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parco monumentale manierista nel comune italiano di Bomarzo (VT) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il Parco dei Mostri, denominato anche Sacro Bosco o Villa delle Meraviglie di Bomarzo, in provincia di Viterbo, è un complesso monumentale italiano. Si tratta di un parco naturale ornato da numerose sculture in peperino risalenti al XVI secolo e ritraenti animali mitologici, divinità e mostri.
Parco dei Mostri Sacro Bosco di Bomarzo | |
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L'Orco, il mostro simbolo del parco | |
Ubicazione | |
Stato | Italia |
Località | Bomarzo |
Indirizzo | Località Giardino, 01020 Bomarzo (VT) |
Caratteristiche | |
Tipo | Complesso monumentale, parco |
Superficie | circa 3 ettari |
Inaugurazione | 1547 |
Apertura | Tutti i giorni con orario continuato dalle 8:00 al tramonto, a pagamento |
Ingressi | Strada della Croce |
Mappa di localizzazione | |
Sito web | |
L'architetto e antiquario Pirro Ligorio su commissione del principe Pier Francesco Orsini (detto Vicino Orsini) progettò e sovrintese alla realizzazione, nel 1547, del parco, elevando a sistema, nelle figure mitologiche ivi rappresentate, il genere del grotesque. Alcuni studiosi, erroneamente, facevano risalire la "regia" a Michelangelo Buonarroti (E. Guidoni), mentre altri, in particolare per il Tempio citavano il nome di Jacopo Barozzi da Vignola. La realizzazione delle opere scultoree fu probabilmente affidata a Simone Moschino.[1] L'Orsini chiamò il parco semplicemente "boschetto" e lo dedicò a sua moglie, Giulia Farnese (da non confondere con l'omonima concubina del papa Alessandro VI).
Le architetture impossibili, come la casa inclinata, o alcune statue enigmatiche rappresenterebbero secondo alcuni le tappe di un itinerario di matrice alchemica.[2]
Scienziati storici e filologi hanno fatto parecchi tentativi per spiegare il labirinto di simboli, e hanno trovato temi antichi e motivi della letteratura rinascimentale, per esempio del Canzoniere di Francesco Petrarca, dell'Orlando furioso di Ludovico Ariosto e dei poemi Amadigi e Floridante di Bernardo Tasso (in quest'ultimo compare ad esempio un dragone d'acciaio con una stanza all'interno, e dalla cui bocca uscivano amazzoni a cavallo). Sono rimasti, però, talmente tanti misteri che uno schema interpretativo omogeneo, alla fine, forse non potrebbe nemmeno essere trovato; su un pilastro compare una possibile iscrizione-chiave: «Sol per sfogare il core».
John Shearman, che cita più volte il parco nel suo Mannerism, parla di «incredibili, piacevoli e soprattutto manifeste finzioni – prodotti d'evasione artistica e letteraria».[3] Nel 1585, dopo la morte dell'ultimo principe Orsini, il parco fu abbandonato e nella seconda metà del Novecento fu restaurato dalla coppia Giancarlo e Tina Severi Bettini. Nel 1948 il parco fu visitato da Salvador Dalí che per l'occasione si fece inquadrare in pose originali tra i principali monumenti e definì il luogo un'invenzione storica unica.[4][5]
«A Bomarzo la finzione scenica è travolgente; l'osservatore non può contemplare perché vi è immerso, in un ingranaggio di sensazioni (…), capace di confondere le idee, di sopraffare emotivamente, di coinvolgere in un mondo onirico, assurdo, ludico ed edonistico (…)»
Il Parco si estende su una superficie di circa 3 ettari, in una foresta di conifere e latifoglie. Al suo interno trovano posto un gran numero di sculture di varia grandezza ritraenti personaggi e animali mitologici, edifici che riprendono il mondo classico ignorando volutamente le regole prospettiche o estetiche, allo scopo di confondere il visitatore.
