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Per finanza etica si intende quel settore della finanza che pone le persone e l’ambiente al centro dell’attività creditizia e di investimento, pertanto oltre ai tradizionali metodi di valutazione, stabilisce come e dove allocare le risorse in base anche a valutazioni etiche o morali, che vanno ad arricchire e integrare l'analisi prettamente finanziaria.
La finanza etica deriva dall'evoluzione delle forme di finanza mutualistica, cooperativa, solidaristica che, soprattutto a partire dalla seconda metà del XIX secolo, si sono diffuse nelle economie avanzate per favorire l’inclusione finanziaria e l’accesso al credito delle categorie sociali più fragili.[1]
Le valutazioni della finanza etica possono essere ricondotte a principi religiosi, come per esempio accade per la finanza islamica (in questo caso si parla di faith-based investment[2]) oppure laici; nel secondo caso, è stato redatto il Manifesto della finanza etica[3] dall'Associazione finanza etica, che è stata attiva in Italia tra 1994 e 2004[senza fonte] e che raggruppava i principali operatori di finanza "alternativa", "critica", "solidale" (come le Mag e Banca Etica):
«Sono quattro le caratteristiche chiave della finanza etica: la partecipazione diretta dei soci alla gestione e alla scelta dei finanziamenti da effettuare; la trasparenza massima sul modo in cui viene utilizzato il risparmio; il prevalere delle reti sociali sui rapporti economici e perciò di un sistema di garanzie di tipo personale piuttosto che patrimoniale; un'attenzione prevalente nei confronti dei progetti delle organizzazioni di terzo settore, quelle più vicine ad una logica di “promozione dello sviluppo umano” e abituate ad utilizzare criteri basati “sulla responsabilità sociale ed ambientale»
Punto di rilievo nello stesso documento è il principio che non è legittimo l'arricchimento basato sul solo possesso e scambio di denaro,[3] ragion per cui assume rilevanza, ai fini etici, anche la presenza e/o il valore dell'interesse praticato sul finanziamento.[5]
Quando la finanza etica persegue specificatamente e razionalmente lo sviluppo sostenibile, ovvero persegue un programma "etico" di investimenti che tenga conto - in via prevalente - delle future generazioni, allora essa si definisce anche finanza sostenibile.[6]
Da un punto di vista generale, così riassume Jacopo Schettini Gherardini:[7]
«Quando nel mondo del credito si parla di “finanza etica”, generalmente si assiste all’esposizione del seguente concetto: se il denaro è utilizzato per finanziare attività “sociali”, il suo uso è “etico”. Ovviamente si presume che in caso contrario non lo sia, o lo sia meno. Dietro questa concezione c’è sicuramente una sfumatura ideologica che antepone l’“etica del capitalismo” (in sostanza il profitto) a un’altra “etica”: il denaro per qualcos’altro (un’ideologia, una religione, un’opinione ecc.). La ragione,comprensibilmente, risiede nell’attitudine di una parte del mondo imprenditoriale a interpretare il capitalismo come una corsa selvaggia al denaro, dimenticando purtroppo che i valori sui quali si fonda sono anche altri. Da qui la comprensibile reazione, che pone l’accento sulla “finalità” nell’uso del denaro quale elemento discriminante per giudicare l’“eticità” dell’investitore e dell’investimento.»
In generale con tale termine vengono individuati due distinte applicazioni degli strumenti finanziari:
Le Banche dei Poveri sono degli istituti che operano nel campo della microfinanza, cioè nell'erogazione di prodotti finanziari (credito, risparmio, assicurazione, ...) caratterizzati da importi unitari molto bassi ed a favore di clienti che generalmente hanno uno scarso accesso al credito (quali, ad esempio, piccoli artigiani nel terzo mondo o disoccupati in occidente) perché privi di garanzie.
Il loro servizio più apprezzato è il microcredito, cioè l'erogazione di piccoli prestiti a beneficio di microimprese (solitamente individuali) sulla fiducia ed in modo informale per eliminare ogni spesa burocratica e rendere la loro gestione conveniente. Per sottolinearne l'efficacia, l'ONU ha dichiarato il 2005 "Anno Internazionale del Microcredito".[9]
L'investimento etico, detto anche solidale, si propone il finanziamento di iniziative che operano nel campo dell'ambiente, dello sviluppo sostenibile, dei servizi sociali, della cultura e della cooperazione internazionale. Gli americani sintetizzano tutto questo con la dizione Triple P Approach: People, Planet, Profit (Persona, Pianeta nel senso di ambiente, Profitto).[10]
I fondi etici sono peculiari di mercati molto evoluti come quelli anglosassoni, dove l'offerta è amplissima e può soddisfare un grande spettro di richieste etico-morali. Esistono inoltre fondi detti impropriamente "etici" che pur non facendo selezione sui titoli devolvono in beneficenza parte degli utili.[11]
Oggi sempre più istituti finanziari offrono prodotti di investimento i cui fondi sono destinati a questi scopi. Uno degli strumenti utilizzati per la selezione del beneficiario dell'investimento è lo Ethical Screening (selezione etica in italiano), cioè la pratica di includere o escludere dei titoli da un portafoglio o un fondo pensione sulla base di giudizi etici sulle attività da esso svolte. A supporto di questa attività di "screening" è da segnalare la proliferazione di organizzazioni indipendenti che si occupano di assegnare alle imprese "rating etici", in funzione dell'attenzione che tali imprese dedicano alle ricadute o esternalità negative del proprio operato.
Questa criterio di investimento nacque negli anni venti del secolo scorso in America quando la Chiesa Metodista decise di non proibire più ai suoi fedeli l'accesso alla borsa, a condizione che il denaro non finisse nell'industria dell'alcol o delle scommesse. In Italia giunse alla fine degli anni settanta, con la costituzione delle mutue di autogestione (MAG).
Il primo fondo di investimento etico fu il Pioneer Fund di Boston, nel 1928. Il primo passo di un lungo percorso della finanza etica che Arzeni riassume nelle seguenti tappe:[12]
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