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letteratura in lingua persiana Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La letteratura persiana, o meglio neo-persiana, nasce a partire dall'incontro/confronto fra la tradizione persiana propriamente detta e la cultura linguistica e letteraria degli Arabi conquistatori, che abbatterono l'impero sasanide nel 640 d C. Questo evento traumatico portò a grandi trasformazioni sia nella lingua (introduzione dell'alfabeto arabo) che nella letteratura (introduzione di generi e metri poetici arabi). La letteratura precedente in pahlavi, o medio-persiano, continuerà essenzialmente come espressione degli ambienti zoroastriani fino al X secolo e oltre, ma l'arabo soppianterà il medio-persiano come lingua delle scienze religiose, naturali e filosofiche. Già alla fine dell'VIII secolo abbiamo i primi documenti di una lingua neo-persiana, ampiamente arabizzata nel lessico e scritta in alfabeto arabo modificato, che lentamente diviene anche lingua letteraria, soprattutto a partire dalla prima grande scuola dei poeti della corte samanide di Bukhara (X secolo). A quell'epoca in territori iranici si può dire che gli intellettuali usassero l'arabo per trattare argomenti scientifici e religiosi e il neo-persiano per la poesia e la storiografia. Dal periodo selgiuchide in poi la letteratura neo-persiana si diffuse dalla culla centro-asiatica al resto dei territori iranici occidentali e, in seguito, grazie anche all'immenso prestigio acquistato dai suoi autori, innumerevoli cultori di questa letteratura si troveranno in un'area vastissima, dalla Istanbul ottomana sino alla Delhi dei Moghul.
Il persiano, appartenente al complesso delle lingue iraniche, è una lingua indoeuropea e la sua evoluzione può essere suddivisa in tre fasi:
Bisogna fare qui, tuttavia, una specificazione importante: gli studiosi europei, infatti, definiscono versi quelli che corrispondono nella poesia persiana agli emistichi (mezzi versi): quando gli studiosi parlano di una poesia di 80 versi, quindi, bisognerà intendere che sia costituita da 40 versi doppi a rima baciata; se di 30 versi, 15 versi doppi a rima baciata, e via di seguito. Questa abitudine è invalsa anche nella trascrizione delle poesie, dove gli emistichi sono riportati l'uno sotto l'altro, come fossero versi autonomi, come se il componimento fosse a rime alternate (X / A / X / A / X / A...). Non è così: i versi sono doppi e le poesie sono costituite da emistichi a rima baciata: tutti i versi, quindi, rimano fra loro (X - A / X - A / X - A / X - A....). Possono semmai rimare anche i primi emistichi fra loro, aggiungendo rime all'ordine stabilito (tipo: A-A / X-A / X-A/ X-A....), ma non è pensabile che si possa uscire fuori dello schema che impone la rima a tutti i versi. Questo accade anche nel mathnavi (poema), che non è composto a rime baciate, come si dice in genere (a a / b b / c c...), ma tutti dove gli emistichi rimano fra loro a coppie e dove ogni verso ha una nuova rima (a-a / b-b / c-c / d-d ...), anche se gli emistichi appaiono trascritti spesso l'uno sotto l'altro.
Eccezioni ci sono: la robai (quartina) persiana, infatti, è chiamata così perché, anche se era costituita originariamente da due versi doppi (con rime: A-A / X-A), ogni emistichio finì per venire considerato come un verso indipendente dagli stessi persiani (cioè come : A / A / X / A), ma è eccezione.
La qaṣīda, genere principe della poesia araba, è un'ode panegiristica, che conta da poche decine a diverse centinaia di versi. Tutti i versi sono doppi (emistichi) e rimano fra loro, tranne il primo, nel quale rima anche il primo emistichio (schema: a-a / b-a / c-a / d-a...). La qaside tipica possiede un preludio (detto nasib) di carattere lirico, in cui si descrive in modo alquanto stilizzato un giardino primaverile e i suoi vari elementi (rami, fiori, uccelli, temporali ecc.), segue un verso di passaggio (gorizgah) che abilmente introduce la lode (madīḥ) finale del mecenate o patrono dell'autore
In questo genere eccellono i poeti samanidi: Rudaki, nato nelle vicinanze di Samarcanda (m. 941), Asjadi di Marv (m. 1031), Farrokhi del Sistan (m. 1038), 'Onsori di Balkh (m. 1049 ca.) e Manučehri di Damghan (m. 1041). Dopo di loro, si distinsero: Qatran di Tabriz (m. 1072), Amir Mo'ezzi (m. 1147) panegirista dei sovrani selgiuchidi Malekshah e Sanjar, Mas'ud-e Sa'd-e Salman di Lahore (m. 1131), Azraqi di Herat (m. 1132 ca.), Adib Saber di Termez (m. 1147), Rashidoddin Vatvat (m. 1182), panegirista dei sovrani del Khwārezm, Zahir Faryabi (m. 1201), il grande Anvari di Abivard (m. 1191), il panegirista favorito di Sanjar, e Khaqani di Shirvan (m. 1191 ca.), questi ultimi due annoverati come il vertice del genere.
La qaside conosce anche destinazioni diverse dall'encomio al patrono di turno, si pensi ad esempio alla qaside religiosa di un Naser-e Khosrow, di Sana'i di Ghazna, di Farid al-Din 'Attar o dal citato Khaqani; o alla qaside allegorica ed eroicomica Mush o qorbe ("Il gatto e il topo") del poeta satirico Ubayde Zākāni di Shiraz (m. 1371 ca.), che sottilmente dipingeva nel gatto tiranno dei topi un crudele e bigotto regnante di Shiraz.
La qaside scritta in onore di un qualche augusto defunto (di solito un nobile patrono, un sovrano, oppure un religioso, un imam ecc.) si chiama marthiye (elegia).
