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museo statale a Firenze Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La Galleria dell'Accademia di Firenze è un museo statale italiano, sito in via Ricasoli accanto all'Accademia di belle arti.
Galleria dell'Accademia di Firenze | |
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Il David visto dalla Galleria dei Prigioni | |
Ubicazione | |
Stato | Italia |
Località | Firenze |
Indirizzo | Via Ricasoli 58-60 e Via Ricasoli 58, 50122 Firenze |
Coordinate | 43°46′37″N 11°15′32″E |
Caratteristiche | |
Tipo | Arte, Musica |
Collezioni | Pittura, Scultura, Strumenti musicali |
Istituzione | 1784 |
Fondatori | Leopoldo II d'Asburgo-Lorena |
Apertura | 1784 |
Proprietà | Stato Italiano |
Direttore | Massimo Osanna (Direttore Generale Avocante) |
Visitatori | 1,428,369 (2022)[1] |
Sito web | |
La galleria espone il maggior numero di sculture di Michelangelo al mondo (ben sette), fra cui il celeberrimo David. All'interno del museo sono ospitate anche altre sezioni, fra cui la raccolta più vasta ed importante al mondo di opere pittoriche a fondo oro[2], ed il Museo degli strumenti musicali, dove sono esposti molti manufatti appartenenti alla collezione storica del Conservatorio Luigi Cherubini.
È di proprietà del Ministero della Cultura, che dal 2014 l'ha annoverata tra gli istituti museali dotati di autonomia speciale.[3] Nel 2022 ha registrato 1 428 369 visitatori, risultando il secondo museo più visitato d'Italia.[1]
Nel 1784, nei locali dell'ospedale di San Matteo e del convento di San Niccolò di Cafaggio, il granduca Pietro Leopoldo di Lorena rifondò l'Accademia di Belle Arti, riunendo varie istituzioni, tra le quali l'antica Accademia delle arti del disegno, fondata nel 1563 da Cosimo I de' Medici. Al nuovo ente deputato all'insegnamento dell'arte venne affiancata una galleria in cui gli studenti avrebbero potuto trovare opere d'arte (originali e riprodotte) su cui basare la conoscenza, lo studio e l'imitazione per la propria formazione artistica. In quella che era la galleria maschile dell'ex-ospedale, oggi parte dell'Accademia lungo via Cesare Battisti, vennero collocati i gessi, i disegni e i modelli vari, mentre in quella che era stata la corsia delle donne (attuale Gipsoteca Bartolini/Salone dell'Ottocento) vennero sistemati i dipinti[4].
Il nucleo originario della galleria comprendeva quindi due grandiosi modelli in gesso originali del Giambologna (il Ratto delle Sabine, ancora in loco, e l'Allegoria di Firenze che domina Pisa, oggi in Palazzo Vecchio), una serie di calchi in gesso moderni di opere classiche e una quadreria che nasceva dalle raccolte dell'Accademia del Disegno, con molte opere di ex-affiliati, tra cui i grandi maestri fiorentini del Manierismo[5].
La quadreria si arricchì presto e straordinariamente dei dipinti provenienti da conventi, monasteri e altre istituzioni religiose soppressi da Pietro Leopoldo nel 1786 e, in misura minore, da Napoleone nel 1810, ottenendo capolavori come le Maestà di Cimabue e di Giotto, la Sant'Anna Metterza di Masaccio e Masolino, l'Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano, il Battesimo di Cristo di Verrocchio e Leonardo, la Cena in Emmaus di Pontormo, ecc. Pervennero così anche numerosi dipinti del Beato Angelico, oggi nel Museo di San Marco, mentre tra le opere ancora nel museo ci sono le formelle dell'Armadio delle Reliquie di Santa Croce di Taddeo Gaddi, l'Annunciazione di Lorenzo Monaco e il Cristo in pietà di Giovanni da Milano. Vi erano inoltre dipinti di provenienza non strettamente granducale, come la Primavera di Botticelli[5].
