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Inni omerici
raccolta di inni greci Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Gli anonimi Inni omerici sono una raccolta di trentatré inni greci antichi risalenti al VII-VI secolo a.C. Sono stati chiamati "omerici" in quanto scritti nello stesso dialetto dell'Iliade e dell'Odissea e ne condividono anche il metro poetico usato, ovvero l'esametro dattilico. Furono così attribuiti ad Omero fin dall'antichità – a partire dai primi riferimenti fatti da Tucidide – e questa denominazione è rimasta nel tempo.
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Composizione
I più antichi Inni omerici furono scritti nel VII secolo a.C., seguendo quindi di poco le opere di Esiodo e, secondo la datazione comunemente accettata, i due poemi omerici. Questo pone i primi inni omerici tra i testi fondamentali della letteratura greca; tuttavia, anche se la maggior parte di essi risale al VII o al VI secolo a.C., alcuni potrebbero essere stati composti in età ellenistica, mentre l’Inno ad Ares sembra essere ancora posteriore, una delle ultime opere dell'epoca pagana, inserito nella raccolta quando ci si accorse che l'inno dedicato a questa divinità mancava. Alcuni studiosi ritengono che l’Inno ad Apollo, anticamente attribuito a Cineto di Chio (uno degli Omeridi)[1], sia stato composto nel 522 a.C. per essere recitato all'insolita doppia celebrazione indetta da Policrate di Samo in onore di Apollo di Delo e di Apollo di Delfi.[2]
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Stile
La lunghezza degli inni è molto variabile: alcuni sono composti soltanto di tre o quattro versi, mentre altri superano i cinquecento. I più lunghi sono composti di un'invocazione al dio, di una preghiera finale e di una parte narrativa centrale in cui si narra uno dei miti che lo riguardano, mentre nei più brevi la parte narrativa è assente. I più corti potrebbero essere serviti come preludi alla declamazione di poemi epici da parte di rapsodi durante le celebrazioni religiose.
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Contenuto
Riepilogo
Prospettiva

I trentatré inni sono dedicati alla maggior parte delle più importanti divinità della mitologia greca.
La maggior parte dei manoscritti bizantini giunti fino a noi li riporta a partire dal terzo inno, ma la casuale scoperta di un codice del XV secolo avvenuta a Mosca nel 1777 ha permesso il ritrovamento dei primi due inni, dedicati rispettivamente a Dioniso e a Demetra.
In alcuni manoscritti in appendice è poi aggiunto un trentaquattresimo componimento, Agli ospiti, che non è propriamente un inno, bensì un canto che ricorda come l'ospitalità (la xenia) sia un sacro dovere imposto dagli dèi.
Elenco
Segue un prospetto degli inni, che include anche l'estensione attuale (con i versi che sono stati tramandati)[3] e un sunto del contenuto di ciascuno.
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Storia della tradizione
Riepilogo
Prospettiva
Tradizione manoscritta
Una trentina di manoscritti hanno trasmesso il testo degli Inni Omerici. Di questi, sedici sono testimoni indipendenti. Oltre ai suddetti Inni Omerici, essi tramandano anche gli Inni di Callimaco, gli Inni orfici, gli Inni di Proclo e le Argonautiche orfiche. Non si sa con certezza quando questa silloge sia stata composta, sebbene gli studiosi si dividono tra due secoli: il V secolo, in cui visse ed operò Proclo e il XIII secolo, in cui si sarebbe formato l'archetipo. Dall'analisi delle varie copie dei manoscritti, in cui sono visibili errori e lezioni in comune, si potrebbe ipotizzare per un capostipite in minuscola. Uno dei manoscritti più importanti è il codice M o Leidensis 22, degli inizi del XV secolo, che segue una tradizione diversa e contiene i versi finali dell'inno 1 e l'Inno a Demetra, seguito dagli altri inni fino all'inno 18.4. Un altro iparchetipo ricostruito è Ψ, da cui discendono tre famiglie, denominate f, x e p. Sedici manoscritti, contenenti gli Inni, giunsero in Italia nel XV secolo. I manoscritti che ci hanno conservato il testo degli Inni, secondo lo schema di Allen (Homeri Opera, recognovit T. W. Allen, vol. V, Oxonii 1912), sono i seguenti:
- A = Parisinus 2763
- At = Athous in monasterio Vatopedi 587
- B = Parisinus 2765
- C = Parisinus 2833
- D = Ambrosianus 120 B 98
- E = Estensis 144
- G = Vaticanus Reginae Suec. 91
- Γ = Bruxellensis 74 (11377-11380)
- H = Harleianus 1752
- J = Estensis
- K = Laur. 31.32
- L1 = Laur. 32. 45
- L2 = Laur. 70.35
- L3 = Laur. 32.4
- L4 = Laur. Aedil. 220
- L5 = Laur. 32.7
- M = Leidensis 22
- Mon = Monacensis 333
- N = Leidensis 28
- O = Ambrosianus 845 C 10
- P = Vaticanus Palat. 179.