Il ghazal è un tipo di componimento di lontana origine araba, nato come una variazione della qaside, ma divenuto principe in quella persiana: la qaside si apre infatti con un preludio amoroso (nasib) che lentamente, intorno al IX secolo, divenne un genere indipendente, il ghazal appunto. Il ghazal è un tipo di componimento breve, dai 5 a 15 versi, tipo un sonetto, di carattere bacchico o erotico in cui il poeta si atteggia ad amante (ʿasheq) di un'innominata e pressoché ineffabile persona amica, dalle sfuggenti fattezze, in cui si son voluti riconoscere personaggi disparati, i più frequenti e tradizionali dei quali sono il principe-patrono e la divinità[1]. Nella forma ha conservato lo stesso schema della qasida: tutti i versi sono doppi e rimano fra loro, tranne il primo, nel quale rima anche il primo emistichio (a-a / b-a / c-a / d-a...). Nell'ultimo verso, nella struttura classica almeno, il poeta inserisce a mo' di firma il proprio pseudonimo poetico (takhallos).
Il genere, introdotto in Persia da Sana'i di Ghazna (m. 1140 ca), fu perfezionato in direzione mistica da Farid al-Din 'Attar (m. 1220 ca), Saʿdi di Shiraz (m. 1291) e da Gialal al-Din Rumi (m. 1273), meglio noto come Molavi o Mawlana, autore di un celeberrimo canzoniere detto Dīvān-e Šams-e Tabrīzī, uno dei vertici della poesia di tutti i tempi. Il ghazal fu poi ulteriormente sviluppato da Khwaju di Kerman (m. 1352), da Salman di Save (m. 1376), e trovò la sua perfezione in Hafez di Shiraz (m. 1390), considerato il più grande poeta persiano: il suo "Canzoniere" (Divān) è, assieme a quello di Rumi, uno dei grandi capolavori immortali della poesia persiana, noto in tutto il mondo, imitato ed ammirato anche da Goethe, cui ispiro' il proprio West-östlicher Divan, oltre che dal "padre" della nascente letteratura nordamericana, Ralph Waldo Emerson. Il Divān di Hafez comprende circa 500 ghazal in cui si combinano toni diversi, di solito ma non sempre esattamente definiti erotici e mistici, e temi che spaziano da un supposto edonismo al panegirismo. Più giusto è affermare che i temi dominanti di questo poeta vanno visti nell'esperienza gnostica (e non mistica), nell'affascinante avventura del conoscere, di cui la persona amata si fa poetica sostituta, e nell'asserzione della libertà come attributo ineliminabile dei processi cognitivi.
Il genere fu ulteriormente coltivato, ma ormai a livelli inevitabilmente inferiori seppur sempre apprezzabilissimi, da Kamal di Khojand (m. 1406) in Transoxiana e dal famoso Giami a Herat.
La quartina è componimento breve formato da quattro versi (a, a, b, a; oppure: a, a, a, a; o anche: a, b, b, a). Questo genere è ignoto alla poesia araba e si può dire che sia invenzione prettamente persiana che rivela semmai l'influenza di certa poesia cinese o delle quartine tipiche della poesia indonesiana. Di carattere spesso gnomico-sentenzioso, o talora quasi filosofico, nel genere eccelse ʿOmar Khayyām (m. 1126 ca.), poeta cantore del vino e del carpe diem reso noto in Occidente dalle traduzioni di Edward FitzGerald e Nicholas della seconda metà dell'Ottocento, avvicinabile per certi aspetti alla sensibilità dell'autore del Qohelet. Da ricordare le quartine religiose di tono mistico del santo sufi Abu Sa'id (m. 1048), di Baba Taher (XI secolo) e di Baba Afzal (XIII secolo); più originale è la quartina di tono realistico della poetessa Mehsati di Ganja (XII secolo), la prima figura femminile di qualche consistenza delle lettere persiane.
Il mathnavi è il poema lungo, dalle centinaia di versi fino alle decine di migliaia, in versi doppi, dove tutti gli emistichi rimano a coppia fra loro e ogni verso ha una rima diversa (a-a, b-b, c-c, d-d...), di vario argomento: epico, romanzesco, mistico, satirico, didattico ecc. . È un genere nuovo inventato dai Persiani, assente nella poesia araba classica, che tratteremo a seconda dell'argomento:
È un genere essenzialmente nuovo, di invenzione persiana, poiché poco coltivato dalla letteratura araba. Il genere si realizza in varie forme, ad esempio con la mosammat, che tradizionalmente si ritiene sia stata creata dal citato Manuchehri, di varia foggia e lunghezza: morabbaʿ (ovvero un quartetto di quattro emistichi con rima: aaaa, bbba, ccca...), mokhammas (quintetto di emistichi con rima: aaaaa, bbbba, cccca...), mosaddas (sestetto di emistichi con rima: aaaaaa, bbbbba, ccccca...); e ancora: la tarji'- e band (strofe con rima del tipo-qasida, unite da un verso ritornello: aa, ba, ca... xx; ee, fe, ge... xx e così via); la tarkib-e band (come la precedente, ma i versi che uniscono le strofe non sono un ritornello, bensì diversi l'uno dall'altro anche se rimano internamente: ...xx...yy...zz ecc.).
Brano di pochi versi, concepibile come un brano di qaside, privata però del verso iniziale a rima interna (tipo: aa) detto matla'; è spesso usata come tipico componimento d'occasione per una varietà di scopi, ad esempio in ringraziamento, in rimprovero, in lode o in morte di qualcuno, ma anche come veicolo di poesia di tono scherzoso o schiettamente pornografico, come si vede in Suzani di Nasaf (m. 1174), ma anche in certi frammenti composti da Sa‘di (v. infra) e numerosi altri poeti (i versi di contenuto osceno, detti comunemente hazliyyat o motayebat, sono peraltro composti anche in tutte le altre forme illustrate in questa sezione). Il frammento di un solo verso è detto fard.