L'Accademia fu anche soggetta a spoliazioni napoleoniche perpetrate dal direttore del Louvre Vivant Denon e che si protrassero dal 1798 al 1815 durante l'occupazione francese. Antonio Canova non recuperò tuttavia tutte le opere d'arte dopo il Congresso di Vienna. Nel 1811 venne prelevato il San Giovanni Battista tra sant'Antonio da Padova e sant'Antonio abate di Andrea del Castagno per essere esposto al Musee Napoleon, il quale poi venne spostato al Musée de Bagnères-de-Bigorre nel 1872.[6] Nel 1812, un dipinto del Botticelli, La Vergine con Gesù Bambino e quattro angeli, spedita al Musee Napoleon. Nel 1813 la Vergine col Bambino in braccio dipinta dall'Empoli[7] venne spedita a Parigi al Musee Napoleon e poi Château de Maisons-Laffitte nel 1919. All'Accademia erano anche ospitate la Pala Barbadori di Filippo Lippi, presente nella Sala dell'Accademia, e la Presentazione al tempio di Gentile da Fabriano, entrambe spedite al Musée du Louvre.[7]
Successivamente, la Galleria intraprese nuove acquisizioni. L'importanza delle nuove acquisizioni è registrata in un inventario del 1817. Quello stesso anno Pietro Leopoldo decise che vi venissero anche esposte le opere premiate nei concorsi accademici triennali di pittura e scultura; dal 1921 la sezione moderna venne ampliata con le opere vincitrici dei concorsi annuali di Emulazione e i saggi di Pensionato a Roma. Le collezioni spaziavano così nella documentazione della scuola toscana dal XIV al XIX secolo, con capolavori di assoluto prestigio[5]. La disposizione museografica era però ben lontana dagli standard attuali, con i dipinti che coprivano le pareti in un insieme di grande confusione, che solo nel 1841, grazie al presidente dell'Accademia Antonio Ramirez de Montalvo, vennero riordinate in maniera cronologica. Nell'attuale Galleria dei Prigioni vennero collocati tutte le tavole del Due e Trecento di autore ignoto o in cattivo stato di conservazione, che per il gran numero raggiungevano anche il soffitto[8].
Con Firenze capitale d'Italia (1865-1871), avvenne uno sconvolgimento in tutti i musei cittadini, che investì anche l'Accademia, in cui venne ampliato il settore moderno con centoquarantasei opere già della Galleria Moderna del palazzo della Crocetta, che vennero sistemate in sei piccole stanze al piano primo, già sede della scuola di declamazione[8].
Da allora la Galleria venne conosciuta come Galleria Antica e Moderna e formò il primo museo d'arte contemporanea del nuovo Stato nazionale. Grande interesse rivestivano allora soprattutto le opere moderne, per cui molti studenti facevano pervenire richieste di copia in modo da aggiornarsi alle ultime tendenze[8].
Il 1872 segna la svolta definitiva nella storia del museo, quando venne deciso di trasferirvi il David di Michelangelo, sottraendolo ai pericoli della collocazione originaria all'aperto in piazza della Signoria. Per la grande statua venne incaricato l'architetto Emilio De Fabris di costruire una nuova Tribuna scenograficamente posta al termine della Galleria dei Quadri antichi, con l'illuminazione propria garantita in alto da un lucernario. Nell'agosto del 1873 la statua venne imbracata in un complesso carro ligneo e scorse su rotaie per le vie del centro fino all'Accademia, dove restò però chiuso nella sua cassa per ben nove anni, in attesa del termine dei lavori alla Tribuna[8].
Nel 1875, con le celebrazioni del IV centenario della nascita di Michelangelo si decise di creare una mostra con le riproduzioni in gesso dei suoi capolavori scultorei, che venne naturale ambientare all'Accademia, con il fulcro del David. A tale scopo venne modificato il progetto della Tribuna che venne dotata di due bracci laterali, che collegassero le due gallerie, fino ad allora separate, dell'Angelico (cioè quella già chiamata dei Quadri antichi) e del Perugino (già detta dei Quadri grandi). Per l'occasione il David venne spacchettato provvisoriamente, entro la tribuna allestita con tendaggi che coprissero la zona al di sopra della trabeazione ancora in fase di edificazione[8].
Il 22 luglio 1882 il Museo michelangiolesco venne finalmente inaugurato. Attorno al David vennero collocati i calchi dei sepolcri medicei (vestibolo), del Mosè (braccio corto), altre opere di medio formato nel braccio destro e sotto l'arco, attorno all'unico originale e fulcro accentratore dell'intero percorso espositivo, si trovavano i calchi della Pietà vaticana, della Pietà Rondanini, del Cristo della Minerva e dei Prigioni[9].
