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critico d'arte, critico letterario e saggista italiano (1896-1982) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Mario Praz (Roma, 6 settembre 1896 – Roma, 23 marzo 1982) è stato un saggista, anglista e scrittore italiano, critico d'arte, traduttore e giornalista, uno dei più importanti anglisti del XX secolo. I suoi studi furono incentrati in particolare sull'Inghilterra fra il Seicento e l'epoca vittoriana, ma egli si occupò anche di letteratura italiana, francese, spagnola, tedesca e russa.
Al suo attivo aveva più di 2600 pubblicazioni.
«La casa è l'uomo, tel le logis, tel le maitre; ovvero "dimmi come abiti e ti dirò chi sei"»
Il padre, Luciano Praz, era impiegato di banca, proveniente da una famiglia di origine svizzera. Gli antenati si erano trasferiti nel 1525 da Zermatt in Valle d'Aosta, in seguito a persecuzioni religiose, perché i Praz erano di fede cattolica.[1] La madre, contessa Giulia Testa di Marsciano, discendeva dalla famiglia dei Conti di Marsciano. Trascorse i primi anni in Svizzera, dove il padre lavorava. Nato con una deformità congenita al piede destro, fu poi operato con successo presso l'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna. Alla morte del padre, avvenuta nell'estate del 1900, si trasferì con la madre a Firenze, presso il nonno materno Alcibiade di Marsciano. Dopo un breve periodo di ristrettezze economiche, nel 1909 la madre cominciò a frequentare il figlio di un ufficiale del commissariato, Carlo Targioni, di professione medico condotto, che godeva di un'ottima posizione economica e che nel 1912 diventerà il suo secondo marito.
In seguito al matrimonio della madre si trasferì a Firenze dove frequentò il liceo-ginnasio Galileo e nel 1914, dopo aver conseguito la licenza con onore, si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza presso l'Università di Bologna, per poi trasferirsi nel 1915 a Roma, dove si laureò nel 1918 con una tesi di diritto internazionale sulla Società delle Nazioni.
Dopo un breve periodo di praticantato presso un avvocato amico di famiglia, Praz scelse di dedicarsi alla letteratura e si iscrisse a Lettere presso l'Istituto di Studi Superiori dell'Università di Firenze, studiando con Giorgio Pasquali e Ernesto Giacomo Parodi, col quale nel 1920 discusse una tesi sulla lingua di Gabriele D'Annunzio. Lo stesso anno, tramite l'Istituto britannico, entrò in contatto con l'ambiente artistico della colonia di aristocratici inglesi trasferiti a Firenze, in particolare con la scrittrice Vernon Lee (pseudonimo di Violet Paget), la quale gli commissionò una rubrica intitolata Letters from Italy, dedicata a vicende italiane e di critica letteraria per il periodico inglese The London Mercury. Sempre quell'anno incontrò Giovanni Papini che, richiedendo la sua collaborazione per alcune traduzioni di poeti inglesi dell'Ottocento e di alcuni saggi di Charles Lamb, fece nascere in Praz l'interesse per il saggio critico, quella sprezzatura che diverrà poi il marchio letterario nel quale i suoi scritti risulteranno apprezzatissimi e innovativi. Dopo aver inviato alcune traduzioni poetiche dall'inglese a Ardengo Soffici, l'anno seguente contatta per il medesimo scopo anche Emilio Cecchi, dal quale otterrà un giudizio incoraggiante e con cui nascerà ben presto un rapporto di confronto intellettuale che durerà oltre quarant'anni.
In quegli anni Praz si dedicò allo studio dell'inglese assieme all'amico Vittorio Moschini, che diverrà poi Soprintendente alle Gallerie di Venezia, e cominciò a frequentare per interesse personale, insieme all'amico Bruno Migliorini, le lezioni di critica e filologia letteraria di Cesare De Lollis. Risalgono a questi anni le prime recensioni e i primi saggi, che pubblicò sulla rivista La Cultura, diretta a quel tempo dallo stesso De Lollis, e su L'Italiano di Leo Longanesi; su quest'ultima apparirà anche il noto saggio sul Neoclassicismo Winckelmann.
