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I Fatti di Argelato, conosciuti anche come la strage di Argelato, furono l'omicidio del carabiniere Andrea Lombardini e il ferimento di un altro componente della pattuglia, a seguito di una rapina commessa il 5 dicembre 1974 da alcuni esponenti di Potere Operaio passati all'organizzazione Lavoro Illegale, i quali vennero poi arrestati e condannati per rapina e omicidio.
Dopo una tentata rapina in una banca di Argelato, alcuni esponenti dell'estrema sinistra modenese si diedero alla fuga, inseguiti da carabinieri che riuscirono a seminare su una strada provinciale nei pressi di Bologna. Dopo aver tentato il ritorno a Modena, vennero fermati per caso da due carabinieri, Andrea Lombardini e Gennaro Sciarretta, i quali li avevano scambiati per campeggiatori. I rapinatori ne approfittarono per sparare per primi uccidendo Andrea Lombardini e ferendo non gravemente Gennaro Sciarretta[1]. Dopo la sparatoria, i carabinieri avviarono una vasta caccia all'uomo nelle province di Modena e Bologna, che portò all'arresto e al processo dei terroristi.
Il commando, secondo l'accusa, era formato da Bruno Valli, Franco Franciosi, Stefano Bonora, Ernesto Rinaldi, Claudio Bartolini, Stefano Gavina, Claudio Vicinelli e Marzia Lelli, abituali frequentatori del Gatto Selvaggio di via Armando Quadri[2], un circolo politico di estrema sinistra ritrovo di militanti di Potere operaio, del Movimento studentesco e degli autoriduttori[3].
Tutti vennero condannati e scontarono pene tra i 15 e i 28 anni tranne Marzia Lelli che, condannata a 16 anni, era riuscita a fuggire all'estero[4].
Il 9 dicembre 1974 Bruno Valli, proveniente da una famiglia proletaria di Rodero, si impiccò nel carcere di Modena[5].
Nel 1987, in seguito al processo 7 aprile, la Corte d'appello di Roma condannò Toni Negri come mandante dell'operazione[6].
Stefano Bonora, liberato nel 1991, verrà condannato poco dopo a 14 anni per partecipazione a banda armata e sequestro di persona in concorso per il rapimento del giudice Giovanni D'Urso. Fuggito all'estero, verrà arrestato in Slovacchia nel 1993[7].
Di Marzia Lelli, rimasta sempre in clandestinità, si torna a parlare nel 2009 quando le sue ceneri tornano in Italia dal Portogallo dove, il 26 marzo, era morta in circostanze non chiare[4].
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