A questa suddivisione per generi, la tradizione esegetica orientale affianca anche una suddivisione alternativa che risponde a una descrizione degli “scopi” (aqraz) della poesia, secondo criteri tassonomici autoctoni e più tradizionali (fonte: Zayn al-ʿAbidin Muʾtaman, Sheʿr va adab-e farsi, Jahan Book, Tehran 1986, p. 8): 1. madḥ (panegirico) 2. resa o marsiya (elegia, lamentazione) 3. vasf (descrizione, fisica di persone o paesaggi) 4. tasavvof (mistica) 5. sheʿr-e akhlāqī (poesia morale) 6. sheʿr -e falsafī (poesia filosofica) 7. sheʿr-e ravaʾī (poesia narrativa) 8. ghazal (lirica amorosa) 9. khamriyye (poesia bacchica) 10. monazere (tenzone o contrasto) 11. hasb-e hal (poesia autobiografica) 12. hamase va mofakhere (epica e vanto) 13. shakvà (lagnanza) 14. eʿteraz (apologia) 15. heja va hazl va motayebe (satira, facezia, scherzo) 16. loghz va moʾamma (emigmi e indovinelli).
Gli inizi della prosa persiana sono rappresentati da traduzioni dall'arabo di opere religiose, come ad esempio il Tafsīr o esegesi del Corano, di traduttore anonimo e il Taʾrīh al-Mulūk wa al-Anbiyāʾ (Cronaca dei re e dei profeti, alquanto rielaborata dal traduttore Balʿami, X secolo), i cui originali erano entrambi opere del persiano Ṭabarī (m. 923) che scriveva però in arabo. A queste si possono aggiungere altre opere scientifiche di astronomia, di farmacologia o di geografia come le ʿAjāʾib al-Buldān (Le meraviglie dei paesi) di Abū l-Moʾayyad di Balkh (X secolo), e di storia come l'anonimo Taʾrikh-e Sistan (Storia del Sistan) scritta a metà dell'XI secolo In seguito si sviluppano vari generi:
Opere di epoca ghaznavide: il Ta'rikh-e Ghaznaviyan ("Storia dei Ghaznavidi") di Beyhaqi (m. 1077), lo Zayn al-Akhbar ("L'ornamento delle notizie", una storia della Persia sin dalle mitiche origini) di Abu Saʿīd Gardīzī scritta intorno al 1050.
Si possono ricordare: il Qābūs-nāme del principe Kaika'us b. Iskandar (m. 1085), uno “specchio per principi” scritto per il figlio e quasi un codice della civiltà persiana medievale, il Siyāsat-nāme ("Il libro della politica") del grande visir selgiuchide Nizam al-Mulk (m. 1082) forse il massimo teorico dell'arte politica in terre musulmane, l'Akhlaq-e Nāṣeri ("L'etica di Nāṣer", dal nome di un mecenate) di Nasir al-Din al-Tusi (m. 1274) celebre moralista, il famosissimo Golestan ("Roseto") di Saʿdi di Shiraz (m. 1291), in prosa mista a versi, forse l'opera più letta, amata e citata dell'intera letteratura persiana, l'Akhlāq al-Ashrāf ("L'etica dei notabili"), opera satirica di 'Obeyd Zakani (m. 1371) che fustiga amabilmente i corrotti costumi della corte di Shiraz; Akhlaq-e Jalali di Davvani (m. 1502) e Akhlaq-e Mohseni, del grande poligrafo vissuto alla corte di Herat Va'ez Kashefi (m. 1504), il Baharestan del citato Giami (m. 1492), che riprende il modello del Golestan di Saʿdi.
Tra le opere si ricordano: il Tarjuman al-Balagha (L'interprete dell'eloquenza) di 'Umar al-Raduyani (m. 1114), Hada'iq al-Sihr (I giardini della magia) del retore e poeta Rashid al-Din Vatvat, (m. 1182), Chahar maqale (I quattro discorsi, dedicati alle professioni del segretario, del poeta, del medico e dell'astrologo) di Nezami 'Aruzi di Samarcanda (m. 1174), infine al-Muʿjam fī ma'ayir ashʿar al-ʿajam di Shams-e Qeys (XIII secolo).
Si possono ricordare: il Danesh-name ("Libro della sapienza"), un'enciclopedia scientifica del grande Ibn Sina ovvero Avicenna (m. 1037) che scrisse prevalentemente in arabo, il Kimiya-e Saʿadat ("L'alchimia della felicità"), riassunto in persiano di una summa teologica in arabo del celebre teologo Abu Hamid al-Ghazali (m. 1111), il Zij-e Ilkhani, un almanacco astronomico del citato Nasir al-Din al-Tusi, il Nowruz-name ("Il libro del Nowruz", il Capodanno persiano) del citato poeta e astronomo-matematico ʿOmar Khayyām.
Si possono ricordare: il Ketab-e goshayesh o rahayesh ("Il libro dello scioglimento e della liberazione") del citato poeta, nonché filosofo e missionario ismailita Naser-e Khosrow (m. 1088), il Kashf al-Mahjub ("La rivelazione del recondito") di Hojviri (m. 1073, operante alla corte di Lahore) una summa del sapere mistico del tempo, il Sad meydan ("Le cento pianure spirituali") del santo sufi Ansari di Herat (m. 1088) che descrive il cammino spirituale del mistico viandante, il Fīhi mā fīhi ("C'è quel che c'è") del citato mistico Gialal al-Din Rumi; il Mirsad al-ʿIbād ("La specola dei devoti") del religioso e mistico Najmoddin Razi Daye (XIII secolo) che si segnala anche per l'abbondanza delle citazioni poetiche, le Awsaf al-ashrāf (Descrizioni dei nobili) un trattato di sufismo del citato Naseroddin Tusi, il Sawanih al-‘Ushshaq ("I casi degli amanti") di Ahmad Ghazali (XII secolo), fratello minore del teologo sopra citato e autore con quest' opera del più noto trattato sull'eros mistico del medioevo persiano, i racconti mistico-visionari del filosofo e gnostico Sohravardi (m. 1191) celebre teorico e caposcuola di una "sapienza illuminativa" (ḥikmat al-ishrāq) o "orientale", i Lama'at ("Bagliori") del citato ʿEraqi di Hamadan, che sarà acutamente commentato da Giami
Da ricordare inoltre la vasta letteratura del commento (tafsir) al Corano, normalmente scritta in arabo, che conobbe però anche opere tradotte o riassunte in persiano.
