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architetto italiano (1881-1969) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Raffaele De Vico (Penne, 18 aprile 1881 – Roma, 15 agosto 1969) è stato un architetto italiano.
Nasce a Penne (Teramo, oggi Pescara) il 18 aprile 1881 dallo scultore Angelo De Vico e da Emma Bartolini.
La sua prima formazione presso la sezione Agrimensura dell'istituto tecnico di Chieti e successivamente come perito tecnico agrario presso l'attività dello zio Vincenzo Sbozzieri, gli fornisce le basi per la conoscenza delle piante.
Nel 1902 conosce Giuseppe Sacconi che gli fa dono del volume del pittore e architetto Paolo Camillo Landriani[1] Probabilmente attraverso Giuseppe Sacconi conosce il di questi collaboratore ingegnere Pompeo Passerini, con il quale collaborerà in importanti opere.[2]
Lavora nel 1906-1907 presso l'ufficio di Lino De Cecco, ingegnere capo dell'ufficio tecnico di Castellammare Adriatico (oggi Pescara) che fu il suo primo maestro; qui conosce anche Gabriele D'Annunzio.
S'iscrive nel 1907 all'Accademia di Belle Arti di Roma, dove consegue il diploma di Professore di disegno architettonico e conosce lo scultore e accademico d'Italia Ettore Ferrari, che esercitava la presidenza presso l'istituto, e vi stringe amicizia. Successivamente viene da questi presentato ad alcuni altri professionisti, tra i quali l'architetto-archeologo Giacomo Boni, dal quale apprese la conoscenza delle piante classiche. Tale conoscenza sarà ampiamente utilizzata nei suoi progetti futuri.
Nel 1908 per un breve periodo lavora come aiutante tecnico agli Ospedali Riuniti di Roma e presso il Servizio costruzioni delle Ferrovie dello Stato. A partire da questo periodo risale probabilmente l'inizio della collaborazione professionale con Pompeo Passerini in alcuni dei suoi lavori, tra i quali il cantiere del Monumento a Vittorio Emanuele II. Qui entrò in contatto con molti degli artisti, scultori, pittori ed architetti che vi partecipavano, e successivamente alcuni di questi collaboreranno con lui in alcune delle sue opere. Particolarmente significativa fu l'amicizia con lo scultore Adolfo Cozza[3] (forse conosciuto già precedentemente dal padre Angelo a Firenze, poiché circa nello stesso periodo entrambi avevano praticato l'attività di scultori a Firenze e frequentato lo studio di Giovanni Duprè) amicizia che dopo la morte di questi sarebbe continuata con il figlio scultore Lorenzo Cozza e con il nipote archeologo Lucos Cozza.
Sposa nel 1912 Maria Ravaglia, da cui ha quattro figli: Fabrizio (1912-2007, divenuto architetto) Giuliana, Marella e Fabio.
Nel 1913 vince il concorso come aiutante tecnico di III classe nell'amministrazione capitolina; viene incaricato a tempo indeterminato professore di architettura al Liceo artistico di Roma. Viene progressivamente interessato a grandi e piccoli progetti del verde ed è nominato membro della Commissione di estetica cittadina - collaborando in veste o al di fuori di tale nomina ufficiale - con personaggi come lo storico dell'arte e archeologo Corrado Ricci, l'architetto Gustavo Giovannoni, lo storico dell'arte Antonio Muñoz e l'ingegnere Paolo Salatino, capo dell'ufficio tecnico del comune di Roma.
Presta servizio militare alla Caserma di Civitavecchia dal 1915 al 1919 con il grado di sottotenente come aiutante ingegnere. Gli viene concesso uno studio da parte dell'Accademia di Belle Arti sito nell'edificio storico di piazza del Ferro di Cavallo.
Trasferisce nel 1920 la residenza al Casale del Graziano a villa Borghese, dove rimarrà per tutta la vita. Nel 1921 è nominato geometra principale nell'ufficio tecnico del comune di Roma.
Consegue la laurea di architetto nel 1923 e viene iscritto nel relativo albo istituito nel 1920 (vi venivano iscritti per legge tutti coloro che fino ad allora si erano segnalati per la qualità nell'esercizio della professione). Viene nominato consulente artistico provvisorio del servizio giardini comunale (confermato nel 1924). Lo stesso anno è nominato in ruolo al Liceo Artistico di Roma quale aggiunto di Architettura e rassegna le dimissioni da tecnico comunale.
Su indicazione di Marcello Piacentini, viene nominato consulente generale per i parchi e giardini dell'E42 nel 1939; nel 1940 ha l'incarico della vigilanza sulle realizzazioni dei progetti ai parchi e giardini. In questo modo diventò il più importante architetto del verde della capitale e lo rimase per un trentennio; a lui la capitale deve l'aspetto di un consistente numero di parchi e giardini, situati in luoghi estremamente significativi della città. Si occupò infatti di una lunghissima lista di progetti e di realizzazioni, tra cui si citano i seguenti[4].
Si occupò inoltre dell'ampliamento del Giardino Zoologico (1928), in cui curò anche altri interventi sull'impianto originale (1928-1938), realizzando nuovi padiglioni, come il rettilario e la grande gabbia poliedrica della voliera, caratterizzate dalla fusione tra motivi decorativi e zoomorfi ed elementi funzionali.
È tra i fondatori, nel 1950, dell'Associazione Italiana degli architetti del giardino e del paesaggio insieme a Mario Bafile, Michele Busiri Vici, Giuseppe Meccoli, Pietro Porcinai, Elvezio Ricci (direttore del servizio giardini di Roma) e Maria Teresa Parpagliolo Shepard.
Dal 1955 al 1961 è capo del Servizio Giardini dell'EUR. Incaricato del completamento dei parchi e dei giardini dell'EUR-quartiere di Roma nell'ambito della restaurazione promossa da Virgilio Testa, cura il completamento di tutti i progetti eseguiti (modificandoli ai fini del contenimento delle spese) e la nuova progettazione del parco Centrale con la grande cascata sotto al palazzo dello sport (Marcello Piacentini – Pier Luigi Nervi) e dei due giardini gemelli degli ulivi.
L'Associazione italiana degli architetti del giardino e del paesaggio lo nomina socio onorario nel 1965 «… riconoscendo in lui il depositario delle nobili tradizioni del nostro paese nella ideazione del giardino come opera d'arte».
Muore il 15 agosto 1969 a Roma.
Dagli studi presso l'Accademia di belle arti di Roma e dalla collaborazione con lo studio di Pompeo Passerini, adotta la poetica neobarocca in auge in quegli anni, detta "Barocchetto romano".
L'ulteriore apprendimento autodidatta gli ha permesso un'approfondita e sentimentale conoscenza di Roma, dei suoi monumenti e dei suoi giardini. La sua opera è caratterizzata da una personale cifra artistica sobria e pulita, dalla meticolosa attenzione all'inserimento nel contesto storico, urbanistico e architettonico dei suoi progetti, e dalla loro densa ma discreta carica decorativa.
Nel corso della sua carriera, a partire dai primi anni del 1900, si è dedicato alla progettazione e alla direzione dei lavori della maggior parte dei giardini pubblici di Roma, con un picco di attività durante gli anni del Governatorato. Anche nel settore dell'architettura edile ha realizzato importanti opere monumentali.
1930:
Il fondo Raffaele de Vico[9] è conservato presso l'Archivio storico capitolino del Comune di Roma. Il complesso documentario comprende principalmente fotografie, disegni, album, lastre fotografiche che illustrano l'attività professionale dell'architetto.
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