- Π = Parisinus suppl. graec. 1095
- Q = Ambrosianus 734 S 31
- R1 = Riccardianus 53 K ii 13
- R2 = Riccardianus 52 K ii 14
- R3 = Riccardianus 3195 (nunc 3020)
- S = Vaticanus 1880
- T = Matritensis 4562
- V1 = Venetus 456
- V2 = Marginalia editionis principis Ven.ix.
Tradizione indiretta
La tradizione indiretta si avvale principalmente della citazione presente in Tucidide, storico greco del V secolo a.C., ed in Diodoro Siculo, storico greco del I secolo a.C.
Tucidide cita i vv. 146-150 e 165-172 dell'Inno ad Apollo:
(greco antico)
«[4] δηλοῖ δὲ μάλιστα Ὅμηρος ὅτι τοιαῦτα ἦν ἐν τοῖς ἔπεσι τοῖσδε, ἅ ἐστιν ἐκπροοιμίου Ἀπόλλωνος:
«[4] δηλοῖ δὲ μάλιστα Ὅμηρος ὅτι τοιαῦτα ἦν ἐν τοῖς ἔπεσι τοῖσδε, ἅ ἐστιν ἐκπροοιμίου Ἀπόλλωνος:
”ἀλλὰ ὃτε Δήλῳ, Φοῖβε, μάλιστά γε Θυμὸν ἐτέρφθης,
ἔνθα τοι ἑλκεχίτωνες Ἰάονες ἠγερέθονται
σὺν σφοισιν τεκέεσσι γυναιξί τε σὴν ἐς αυγιάν·
ἔνθα σε πυγμαχίῃ τε καὶ ὀρχηστυι καὶ ἀοιδῇ
μνησάμενοι τέρπουσιν, ὅτ᾽ ἄν στήσωνται ἀγῶνα. ”
[5] ὅτι δὲ καὶ μουσικῆς ἀγὼν ἦν καὶ ἀγωνιούμενοι ἐφοίτων ἐν τοῖσδε αὖ δηλοῖ, ἅ ἐστιν ἐκ τοῦ αὐτοῦ προοιμίου: τὸν γὰρ Δηλιακὸν χορὸν τῶν γυναικῶνὑμνήσας ἐτελεύτα τοῦ ἐπαίνου ἐς τάδε τὰ ἔπη, ἐν οἷς καὶ ἑαυτοῦ ἐπεμνήσθη:
“ ἀλλ᾽ ἄγεθ᾽, ἱλήκοι μὲν Ἀπόλλων Ἀρτέμιδι ξύν,
χαίρετε δ᾽ ὑμεῖς πᾶσαι. ἐμεῖο δὲ καὶ μετόπισθε
μνήσασθ᾽, ὁππότε κέν τις ἐπιχθονίων ἀνθρώπων
ἐνθάδ᾽ ἀνείρηται ταλαπείριος ἄλλος ἐπελθών:
‘ὦ κοῦραι, τίς δ᾽ ὔμμιν ἀνὴρ ἥδιστος ἀοιδῶν
ἐνθάδε πωλεῖται, καὶ τέῳ τέρπεσθε μάλιστα;’
ὑμεῖς δ᾽ εὖ μάλα πᾶσαι ὑποκρίνασθαι ἀφήμως:
‘τυφλὸς ἀνήρ, οἰκεῖ δὲ Χίῳ ἔνι παιπαλοέσσῃ.’ ”»
(italiano)
«Che tutto ciò avvenisse lo dimostra soprattutto Omero nei versi seguenti, che appartengono all'Inno ad Apollo:
«Che tutto ciò avvenisse lo dimostra soprattutto Omero nei versi seguenti, che appartengono all'Inno ad Apollo:
“ Ma quando, o Febo, per Delo soprattutto si rallegra il tuo cuore,
allora gli Ioni dai lunghi chitoni
coi loro figli e le mogli si radunano nella tua piazza;
là con pugilati e danze e canti
ricordandoti si rallegrano allorché bandiscono l'agone. ”
Che l'agone poi fosse anche musicale e che dei concorrenti vi partecipassero, è mostrato da alcuni versi del medesimo inno: dopo aver celebrato il coro femminile di Delo, il poeta termina la lode con questi versi, nei quali fa menzione anche di sé:
“ Suvvia, sia a voi benigno Apollo con Artemide,
siate liete voi tutte. Anche in futuro ricordatevi di me,
quando qualcuno degli uomini che vivono sulla terra
qui venuto, il misero, vi interroghi:
"O fanciulle, quale è per voi il più dolce degli aedi
che qui si aggira, e che vi rallegra di più?"