Genere creato con il Safar-name ("Libro di viaggio") del citato missionario ismailita Naser-e Khosrow che ebbe modo di peregrinare tra l'Asia Centrale e l'Egitto dei Fatimidi.
Ben rappresentato dalla saga di Samak-e ʿayyar ("Samak il brigante"), raccolta e fissata intorno al 1190 da tale Faramorz, che sistemò una ricca tradizione orale precedente.
Qui si può ricordare: il Marzban-name, un rifacimento della raccolta indiana del Kalila e Dimna, di Sa'doddin Varavini (XIII secolo) riccamente ornata di versi arabi e persiani, Jawami‘ al-hikayat wa lawami‘ al-riwayat ("Le collane degli aneddoti e gli splendori dei racconti") di 'Owfi di Bukhara (XII-XIII secolo, operante alla corte di Lahore) il più ampio e noto repertorio persiano medievale di storie e aneddoti, Anvār-e Soheyli ("I bagliori di Canopo") altro rifacimento dell'indiano Kalila e Dimna del citato poligrafo Va'ez Kashefi; a questi si può aggiungere il Sendbad-name (Libro di Sindbad) di Zahiri (XII secolo) un'opera, forse di origini indiane, costruita con la tecnica della storia-cornice e che si collega a un ben noto ciclo medievale con notevoli appendici europee ("Storia dei sette savi", "Gli inganni delle donne" ecc.).
Da ricordare: le Maqamat-e Hamidi di Hamidoddin (m. 1164), largamente ispirate a modelli arabi.
Tra cui sono da ricordare: Asrār al-tawḥid ("I segreti dell'Unicità Divina") di Ebn-e Monavvar (XII secolo), biografia del santo e poeta sufi Abu Sa'id, la Tadhkirat al-Awliya’ ("Il memoriale dei santi"), raccolta di biografie di celebri sufi del citato poeta mistico Faridoddin 'Attar di Nishapur, il Nafahat al-‘Uns ("Sospiri di intimità"), pure opera di agiografia sufi del citato Jami.
Da ricordare: il Lubab al-albāb ("L'essenza dei cuori") del citato ‘Owfi di Bukhara, la Tadhkīrat al-Shuʿarāʾ ("Memoria dei poeti") di Dowlatshah di Samarcanda, composta verso il 1490, le Majālis al-ʿushshāq ("Le sedute degli amanti"), biografie panegiricizzate di poeti del citato principe e mecenate timuride Hosseyn Bayqara di Herat.
Di tono satirico, esemplarmente rappresentata dalla raccolta di aneddoti ameni e barzellette spesso esplicitamente pornografiche Resale-ye delgosha ("Dissertazione letifica") del citato 'Obeyd Zakani di Shiraz, che prende di mira gli ambienti corrotti e le ipocrisie della nobiltà cortigiana e soprattutto del clero di Shiraz.
A differenza dei precedenti, i paragrafi seguenti non si muoveranno secondo i diversi generi letterari ma secondo i vari periodi storici, per facilitare la comprensione generale dell'argomento, dei percorsi artistici, dei generi, delle tendenze stilistiche e delle singole figure poetiche. Si tenga presente che il sistema dei generi persiani classici rimarrà immutato dal IX secolo al XVIII secolo e oltre, praticamente mille anni. Solo nel XIX secolo, infatti, sotto la dinastia Qajar, il sistema tradizionale dei generi ha iniziato a vacillare e ha lasciato spazio ai generi moderni 'europei' (commedia, romanzo, dramma sacro etc...).
Finché l'impero arabo fu in espansione sotto la dinastia degli Omayyadi (661-750), gli Arabi riuscirono a tenere abbastanza saldo il potere attorno alla capitale di Damasco. Tuttavia, appena terminato il ritmo spettacolare delle conquiste e che la capitale fu spostata a Baghdad sotto la dinastia degli Abbasidi (nel 750, che aveva preso il potere grazie all'appoggio dei persiani), i vari popoli in seno all'impero, ormai arabizzati e islamizzati, rialzarono il capo. Di fatto il califfo divenne dopo al-Mutawakkil, un'autorità puramente formale sul piano politico a 100 anni dalla fondazione dell'impero, e non appena la capitale venne spostata a Baghdad, la classe dirigente divenne persiana anche se di lingua araba (uno per tutti il celebre poeta arabo Abu Nuwas).
Intorno all'800 in sostanza (anche) la Persia era già passata di fatto sotto il dominio di altri signori, solo formalmente soggetti al califfo, la dinastia iranica dei Samanidi, con capitale a Bukhara, in Transoxiana (odierno Uzbekistan), che darà avvio al millenario dominio straniero, specie turco, in Persia.
Ruotano attorno alla corte samanide i padri della letteratura persiana: il famoso Rudaki (m. 941) di Samarcanda, autore di qasida encomiastiche e di un mathnavi romanzesco, perduto, su Khalil e Dimna, e Abu Mansur Daqiqi (m. 980), autore del mathnavi epico intitolato Shahnamè, parzialmente rimasto perché inglobato poi da Firdusi nel suo poema omonimo. Si ricordi anche la poetessa Rabia Balkhi.
In prosa si ricorda Balʿami, che tradusse, intorno al 963, la "Storia" (Ta'rikh al-rusul wa-l mulūk), scritta in arabo dal persiano Ṭabarī.
