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Il clerico-fascismo (o fascismo clericale) è una locuzione della dialettica politica, usata in Italia a partire dai primi anni venti del XX secolo.
Con essa si intendono propriamente le spinte interne al movimento movimento fascista ed agli ambienti della Chiesa cattolica che separatamente operavano nei rispettivi organismi tendendo ad un avvicinamento fra le due entità, prima di giungere ad un vero e proprio mutuo riconoscimento.
Dell'espressione è stato fatto anche uso traslato, ad indicare supposti favoritismi politici o materiali dello stato verso la Chiesa cattolica[1]. Vi è stato inoltre chi ha utilizzato la locuzione per definire con essa altri generi di fusione o comunque estrema prossimità di regimi non considerati liberali con le gerarchie ecclesiastiche.
Il termine è anche usato spregiativamente a connotare azioni od indirizzi della Chiesa cattolica politicamente giudicati "fascisti", nell'accezione più vasta (in genere in senso di illiberalità, antidemocraticità ed anticomunismo[2]) di quest'ultimo termine.
La locuzione segue il solco tracciato da un'altra come "clerico-moderati", che era venuta prendendo piede nel periodo, e che descriveva i cattolici allora in politica, per le loro posizioni conservatrici e liberali; di essa faceva ad esempio ricorrente uso Don Sturzo, allorché richiamava questa locuzione ed il suo uso a fini di avversa propaganda contro il Partito Popolare da parte della stampa[3]. Diceva l'ex-segretario del partito che la stampa mostrava l'Azione Cattolica come "un'espressione politica antitetica al popolarismo e con un orientamento filofascista", segnando un grave equivoco nella confusione fra la religiosità cattolica ed il popolarismo (attivismo in politica), citando Pio XI (che a sua volta citava Pio X) il quale escludeva che il termine "cattolico" potesse essere usato con riferimento politico[4]. Sempre secondo Sturzo, i quotidiani di impostazione cattolica, di "origini antiliberali", non potevano essere accomunati sotto la comune denominazione di "quotidiani cattolici", poiché fra di essi ve n'erano di "popolari o filo-popolari o clerico-moderati e conservatori o filo-nazionalisti o filo-fascisti o fascisti o simili".[4][5]
Di sfondo vi era dunque la frammentazione dei cattolici in politica, accentuata dopo le dimissioni da segretario del Partito Popolare che il papa aveva chiesto a Don Sturzo di rassegnare. E vi era anche l'interesse di Chiesa cattolica e Fascismo ad accorciare le distanze che li separavano, nel comune obiettivo di giungere ad un concordato[6]. Lo scioglimento del Partito Popolare da parte del prefetto di Roma, il 6 novembre 1926, rese la distinzione dei suoi frammenti più velleitaria. Giunsero nel 1929 i Patti Lateranensi, e Fascismo e Chiesa sottoscrissero un accordo squisitamente politico nella forma di un trattato internazionale.
L'avvicinamento di aliquote di cattolici all'ipotesi di un accordo con il regime, portò dunque ad affiancare alla locuzione di "clerico-moderati" quella, allora prevalente, di "clerico-fascisti".
Il concetto di fascismo clericale è respinto da alcuni studiosi[7] e il termine è controverso dato che alcuni storici hanno distinto il "fascismo dinamico" dal "conservatorismo clericale"[8]. Successivamente si riferisce ad aree del cattolicesimo di destra come l'Opus Dei in antagonismo al cattolicesimo di sinistra come l'attuale Compagnia di Gesù.[senza fonte]
Dittature o movimenti politici che per alcuni storici ricadono nella definizione di clerico-fascismo:
La Francia di Vichy e i lupi di ferro lituani furono di ispirazione cattolica, inoltre anche altrove l'ideologia ebbe rappresentanti che, senza riuscire a formare un vero movimento politico, ebbero comunque sostenitori e simpatizzanti: è il caso del presbitero olandese Wouter Lutkie che propagandò le sue idee con il giornale Aristo.
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