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Un protocollo cerimoniale, nella vita di relazione, è l'insieme delle consuetudini, degli usi e delle norme che hanno disciplinato dall'antichità, e che disciplinano tutt'oggi, la vita di relazione pubblica (sul piano nazionale e internazionale) e privata.
Questo istituto, di natura sociale ma anche giuridica, nel tempo è stato indicato con diverse denominazioni.
Il cerimoniale è un linguaggio, costituito di un complesso patrimonio di segni, di simboli, di gesti, di espressioni, di rituali, di formule, mediante i quali si attua e si ripete la manifestazione del soggetto pubblico[1]. L'insieme di queste regole e consuetudini si applica durante le cerimonie, sia pubbliche che private.
Il protocollo è, invece, ciò che rende comprensibile, accettato e applicabile questo linguaggio; è il sistema delle regole, dei principi, dei criteri, delle significazioni.
È opinione diffusa che parole come cerimoniale, etichetta, stile, bon ton e altre ancora possano essere senza distinzione utilizzate per descrivere e qualificare una molteplicità di attività - chiunque sia il soggetto che le pone in essere - che attengono al comportamento e al suo carattere formale. Tuttavia non è così: galateo, bon ton, etichetta, interpretano, sostengono e curano l'espressione del comportamento dell'individuo nella sfera dei rapporti personali. Essi costituiscono quindi l'espressione delle convenzioni sociali, culturali, religiose che sono necessario presupposto per una convivenza civile, ma non sono necessariamente riferite ad eventi pubblici.
Il cerimoniale, invece, attiene alla sola sfera di relazioni pubbliche, sia tra i componenti delle formazioni sociali che all'interno degli organismi titolari di pubblici poteri. Preesistente alla stessa forma statuale, secondo il Santantonio[2] discende da principi di filosofia morale, differenti nel tempo e nello spazio, ma di massima in linea con i precetti del decalogo biblico, alla base anch'essi del diritto naturale, dell'ebraismo, del cristianesimo e dell'Islam: la sua moderna esplicazione trarrebbe spunto in special modo dal cerimoniale codificato per la prima volta nel Pace di Vestfalia del 1648 e successivamente rielaborato nel Congresso di Vienna del 1815 e, nella forma oggi vigente, nella Convenzione sulle relazioni diplomatiche di Vienna del 1961.
Nell'epoca contemporanea, si distingue solitamente il cerimoniale in cerimoniale di Stato, in cerimoniale diplomatico ed in cerimoniale ecclesiastico.
Il protocollo delle ritualità che regolano l'azione delle istituzioni di uno Stato viene definito Cerimoniale di Stato. Esso estrinseca la propria attività nella manifestazione formale della vita dello Stato e si riferisce alla esplicazione della sovranità di esso e delle sue potestà. Ha natura "giuridica" e discende dall'ordinamento giuridico-costituzionale.
Il cerimoniale diplomatico è invece il complesso delle regole che regolano le formalità relative allo svolgimento della funzione diplomatica ed attinenti in generale ai rapporti formali tra organi di vari stati. Esso fissa le procedure protocollari internazionali, tra cui, ad esempio, i rapporti tra i rappresentanti diplomatici e gli stati ospitanti e le modalità per la presentazione delle credenziali da parte dei capi-missione. Il cerimoniale diplomatico trova le sue fonti più recenti e più note nella pace di Vestfalia del 1648, in quello di Vienna del 1815 e, da ultimo, sulle relazioni diplomatiche del 1961. Pur ispirandosi ad una certa uniformità nei criteri generali, ogni Stato determina liberamente le proprie regole di cerimoniale anche nello svolgimento delle relazioni internazionali. Infatti in ogni ministero degli esteri esiste generalmente un ufficio cerimoniale o del protocollo che tratta i relativi affari.
Il cerimoniale ecclesiastico si occupa invece delle cerimonie, liturgiche e non, della Curia romana, cioè quelle della cappella e dei palazzi papali, le funzioni celebrate dai Cardinali ed il cosiddetto cerimoniale di corte, ovvero la precedenza tra i cardinali e tra i diplomatici accreditati presso la Santa Sede. Tale singolare ma importante campo era di competenza della congregazione cerimoniale, una delle sacre congregazioni, costituita da Sisto V, unita a quella dei riti (Congregatio pro sacris ritibus et caerimoniis) con la costituzione Immensa Aeterni Dei del 1588. Le regole e le direttive che disciplinano il comportamento dei vescovi e le funzioni pontificali, l'uffizio sacro ed alcune feste delle chiese metropolitane, cattedrali, collegiate e monastiche sono invece contenute nel libro liturgico detto cerimoniale dei vescovi.