Nel 999 il grande Mahmud di Ghazna, turco, spodesta i Samanidi e dà inizio alla dominazione turca in Persia, sempre formalmente soggetto anche lui, come i Samanidi, al califfo di Baghdad.
La dinastia da lui fondata fu breve ma essenziale per lo sviluppo della poesia persiana. Nella Qaṣīda si distinguono Asjadi di Marv (m. 1031), Farrokhi del Sistan (m. 1038), poeta laureato di Ghazna, 'Onsori di Balkh (m. 1049) e il grande Manucehri di Damghan (m. 1041). Prima alla corte samanide e poi in quella di Maḥmūd vissero anche il sommo Firdusi di Ṭūs (940-1026), il Dante persiano, autore del poema epico Shāh-Nāmeh, il poema nazionale iranico, e il filosofo Avicenna (980-1037) di Bukhara, autore anche di varie roba’i.
Nasce grazie a Manuhceri la poesia strofica (mosammat), ignota alla poesia araba classica (ma non a quella di Spagna, vedi il paragrafo apposito alla voce poesia araba).
Nella prosa storiografica si ricorda il Ta'rikh-e Ghaznaviyan ("Storia dei Ghaznavidi") di al-Bayhaqi (m. 1077)
Nel 1037 il turco selgiuchide Toghrul Beg penetra in Persia, spodesta gli ultimi Ghaznavidi, giunge a Baghdad a minacciare il califfo e lo costringe a farsi riconoscere come sultano di Persia, creando in questo modo un regno autonomo soggetto solo religiosamente al califfo sunnita. Del quale, anzi, i selgiuchidi, signori in breve di tutto l'impero fino alla Siria e all'India, divengono i protettori.
L'età selgiuchide comprende due secoli di estrema vivacità culturale e in qualche modo si stabilità politica nei quali il genio iranico crea tra i suoi più grandi scrittori. In questo periodo si possono rintracciare tre tendenze generali: quella oratoria-epica, che prosegue la tradizione araba della Qaṣīda e del mathnavi di carattere eroico, quella del mathnavi didattico (religioso, spesso mistico), e quella più 'sperimentale', inaugurata dalle strofe di Manuhceri, di ambientazione più quotidiana e di lessico più comune, fuori dalla tradizione aulica. È in questa epoca che entra nella poesia persiana il ghazal e si inventano il mathnavi didattico e roba’i, la quartina, destinati divenire i generi principi della poesia persiana.
I sette grandi di quest'epoca sono:
Nella Qaṣīda si distinguono ancora Qatran di Tabriz (m. 1072), Amir Mo’ezzi (m. 1147), panegirista di Malik Shah I e di Sanjar, Mas'ud-e Sa'd-e Salman, attivo in India, presso gli ultimi Ghaznavidi di Lahore (m. 1131), Azraqi di Herat (m. 1132), panegirista di Tughanshah, Adib Saber di Termez (m. 1147), Rashidoddin Vatvat (m. 1182), panegirista dei sovrani della Corasmia (Khwarezm, in Uzbekistan), Zahir Faryabi
Nel mathnavi epico, dopo Firdusi, si ricordano Asadi (m. 1073), autore di un Garshasp-nāme dedicato alla mitica figura di un sovrano iranico, e Gorgani (m. 1080), autore del famoso Vis o Ramin, un mathnavi romanzesco di antica origine partica che presenta notevoli affinità con Tristano e Isotta.
Originale è la quartina di tono realistico della poetessa Mehsati di Ganja (XII secolo), la prima figura femminile di qualche consistenza delle lettere persiane.
Nella prosa storica ci sono lo Zayn al-Akhbar ("L'ornamento delle notizie", una storia della Persia sin dalle mitiche origini) di Abu Sa’id Gardizi scritta intorno al 1050; il Qābūs-nāme del principe Kaikaous Iskandar (m. 1085), uno ‘specchio per principi’ dedicato al figlio, e il Siyāsat-nāme ("Il libro della politica") del gran visir selgiuchide Nizam al Muluk (m. 1082) forse il massimo teorico dell'arte politica in terre musulmane; il Nezamolmolok (1018-1072), un trattato di governo di Hasan di Tus, ministro di Alp Arslan e Malikshah; i "Cinque discorsi" di Nezami Aruzi (1155); il Taʾrikh-e Beyhaq ("Storia di Beyhaq") di Ebn Fondoq (m. 1170), il Taʾrikh-e Yamini di Zafar Jarfadqani (tradotta nel 1206 da un originale arabo di ‘Utbi), il Rahat al-Sudur ("Il sollievo dei petti") scritta tra il 1202 e 1204 da Ali Ravandi; l'Akhlaq-e Nāṣeri ("L'etica di Nāṣer") di Nasir Al-Din al-Tusi (m. 1274) celebre moralista.
Nella prosa religiosa, dopo Naser-e Khosrow e Farid al-Din 'Attar, vi sono i "Segreti dell’Unità divina", biografia del quartinista Abu Sai'd, redatta dal pronipote Ebn –e Monavvar (XII secolo), il Kashf al-Mahjub ("La rivelazione del recondito") di Hojviri (m. 1073, alla corte di Lahore), una summa del sapere mistico del tempo, il Sad meydan ("Le cento pianure spirituali") del santo sufi Ansari X Prize di Herat (m. 1088), il Mirsad al-ʿIbād ("La specola dei devoti") di Najmoddin Razi Daye (XIII secolo), le Awsaf al-ashrāf ("Descrizioni dei nobili"), un trattato di sufismo di Naseroddin Tusi, il Sawanih al-‘Ushshaq ("I casi degli amanti") di Ahmad Ghazali (XII secolo), il più noto trattato sull'eros mistico del medioevo persiano, e i racconti mistico-visionari del filosofo e gnostico Sohravardi (m. 1191), caposcuola di una "sapienza illuminativa" (ḥikmat al-ishrāq) od "orientale".