Le sculture furono realizzate in basalto, materiale disponibile in quantità massicce in zona; molte di esse sono contrassegnate da iscrizioni enigmatiche e misteriose, sopravvissute solo in piccola parte. È bene notare che l'attuale disposizione delle attrazioni nel Parco, salvo alcuni casi documentati, non è quello originario ma risale alla seconda metà del XX secolo quando la famiglia Bettini lo rilevò e lo rimise in uso. Oltre ai Mostri e agli elementi architettonici principali elencati e descritti di seguito, ve ne sono molti altri più piccoli, spesso maggiormente degradati dal tempo e perciò anche meno identificabili.
Appena varcata la monumentale soglia del Bosco, il visitatore si ritrova di fronte a due Sfingi, una a destra e l'altra a sinistra , il cui aspetto ricalca tanto il modello classico di donna col corpo di leone quanto quello egizio poiché sono entrambe prive di ali. Le due creature sono simbolicamente a guardia del parco, e accolgono il visitatore con iscrizioni di benvenuto in endecasillabi, leggibili su ciascun basamento.
L'iscrizione a sinistra recita:
«CHI CON CIGLIA INARCATE ET LABBRA STRETTE
NON VA PER QUESTO LOCO, MANCO AMMIRA
LE FAMOSE DEL MONDO MOLI SETTE»
«Chi non attraversa assorto e in silenzio
questo luogo, non apprezza neanche le famose
sette meraviglie del mondo.»
Quella a destra:
«TU CH'ENTRI QUA PON MENTE PARTE A PARTE
ET DIMMI POI SE TANTE MARAVIGLIE
SIEN FATTE PER INCANTO O PUR PER ARTE»
«Tu che entri qui rifletti attentamente
e poi dimmi se tutte queste meraviglie
siano fatte per sbalordire oppure per arte»
A media distanza dalle Sfingi, ma in posizione più dimessa rispetto al percorso principale, è visibile il primo vero Mostro del Parco, identificato come Proteo oppure Glauco; è un immenso mascherone antropomorfo con la bocca spalancata, che sembra emergere direttamente dalle viscere della Terra, sormontato da un grande globo di pietra, sulla cui cima è posta una piccola torre: questa iconografia rimanda al mondo, dominato dal simbolo degli Orsini.
Un grande masso apparentemente informe, in realtà modellato per sembrare il frontone di una tomba etrusca; le decorazioni ricalcano quelle di una tomba rinvenuta a Sovana.
Denominato anche "il Colosso", è la più grande statua presente nel Parco. Rappresenta la lotta di due giganti, identificati come Ercole e Caco. Intorno a loro, alcune figure di guerrieri ormai erose dal tempo e accanto un'iscrizione in endecasillabi che esalta il gruppo statuario:
«SE RODI ALTIER GIÀ FV DEL SVO COLOSSO
PVR DI QVEST'IL MIO BOSCO ANCHO SI GLORIA
E PER PIV NON POTER FO QVANT'IO POSSO.»
«Se Rodi si vantò del suo Colosso
Anche il mio bosco si gloria di questo
e non potendo di più, faccio quel che posso.»
Nei pressi dei giganti si trova questo gruppo formato da una grossa tartaruga, sul cui guscio tondeggiante è collocata la statua di una Nike, e una grossa balena che emerge dalla terra. I due animali sembrano fissarsi reciprocamente. La tartaruga è simbolo di stabilità e di longevità, rappresenta l'unione tra la terra e il cielo. Il gruppo scultoreo è infatti il passaggio verso la purificazione e la donna alata è l'apice di questa trasformazione.
La vasca di una fontana da cui emerge la figura di Pegaso. Il cavallo simboleggia la passionalità e dell'impetuosità istintiva che può essere dominata dalla volontà spirituale dell'uomo rappresentata dalle sue ali. A poca distanza il cosiddetto "Albero-statua", un tronco di larice scolpito su un masso.
Un grande ambiente a vasca che ricalca i ninfei d'età greco-romana, decorato con le figure delle tre Grazie e di tre ninfe. Sulla parete est si trova la colossale scultura di Venere su una grossa conchiglia, mentre nei dintorni è visibile una fontana ornata da figure di delfini.
A poca distanza dal Ninfeo, un altro ambiente di matrice classica noto come "il teatro": si tratta in realtà della riproduzione molto piccola di un'esedra del palcoscenico.