Va ricordato, infine, che la dottrina ha ufficializzato anche il cerimoniale marittimo che disciplina lo scambio di onori tra le navi nonché le visite a bordo e a terra dei comandanti, in patria e all'estero e il cerimoniale militare che a sua volta regolamenta la resa degli onori, le riviste e le parate. Il cerimoniale sportivo cui si fa riferimento per le cerimonie di apertura e chiusura delle più importanti manifestazioni sportive.
Qualche codice di cerimoniale ecclesiastico esistette già nel IV secolo, ma i documenti più importanti si datano dall'VIII al XV secolo. Di fronte alla molteplicità delle relative raccolte, il Concilio di Trento ordinò la pubblicazione di un solo cerimoniale: Liber cerimoniarum ritualis reso ufficiale sotto Clemente VIII. Nuove edizioni furono adottate da papa Innocenzo X nel 1650 e da papa Benedetto XIII nel 1727. Quest'ultimo pontefice volle regolamentati la musica e il canto, i segni di onore e di rispetto tra il vescovo e le autorità civili, i doveri dei vescovi, dignità e uffici del capitolo (canonici), ornamenti e insegne pontificali e degli arredi sacri nonché le funzioni pontificali e di alcune solennità[3].
Il cerimoniale di Stato, invece, prese forme precise sotto Carlo Magno[4], durante il cui impero però risentiva della preponderanza ecclesiastica nella corte palatina[5]. Esso giunse nelle sue forme più complesse ed articolate col fiorire delle monarchie assolute, ma risentì anche del processo di formazione degli Stati nazionali: in particolare, per il Sacro Romano Impero il principio cuius regio eius religio - imposto dalla pace di Augusta - introdusse un attentissimo bilanciamento delle forme con cui le pubbliche autorità si manifestavano, per evitare il sospetto di propensioni per l'una o l'altra delle parti coinvolte nelle recentissime e sanguinose guerre di religione.
Da ciò scaturì una progressiva depurazione di elementi religiosi, con un alto tasso di laicità sconosciuto ai cerimoniali degli Stati nazionali estranei alla tradizione mitteleuropea. Nel XIX secolo il cerimoniale di Stato si limitò a forme assai più semplici, specie negli stati a regime repubblicano ove è generalmente circoscritto alla disciplina dell'ordine delle precedenze nelle pubbliche funzioni ed a quella per lo scambio di visite tra autorità, all'atto di assumere e lasciare la carica.
Nella vita di relazione privata, pubblica e in ambito internazionale è necessario rivolgersi propriamente ai propri interlocutori: chi è titolare di un'alta carica va chiamato con il titolo conseguente. Così, si dirà "Presidente" al Presidente della Repubblica, ai presidenti delle Camere, al Presidente del Consiglio, ai presidenti delle Commissioni parlamentari, ai presidenti di Tribunale, ecc. e si dirà Ministro, Sottosegretario, Questore, Procuratore, Sindaco, Generale, Ammiraglio, Comandante, ecc. A fattor comune, è atto di cortesia e rispetta la tradizione premettere l'appellativo "Signore" alla denominazione delle cariche anzidette, tranne quando siano previsti altri appellativi. Così si potrà dire "Signor Presidente", "Signor Ministro", "Magnifico Rettore", "Chiarissimo Professore" e così di seguito.
Vi sono poi situazioni nelle quali il modo di rivolgersi a una personalità esige tassativamente l'uso di particolari appellativi. Così si ricorrerà al trattamento di Eccellenza[6] nel rivolgersi ad Ambasciatore titolare di Ambasciata, ovvero Eccellenza reverendissima nel rivolgersi a un vescovo, abate ordinario o arcivescovo, ovvero Altezza Eminentissima al Principe Sovrano e Gran Maestro del SMOM, ovvero Eminenza reverendissima nel rivolgersi a un cardinale, ovvero Beatitudine a un patriarca[7] e l'appellativo di Santità, o Beatissimo Padre o Santo Padre al Papa o al Patriarca di Costantinopoli-la nuova Roma[8].
Le onorificenze cavalleresche non mutano l'ordine di precedenza spettante in ragione della carica. Esse determinano il rango degli insigniti solo nell'ambito degli Ordini di appartenenza. Nel rivolgersi per iscritto a personalità che sia insignita di onorificenze cavalleresche, si potrà menzionare il grado nell'indirizzo ed eventualmente in apertura della lettera come appellativo, se non debba invece essere indicata la carica o il titolo accademico perché magari più importanti e più significativi[9].
I titoli nobiliari non danno diritto in Italia a particolari precedenze[10]. Nelle pubbliche relazioni se ne può tenere conto se si tratta di titolati stranieri che nei loro paesi godono di speciali distinzioni giuridicamente riconosciute come in Gran Bretagna, in Spagna, ecc.[11][12].