Trasferitosi nel 1923 a Londra presso l'amico Antonio Cippico, insegnante d'italiano alla University College di Londra, Praz ottenne una borsa di studio col sostegno di De Lollis e di Carlo Formichi (allora titolare dei corsi di filologia inglese a Roma), entrando in contatto col mondo letterario londinese grazie all'intercessione dell'amica Vernon Lee. Alla fine dello stesso 1923 egli venne incaricato di ricoprire il ruolo di lettore di italiano presso l'Università di Liverpool, compito che lo impegnerà fino al 1931. In questo periodo uscirono in Italia la sua traduzione de I saggi di Elia di Lamb, l'antologia Poeti inglesi dell'Ottocento e in Gran Bretagna il suo saggio Secentismo e Marinismo in Inghilterra, che gli meritò il vivo elogio di T.S. Eliot e del grande studioso di John Donne H.J.C. Grierson.
Nel 1926 Praz fece il primo viaggio in Spagna, che sarà l'argomento del suo Penisola Pentagonale, terminato di scrivere nell'estate a Viareggio. In marzo e in aprile si recò per un soggiorno nei Paesi Bassi, visitando molte città e poi ancora a Firenze dove si ritrovò con gli amici di sempre. Strinse ancora più stretti rapporti con T.S. Eliot e cominciò a frequentare Eugenio Montale: «…ci fu un tempo, tra il 1927 e il 1934, che nei miei soggiorni fiorentini non passava quasi giorno che non incontrassi Eugenio Montale, ci ritrovavamo al caffè e in trattoria e, a giudicare dalle lettere che mi rimangono, avevamo da dirci moltissime cose».[2] Nel 1932 è docente di letteratura italiana nell'Università di Manchester. Nel 1930 venne pubblicato il fondamentale lavoro La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica: tradotto in inglese nel 1933 contribuirà ad estendere la sua fama in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, provocando invece forti reazioni contrarie in Italia, fra le quali quella di Benedetto Croce. Fu uno dei primi studi interdisciplinari al mondo che incluse anche la storia dell'arte nel confronto con l'evoluzione della letteratura, della musica e del pensiero.
Dopo la morte della madre, avvenuta nel 1931, Praz ottenne l'anno successivo la cattedra di italiano all'Università di Manchester, contemporaneamente alla cattedra di letteratura inglese all'Università degli studi di Roma "La Sapienza", la prima istituita in Italia sull'argomento (poi ereditata da Elémire Zolla), Praz poté disporre della possibilità di restare altri due anni in Gran Bretagna. Dopo la chiamata di Gentile a Roma, si iscrisse al PNF, senza molta convinzione politica.[3] Praz si definiva estraneo alla politica, sebbene di simpatie conservatrici e anticomuniste.[4] Prenderà alcune posizioni di critica di costume nel dopoguerra, contro il Sessantotto e la legge Merlin che aboliva la prostituzione in Italia legalizzata (1958).[3][5][6]
Dopo essersi sposato con Vivyan Eyles, nel 1938 nacque la figlia Lucia, che però vivrà per tutta l'adolescenza prevalentemente con la madre quando questa, alla fine della guerra, si separerà dal padre. Anche la vita personale e famigliare di Lucia Praz ha subìto diverse traversie e difficoltà.[7]
A questa infelice vicenda coniugale viene fatta risalire la "malinconica solitudine"[8] che caratterizzò l'esistenza di Mario Praz, di cui diedero testimonianza anche colleghi anglisti come Elio Chinol e Nemi D'Agostino[9], e nel provinciale ambiente italiano diede vita a dicerie diffamatorie sul critico letterario.[10]
Al rientro a Roma nel 1934 Praz prese servizio per un anno nella storica sede della facoltà di lettere dell'Università La Sapienza, in palazzo Carpegna di corso Rinascimento, acquistando casa nelle vicinanze e sviluppando quella passione per il centro della capitale che lo accompagnerà anche quando proseguì, dal 1935 fino al 1966, l'insegnamento di docente ordinario di lingua e letteratura inglese nel nuovo edificio universitario disegnato da Marcello Piacentini.