Da ricordare inoltre la vasta letteratura del commento (tafsir) al Corano, normalmente scritta in arabo, che conobbe però anche opere tradotte o riassunte in persiano.
l romanzo popolare, ben rappresentato dalla saga di Samak-e ʿayyar ("Samak il brigante"), raccolta e fissata intorno al 1190 da tale Faramorz, che sistemò una ricca tradizione orale precedente
La dominazione mongola dura tre secoli che storicamente e politicamente si possono dividere in due periodi: il primo (1219-1380) comprende la dominazione instaurata sulla Persia dai Hulagu Khan, nipote di Gengis Khan, che intorno al 1219 aveva iniziato ad invadere le province dell'Iran orientale, nel 1258 aveva espugnato Baghdad, ucciso l'ultimo califfo, e aveva trasformato l'Iran in un khanato mongolo; khanato, per altro, non solo destinato a divenire entro breve autonomo da Pechino ma anche politicamente effimero poiché destinato a frantumarsi in un insieme di piccole città stato e province indipendenti sotto l'egemonia dei discendenti di Hulagu, estinti nel 1380.
Questa fu per la cultura persiana l'età dello splendore, nella quale il genio iranico si espresse al massimo dopo i già eccellenti risultati dell'età selgiuchide. Si accentua in questo periodo al massimo la tendenza al simbolismo: è l'età della grande poesia mistica per cui l'Iran è famoso nel mondo. Decade lentamente la qaside panegiristica, quindi, in favore del ghazal d'amore, del mathnavi mistico e della grande prosa storica.
I cinque grandi di questa epoca sono:
Nel mathnavi didattico si ricordano, assieme a Attar, Sa’di e Rumi, il famoso Eraqi di Hamadan (m. 1289), autore dell'Oshshaq-name ("Il libro degli amanti") e del famoso Lama’at ("Bagliori"), Owhadoddin di Kerman (m. 1298), autore del Misbah al-arwāh ("La nicchia delle luci"), Shabestari (m. 1320), autore di un Golshan-e raz, compendio di dottrine sufi, Owhadi di Maraghe (m. 1338), autore del Jam-e Jam ("La coppa di Jamshid", uno dei temi più cari alla poesia persiana).
Nella prosa storiografica si deve ricordare la Taʾrikh-e Jahan-goshay ("Storia del conquistatore del mondo") di Gioveini (Joveyni, 1226-1283) dedicata a Gengis Khan, il Jamiʿ al-Tawārīkh ("Raccolta delle storie") di Rashid al-Din Hamadani (1306-1312), di Tabriz; la Tajziyat al-Amsar ("Analisi dei paesi") di Vassaf (1300 - 1312), il Taʾrikh-e gozide ("Storia scelta") di Mostowfi (m. 1349). Della stessa epoca sono anche opere di storiografi operanti in India: le Ṭabaqāt-e Nāṣeri ("Genealogie di Nāṣer", o Menhaj-e Seraj, per Naseroddin sultano) di Juzjani del 1260, il Taʾrikh-e Firuzshah ("Storia di re Firuz", sultano di Delhi m. 1357) di Ziya al Din Barani (XIV secolo).
Qui si può ricordare nella novella il Marzban-name, un rifacimento della raccolta indiana del Kalila e Dimna, di Varavini (XIII secolo) riccamente ornata di versi arabi e persiani, Jawami‘ al-hikayat wa lawami‘ al-riwayat ("Le collane degli aneddoti e gli splendori dei racconti") di ‘Owfi di Bukhara (XII-XIII secolo, operante alla corte di Lahore) il più ampio e noto repertorio persiano medievale di storie e aneddoti, Anvār-e Soheyli ("I bagliori di Canopo"), altro rifacimento di Khalil e Dimna del poligrafo Va'ez Kashefi; il Sendbad-name ("Libro di Sindbad") di Zahiri (XII secolo) un'opera, forse di origini indiane, costruita con la tecnica della storia-cornice
Le antologie e biografie poetiche, da ricordare: il Lubab al-albāb ("L'essenza dei cuori") del citato ‘Owfi, la Tadhkīrat al-Shuʿarāʾ ("Memoria dei poeti") di Dowlatshah di Samarcanda, composta verso il 1490, le Majālis al-ʿushshāq ("Le sedute degli amanti"), biografie panegiricizzate di poeti del citato principe timuride di Herat.
La seconda fase classica (1380-1501), invece, inizia col grande turco Tamerlano, il signore di Samarcanda che, estinti i discendenti di Hulagu, riconquisto' per sé tutta la Persia facendone il cuore di un gigantesco impero, e termina, anche in questo caso, con le vicende dei suoi successori, i Timuridi, estinti nel 1501.
Dopo Hafez il ghazal viene ancora coltivato, a livelli inevitabilmente inferiori seppur sempre apprezzabilissimi, da Kalman di Khojand (m. 1406)
Il mathnavi didattico prosegue con il Dastur-e 'Oshshāq ("Grammatica degli amanti") di Fattahi di Nishapur (m. 1449), e si sviluppa con lo Hal-name ("Libro dell'estasi") di ‘Arefi di Herat (m. 1449).
L’età classica in poesia si conclude con il brillante Giami (1414-1492), del Khorasan, che operò per i timuridi di Herat, in Afghanistan: egli compose un "Settetto" (Sab’è, sul modello di Nezami, che comprende il famoso "Libro della sapienza di Alessandro" e il "Giuseppe e Zoleikha"), un Baharistan ("Giardino") in prosa sulle orme del Golestan di Sa’di, il Nafahat al-‘Uns ("Sospiri di intimità"), prosa agiografica di santi sufi. A lui si deve anche un commento al Lama'at ("Bagliori") di ʿEraqi di Hamadan. La figura di Giami sarà fondamentale per lo sviluppo della letteratura turca.
