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dialetto della lingua emiliana Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il dialetto piacentino[1] (dialëtt piaśintein[2] [dia'lət piaˌzĩ'təi] o [dia'lot piaˌzĩ'təi]) è un dialetto della lingua emiliana, appartenente al gruppo linguistico gallo-italico, parlato in Italia nella provincia di Piacenza.
Piacentino Piaśintein | |
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Parlato in | Italia |
Regioni | Provincia di Piacenza |
Locutori | |
Totale | ~150.000 |
Classifica | Non in top 100 |
Tassonomia | |
Filogenesi | Indoeuropee Italiche Romanze Italo-occidentali Occidentali Galloiberiche Galloromanze Galloitaliche Emiliano |
Statuto ufficiale | |
Ufficiale in | - |
Regolato da | nessuna regolazione ufficiale |
Codici di classificazione | |
ISO 639-2 | roa
|
Estratto in lingua | |
Dichiarazione universale dei diritti umani, art. 1 Tütt i omm e il donn i nassan libbar e cumpagn in dignitä e diritt. Tütt i g'han la ragion e la cuscinsa e i g'han da cumpurtäs vöin cun l'ätar cmé sa i fissan fradei. | |
Presenta tratti di continuità con la lingua lombarda (soprattutto nel lessico e in diverse espressioni idiomatiche), pur evidenziando analogie con quella piemontese[3][4][5] e differisce dai dialetti dell'emiliano, fatta eccezione per il parmigiano, per quanto riguarda la pronuncia[6]; molteplici sono inoltre i tratti liguri che contraddistinguono le varietà dell'Appennino piacentino, parte dei quali raggiungono debolmente Piacenza[7]. I secolari rapporti intrattenuti dalla città e dal suo circondario con Milano sono all'origine di caratteristiche lombarde[8], tanto che occasionalmente la provincia piacentina viene inclusa nell'area lombardofona[9]. Tuttavia, fin dalla classificazione di Bernardino Biondelli del 1853 è annoverato fra le varietà di tipo emiliano[10] nonostante i tanti caratteri lombardi[11]. Insieme al dialetto pavese occupa un ruolo centrale nell'ambito delle parlate gallo-italiche, confinando direttamente con tre dei quattro gruppi in cui esse si usano dividere.
Il piacentino propriamente detto, con qualche variazione fonetica[12] (legata alla pronuncia delle vocali)[13], è parlato nella città di Piacenza, in Val Nure approssimativamente fino a Ponte dell'Olio incluso, in Val Trebbia approssimativamente fino a Travo incluso, nei comuni di Carpaneto Piacentino e Cadeo. Suo connotato precipuo[14] è la presenza dei dittonghi
formatisi in sostituzione di una consonante nasale scomparsa. Essi caratterizzano appunto il parlato diffuso dalla città fino alle colline a sud di essa, per spingersi anche a occidente, fino al confine con la provincia di Pavia. In base a questo tratto vi si associano appunto la pianura piacentina a ovest della Trebbia, la Val Tidone e la tributaria Val Luretta[14], sebbene in tale area si registri qualche ulteriore cambiamento fonetico. Nel settore occidentale della provincia piacentina è infatti assente la palatalizzazione di A tonica latina in sillaba libera (æ oppure ɛ) tipica del piacentino centrale (si hanno andà, mar, sal e taś śu invece di andä, mär, säl e täś śu per andare, mare/madre, sale e tacere). Inoltre si segnalano mi, ti, chì e atsì invece di me, te, ché e atsé; sü e pü invece di sö e pö[16]; picëi, pëi e deficiëit (scritti però per convenzione picein, pein e deficeint) invece di picin, pin e deficint. Intorno alla fine della seconda guerra mondiale esistevano ancora quattro varianti nella sola parlata della città di Piacenza, mentre nelle frazioni era diffusa la pronuncia vocalica della campagna, quella che viene parlata fino in collina e che i piacentini definiscono "dialetto arioso" (dialëtt ariuś). Con questo nome è popolarmente identificato un tipo di pronuncia nel quale la vocale Ö corrisponde alla vocale centrale (/ø/) e caratterizzata dalla vocale neutra (/ə/) non dittongata, che in città assumono invece il suono di O chiusa (/o/).