Lo stesso anno la gestione della galleria passò dall'Istituto delle Belle Arti alle Regie Gallerie e Musei, facendo ben capire come la nuova tendenza fosse quella di conservazione e di documentazione storica delle opere antiche rispetto alla promozione dell'arte contemporanea. In quegli anni infatti il metodo di insegnamento tramite l'esercizio della copia divenne obsoleto e non più in linea con le istanze dell'arte contemporanea, e fu quasi naturale l'emancipazione della galleria dalla scuola artistica. In quell'occasione venne aperto il nuovo ingresso su via Ricasoli[9].
Nel frattempo la disposizione delle opere nella Tribuna rimase invariata fino ai primi del nuovo secolo, mentre la collezione dei quadri antichi fu radicalmente riposizionata, all'insegna di un nuovo sentire che iniziava a vedere le opere d'arte non solo come oggetti esclusivamente da conservare, ma anche come opere innanzitutto di cui poter usufruire per la contemplazione estetica. Ciò comportò, durante la direzione di Cosimo Ridolfi (1890-1903), un ciclo di restauri e sfoltimenti nella Galleria dei Quadri grandi, nella quale vennero predisposte nuove pareti lignee in modo da separare in tre comparti l'arte del Tre-Quattrocento da quella del Seicento. Inoltre vennero create tre nuove sale (oggi sale del Duecento e primo Trecento, degli Orcagna e seguaci, e dei Giotteschi) a fianco del braccio sinistro della tribuna, dove trovarono una migliore luce le opere di Botticelli (due sale) e di Perugino e scuola (una sala). Ciò coincise con la rivalutazione della scuola fiorentina del Quattrocento che proprio in quegli anni aveva luogo grazie alla comunità anglosassone residente in città. Botticelli in particolare, dopo gli studi di Pacher e di Horne, divenne ai primi anni del Novecento oggetto di un vero e proprio culto, generatore di grande entusiasmo nel pubblico. I dipinti del maestro, nella loro nuova, dignitosa collocazione, divennero un polo di attrazione capace di offuscare persino il David e il Museo michelangiolesco[9].
Poco dopo Ridolfi mise mano anche alla Galleria dei Quadri antichi, dove stavano ancora ammassati i polittici tre/quattrocenteschi. Essi vennero completamente rimossi decorando le pareti con una serie di arazzi con Storie di Adamo ed Eva, davanti ai quali vennero allineati alcuni calchi di opere minori del Buonarroti. Le opere rimosse vennero destinate nelle tre sale adiacenti al Salone (oggi Sale fiorentine), decorate e illuminate opportunamente, con la prima dedicata interamente al Beato Angelico[10].
La nuova disposizione durò solo pochi anni, poiché già nel 1914, con una nuova convenzione tra Stato e Comune, vennero riunificate tutte le raccolte di arte contemporanea e destinate, dal 1920, a un'unica istituzione a Palazzo Pitti, la Galleria d'arte moderna; le opere non selezionate per il nuovo museo vennero disperse in vari depositi di enti, uffici statali e comunali. Nel 1919 poi, con il riordino di tutte le collezioni in città, un nucleo di opere capitali di scuola fiorentina venne destinato agli Uffizi, e infine nel 1922 le opere di Beato Angelico vennero destinate al nascente Museo di San Marco[10].
Con il trasferimento delle opere contemporanee la galleria non poté più chiamarsi "Antica e Moderna", ma divenne da allora la Galleria dell'Accademia e, ancora per pochi anni, Museo michelangiolesco[10].
Già nel primo decennio del Novecento si era nel frattempo aperta una polemica sulle copie delle sculture, innescata dalla collocazione della replica del David in piazza della Signoria, che fece presto comprendere come la presenza dei calchi, dettata da valenze didattiche e aspirazioni positiviste, fosse ormai del tutto superata e ingiustificata. Corrado Ricci allora, da direttore delle Gallerie fiorentine, decise di far prevalere il concetto di autenticità nei criteri espositivi, allontanando la maggior parte dei gessi, esposti fin dal centenario, e riunendo piuttosto un nucleo di opere originali del Buonarroti. Fu l'occasione per trasferire i Prigioni, dei quali era già stato sollevato il problema del degrado nella Grotta del Buontalenti a Boboli, e il San Matteo che da anni «sonnecchiava sotto l'atrio dell'Accademia». Essi giunsero in galleria nel 1909, aggiungendosi al Torso di fiume che l'Accademia di Belle Arti aveva già ceduto nel 1906. Dal Bargello era arrivato inoltre nel 1905 il Genio della Vittoria. Queste opere sostituirono i gessi nella galleria degli arazzi, con l'eccezione dei calchi dei due Prigioni del Louvre ritenuti utili per completare idealmente la serie. Restavano anche i calchi delle opere maggiori attorno alla Tribuna, ma presto anche questi sembrarono inopportuni, venendo però allontanati solo nel 1938, trovando collocazione da allora nella Gipsoteca dell'Istituto d'Arte presso Porta Romana. I gessi dei Prigioni lasciarono la loro sede solo nel 1946, finendo prima a Casa Buonarroti e infine nel Museo Casa Natale di Michelangelo Buonarroti di Caprese Michelangelo, dove si trovavano già alcuni dei gessi del centenario, tuttora in loco[10].