Quando presenzia il Capo dello Stato, il Cerimoniale è assunto in proprio da funzionari della Presidenza della Repubblica e della Presidenza del Consiglio preposti allo specifico settore. Se oltre al Capo dello Stato intervengono Autorità straniere interviene il Cerimoniale diplomatico della Repubblica, che ha sede presso il Ministero degli Affari Esteri.
Una fonte notevole in tema di ordine delle precedenze era costituita dal R.D. 16 dicembre 1927, n. 2210. Esso ripartiva le cariche pubbliche in 18 Categorie: nella I era previsto il solo Primo Ministro Segretario di Stato sino alla XVIII che comprendeva gli Addetti consolari, gli Uditori giudiziari, i Sottotenenti delle Forze Armate, ecc. sino ai Medici Assistenti dei Manicomi Giudiziari. Era un sistema di classificazione che prendeva come modello di riferimento la gerarchia militare sabauda, che incominciava con il Sottotenente e finiva con il Sovrano, Capo supremo delle Forze Armate. Nel 1929, il R.D. del 28 novembre, n. 2029 disciplinava le Norme relative al Sovrano Ordine di Malta e in particolare modo precisava che:
L'avvento della Repubblica mise in luce la necessità di adeguare le norme sulle precedenze. La complessità della problematica consigliò di mantenere comunque per quanto compatibili le previsioni del R.D. n. 2210/1927 integrate dalla Circolare n. 92019/12840-16 del 26 dicembre 1950 della Presidenza del Consiglio dei Ministri-Gabinetto, emanata d'intesa con gli Uffici di presidenza della Camera e del Senato.
La Circolare del 1950 ripartisce le Alte cariche secondo la loro importanza in quattro categorie: la I categoria non aveva suddivisione e le personalità che vi facevano parte vi erano indicate in ordine di precedenza (Presidenti delle due Camere in ordine di età, Presidente del Consiglio dei ministri, Presidente della Corte Costituzionale); le categorie II, III e IV erano, invece, articolate in classi. Per rango delle personalità si intendeva l'appartenenza alla categoria e alla classe mentre per posizione di precedenza s'intendeva la collocazione nella categoria e nella classe.
La successione nelle posizioni costituisce l'ordine delle precedenze. L'ordine delle precedenze era attribuito secondo la funzione delle persone indicate dalla circ. del '50. Il limite più grande delle previsioni della Circolare era che comprendeva nelle sue previsioni solo le più alte cariche dello Stato, lasciando in situazione di incertezza personalità pubbliche anche di livello. Si pensi che nella Categoria IV, 2ª classe tra le ultime funzioni elencate erano il capo della polizia, i Comandanti Generali di Carabinieri e Guardia di Finanza, il Governatore della Banca d'Italia, Rettori delle Università, Ordinario Militare. Oltre a tali carenze, man mano che in Italia sono state istituite nuove istituzioni, nuove cariche e nuove funzioni si è avvertita sempre più l'esigenza di regolamentare il settore dell'Ordine delle precedenze adottando finalmente, con Decreto del P.C.M. del 14 aprile 2006, le "Disposizioni generali in materia di cerimoniale e di precedenza tra le cariche pubbliche". Dopo una sperimentazione di due anni si è pervenuti, infine, al Decreto del P.C.M. del 16 aprile 2008 contenente "Aggiornamento delle disposizioni generali in materia di cerimoniale e di precedenza tra cariche pubbliche".
Come già argomentato, in materia di cerimoniale l'Ordine delle precedenze tra le cariche pubbliche è regolato con Decreto del PCM. La normativa del 2006 è stata aggiornata con successivo Decreto del 16 aprile 2008 che, nel confermare di massima le precedenze protocollari del 2006, ha comunque apportato lievi variazioni nel posizionamento di alcune cariche[13].
Oggi, pertanto, l'Ordine delle precedenze colloca al vertice delle cariche pubbliche il Presidente della repubblica. Quando in una cerimonia nazionale non è presente il Capo dello Stato ma è presente un cardinale, quest'ultimo occupa il primo posto della prima categoria, "senza peraltro assumere la presidenza della cerimonia". Se alla cerimonia è presente sia il Presidente della repubblica sia un cardinale, sono collocati entrambi al vertice dell'ordine di precedenza, pur assumendo la presidenza della cerimonia il Presidente della repubblica[14] e in sette categorie tutte le altre cariche pubbliche.
Nella 1ª categoria sono elencati i presidenti delle due Camere, quello del Consiglio dei ministri e quello della Corte Costituzionale.
Nella 2ª categoria vi sono i vice presidenti delle Camere, i Ministri, i presidenti delle Regioni in sede, i Sottosegretari di Stato, ecc.
Nella 3ª, i vertici delle magistrature, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, i parlamentari.