In Val d'Arda e nella Bassa Piacentina il dialetto è comunque da ritenersi collegato al piacentino anche se presenta proprie particolarità, sia lessicali che fonetiche influenzate dalla prossimità con le parlate cremonesi, lodigiane e parmensi (ven e delinquent invece di vëi e delinquëit; picen, pien e deficent invece di picin, pin e deficint; andà invece di andä; nella Bassa anche: cald e giald invece di cäd e giäd; sütà invece di siguitä; tragnèra invece di carpìa). In alcuni comuni della pianura nord-orientale come Monticelli d'Ongina e Castelvetro Piacentino sfuma nel dialetto cremonese[17].
In alcuni dialetti della provincia di Parma, parlati in comuni confinanti con quella di Piacenza quali Fidenza e Salsomaggiore Terme, si rintracciano forti legami con il piacentino. Lo stesso avviene nel Basso Lodigiano dove a San Rocco al Porto, Caselle Landi e Guardamiglio, vicinissimi alla città di Piacenza, la parlata non si discosta eccessivamente da quella qui analizzata, almeno non più di quanto non lo sia quella della Bassa Pianura piacentina[17].
Una della caratteristiche più evidenti delle varietà in uso a Fiorenzuola d'Arda e in Val d'Arda è l'assenza della palatalizzazione di a tonica in sillaba aperta che caratterizza il dialetto di Piacenza e della parte centrale della provincia fino alle colline di Val Trebbia e Val Nure. La palatalizzazione, con varie sfumature, fu tuttavia osservata in alcune frazioni di Fiorenzuola d'Arda, ma svanisce nel capoluogo comunale, ad Alseno, Cortemaggiore, Besenzone e negli altri comuni della Bassa padana piacentina (Caorso, San Pietro in Cerro, Monticelli d'Ongina, Castelvetro Piacentino e Villanova sull'Arda) e a Fontana Fredda, frazione di Cadeo. È stata descritta in passato come a leggermente palatalizzata quella di Castell'Arquato, mentre Lugagnano Val d'Arda, Vernasca e Morfasso sono in linea con i centri della pianura per quanto riguarda l'assenza di palatalizzazione della a tonica. Si hanno così rava e cantà al posto di räva e cantä[18].
Altro tratto distintivo che emerge a Fiorenzuola d'Arda e Cortemaggiore sotto l'aspetto del vocalismo, avvicinando le varietà di questi paesi a quella del centro di Piacenza, è l'assenza dello scevà - una E neutra - (/ə/) e della Ö turbata (/ø/), che sono state entrambe sostituite da O chiusa (/o/)[18].
La zona orientale del Piacentino si distingue anche per quanto riguarda la nasalizzazione delle vocali toniche che eliminano i dittonghi: come in parmigiano si hanno dent e ben[18] accanto a von e non invece di dëit e bëi e vói e nói[18][19] delle restanti varietà piacentine centro-occidentali (scritti però deint, bein, vöin, nöin con -n finali e dieresi utilizzate solo per mera convenzione ortografica in questi dittonghi). A Cortemaggiore, inoltre, si ha un dileguo di n, ossia un'assimilazione della nasale dentale alla parte precedente velare negli esiti in
analogamente a quanto avviene a Busseto (provincia di Parma)[18].
Fiorenzuola d'Arda, Bassa padana piacentina e Val d'Arda seguono poi il resto delle varietà piacentine nella caduta della R finale degli infiniti verbali a differenza di quelle parmensi ed emiliane in genere che hanno terminazione in -R[18].
Le varianti piacentine non coprono l'intero territorio della provincia di Piacenza e si arrestano prima del confine con quella di Genova: le alte valli appenniniche sono infatti interessate da forme di transizione tra emiliano e ligure[8][20] o da dialetti liguri.
Numerosi tratti liguri si rintracciano dunque nel Piacentino[7] in Val d'Arda in parte del comune di Morfasso[21], in Val Nure nei comuni di Farini e Ferriere (ma con propaggini fino al comune di Bettola[8]), in Val d'Aveto e in parte della Val Trebbia (parte dei comuni di Coli e Corte Brugnatella). Ciò emerge da un punto di vista
Tuttavia, è a sud di Bobbio che si entra in un'area linguisticamente ligure. L'alta Val Trebbia e le valli tributarie, zona che ha subito un forte spopolamento nel XX secolo, presentano dialetti liguri di tipo genovese caratteristici della montagna e con tratti comuni alle parlate della Val Graveglia genovese. I comuni interessati sono quelli di Ottone, Zerba e Cerignale dove sono presenti a livello fonetico diversi elementi arcaici del genovese rurale[23]. In particolare è Zerba ad avere mantenuto alcune proprietà più arcaiche del ligure di montagna[24].
