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La protodulia (o somma dulia, o prima dulia[1]) è un culto dedicato dal Cristianesimo a San Giuseppe, padre putativo di Gesù.
Il richiamo a distinguere culto di Dio da un culto improprio dei Santi è presente in Atti 14:14-15, Apocalisse 19:9-10, 22:6-7 e Lc 4:7-8. Negli ultimi tre passi il divieto di adorazione spuria è collegato al divieto di prostrarsi.
Col termine latino dulia (greco douleia; it. venerazione) si indica la generica preghiera e devozione ai Santi (angeli e creature umane, cfr. Romani 8:21); invece, la parola latina latria (gr. latreia; it. adorazione) indicava in diversi passi del Nuovo Testamento la preghiera e devozione al Dio Uno e Trino (Giovanni 16,12[2]; Romani 12,1[3]), anche nell'Eucaristia[4].
Un altro passo importante, dove questo termine è usato distintamente, si trova nella risposta alle tentazioni di Satana (Matteo 4,9-11[5]): Κύριον τὸv θεόν σου προσκυνήσεις καὶ αὐτῷ μόνῳ λατρεύσεις (Kurion ton theon sou proskynēseis kai autō monō latreuseis), dove appunto il verbo derivato di latreia è usato in riferimento alla divinità.
I due termini greci "douleia" e "latreia" sono usati ben distintamente, da una pluralità di autori, già a partire dal Nuovo Testamento. In questo uso così attento delle parole, resta la ferma convinzione che è Dio il primo soggetto di culto, quale fonte di miracolo e santità. Quindi: i Santi si venerano, Dio si adora.
Per il credo cattolico, il culto dei santi non costituisce affatto forma di idolatria, vale a dire la sostituzione con altre creature della devozione e preghiera dovuti a Dio: la distinzione di due verbi ("adorare" e "venerare") per indicare rispettivamente la preghiera e devozione a Dio e agli altri Santi, serve anche a marcare e ricordare la diversa priorità: prima di tutto il culto di Dio, cui segue la venerazione dei Santi, con il loro ulteriore ordine interno suggerito dalla tradizione (iperdulia, protodulia, ecc).
A tutto ciò si aggiunge la consapevolezza che tutti i Santi partecipano pienamente e perfettamente del vivere di Dio, perché sono il Corpo Mistico del Cristo risorto.
A Maria, madre di Gesù Cristo, è riservata la primaria venerazione (detta iperdulia), in quanto unica creatura umana nata senza peccato originale (dogma dell'Immacolata Concezione), e poi vissuta sempre senza peccato alcuno.
La parola protodulia è riservata soltanto per la preghiera e devozione a San Giuseppe. La venerazione di San Giuseppe è seconda solo a Maria per potere di intercessione, e precede qualsiasi altro essere umano, e gli angeli di qualsiasi gerarchia: per ottenere una grazia da Dio, e l'esorcismo contro i demoni.
Il suo ruolo primario nella teologia cattolica è dovuto alla fedeltà e castità nel matrimonio con Maria, preservata in purezza e senza peccato, e interamente consacrato al compito che Dio stesso affidò loro con l'Annunciazione e con l'Incarnazione; alla umiltà e purezza di cuore, di anima e di opere.
Giuseppe è il Santo Protettore della Chiesa Cattolica[6], il santo patrono della purezza e della famiglia, patrono della morte (naturale) in quanto protettore di una buona e santa morte, non intesa come eutanasia. È anche venerato quale primo intercessore per il dono divino della castità, e della temperanza rispetto alle tentazioni dei sensi.
La devozione a San Giuseppe ricevette impulso sotto il pontificato di papa Pio IX. Alla Sua invocazione sono dedicate le litanie di San Giuseppe, approvate nel 1597, alcune preghiere nell'officio dell'Unzione agli Infermi, e dell'Estrema Unzione. L'intero mese di marzo è dedicato alla Sua invocazione.
La tradizione cristiana attribuisce particolare importanza a tale venerazione, dato l'esemplare legame tra Giuseppe ed il figlio putativo Gesù[7] nella Sacra Famiglia, e il ruolo decisivo riservato al padre dalla società patriarcale ebraica per la crescita ed educazione della prole.
