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imprenditore ed editore italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Giuseppe Pontremoli (Forlì, 10 marzo 1879 – Milano, 19 dicembre 1952) è stato un imprenditore e editore italiano.
Nato in una famiglia di religione ebraica, figlio di Eulalia Colonelli e Cesare Pontremoli, ragioniere capo dell'amministrazione della provincia di Forlì,[1] Giuseppe Pontremoli si laureò al Politecnico di Torino in ingegneria nel 1896[2]. Poi si trasferì a Milano, gestendo inizialmente la filiale italiana della Zeiss ed entrando poi in affari con Luigi Della Torre, gerente della Banca Zaccaria Pisa e presidente della casa editrice Fratelli Treves. Insieme al Della Torre costituì una società editrice, la Società Editoriale Italiana (S.E.I.). I due furono accomunati dalle comuni origini ebraiche, dall'aderenza ad idee laiche e democratiche e dall'iniziale militanza giovanile nel Partito socialista italiano, cui Pontremoli fu iscritto sin dai tempi dell'università[2]. Pontremoli si dimise dal partito nel marzo 1910: essendo iscritto alla sezione di Forlì, inviò la lettera di dimissioni a Benito Mussolini, all'epoca segretario dei socialisti forlivesi. E Mussolini gli rispose polemicamente il 30 aprile 1910 su Lotta di Classe.[3]
La S.E.I. effettuò l'acquisizione di giornali nel Centro-Nord Italia. Furono rilevati: il quotidiano milanese «Il Secolo» (1909), il «Giornale del Mattino» di Bologna (1910), «Il Messaggero» di Roma (1911) e «La Gazzetta dello Sport» (1913). Pontremoli, oltre ad essere gerente della società editrice del «Secolo», assunse anche formalmente la direzione del quotidiano (novembre 1911), concordando la linea politica con il redattore capo Mario Borsa[4]. Nel 1913 Pontremoli fu per un breve periodo amministratore delegato della società Olivetti[5]. Pontremoli e Della Torre costituirono un potente gruppo finanziario editoriale, disponendo quindi alla vigilia della prima guerra mondiale della principale catena editoriale dell'interventismo di sinistra. Riconciliatosi con Mussolini, Pontremoli gli anticipò, alla fine del 1914, la somma necessaria all'acquisto della rotativa per la stampa del nuovo quotidiano «Il Popolo d'Italia», pari a 20.000 lire.[6]
Dopo la guerra il gruppo editoriale si indebolì: già nel 1917 avvenne la cessione del «Messaggero» ai Perrone titolari dell'Ansaldo[7]; nel 1919 Pontremoli chiuse il «Giornale del Mattino» (diretto allora da Pietro Nenni) e cedette la partecipazione nella «Gazzetta dello Sport». Infine, nel 1923 lasciò «Il Secolo», entrato con nuovi soci di maggioranza nell'orbita del regime fascista.
Abbandonata l'editoria, Pontremoli si dedicò al settore industriale, specialmente nel campo radiofonico, fondando la società di costruzioni Bruno Chiesa e divenendo direttore generale della RadioMarelli[2].
Nel secondo dopoguerra divenne infine vicepresidente della Fiera di Milano.
Affiliato, come molti esponenti della sinistra democratica non marxista, alla massoneria sin dal 1899, nel 1913 raggiunse il 33º grado del Rito scozzese antico ed accettato (Rsaa) e nel 1952 ottenne la nomina a membro onorario del S.C. di Rsaa[2].
Si sposò con Faustina Bargossi da cui ebbe quattro figli, tra cui Yanko Pontremoli (1907-1968), imprenditore milanese. Yanko è nonno dei famosi stilisti Kean Etro, Veronica Etro e di Ippolito Etro e Jacopo Etro, nati da Gimmo Etro e Roberta Pontremoli.
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