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filosofo e psichiatra tedesco Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Karl Theodor Jaspers (Oldenburg, 23 febbraio 1883 – Basilea, 26 febbraio 1969) è stato un filosofo e psichiatra tedesco con cittadinanza svizzera[1].
Ha dato un notevole impulso alle riflessioni nei campi della psichiatria, della psicologia, della filosofia, della teologia e della politica.
Maggiore di tre fratelli (seguono Erna nel 1885 ed Enno nel 1889), mostrò un precoce interesse per la filosofia. L'attività del padre, Karl Wilhelm (1850-1940), che era un giurista e direttore di banca, influenzò la scelta universitaria di Jaspers che si iscrisse al corso di laurea in legge. Fu subito chiaro però che la scelta non era congeniale alle inclinazioni del giovane Karl che nel 1902 passò alla facoltà di medicina. Studiò a Heidelberg, Monaco di Baviera, Berlino e Gottinga. Dopo avere conseguito nel 1908 la laurea in Medicina con la dissertazione Heimweh und Verbrechen (Nostalgia e crimine) Jaspers cominciò a lavorare a titolo gratuito, come ricercatore volontario, presso l'ospedale psichiatrico di Heidelberg, dove Emil Kraepelin aveva esercitato la professione qualche anno prima. Jaspers si mostrò subito critico nei confronti dell'approccio della comunità medica al problema della malattia mentale e si propose di migliorare la pratica psichiatrica.
Nel 1913 Jaspers ottenne un incarico temporaneo all'università di Heidelberg come docente di psicologia grazie allo scritto Allgemeine Psychopathologie (trad. it., Psicopatologia generale, 1964). Divenuto permanente l'incarico, Jaspers non fece più ritorno all'attività terapeutica. L'insegnamento era afferente al Dipartimento di Filosofia, e grazie al suo secondo scritto sistematico (Psychologie der Weltanschauungen del 1919 - trad. it., Psicologia delle visioni del mondo, 1950), nel 1919 divenne docente proprio di filosofia. Questo scritto è considerato il manifesto della filosofia dell'esistenza e precedeva di ben otto anni il più celebre Essere e tempo di Martin Heidegger che è del 1927 (trad. it., Essere e tempo, 1953).
In seguito Jaspers strinse amicizia con lo stesso Martin Heidegger - amicizia che si ruppe in seguito all'adesione di quest'ultimo al nazionalsocialismo, per poi ricomporsi ma in modo più freddo nel dopoguerra - e scrisse opere di carattere ormai prettamente filosofico: Die geistige Situation der Zeit del 1931 (trad. it., La situazione spirituale del tempo, 1982), i tre volumi del suo capolavoro, Philosophie del 1932 (Orientazione filosofica nel mondo, Chiarificazione dell'esistenza e Metafisica; trad. it., Filosofia, 1972 sgg.) e, sempre nel 1932, un libro sulla personalità universitaria che più ammirava, Max Weber, Max Weber - Politiker, Forscher, Philosoph (trad. it., Max Weber, politico, scienziato e filosofo, 1969).
Nel 1933 avvenne la grande svolta della sua vita: l'avvento al potere del nazionalsocialismo, inizialmente anche da Jaspers sottovalutato e ritenuto un fenomeno passeggero. Nello stesso anno dovette sopportare delle limitazioni alla propria attività accademica a causa del matrimonio contratto nel 1910 con Gertrud Mayer, ebrea. Questo matrimonio bastava a qualificare Jaspers come un potenziale nemico del regime. Ciononostante egli continuò a tenere lezioni e a scrivere fino al 1937, anno in cui fu posto forzatamente a riposo e obbligato a scegliere tra divorziare ed emigrare. Jaspers non fece nessuna delle due cose e da quel momento visse come un recluso, nascosto nella sua amata Heidelberg, per tutto il periodo del regime e della guerra. Le autorità sapevano della sua presenza, ma ormai la sua capacità di nuocere era ridotta al minimo.
In più una salute da sempre cagionevole gli impediva qualsiasi progetto di fuga (Jaspers confessò poi che oltre alla malattia, era stata l'ignoranza delle lingue a impedirgli di vivere come profugo in un paese straniero). Comunque l'ordine di arresto alla fine arrivò ed era previsto per il 14 aprile 1945, ma il 30 marzo gli Alleati liberarono Heidelberg. Jaspers visse la tragedia della guerra come una lacerante esperienza esterna e interna, pronto al suicidio (con delle pasticche di cianuro) pur di non essere preso vivo e quindi separato dalla amata Gertrud.