Allora voi tutte quante rispondetegli riguardo a noi
"È un cieco che abita in Chio rocciosa". ”»
Diodoro Siculo, invece, ne parla così:
«[3] καθόλου δ᾽ ἐν πολλοῖς τόποις τῆς οἰκουμένης ἀπολελοιπότος τοῦ θεοῦσημεῖα τῆς ἰδίας εὐεργεσίας ἅμα καὶ παρουσίας, οὐδὲν παράδοξον ἑκάστουςνομίζειν οἰκειότητά τινα γεγονέναι τῷ Διονύσῳ πρὸς τὴν ἑαυτῶν πόλιν τε καὶχώραν. μαρτυρεῖ δὲ τοῖς ὑφ᾽ ἡμῶν λεγομένοις καὶ ὁ ποιητὴς ἐν τοῖς ὕμνοις, λέγων περὶ τῶν ἀμφισβητούντων τῆς τούτου γενέσεως καὶ ἅμα τεκνωθῆναιπαρεισάγων αὐτὸν ἐν τῇ κατὰ τὴν Ἀραβίαν Νύσῃ,οἱ μὲν γὰρ Δρακάνῳ δ᾽, οἱ δ᾽ Ἰκάρῳ ἠνεμοέσσῃ
φάσ᾽, οἱ δ᾽ ἐν Νάξῳ, δῖον γένος, εἰραφιῶτα,
οἱ δέ σ᾽ ἐπ᾽ Ἀλφειῷ ποταμῷ βαθυδινήεντι
κυσαμένην Σεμέλην τεκέειν Διὶ τερπικεραύνῳ,
ἄλλοι δ᾽ ἐν Θήβῃσιν, ἄναξ, σε λέγουσι γενέσθαι,
ψευδόμενοι: σὲ δ᾽ ἔτικτε πατὴρ ἀνδρῶν τε θεῶν τε
πολλὸν ἀπ᾽ ἀνθρώπων κρύπτων λευκώλενον Ἥρην.
ἔστι δέ τις Νύση, ὕπατον ὄρος, ἀνθέον ὕλῃ,
τηλοῦ Φοινίκης, σχεδὸν Αἰγύπτοιο ῥοάων.»
Tradizione papiracea
I papiri che tramandano solo alcuni versi dell'Inno a Demetra sono due: il P. Berol. 13044 ed il P. Oxy. 2379. Il primo riporta i vv. 8-18, 33-36, 55-56, 248-249, 256-262, 268, 418-424; invece il secondo riporta solo i vv. 402-407. P.G.
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Fortuna
Secondo lo storico della cultura Aby Warburg, l'inno a Venere, conosciuto in Italia nel XV secolo, ispirò il letterato Poliziano, che gli ispirò un poema elogiativo nei riguardi di Simonetta Vespucci e Giuliano de' Medici.
Gabriele D'Annunzio inserì nella sua raccolta Primo vere la traduzione di quattro inni omerici, ovvero l'Inno a Selene, l'Inno ad Artemide, l'Inno ad Erme e l'Inno ad Apollo.
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Note
Bibliografia
Voci correlate
Altri progetti
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