Tommaso d'Aquino, santo e Dottore della Chiesa, sviluppò il tema della devozione a san Giuseppe:
Differenziandosi da tutti i santi, <<san Giuseppe entra nell'ordine della unione ipostatica>>, meritando un culto proporzionato in onore al grado preminente della sua paternità, dignità e santità[9].
Anche per la devozione mariana, furono riservate parole simili da padre Massimiliano Kolbe e da Leonardo Boff, teologo della "Liberazione"[10]: Maria come parte dell'ordine dell'unione ipostatica fra la madre di Gesù Cristo, e lo Spirito Santo Dio, che la ricolma della grazia e dei doni divini, pur restando ella così come Giuseppe nella sola natura umana, quella nativa del ritratto più fedele del Verbo fattoSi carne mai concesso al genere umano, senza poter essere né Dio né un "secondo Dio".
Nel XIX secolo, la teologia cattolica riprese il concetto di protodulia per indicare un culto che per importanza segue quello di Maria e precede tutti gli altri santi, tenendoli nelle giusto e debito ordine di "distanze" fra loro[11], in qualche modo differente dagli altri santi dal punto di vista della sostanza[12]
Santa Teresa d'Avila, religiosa e mistica spagnola, scrive nella sua autobiografia[13]:
«Ad altri Santi sembra che Dio abbia concesso di soccorrerci in questa o in quell'altra necessità, mentre ho sperimentato che il glorioso S. Giuseppe estende il suo patrocinio su tutte. Con ciò il Signore vuol farci intendere che a quel modo che era a lui soggetto in terra, dove egli come padre putativo gli poteva comandare, così anche in cielo fa tutto quello che gli chiede. Ciò han riconosciuto per esperienza anche altre persone che dietro mio consiglio si sono raccomandate al suo patrocinio. [...] Se la mia domanda non è tanto retta, egli la raddrizza per il mio maggior bene.[...] Gli devono essere affezionate specialmente le persone di orazione, perché non so come si possa pensare alla Regina degli Angeli e al molto che ha sofferto col Bambino Gesù, senza ringraziare S. Giuseppe che fu loro di tanto aiuto.[...]Egli, da quegli che è, mi ha dato di potermi alzare da letto, raddrizzarmi e camminare; e io, da quella che sono, l'ho ripagato con usar male la sua grazia”.»
Riguardo alla devozione a san Giuseppe, papa Leone XIII pubblicò l'enciclica Quamquam pluries, pubblicata in occasione della solennità dell'Assunzione di Maria del 15 agosto 1889.
Pur non utilizzando i termini "protodulia" e "iperdulia", il testo afferma:
«È certo che la dignità di Madre di Dio poggia sì alto, che nulla vi può essere di più sublime; ma perché tra la beatissima Vergine e Giuseppe fu stretto un nodo coniugale, non c'è dubbio che a quell'altissima dignità, per cui la Madre di Dio sovrasta di gran lunga tutte le creature, egli si avvicinò quanto mai nessun altro. Poiché il connubio è la massima società e amicizia, a cui di sua natura va unita la comunione dei beni, ne deriva che, se Dio ha dato come sposo Giuseppe alla Vergine, glielo ha dato non solo a compagno della vita, testimone della verginità e tutore dell'onestà, ma anche perché partecipasse, per mezzo del patto coniugale, all'eccelsa grandezza di lei.»
«Così pure egli emerge tra tutti in augustissima dignità, perché per divina disposizione fu custode e, nell'opinione degli uomini, padre del Figlio di Dio. Donde consegue che il Verbo di Dio modestamente si assoggettasse a Giuseppe, gli obbedisse e gli prestasse quell'onore e quella riverenza che i figli debbono al padre loro.»
Secondo il dogma della maternità divina, Maria è gloriosa presenza nell'unione ipostatica. Per tramite della sua mediazione, partecipa a questa divina sostanza anche Giuseppe, per volontà di Dio divenuto suo sposo ed una sola carne con lei, per effetto del sacramento matrimoniale.
Giuseppe è l'unica creatura umana, oltre a Maria, alla quale fu dovuta obbedienza e onore da parte del Verbo di Dio, che è Gesù Cristo.
In modo analogo, l'Orazione a San Giuseppe sembra ripetere lo stesso ordine di dignità, a partire dalla frase introduttiva: "A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua Santissima Sposa."
Giuseppe è detto "beato", ed invocato dopo la sua "Santissima" sposa[14].
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