La zona presenta comunque alcune caratteristiche comuni al piacentino e agli altri idiomi della Pianura padana, che non hanno però tolto validità all'ipotesi di attribuire al gruppo ligure i dialetti di Ottone, Zerba e Cerignale. Ciò si riscontra:
Infine, sul settore nominale si nota un certo orientamento verso il piacentino[25].
Nella fascia di alta collina e montagna anche Bobbio ha sviluppato un dialetto (ar dialèt bubièiś) del tutto peculiare e che vanta proprie peculiarità fonetiche, morfologiche e lessicali rispetto al piacentino propriamente detto. Se oggi la zona è caratterizzata da un forte spopolamento, anticamente il paese era un centro di scambio situato lungo la Via del sale, che collegava la Pianura Padana al Genovesato. Oltre che a Bobbio, detto dialetto è parlato approssimativamente nei luoghi dell'antica Contea di Bobbio sostituita nel 1743 dalla Provincia di Bobbio fino all'unità d'Italia, che comprendeva zone oggi inserite nelle province di Piacenza e di Pavia. Tale area d'influenza del bobbiese, può essere circoscritta alla parte più settentrionale del comune di Corte Brugnatella e a gran parte di quello di Coli, ma anche in alcuni luoghi della Val Tidone e della Val Luretta più prossimi a Bobbio (Alta Val Tidone e Pianello Val Tidone). Si estende inoltre nei più vicini territori della provincia di Pavia (Menconico, Romagnese, Zavattarello e in parte Colli Verdi).[senza fonte]
Detta varietà si contraddistingue per la compresenza di elementi genericamente emiliani e più specificatamente di area piacentino-pavese, lombardo occidentali, piemontesi e liguri. Sul fronte della fonetica mantiene la palatalizzazione emiliana di a tonica in sillaba aperta tipica del piacentino parlato nella parte centrale della provincia fino alla fascia collinare (parlä, bräg), ma solo nella variante del capoluogo comunale. Segue i dialetti dell'Appennino piacentino nella realizzazione in /ø/ da o breve latina quando nei restanti dialetti della provincia è /ɔ/ (öc’ e śnöc’ invece di òc’ e śnòc’) e di /ø/ da o lunga latina in sillaba aperta dove altrove è /ɔ/ (bröd e scöra invece di bròd e scòla).
Si nota la dittongazione in corrispondenza di una Ě breve latina (mèiś, candèira, piemuntèiś), estesa anche ad altre aree dell'Appennino piacentino, tipica del piemontese[26] e del ligure. Tuttavia, il bobbiese non realizza la dittongazione tipica di certe varietà piacentine e pavesi che precede la n o la m (come in lombardo occidentale si hanno vin, cüsin e baśin invece di vëi, cüsëi e baśëi, ma anche vün, ognidün e nün invece di vói, ognidói e nói; come in altri dialetti della montagna e della Bassa Pianura piacentina vent, sempar, sarpent invece di vëit, sëipar, sarpëit).
Assente lo scevà del piacentino extramurario, sostituito da E aperta (dialèt e pès invece di dialët e pës).
In ambito morfologico si registra il dualismo degli articoli indeterminativi, resi con u e ar al maschile e a e ra al femminile: il primo tipo di matrice ligure e il secondo diffuso in alcune aree del Basso Piemonte e riscontrato in alcune varietà dell'Oltrepò pavese. Come negli altri dialetti dell'Appennino piacentino, più prossimi al contatto con il ligure, rotacismo di l si manifesta con maggiore frequenza: candèira e scöra invece di candela e scòla. Se i participi passati della prima coniugazione terminano con la palatalizzazione della a tonica come nel piacentino centrale e urbano (cantä), quelli di altre coniugazioni e gli ausiliari non terminano per vocale tonica ma, con occlusive dentali (stat, finit, avid) analogamente ad alcune varietà lombarde.[27]
Da un punto di vista fonetico e morfologico il piacentino è in linea con alcuni fenomeni caratteristici dell'emiliano, dal quale talvolta si discosta per avvicinarsi maggiormente al lombardo.
Un elemento tipico dell'emiliano, frequentemente rintracciabile nel piacentino, è la prostesi della A. Ciò fa sì che sia possibile aggiungere questa vocale alla forma tradizionale. Esempio: bśont (unto) può diventare abśont e sporc (sporco) asporc se la parola precedente termina per consonante (piatt abśont; tütt asporc).
