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film del 1957 diretto da Luchino Visconti Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Le notti bianche è un film del 1957 diretto da Luchino Visconti, tratto dall'omonimo racconto di Fëdor Dostoevskij[1]. Nonostante nell'adattamento cinematografico siano mutati di ambiente, prospettive e carattere, i personaggi restano tre: una donna di nome Natalia, un giovane impiegato di nome Mario e uno straniero di cui non si fa mai il nome[2].
Mario, un giovane impiegato dalla vita ordinaria, si trova a vagare di notte per le strade di Livorno, dopo una gita passata con la famiglia del suo capoufficio. Passeggiando alla ricerca di qualche evento fuori dall'ordinario, si imbatte in una ragazza bionda, straniera, che se ne sta da sola affacciata a un ponte che dà su un canale; la situazione incuriosisce subito Mario, il quale fa di tutto per conoscere la ragazza, che si chiama Natalia, nonostante lei si mostri inizialmente molto schiva e diffidente.
Ad ogni modo, i due finiscono con l'incontrarsi la sera successiva, e così per altre ancora. Mario, che inizia a provare un sentimento profondo per la ragazza, viene a sapere da Natalia del perché la ragazza si rechi ogni notte in strada: questa, infatti, sta aspettando il ritorno dell'uomo di cui è innamorata, che le aveva promesso di tornare da lei entro un anno, dopo averla abbandonata in circostanze non del tutto chiare.
Mario, condizionato dai suoi sentimenti per la ragazza, non crede nel ritorno dell'uomo; tuttavia non vuole distogliere Natalia dai suoi sogni e dalle sue aspettative, e accetta di consegnare una lettera con una richiesta di appuntamento all'uomo, che è tornato in città. Tuttavia, Mario non riesce a consegnare la lettera, e preso da rabbia e tristezza, la strappa e la getta via: questo gesto, però, lo fa sentire molto in colpa e la sera successiva cerca di evitare Natalia, che invece è ansiosa di passare del tempo con lui mentre aspetta con ansia di recarsi all'appuntamento con l'uomo di cui è innamorata. Mario cede all'entusiasmo della ragazza, e insieme vanno a ballare; insieme si divertono molto, e Mario si illude di averla distolta dalle sue speranze assurde; tuttavia, Natalia si precipita nel luogo dell'appuntamento non appena sente scoccare le dieci, ma non trovando il suo uomo, viene presa da una crisi isterica. Mario le dichiara il suo amore, ma viene respinto, così si allontana e, vagando per vicoli e ponti, viene coinvolto in una rissa.
Mentre si rinfresca a una fontana, incontra Natalia, alla quale confessa il suo gesto chiedendole perdono; Natalia si mostra ormai decisa a dimenticare l'uomo dei suoi sogni, e offre a Mario la speranza di amarlo, col tempo. Egli è al settimo cielo, e la conduce per Livorno parlandole d'amore e di giorni felici da trascorrere insieme. Ma durante la loro passeggiata, sotto un'insolita nevicata, Natalia vede finalmente l'uomo che tanto aveva aspettato. Presa da un'incontenibile gioia, gli si precipita incontro e, dopo un frettoloso e desolato saluto a Mario, abbraccia il suo grande amore. Mario, rimasto di nuovo solo si allontana insieme a un cane randagio, incontrato poco dopo, che lo segue.
Sceneggiato da Luchino Visconti e Suso Cecchi D'Amico, è stato interamente girato in interni, nel Teatro 5 di Cinecittà (Roma). Anziché a San Pietroburgo, città nella quale la storia originariamente si svolge, il film è ambientato a Livorno. Intere strade e piazze (la via Grande, via della Madonna, parte del quartiere Venezia), corsi d'acqua, monumenti ed edifici pubblici, la fermata dell'autobus, sono stati ricostruiti in teatro, assieme ad elementi architettonici di fantasia[3].
Per recitare nel film senza essere doppiata la protagonista imparò l'italiano.
Il film è stato accolto positivamente dalla critica. Sull'aggregatore di recensioni Rotten Tomatoes ha un indice di gradimento dell'88% basato su 8 recensioni[4].
Secondo l'accademico Geoffrey Nowell-Smith, "nel trasformare la storia di Dostoevskij in un film, Visconti si liberò della narrazione in prima persona e rese la ragazza meno innocente e, in effetti, a volte un po' isterica e provocatoria. [...] ha anche reso il finale più triste. Nel racconto, il narratore si concede una nota di commiato, in cui ringrazia la ragazza per il momento di felicità che gli ha portato. Nel film, l'eroe è lasciato solo, a fare amicizia con lo stesso cane randagio che ha incontrato all'inizio, di nuovo al punto di partenza, senza la sensazione che l'amore che ha provato per un breve periodo lo abbia trasformato in qualche modo"[5].
Il film, in un primo momento considerato dalla critica una nota margine della produzione di Visconti, è stato rivalutato positivamente come un punto di svolta in un periodo di transizione[3][5][6]; molteplici sono i punti di contatto con film successivi, come Il Gattopardo e Rocco e i suoi fratelli[7].
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