Nella 4ª, i prefetti in sede, i sindaci in sede, i vescovi, il capo della polizia, i Comandanti Generali di Carabinieri e Finanza, i Capi di Stato Maggiore delle FF.AA., ecc.
Nella 5ª categoria, gli assessori regionali in sede, i capi dipartimenti dei ministeri, i direttori di AISI e AISE, i comandanti militari interregionali, l'Ordinario Militare, ecc.
Nella 6ª, i capi degli uffici giudiziari, i questori in sede, i comandanti militari regionali, ecc.
Nella 7ª, gli assessori comunali e provinciali in sede, i comandanti militari provinciali, ecc.
Il R.D. n. 2015 del 1925 stabilisce l'ordine delle precedenze tra i ministri e i rispettivi dicasteri. Ovviamente le variazioni nei dicasteri, che intervengono per ogni Gabinetto, sono disciplinate per analogia.
L'ordine delle precedenze tra le varie Forze Armate e di Polizia si riferisce esclusivamente alle singole autorità, in quanto rivestite di specifica funzione. Per quanto attiene invece l'ordine di precedenza dei reparti schierati si fa riferimento al Regolamento sul servizio territoriale e di presidio che statuisce la primazia delle Forze Armate sulle Forze di Polizia.[15]
La rappresentanza è una delega che nel campo protocollare una personalità rilascia a un suo pari rango o a un inferiore, perché partecipi, in sua vece, a una manifestazione ufficiale.
Secondo il Santantonio la rappresentanza è caratterizzata da tre aspetti: il rango del rappresentante, il posto del rappresentante e i limiti della rappresentanza.
La ricordata Circolare del '50 chiarisce che la rappresentanza non può essere conferita se non a persone che abbiano rango in categoria pari o immediatamente inferiore. Di massima, pertanto, il Prefetto può farsi rappresentare dal Vice Prefetto vicario, il Generale di Corpo d'Armata dal Generale di Divisione, il Sindaco dall'Assessore, e così di seguito.
Di massima, coloro che intervengono nelle pubbliche cerimonie, in rappresentanza di cariche superiori a quella che personalmente ricoprono, debbono occupare il posto spettante, nell'ordine delle precedenze, alla carica che rappresentano.[16]
Tuttavia, il principio basilare della rappresentanza prevede che il rappresentante prende comunque posto subito dopo le personalità dello stesso rango dell'Autorità rappresentata. Ad esempio, un Generale di Divisione in rappresentanza di un Generale di Corpo d'Armata prenderà posto fra i Generali di Corpo d'Armata, per ultimo, e prima degli altri Generali di Divisione.
In tema di limiti della rappresentanza, il Santantonio precisa che "non è ammessa la rappresentanza nei pranzi e nei ricevimenti". Infatti, nelle riunioni conviviali l'invito è rivolto alla persona e non alla carica. La rappresentanza termina con la cerimonia.
Un momento importante della vita di rappresentanza è lo scambio di visite tra le Autorità. Al riguardo esistono consuetudini ormai consolidate che, in Italia, traggono origine da un documento ufficiale, la Circolare del 21 gennaio 1926 n. 761/46, firmata da Benito Mussolini che ritenne di estendere a livello nazionale quanto praticato sino ad allora nel solo ambiente militare.
In buona sostanza, secondo il Santantonio, lo scambio di visite consiste nelle visite di dovere e nelle visite di cortesia.
Le visite di dovere sono quelle dovute, in ambiente militare, ai superiori della propria linea gerarchica. Esse sono rese nell'ufficio del superiore e vengono compiute entro tre giorni dall'assunzione dell'incarico. Le visite di commiato vengono rese non oltre la data di trasferimento o di cessazione dall'incarico.
Le visite di dovere non vengono restituite.
Le visite di cortesia rappresentano una componente importante nella vita di relazione tra coloro che detengono cariche pubbliche e rendono di fatto più agevole l'inserimento dei nuovi titolari di uffici o funzioni nella realtà in cui si trovano a operare. La prassi protocollare, al riguardo, prevede che "Le Autorità politiche, civili e militari (ma ciò vale anche per le autorità religiose) che prendono possesso di una carica:
Entrambe le visite vengono richieste appena assunta la carica ed effettuate quando fissate da chi deve riceverle (entro tre giorni salvo giustificati impedimenti).
Quando, invece, tali Autorità lasciano la carica:
Sempre in tema di visite di cortesia si deve precisare che non è mai ammessa la rappresentanza nel rendere visita mentre è consentita la rappresentanza nella restituzione della visita. Il Santantonio, al riguardo, era solito raccomandare di ricorrere alla rappresentanza nella restituzione delle visite solo in casi eccezionali e con molta oculatezza.
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