Da questa cattedra si dedicò alla creazione della prima scuola scientifica di anglistica in Italia, che formerà fra i pochi allievi anche Vittorio Gabrieli, Agostino Lombardo, Giorgio Melchiori, Gabriele Baldini e Masolino d'Amico. Del 1934 è il suo Studi sul concettismo che si occupa della presenza di «imprese» e «emblemi» in letteratura, applicando un metodo di analisi per molti versi analogo agli studi di iconologia inaugurati da Aby Warburg e portati avanti dall'Istituto londinese a lui dedicato, allora diretto da Fritz Saxl. Nel 1936 viene pubblicata presso l'editore Sansoni la Storia della letteratura inglese, riveduta e ampliata nel 1960 e ancora nel 1979, considerata ancora oggi un ottimo strumento per avere una visione d'insieme della letteratura inglese tenendo conto della evoluzione del gusto nei secoli[11]. Nel 1940 entra a far parte dei collaboratori della rivista Primato fondata dal ministro Giuseppe Bottai.
Negli anni della seconda guerra mondiale egli continuò l'attività didattica e scientifica, ma fu nel periodo successivo che l'attività diventò intensa e fruttuosa.
Gli oggetti, gli arredi, le stanze della sua casa in via Giulia diverranno un luogo della memoria al centro del racconto autobiografico del suo La casa della vita e, quando si trasferì in via Zanardelli come inquilino della Fondazione Primoli, vi confluirono unitamente alla vastissima biblioteca: acquistati dallo Stato italiano presso gli eredi nel 1986 per due miliardi e cento milioni di lire, furono restaurati e catalogati dalla Galleria Nazionale d'Arte Moderna, per poi essere ricollocati nell'appartamento al terzo piano di Palazzo Primoli nella disposizione scelta da Praz stesso.
In questa sede - dove si trovano i pezzi raccolti grazie alla sua attività di collezionista ed esperto di antiquariato[12] - dal 1995 a Roma ha aperto al pubblico il Museo Mario Praz: è la casa museo dove sono esposti oltre 1000 oggetti di arredo provenienti da Francia, Italia, Germania e Inghilterra, e che coprono il periodo che va dal Neoclassico al Biedermeier.
Nel 1949 col sostegno del British Council di Roma fondò la rivista English Miscellany. A Symposium of History, Literature and the Arts, importante punto di riferimento per la formazione di illustri anglisti per molti anni; del 1952 è il suo primo viaggio negli Stati Uniti per una serie di conferenze nelle principali università. "Nel 1955 Mario Praz era, ormai da più di due decenni, uno studioso e un saggista di caratura internazionale e di fama pienamente riconosciuta: autore di opere insieme originali e straordinariamente erudite, professore di inglese in Italia e di italiano in Inghilterra, grande viaggiatore e prosatore superbo"[13].
In questi anni comincia a manifestare, con una costanza quasi quotidiana, la sua passione per l'antiquariato. La collezione di Praz si arricchirà poi con i mobili stile Impero, lasciatogli in eredità dal patrigno, che pur aveva sposato, pochi mesi prima di morire, la propria domestica Zenobia, alla quale aveva lasciato gli altri suoi averi. Ritiratosi dall'insegnamento per raggiunti limiti d'età, egli continuò nondimeno l'attività di studio ad altissimo livello, riconosciuta dalle massime istituzioni scientifiche italiane e straniere.