Alla fine della guerra, quando venne riabilitato all'insegnamento, il primo pensiero fu per la Die Schuldfrage (1946, trad. it., La colpa della Germania, 1947 in seguito tradotto in modo più letterale: La questione della colpa). In questo periodo Jaspers si adoperò per la reintegrazione nell'università del filosofo Johannes Hessen. Nel 1949 pubblicò Vom Ursprung und Ziel der Geschichte (trad. it., Origine e senso della storia, 1982), opera nella quale, rifacendosi alle ricerche di Max Weber sull'antichità, introduceva il concetto di "Periodo assiale" per definire quel periodo storico (compreso tra il IX e III secolo a.C.) caratterizzato da cambiamenti fondamentali del pensiero.
E tuttavia, al momento di partecipare al dibattito per la ricostruzione della Germania, Jaspers si trova a prendere quella grave decisione che aveva sempre rifiutato durante la guerra: espatriare. Anche se in precedenza aveva resistito al terrore nazista e - nonostante la malattia e le difficoltà - non aveva mai abbandonato la sua patria, ora l'isolamento culturale nel quale si viene a trovare e l'amara constatazione che ciò che si andava ricostruendo nella Germania del dopoguerra non era uno stato fondato sul senso della responsabilità civile e politica né tanto meno su una più alta moralità nazionale lo spinge ad accettare l'invito dell'Università di Basilea, in Svizzera, dove tenne una serie di lezioni nell'estate del 1947 e dove poi si trasferì definitivamente nel 1948 rimanendovi fino alla morte, avvenuta il 26 febbraio 1969.
L'insoddisfazione per il trattamento della malattia mentale indusse Jaspers a discutere sia i criteri diagnostici che i metodi della psichiatria clinica. Nel 1910 pubblicò un testo rivoluzionario sulla paranoia[2]. Nell'opera venivano esposti i casi di alcuni pazienti affetti da paranoia, fornendo informazioni biografiche relative ai soggetti in cura e dando un resoconto del modo in cui gli stessi pazienti interpretavano i loro sintomi. Il metodo biografico si è affermato come una delle principali pratiche terapeutiche della moderna psichiatria.
Jaspers condensò le sue convinzioni sulla malattia mentale nei due volumi di cui si compone la sua psicopatologia generale, un classico della letteratura psichiatrica, da cui sono derivati alcuni criteri diagnostici. Di particolare importanza è la convinzione che i sintomi debbono essere analizzati e diagnosticati per la loro forma piuttosto che per il loro contenuto.
Nell'opera filosofica di Karl Jaspers, appartenente al filone esistenzialista del Novecento, si ritrovano i temi trattati dai grandi predecessori dell'Ottocento: da un lato la considerazione profonda per l'esistenza umana nella sua totalità con chiaro riferimento a Kierkegaard e a Nietzsche, dall'altra l'incontro del 1909 con Max Weber, l'influenza di Dilthey e poi la lettura di Husserl e l'influenza della scuola fenomenologica.
Il suo testo fondamentale Filosofia (1931) raccoglie la summa del suo pensiero ed è l'autore stesso ad ammettere che fra i suoi libri questo fu sempre per lui il più caro[3]. L'opera nasce legata strettamente alla psicologia - che, come è stato detto, era l'attività cui Jaspers aveva scelto di dedicarsi – ed è infatti la conoscenza di quelle che verranno successivamente chiamate "situazioni limite", che si presentano così sovente nello studio della vita psicologica, che permette al filosofo di definire il ruolo della filosofia del suo tempo: "chiarificazione dell'esistenza"[4]. Questa ridefinizione prende ovviamente spunto dalla situazione delle scuole filosofiche tedesche all'inizio del secolo scorso. "La filosofia, che a partire dal 1901 cercai nelle università, mi deluse" così Jaspers in Filosofia[5] la constatazione di una situazione accademicamente paludosa nelle lezioni da lui frequentate lo portano a pronunciare una frase che può aiutare nella comprensione del testo, capolavoro della sua produzione[6]: "Era mio impulso salvarmi spiritualmente".
