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scultore italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Giovanni Gonnelli (Gambassi, 4 aprile 1603 – Roma, 1664) è stato uno scultore italiano, noto come il Cieco di Gambassi.
Giovanni Gonnelli nacque a Gambassi il 4 aprile 1603[1], figlio di Dionigi, di professione bicchieraio, e di Maria Maddalena Lotti[2]. Giovanissimo, su sollecito del padre che sembra avesse intuito le potenzialità artistiche del figlio, si trasferì a Firenze dove iniziò a lavorare nella bottega dello scultore Chiarissimo Fancelli e in seguito in quella del più celebre Pietro Tacca[3].
Fu, in un primo tempo, non ancora cieco, chiamato a Mantova dai Gonzaga che lo nominarono scultore di corte. Proprio in questo periodo s'ammalò e divenne completamente cieco, probabilmente durante l'assedio di Mantova del 1630. Nella Vita dello scultore, scritta da Filippo Baldinucci, si cerca di spiegare l'improvviso incidente, apparentemente senza spiegazione, con i «patimenti dell'assedio» o «a cagione dell'umidità» del clima di Mantova[4].
Tornò a Gambassi, forse perché non ritenuto in grado di mantenere la propria carica. Ma la manualità che aveva appreso come scultore, con un metodo da lui inventato, usando della cera per fare le fattezze del personaggio che doveva rappresentare, poté continuare a lavorare. Gran parte della sua produzione artistica è costituita da figure in terracotta, modellate abilmente con l'uso delle mani. Con questo metodo fu chiamato a lavorare a Firenze dove fu molto apprezzato sia come scultore che come personaggio con delle facoltà particolari.
A Firenze si conservava già un busto di Cosimo II de' Medici, fatto, quando era ancora vedente, al tempo del suo alunnato presso il Tacca, e restaurato dallo stesso scultore in tempo di cecità. Fu chiamato dal granduca Ferdinando II de' Medici per fare un suo busto in terracotta, e un altro gli fu commissionato dal nobile Lorenzo Usimbardi. Fu talmente apprezzato che Ottavio Rinuccini, poeta e librettista della Camerata de' Bardi scrisse ben due odi per la nascita di una figlia dello scultore.
Forse per questo motivo papa Urbano VIII della famiglia Barberini lo volle a Roma, nel 1637, dove il Gonnelli plasmò un busto del papa, che si trova nei Musei Vaticani. Oltre il busto del papa, «fra le altre persone di conto, ch'egli ritrasse in Roma fu Gio. Francesco di Giustiniano [...] e il Cardinale Pallotta»[5].
Nel Museo del Prado a Madrid, un dipinto di Jusepe de Ribera è intitolato al Cieco da Gambassi (Il Tatto), e anche il pittore Livio Mehus, durante il suo soggiorno a Firenze fece un suo ritratto, oggi conservato in una collezione privata.
Purtroppo la maggior parte delle opere del Cieco da Gambassi, come usava firmarsi nelle sue sculture, sono divise in varie collezioni e oggi irreperibili o disperse.
Vista la fattura delle sue opere, che potevano competere con quelle di altri scultori "vedenti", erano stati sollevati dei dubbi sulla sua cecità e Gonnelli quindi fu sottoposto a delle prove. A Roma un alto prelato lo sfidò a comporre una terracotta in una stanza completamente buia. Il Gonnelli passò la prova dimostrando la sua buona fede e la straordinarietà delle sue capacità.
Un'altra prova fu quella di cui ci narra sempre il Baldinucci, è riferita al Cardinal Pallotta che lo vide comporre un busto della sua innamorata e in seguito moglie (si sposarono a Gambassi il 16 gennaio 1641[6]) Elisabetta Sesti. Lo scultore, pur senza la modella rimasta a Gambassi, fece un ritratto "a memoria". Stupito il Cardinale compose questo motto:
«Giovan, ch'è cieco e Lisabetta amò
Scolpì nell'Idea che amor formò»
Il 28 marzo 1637 chiese la cittadinanza volterrana, che gli fu concessa il successivo 22 aprile[7].
Morì a Roma, dove ormai viveva stabilmente, non nel 1642, come vuole la tradizione, ma nel 1656[8], oppure nel 1664[9], date che ancora non trovano riscontro documentario.
La testimonianza più importante sullo scultore è la Vita scritta da Filippo Baldinucci in Notizie de' professori del disegno da Cimabue in qua, pubblicata nel 1681, opera comunque non priva di inesattezze.
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