In prosa ci sono lo Zafar namè ("Libro della vittoria"), biografia del Tamerlano di Sramanera (1401 – 1404), rifatto poi da Sharaffoddin 'Ali Yazdi nel 1424; il Majmaʿ al-tawārīkh ("Raccolta delle storie") di Hafez-e Abru (m. 1430) in quattro volumi che vanno dalla Creazione all'epoca dell'autore, il Matlaʾ al-Saʿdayn ("Il sorgere dei due pianeti fortunati") di Abdorrazaq di Samarcanda (m. 1482), fonte di prim'ordine; il Rawżat al-ṣafā ("Il giardino della purità") di Mirkhwand di Bukhara (m. 1498), altra storia del mondo dagli inizi sino al regno del timuride Hossey Bayqara, signore di Herat.
L'età safavide dura due secoli e corrisponde alla nascita dell'Iran moderno: fu Scià Isma'il, infatti, ipotetico discendente dei sassanidi sebbene fosse turco azeri, a fondare la nuova dinastia da Esfahan e a dare alla Persia una sua specifica identità in seno all'ecumene islamica: egli fece leva da un lato sull'aspetto etnico (essendo i persiani ariani) e dall'altro su quello religioso, facendo convertire la Persia, unico fra i paesi islamici, allo sciismo. L'età safavide fu un'era di splendore in cui l'influenza culturale della Persia sull'oriente, come paese dell'eleganza e del gusto, giunse al suo apice, specie in India, in quei secoli regnata dalla dinastia dei Moghul (Mongoli) di schietto gusto persiano: esempio ne è il celebre Taj Mahal, di chiaro gusto safavide.
La maggior parte dei poeti persiani di questo periodo infatti visse e lavorò presso Delhi e Lahore. Lo stile che contraddistingue questa epoca non poteva svilupparsi, d'altronde, che fuori dalla Persia, essendo uno stile fuori dai modelli classici. La poesia diviene ora complessa e lambiccata, il senso dell'equilibrio si perde volutamente, le rigorose associazioni metaforiche della poesia classica divengono arbitrarie e inusitate, mentre le immagini vengono miniaturizzate e descritte in modo sempre più preciso venendo ad inserire in poesia una miriade di oggetti e di parole nuove; comune è la tendenza ad utilizzare personificazioni di cose o di entità astratte, specie di stati d'animo o di movimenti.
Maestri in poesia dello stile indiano sono Feghani di Shiraz (m. 1519) tradizionalmente considerato l'iniziatore, 'Orfi (m. 1590) e Feyzi (m. 1595), entrambi vissuti in India alla corte di Akbar; il famoso Sa'eb di Tabriz (1601-1677) e in Abdul-Qādir Bēdil (morto a Delhi nel 1721), autore quest'ultimo - poeta, mistico e filosofo - particolarmente amato in terre indiane e iranico-orientali (Afghanistan, Tagikistan).
Nel mathnavi romanzesco si ricorda Hatefi (m. 1521), attivo a Herāt, autore del Tīmūr-nāme dedicato a Tamerlano.
Il mathnavi didattico prosegue con lo Shāh o gada ("Il re e il mendicante") di Helali di Asterabad (m. 1529) e con il Sham' o Parvane ("La candela e la falena") di Ahli di Shiraz (m. 1536)
In epoca safavide si sviluppa un'ampia letteratura religiosa ispirata ai temi dello sciismo. In particolare vengono composti mathnavi epici che narrano le imprese degli imam sciiti sin da ʿAli e Ḥosseyn; si sviluppa inoltre il genere delle lamentazioni sciite, a partire dal modello fornito da un celebre componimento, il Rowżat al-Shuhadāʾ ("Il giardino dei martiri") del citato Hosseyn Va'ez Kashefi (m. 1504), che troverà poi il suo più rinomato rappresentante in Mohtasham di Kashan (m 1588), panegirista di Shah Tahmasp e autore di un celebrato poemetto strofico, un'elegia in onore degli imam sciiti martirizzati, detto Haft-band, composta da dodici strofe di sette versi ciascuna. Nella prosa si sviluppa il genere delle biografie dei dottori sciiti, a partire dalle Majālis al-Muʾminīn ("Le assemblee dei credenti", 1582) di Nurallah b. Sharif di Shustar; si può ancora ricordare l'originale autobiografia del sovrano safavide Shah Tahmasp e il brillante Badayi' al-waqayiʿ ("Racconti meravigliosi") un centone di notizie storiche, letterarie e di costume di Vasefi di Herat (m. 1550 ca.), definito un Benvenuto Cellini centrasiatico
Nella prosa si ricordano Akhlaq-e Jalali di Davvani di Davvani (m. 1502) e l'opera Akhlaq-e Mohseni del grande poligrafo vissuto alla corte di Herat Vae’z Kashefi (m. 1504).
Da ricordare, in epoca ormai post-safavide, è anche lo splendido poemetto strofico (tarji'-e band) sul tema dell'unità divina di Hatef di Isfahan (m. 1783), scritto in un linguaggio erotico-mistico che risente però l'influsso del nuovo stile.
Nel 1722 l'Iran subisce un'invasione degli Afghani che fanno crollare la dinastia safavide. Segue un periodo di confusione politica che termina con l'elevazione al trono del turco Nadir Shah, grande conquistatore che lasciò la Persia povera e indebolita tanto da finire i suoi giorni ucciso. Alla sua morte prende il potere la dinastia Zand che regnò solo un cinquantennio (1748-1794), la prima dinastia persiana dai tempi dei Samanidi dopo 1000 anni di dominazione straniera. Alla fine il potere passa alla Dinastia Qajar (1794-1925), di origine turco-azeri, che sposta la capitale a Teheran e segna forse uno dei punti più bassi della storia persiana.
