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sindacalista italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Placido Rizzotto (Corleone, 2 gennaio 1914 – Corleone, 10 marzo 1948) è stato un partigiano, sindacalista e politico italiano, membro del partito socialista (PSIUP-PSI), rapito e ucciso da Cosa nostra.[1]
Nacque a Corleone da Giovanna Moschitta e Carmelo Rizzotto. Primo di sette figli, perse la madre quando era ancora bambino. In seguito all'arresto del padre con l'accusa di far parte di un'associazione mafiosa, fu costretto ad abbandonare la scuola per occuparsi della famiglia.[2] Nel settembre 1935 è chiamato alle armi a Palmanova, nel 14º reggimento “Cavalleggeri di Alessandria”. Placido restò per un anno intero in Friuli, senza mai tornare in licenza. Fermatosi alla terza elementare, nell’esercito Rizzotto migliora il suo livello di istruzione, che crescerà maggiormente negli anni Quaranta con il richiamo alle armi. Finito il servizio militare, nel novembre 1936 rientra a Corleone e torna a lavorare nei campi con il padre.
Nel settembre 1940 Placido viene richiamato alle armi e assegnato al 60º gruppo cavalleggeri appiedati. Rimane per tutto il periodo in Sicilia spostandosi in diverse zone dell’isola, prestando servizio prevalente presso la zona costiera sud-occidentale. Nell'agosto 1942 viene nominato caporal maggiore. Subito dopo la nomina a sergente viene trasferito nel marzo al reggimento motorizzato cavalleggeri "Lucca" e destinato al reggimento corazzato V. E. II di Bologna. Non si conoscono le ragioni del trasferimento in quanto il foglio matricolare è stato oggetto di una modifica che ne impedisce la lettura della parte scritta in origine. Nel luglio, per la prima volta nel suo percorso militare, è oggetto di una punizione per aver coperto l'assenza al contrappello di alcuni suoi sottoposti.
Secondo Contini Bonacossi le fonti relative alla vita militare e poi all'attività resistenziale di Rizzotto sono notevolmente scarse e discordanti tra di loro. Le testimonianze prevalenti lo vorrebbero soldato sui monti della Carnia e, dopo l'8 settembre 1943, partigiano socialista nelle locali Brigate Garibaldi.[3]
Secondo altre fonti[quali di preciso?], invece, alla fine dell'estate 1943, a seguito dei rivolgimenti politici nazionali, il reggimento di Rizzotto viene spostato in centro Italia: agli inizi di settembre egli si trova a Tivoli e dall'8 al 10 parteciperà alla battaglia contro l’avanzata delle truppe tedesche. L’11 settembre i comandi dell’esercito stipulano una tregua con le truppe tedesche; Rizzotto lascia il reparto e si reca a Roma. Entra a far parte della Banda "Napoli", guidata dal capo squadra socialista Pietro Agostinucci. Placido è in contatto anche con il tenente col. Barbara, indicato in una relazione quale referente segreto all’interno della Banda "Napoli" del Fronte militare clandestino della Resistenza, organo sottoposto al governo Badoglio e in contatto con le forze alleate - guidato dal colonnello Montezemolo e composto da ufficiali generalmente monarchici – avente il compito di osservare l’attività delle bande partigiane ed evitare, al momento della resa tedesca, un’insurrezione delle forze resistenziali di sinistra. La Banda "Napoli" opera nelle periferie romane sovente in stretto contatto con il gruppo comunista “Bandiera Rossa”.[4]
Rientrato a Corleone al termine della guerra, rifiutò l'incarico di campiere offertogli dalla mafia e iniziò invece la sua attività politica e sindacale.[3] Ricoprì l'incarico di presidente dei reduci e combattenti dell'ANPI di Palermo e quello di segretario della Camera del lavoro di Corleone,[5] diventando esponente di primo piano della CGIL e mettendosi alla testa del movimento contadino nelle prime occupazioni delle terre incolte dei latifondi, le quali avevano ancora un carattere sostanzialmente simbolico, ma che scatenarono comunque la reazione anche armata della mafia. Aderì al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, contribuendo alla vittoria del Fronte del Popolo alle elezioni comunali del 2 giugno 1946 e quindi alla nomina del sindaco socialista Bernardo Streva. Rizzotto si schierò successivamente con l'ala più impegnata a salvaguardare l'unità del partito e favorevole alla prosecuzione della collaborazione politica con il PCI: in tale sua posizione, dopo la scissione del PSLI nel 1947, la quale coinvolse molte figure del socialismo corleonese tra cui quella del sindaco Streva,[3] si oppose ai pressanti tentativi del boss locale di Cosa nostra, Michele Navarra, «di "traghettare" i socialisti verso le sponde più affidabili della socialdemocrazia», diventando, per la sua attività sindacale, politica e sociale, bersaglio di minacce mafiose volte a farlo «[smettere] di turbare interessi consolidati, assetti sociali secolari».[6]
Venne rapito nella serata del 10 marzo 1948, mentre andava da alcuni compagni di partito, e ucciso dalla mafia: il suo corpo fu fatto sparire. Mentre veniva assassinato, il pastorello Giuseppe Letizia assistette al suo omicidio di nascosto e vide in faccia gli assassini. Per questo venne ucciso con un'iniezione letale, praticatagli nell'ospedale di Corleone dove era responsabile del reparto di medicina interna lo stesso dottor Michele Navarra (mandante dell'uccisione di Placido Rizzotto).[7]
Le indagini sull'omicidio furono condotte dall'allora capitano dei Carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa. Sulla base degli elementi raccolti dagli inquirenti, vennero arrestati Vincenzo Collura e Pasquale Criscione, che ammisero di aver preso parte al rapimento di Rizzotto in concorso con Luciano Liggio, il quale poi aveva provveduto all'uccisione con tre rivoltellate. Grazie alla testimonianza di Collura, secondo cui il corpo era stato gettato in una foiba in località Scala del Cardone, furono reperiti resti scheletrici di tre persone, alcuni dei quali furono attribuiti a Rizzotto sulla base del riconoscimento da parte dei familiari di alcuni pezzi di vestiario e delle scarpe. Criscione e Collura, insieme a Liggio, che rimase latitante fino al 1964, furono assolti per insufficienza di prove, dopo aver ritrattato la loro confessione in sede processuale.[8]
Il 9 marzo 2012 l'esame del DNA, comparato con quello estratto dal padre Carmelo Rizzotto, morto da tempo e riesumato per questo scopo, ha confermato che i resti trovati il 7 luglio 2009, dopo una lunga e difficile indagine condotta dalla Polizia di Stato di Corleone all'interno di un profondo inghiottitoio di Rocca Busambra a Corleone, appartengono a Rizzotto. I resti sono stati recuperati da personale specializzato per interventi speleologici del comando provinciale Vigili del Fuoco di Palermo.[7][9]
Il 16 marzo 2012 il Consiglio dei ministri ha deciso i funerali di Stato per Placido Rizzotto[10], svoltisi a Corleone il 24 maggio 2012 alla presenza del presidente della repubblica Giorgio Napolitano.[11][12]
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