Questo impulso lo allontana da Edmund Husserl che non lo soddisfa per la difficoltà, dallo stesso Husserl ammessa, della sua fenomenologia[7] e lo spinge verso la lettura di Kierkegaard soprattutto e di Nietzsche. Il legame stretto della filosofia con la vita "vera e propria", “concreta” è dato nelle domande filosofiche che fin dall'antichità riguardano il soggetto del pensiero e l'affermazione sopra citata dell'autore sottolinea questa prospettiva e la ribadisce. L'esistenza è ciò che viene chiamata in causa nell'interrogarsi dell'uomo. Jaspers definisce l'esistenza come "ciò che non diventa mai oggetto, l'origine partendo dalla quale penso e agisco, ciò che si rapporta a se stessa e, in ciò, alla sua trascendenza". Fin dalla Prefazione al testo vengono a definirsi le parole chiave della sua speculazione:
Il testo si svolge presentando i tre impulsi principali che portano l'uomo alla trascendenza. Inizialmente l'uomo in quanto «esistente» si trova in contatto con il mondo che rappresenta un'infinità di oggetti esistenti e dati, e da questa situazione disorganizzata viene a definirsi l'orientazione filosofica del mondo circoscritta in un orizzonte che è quello del soggetto che pensa (esistente). Jaspers, attento al significato della storia della filosofia, vede nell'idealismo e nel positivismo i due tentativi fatti nell'Ottocento per cercare di comprendere completamente il mondo superando il punto di vista del soggetto conoscente. Entrambi questi tentativi - che si risolvevano l'uno nella visione dell'assoluto, e l'altro nell'onnicomprensività scientifica - vengono visti da Jaspers come tentativi di determinare in maniera dogmatica l'orientazione filosofica del mondo[8].
Il tentativo di comprendere il mondo si risolve in uno "scacco" e in questo modo il pensiero giunge alla chiarificazione dell'esistenza. Questo passaggio vede l'esistente utilizzare i mezzi che gli sono propri per definire la sua situazione. Per Jaspers la decisione è il fulcro delle possibilità dell'esistente, che tentando le strade della trascendenza cerca di non ridursi a mero esserci. Io stesso, comunicazione, storicità, volontà, libertà, situazioni-limite (situazioni che sono così necessariamente, come il dolore, la morte, sono definite dall'autore come l'esistenza stessa[9]), coscienza assoluta, azioni incondizionate e l'esistenza della soggettività nell'oggettività sono i temi trattati nel libro secondo dell'opera.
L'ultima parte dell'opera, "Metafisica", si occupa dell'essenza stessa dell'interrogazione filosofica: il trascendere. Il pensiero trascendente utilizza tre vie che possono dare la certezza della realtà della trascendenza: il trascendere formale, i rapporti esistenziali alla trascendenza e la lettura della scrittura cifrata. La prima via non ci dice qual è l'essenza della trascendenza, ma ci rende certi del fatto che essa è. Utilizzando le categorie del pensiero immanente è possibile, con esse, trascendere dal pensabile all'impensabile: il naufragio del pensiero categoriale ci mostra allora la presenza della trascendenza. Tutte le categorie vengono impiegate per dire che la trascendenza «non è né qualità, né quantità, né relazione, né fondamento (..)».
L'essere della trascendenza al quale si perviene nel trascendere formale è - dunque - senza determinazioni, tendendo a identificarsi con l'Uno di plotiniana memoria. Il secondo metodo utilizzato da Jaspers approfondisce il legame esistenziale che con la trascendenza l'uomo può instaurare. Concetto portante di questa parte è quello di "situazione-limite". Le situazioni-limite sono come un muro contro il quale urtiamo: esse sono il dolore, il caso, la lotta, la morte. Se l'esistenza ha il coraggio di calarsi in esse, "a occhi aperti", può destarsi e afferrare la presenza della trascendenza. Nell'ultima via, Jaspers articola la sua metafisica della cifra. La trascendenza, oltrepassando ogni determinazione concettuale, tende a identificarsi con il Deus absconditus della teologia negativa. Per sopperire all'abissalità posta tra esistenza e trascendenza, si ricorre al medio della cifra. La cifra è il possibile linguaggio della trascendenza: «tutto ciò che è prodotto dall'uomo, il reale di fatto, l'oggetto rappresentato, quello pensato e che si trova nella tradizione mistica, religioso-culturale, sacrale, poetica e artistica, nella filosofia».
L'esserci allora può diventare cifra della trascendenza. Le cifre, però, possono essere colte soltanto dall'esistenza possibile: solo allora possono rinviarci alla trascendenza. La cifra più importante - sulla quale Jaspers si sofferma particolarmente - è quella del naufragio. Nel naufragio l'esistenza può disperdersi, oppure sperimentare l'essere della trascendenza, come una luce che fende le tenebre. Viene in questo modo aperto un dialogo della filosofia con la religione[10]. È opportuno segnalare che l'intero testo è concepito «per cercare di generare un atteggiamento interiore capace di instaurare un rapporto significativo con i maestri che si presentano storicamente in così grandi figure», ovvero le grandi figure della storia della filosofia[11].
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