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Lazzaro e il ricco epulone è una parabola di Gesù raccontata solamente nel Vangelo secondo Luca 16,19-31[1]. È anche conosciuta come parabola del ricco e del mendicante Lazzaro o semplicemente come parabola del ricco epulone.
« C'era un uomo ricco, che era vestito di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi. » ( Luca 16,19-31, su laparola.net.) |
La parabola ha una caratteristica unica legata al fatto che il povero è indicato per nome, Lazzaro, a differenza delle altre parabole dove non sono mai indicati dei nomi. Ma moltissimi commentatori ritengono che il personaggio Lazzaro non sia da identificare con il Lazzaro di Betania di cui si parla nel Vangelo secondo Giovanni[2].
Una minoranza[3] di commentatori, per esempio il prete francese abate Drioux[4], ritiene che il Lazzaro della parabola sia infatti collegato con Lazzaro di Betania a causa delle coincidenze tra i due personaggi.[5][6]
Martin Lutero, che ha creduto nel sonno delle anime, ha considerato che la parabola fosse solo figurativa.
La parabola illustra un tema comune a varie parabole di Gesù: la misericordia e la pietà verso i poveri. E l'attenzione verso i poveri è un tema molto importante per l'evangelista Luca[7].
La parabola riveste un'importanza particolare per i suoi riferimenti circa la vita dopo la morte. La maggior parte dei cristiani ritengono che vi sia un giudizio particolare prima del giudizio universale e vedono la parabola in linea con questa dottrina. Notare bene che Gesù non parla di Paradiso, ma di "seno di Abramo", in quanto il Paradiso, prima della morte del Redentore, è precluso all'uomo, e le anime dei giusti si trovano temporaneamente ancora nel Limbo.
L'uomo ricco tradizionalmente è chiamato epulone, dal latino, letteralmente, banchettatore. In Roma antica gli epulones erano i membri del collegio sacerdotale istituito nel 196 a.C., incaricati di organizzare le cerimonie in onore di Giove, parte fondamentale dei Ludi Magni. È possibile che Pietro Crisologo (406–450), vescovo di Ravenna, sia stato il primo ad usare questo nome in relazione al ricco della parabola.[8]
La parabola è stata molto citata da artisti e teologi per i suoi chiari riferimenti alla vita dopo la morte.
Nella tradizione cristiana Lazzaro è stato visto come protettore dei malati di lebbra, cosicché i lebbrosari dove venivano raccolti i malati venivano anche chiamati lazzaretti.
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