Nel 1921, su suggerimento di Ugo Ojetti, il Genio della Vittoria venne riportato nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio, mentre nel 1939 la galleria si arricchì della Pietà di Palestrina, acquistata dallo Stato italiano da una cappella Barberini a Palestrina, oggi in genere ritenuta opera della scuola di Michelangelo. Nel 1965 infine anche il Torso di fiume cambiò sede, venendo richiesto da Charles de Tolnay per Casa Buonarroti in modo da completare la serie di modelli michelangioleschi[10].
Agli anni trenta risale l'aggiunta delle sale del Colosso e dell'Anticolosso (attuale biglietteria), destinate a ospitare le pale di grandi dimensioni del Cinquecento fiorentino. Dopo la seconda guerra mondiale, col riordinamento degli Uffizi, vennero ad avanzare alcune tavole di grande formato del Perugino (Assunzione della Vergine e Deposizione con Filippino Lippi), che furono accolte all'Accademia. Agli anni cinquanta, sotto la direzione di Luisa Becherucci, risale la riorganizzazione delle sale del Colosso e dell'Anticolosso, destinate a riassumere le vicende artistiche a Firenze tra Quattro e Cinquecento, che venne ridefinita solo nei primi anni ottanta, quando fu smantellata la seconda sala per fare spazio alla nuova biglietteria e alla libreria, con le opere di Pontormo, Bronzino e Alessandro Allori che vennero da allora collocate alle spalle delle opere di Michelangelo al posto degli arazzi, intensificando il confronto diretto tra queste opere e l'influenza michelangiolesca[11].
Le direzioni degli ultimi anni, da Luciano Bellosi a Giorgio Bonsanti e a Franca Falletti, hanno cercato di ridare un filo conduttore all'intera collezione del museo, arrivata a essere con le numerose sottrazioni e addizioni, piuttosto disomogenea e frammentata[11].
Questi progetti si sono andati concretizzando con l'allestimento della sala dell'Ottocento (1983-1985, a cura di Sandra Pinto) e le sale della pittura del tardo Trecento al primo piano (1998), a cura di Angelo Tartuferi: tali sale sono state riallestite in maniera più accattivante nel 2010 e vi si è aggiunta, nel 2012, una saletta didattica. Questi interventi hanno saldato il discorso cronologico dell'esposizione coprendo un percorso continuo nell'arte fiorentina dal XIII al XIX secolo, come doveva essere nelle intenzioni originarie di Pietro Leopoldo. A ciò sono stati aggiunti l'esposizione delle icone russe settecentesche provenienti dalle collezioni dei Lorena, ospitate nel vano scale, e quella degli strumenti musicali antichi di proprietà dell'attiguo Conservatorio Luigi Cherubini, dal 1996. Un progetto futuro non esclude anche un accesso coordinato anche con l'altra grande istituzione culturale dell'isolato, l'Opificio delle Pietre Dure e il suo museo[11].
Nonostante ciò il problema che persiste nella galleria, e che vedrà magari soluzione in studi e progetti futuri, è quello della mancanza di un filo cronologico che leghi le diverse opere del museo, che appaiono oggi frammentate in sale non contigue. Inoltre la domanda del pubblico resta sempre inevitabilmente legata alla presenza del David, che da solo polarizza gran parte delle attenzioni dei numerosissimi visitatori; ciò rende chiaro anche come siano lontane dalla fattibilità le proposte di spostamento del capolavoro di Michelangelo in altre sedi come la Stazione Leopolda per decongestionare, secondo l'idea dei proponenti, il flusso turistico del centro storico[12][13].