La figura del protagonista del film Gruppo di famiglia in un interno di Luchino Visconti, con sceneggiatura di Suso Cecchi d'Amico, fu costruita ispirandosi dichiaratamente al Mario Praz degli ultimi anni, trasformando il suo personaggio però in un eremita asserragliato nella sua casa museo. La visione del film provocò una forte impressione e un'accesa ira da parte di Praz, anche se poi accettò la cosa, definendolo un film rispettoso verso il personaggio:
«Da un’ispirazione profetica doveva essere animato Luchino Visconti quando (a sua stessa confessione in interviste sui giornali) prendendo le mosse dalle mie Scene di conversazione pel suo film Ritratto di famiglia in un interno metteva a protagonista un vecchio professore assistito da un’anziana domestica (qui evidentemente alludeva a una situazione simile alla mia), ma anche immaginava che nello stesso casamento venisse ad abitare una banda di giovani drogati e dissoluti. Che è pressappoco quello che è accaduto, ma soltanto dopo la presentazione del film, nel palazzo dove abito. Il film, come potei constatare, è rispettoso verso il mio sosia, e forse esagera nei riguardi dei coinquilini, di cui dirò solo che, venendo richiesto dal più notorio di essi, della dedica di un mio libro, vi scrissi: “Per (seguiva il nome) vicino di casa, lontano d’idee”.»
Collaborò alle pagine culturali dei quotidiani Il Tempo (sin dalla fondazione)[14], e dal 26 giugno 1974 Il Giornale di Indro Montanelli[15]. Ha scritto anche su La Stampa e Paese sera, con lo pseudonimo «Alcibiade».
L'invidia dei colleghi per la sua cultura e le opposte correnti universitarie che lo videro contrapposto al prevalente pensiero crociano alimentarono in Italia maldicenze che gli attribuivano fama di iettatore insistendo sulla malformazione al piede che lo rendeva claudicante. Sulla questione Praz fu sempre ironico, consapevole del fatto che fosse impossibile lottare contro fenomeni di questo genere. In molti, in un paese antropologicamente legato a superstizioni mai del tutto debellate dal sapere scientifico, diffuse persino nel mondo della cultura, hanno insistito fino al grottesco su questo tema, non a caso mai preso in considerazione dal consesso scientifico internazionale.
Gli scontri con Benedetto Croce sull'estetica e sulla cultura del Risorgimento che Praz riteneva povera[16] e il suo originale metodo critico - che preferisce spesso utilizzare metafore più che convenzionali analisi descrittive - hanno fatto sì che il suo sforzo culturale venisse non solo spesso sottovalutato dai critici, ma addirittura attaccato come scarsamente scientifico e addirittura incompetente.
Al contrario un'attenta lettura delle sue opere svela che i tanto controversi "dettagli" sono in realtà "sforzi di ricostruzione globale". Attraverso l'evocazione di immagini, infatti, il Professore fa sperimentare al lettore la sensazione di contemplare davvero un affresco pieno di particolari; ne sono un esempio le splendide pagine profuse di delicato ed arguto humor dedicate all'epoca vittoriana:
«[…] ma la morale spicciola dell'epoca ha qualcosa di caricaturale […] i ridicoli sottintesi per cui non si poteva, per esempio, parlare di gambe né a proposito di donne né di tavole (e le tavole erano drappeggiate dal tappeto come le signore erano soffocate dalle vesti che non dovevano consentire la vista dei piedi.[17]»
Dai suoi scritti emergono critiche nei confronti della società contemporanea in merito alla maniera di concepire l'arte e all'imbarbarimento dei costumi:
«L'arte moderna non vuole dare piacere, il senso del piacere è connesso con la bellezza.[18] […] oggi […] l'acrilico consente di sfornare una decina di quadri in una notte a uno degli sprovveduti pittori d'oggi, o il gesto d'un samurai armato di spada basta a creare un capolavoro di Fontana.[19] […] i pittori vi presentano un'asse crivellata di buchi, o una tela grezza con qualche grammo di colore e li chiamano quadri, e uno scultore prende il sedile di un cesso, lo combina con un tubo di stufa e lo chiama una statua.[20]»
Allo stato attuale vi è un attento recupero del lavoro di Mario Praz, anche in considerazione del fatto che i suoi studi oggi paiono pionieri dei cultural studies[21].
Fu inoltre membro dell'Accademia dei Lincei e di alcune accademie straniere.
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