Nella lirica si ha un vistoso ritorno al classicismo, non quello lirico dell'età mongola ma quello encomiastico e celebrativo delle qaside dell'età samanide e ghaznavide: dominano la figura di Qa'ani di Shiraz (m. 1854) poeta laureato di Mohammad Shah, e, in India, quella di Mirza Ghalib (morto nel 1869 a Delhi).
Nella prosa invece, grazie ai contatti sempre più frequenti con la cultura europea, soprattutto francese e russa, si sviluppano la commedia (con l'iniziatore Mirza Aqa Tabrizi autore di tre commedie scritte prima del 1870) e il romanzo: Siyahat-name-ye Ebrahim Beyg ("Diario di viaggio di Ebrahim Beyg") di Zeyn ol-'Abedin di Maraghe m. 1912, Masālik al-muhsinīn ("Le vie dei virtuosi") di Najjarzade Talebof, m. 1910, che rivelano un intento satirico o di critica sociale.
Ha grande sviluppo inoltre il diario o resoconto di viaggio, anche a seguito delle sempre più numerose missioni in Europa di diplomatici e nobili persiani (ben noti sono i diari del sovrano qajar Naseroddin Shah).
Al contempo si comincia a trascrivere i canovacci di un'antica forma di dramma sacro, la ta'ziye, che metteva in scena il dramma della battaglia e morte dell'Imam Ḥosseyn (Ḥusayn) a Kerbela (680 d.C.) e altri episodi della leggenda sciita delle origini, e verranno anche allestiti appositi teatri. Continua il genere delle biografie dei dottori, tra cui sono da menzionare le Qiṣaṣ al-ʿulamāʾ (Storie dei dottori) di Mohammad b. Soleyman Tonakaboni (m. 1873) con le biografie di 153 ʿulamāʾ e giureconsulti sciiti.
Nel 1925 la Dinastia Qajar viene sgominata con un colpo di Stato dai Pahlavi, l'ultima dinastia sul trono di Persia. I Pahlavi sebbene non fossero di origine iranica furono intenti a differenziare sempre di più il paese e ad isolarlo dalle potenze vicine reclamando una propria specificità etnica, come è evidente dal cambiamento del nome della Persia in Iran (cioè Paese degli Ariani) o nel calendario (non più lunare, come quello islamico, ma solare, come quello di tradizione indoeuropea) e a perseguire una massiccia europeizzazione e laicizzazione dei costumi sul modello di Mustafa Kemal Atatürk, occidentalizzazione superficiale che creò un profondo malcontento nel clero e nella popolazione. In politica estera gli iraniani si destreggiarono fra l'Inghilterra e la Russia che durante i conflitti mondiali invasero l'Iran più volte, temendo un allineamento con Hitler per cui i re mostravano simpatia contro gli inglesi. I quali, a loro volta, erano ai ferri corti con gli Iraniani dopo la nazionalizzazione del petrolio voluta dal ministro Mohammad Mossadeq. La dinastia venne rovesciata in ultimo nel 1978 con la rivoluzione, voluta soprattutto dal clero sciita nella persona dell'ayatollah Ruhollah Khomeyni, appoggiato dai francesi, che instaurò in Iran la Repubblica teocratica sciita, forma di governo che è ancora quello dell'Iran odierno.
A partire dagli anni 20 del Novecento ha luogo un radicale rinnovamento della lirica, che abbandona i generi e i metri classici a favore di forme più libere con Nima Yushij (m. 1960) e si apre, anche per l'influenza della Rivoluzione Russa, ai temi sociali e politici; si adegua almeno nei contenuti anche un custode del classicismo come il poeta laureato Mohammad Taqī Bahār (m. 1951), autore di 30000 versi e di un notevole manuale di Sabk-shenasi ("Stilistica"), nonché fondatore dell'influente giornale letterario Nowbahar ("La primavera").
Si elevano anche originali voci poetiche femminili come quelle di Parvin E'tesami (m. 1941) e soprattutto di Forough Farrokhzad (m. 1967) e di Simin Behbahani (m. 2014). Tra le voci maschili emergono quelle di Ahmad Shamlu m. 2000 e di Sohrab Sepehri m. 1980, forse i poeti più amati dalle giovani generazioni dell'Iran odierno.
La prosa, in parte per l'influsso della scrittura giornalistica, stilisticamente si semplifica e si rinnova con 'Ali Akbar Dehkhoda (m. 1956), animatore del giornale critico-satirico Sur-e Esrafil, e con la novella realistica introdotta da Seyyed Mohammad 'Ali Jamalzade (m. 1997) e sviluppata da Sadeq Chubak (m. 1998, pregevole autore anche di teatro) e altri; inoltre accoglie suggestioni provenienti anche da altre correnti di pensiero europee come il simbolismo o l'esistenzialismo, percepibili ad esempio nei racconti e romanzi di Sadeq Hedayat ("La civetta cieca"), morto suicida a Parigi nel 1951.
Grande sviluppo ha pure la letteratura per l'infanzia, e fama universale otterrà la fiaba di sapore iniziatico "Il pesciolino nero" di Samad Behrangi (m. 1968), in cui è facilmente ravvisabile un piano di lettura simbolico-politico.
La letteratura persiana continua, sia pure con minor slancio, a venire coltivata anche in terre indiane, ad esempio dal celebre Muhammad Iqbal (m. 1939), poeta e padre della patria del futuro Pakistan, autore di un mathnavi, il Javed-name ("Il poema eterno"), liberamente e originalmente ispirato a Dante e Goethe.
La letteratura più recente si arricchisce dell'apporto di numerosi scrittori esuli per motivi politici, a partire dall'epoca della deposta dinastia Pahlavi. Un po' ovunque, in Iran come nella diaspora iraniana in Europa e in America, si segnalano oggigiorno voci di autori e autrici che mettono sempre più in primo piano i temi caldi della differenza (religiosa, politica e di genere) e dei diritti umani, e che talora scrivono anche in lingue europee.
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