Dopo quasi quarant'anni di direzione a Franca Falletti è subentrato nel 2013 Angelo Tartuferi, il più grande esperto mondiale di arte michelangiolesca, e in particolare della statuaria del grande scultore fiorentino.
La sala del Colosso deve il suo nome al gigantesco gesso di uno dei Dioscuri di Montecavallo che un tempo si trovava qui e che oggi è alla Gipsoteca dell'Istituto d'Arte di Porta Romana. Oggi al centro si trova il bozzetto originale in terra cruda del Ratto delle Sabine di Giambologna, mentre alle pareti si trovano numerosi esempi di pittura fiorentina del Quattro e Cinquecento fiorentino, con opere di grandi maestri (Paolo Uccello, Botticelli, Perugino, Filippino Lippi, Ghirlandaio) e altre che documentano l'attività delle botteghe cittadine.
Opere presenti:
La galleria dei Prigioni deve il suo nome alle quattro sculture raffiguranti nudi maschili, dette Prigioni, realizzate da Michelangelo per la tomba di Giulio II, ma usate dal Granduca Cosimo I de' Medici, come ornamentazioni angolari della grotta del Buontalenti nel Giardino di Boboli e pervenute in galleria nel 1909. Vi si trovano inoltre Pietà di Palestrina, acquisita nel 1939, e il San Matteo, mentre alle pareti sono esposte opere cinquecentesche.
Un tempo ha ospitato i "Quadri antichi", accostati l'uno all'altro fino al soffitto, poi i calchi michelangioleschi, con alle pareti una serie di arazzi, mentre oggi le opere originali di Michelangelo o della sua scuola sono pausate in maniera studiata, per introdurre il visitatore, in un crescendo emotivo, ai piedi del David[14].
Opere presenti:
La sala ospita dal 1873 il David di Michelangelo, realizzato fra il 1501-04 e proveniente da piazza della Signoria. La sala prosegue nei due bracci laterali, dove si trovano opere di scuola manierista.
Opere presenti:
Conosciamo l'aspetto antico del salone, ricavato dalla corsia delle donne dell'antico Ospedale di San Matteo, da un affresco a monocromo realizzato dal Pontormo e ivi conservato.
Oggi l'allestimento ospita una raccolta di dipinti e sculture di artisti del XIX secolo in rapporto con l'Accademia di Belle Arti, tra cui i gessi di Lorenzo Bartolini, con le opere disposte com'erano state messe dall'artista nel suo studio di borgo San Frediano a Firenze e quelli di Luigi Pampaloni.
I dipinti sono alcune delle opere esposte in occasione dei concorsi di pittura, svolti fra il 1794 e il 1868, dell'Accademia dei Belle Arti.
Opere presenti:
Da questa sala inizia un percorso sulla pittura gotica fiorentina che attinge al cospicuo deposito di tavole a fondo oro della galleria. La sala centrale, del Duecento e del primo Trecento, espone dipinti precedenti a Giotto o suoi contemporanei, con un raro frammento attribuito a Giotto stesso proveniente dalla Badia fiorentina.
Opere presenti:
La sala è allestita con opere di artisti fiorentini del XIV secolo seguaci di Giotto.
Opere presenti:
La sala deve il suo nome all'esposizione di opere realizzate dai tre fratelli pittori, attivi a Firenze nel XIV secolo, l'Orcagna, ovvero “arcangelo” (Andrea di Cione), Nardo di Cione e Jacopo.
Opere presenti:
Opere presenti:
La sala è allestita con opere realizzate fra la fine del XIV secolo e l'inizio del XV, di Giovanni del Biondo, Mariotto di Nardo, Rossello di Jacopo Franchi, Spinello Aretino. Nella sala il paliotto ricamato con fili d'oro, d'argento, e di seta policroma da Jacopo Cambi nel 1336.
Opere presenti:
La sala presente un'importante raccolta di opere realizzate da Lorenzo Monaco. In essa è entro una nicchia una raccolta di icone russe appartenute alla famiglia granducale dei Lorena.
Opere presenti:
La sala è allestita con opere del gotico internazionale.
Opere presenti:
Nel 2021 la collezione è stata spostata al piano terra di palazzo Pitti, formando il nuovo "Museo delle icone". Opere già presenti:
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