady Considine (Under Capricorn) e nel 1958 con La donna che visse due volte (Vertigo).
Nel 2018 è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.[14]
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