Una delle maggiori attrattive del Parco, è un piccolo edificio costruito su un masso inclinato e perciò volutamente pendente; la particolarità è che gli interni hanno una pendenza irregolare (il pavimento non è a 90° rispetto ai muri), causando smarrimento e perdita dell'equilibrio in chi vi entra. Si ritiene che originariamente l'entrata del Bosco fosse esattamente di fronte alla casa pendente.
Su una delle facciate della casa è ancora leggibile l'iscrizione:
«ANIMUS QUIESCENDO FIT PRUDENTIOR ERGO»
«L'animo tacendo diviene più assennato.»
Un grande piazzale scandito da enormi vasi in pietra, un tempo ornati da iscrizioni oggi non più leggibili, conduce alla maestosa statua di Nettuno, dio dei mari, adagiato su un letto d'acqua come le divinità fluviali d'epoca romana e con un delfino tra le braccia. A poca distanza, una ninfa gigantesca dorme poggiata sinuosamente su un braccio.
Dea delle messi e madre di Proserpina, è rappresentata come una gigantesca donna recante un cesto di spighe sul capo e nelle mani una fiaccola e la Cornucopia. Attorno a lei si scorgono figure di creature boschive.
Un maestoso elefante che reca sulla schiena una grossa torre e nella proboscide tiene un legionario romano, quasi a volerlo stritolare. Sembra un riferimento all'impresa di Annibale durante le Guerre puniche.
Più precisamente si tratta di una viverna, uno spaventoso mostro rettiliforme che lotta contro tre animali, oggi non più riconoscibili.
Sicuramente la figura più celebre del Parco e suo simbolo è l'Orco, un grande faccione di pietra con la bocca spalancata, sulle cui labbra si legge la scritta OGNI PENSIERO VOLA. È una camera scavata nel tufo alla quale si accede per mezzo di alcuni gradini: all'interno sono collocate delle panche e un tavolo. La forma interna dell'ambiente fa sì che le voci e i suoni rimbalzino sulle pareti creando una eco dall'effetto spaventoso.
Si tratta di tre figure poste a poca distanza fra loro: una gigantesca anfora decorata con una testa di gorgone, un ariete seduto (molto rovinato) e una panca che ricalca la forma di un triclinium etrusco o romano, collocata dentro una nicchia che riporta la seguente iscrizione in versi:
«VOI CHE PEL MONDO GITE ERRANDO VAGHI
DI VEDER MARAVIGLIE ALTE ET STUPENDE
VENITE QUA DOVE SON FACCIE HORRENDE,
ELEFANTI, LEONI, ORSI, ORCHI ET DRAGHI.»
La figura della regina dell'Ade, molto rovinata, è rappresentata come una donna a braccia aperte, la cui veste è in realtà un'ampia panca su cui è possibile sostare. A pochi passi da lei è Cerbero, il cane dotato di tre teste a guardia dell'Oltretomba. Alle spalle delle due figure si trova il piazzale delle pigne, così denominato perché delimitato da sculture che riprendono il Pignone assieme ad altre a forma di ghianda.
Di fronte al piazzale delle pigne si trovano due mostruose sculture affrontate. Echidna è ritratta come una colossale donna con due code di serpente al posto delle gambe, simile all'iconografia medievale della sirena; la Furia è invece una donna con coda e ali di drago. Tra di loro sono accucciati due leoni, figli di Echidna e presenti nello stemma di Viterbo.
Leggermente isolato rispetto al percorso principale del Parco si trova una singolare costruzione, un piccolo tempio che in realtà fu costruito vent'anni dopo rispetto al resto del Parco in onore della seconda moglie di Vicino Orsini, una principessa Farnese. Il tempio riprende forme architettoniche di diverse epoche, quella classica (frontone, colonnato e vestibolo) e quella rinascimentale (cupola). Quest'ultima ha la particolarità di essere stata modellata sulla base di quella di Santa Maria del Fiore a Firenze[6]. L'interno è in realtà costituito da una piccolissima aula circolare, nella quale la famiglia Bettini, che ha restaurato il complesso, ha posto una lapide alla memoria di Tina Severi Bettini e di Giancarlo Bettini.
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