Un altro tratto peculiare di tutte le varietà emiliane, dunque anche del piacentino, è la sincope delle vocali non accentate, specialmente E. Esempio: rëśga, lcä e rśintä (diversamente dal milanese rèsega, lecà e resentà). Le ultime due forme piacentine indicate nell'esempio, in quanto inizianti per consonante, possono comunemente diventare alcä e arśintä per prostesi (come nel bolognese alchèr e arṡintèr). La sincope non è però così diffusa come in altre parlate di tipo emiliano (bolognese ṡbdèl, ma piacentino uspedäl come milanese uspedal), poiché si riduce notevolmente a ovest di Parma[28].
Contrariamente a quanto avviene in emiliano, ma analogamente al lombardo e al piemontese, le desinenze dei verbi all'infinito non terminano in -R[29][30] (piacentino andä come nel milanese andà e differentemente dal bolognese andèr). Si hanno anche casi di “desinenza zero”: piäś[29].
Caratteristico di diverse varietà liguri e lombarde, il fenomeno del rotacismo di L intervocalica in R, si riscontra occasionalmente anche in piacentino: saracca (salacca), canarüss (gola, laringe, esofago; è presente anche canalüss). In linea con il ligure e alcuni dialetti del lombardo e del piemontese, il rotacismo si manifesta anche in alcuni nessi nei quali L è seguita da consonante[31]: surc (solco), carcagn (calcagno, tallone), curtell (coltello). Queste particolarità si intensificano nel dialetto bobbiese, in quelli di transizione fra emiliano e ligure e liguri parlati sull'Appennino piacentino.
Sono invece condivisi con le varietà piemontesi occidentali i peculiari dittonghi ëi (/əi/), generalmente scritto per convenzione <ein>, e ói (/oi/), convenzionalmente reso con <öin>[11].
Rispetto agli altri dialetti dell'Emilia-Romagna, il piacentino è inoltre interessato da un maggiore dileguo consonantico (pòr per povero)[32].
Dal punto di vista lessicale, il piacentino risulta particolarmente orientato verso il lombardo, ma anche verso il piemontese e il ligure[33].
Il piacentino presenta diverse somiglianze fonetiche tanto con i dialetti dell'emiliano, quanto con quelli del lombardo e del piemontese.
In generale, condivide con gli altri dialetti del gruppo linguistico gallo-italico
In linea con le altre varietà emiliane si notano
Avvicinano il piacentino al lombardo, accomunandolo anche ai dialetti emiliani parlati in Lombardia, quali il pavese e mantovano (da alcuni definiti anche “dialetti lombardi di crocevia”[38])
La presenza delle vocali arrotondate Ö e Ü ha causato uno "spostamento vocalico", per mezzo del quale la o latina appare come u (POTÌRE > pudì 'potere').
Un tratto che contraddistingue il piacentino centro-occidentale è la riduzione a -ëi della Ī lunga e della e latine dinanzi a nasale: si hanno vëi e tëip (prevalentemente scritti vein e teimp solo per convenzione ortografica) per vino e tempo. Tale elemento è presente a partire dall'Alessandrino con -ei[43] e prosegue ancora nell'Oltrepò pavese, finché la E assume il suono di una E neutra (/ə/) nel Piacentino. Questa caratteristica si estingue però già nella parte orientale della provincia di Piacenza.
Fenomeno assente nel resto dell'emiliano, a eccezione dei dialetti della zona di Fidenza, Busseto e Salsomaggiore (PR), tortonese, oltrepadano e alcune varietà mantovane, è l'evoluzione in Ë (/ə/) della e lunga e della i breve latine in sillaba chiusa (FRIGIDUS > frëdd ‘freddo’) in quasi tutto il territorio piacentino a esclusione di Piacenza, di Fiorenzuola d'Arda e Cortemaggiore, dove è resa come una O chiusa (/o/)[44][45] (FRIGIDUS > frod ‘freddo’). La Ë è conosciuta anche come tratto caratteristico del piemontese.
Generalmente estranea ai gruppi dialettali dell'emiliano e del lombardo è l'articolazione della vibrante uvulare (ʁ). Tale peculiarità è stata invece osservata in Valle d'Aosta, in alcune vallate del Piemonte occidentale e in una piccola area compresa tra l'Alessandrino e il settore occidentale del Parmense[39][46]. Tuttavia conserva un suo tratto distintivo rispetto a quella francese, parmense o alessandrina, in quanto nel Piacentino appare come una fricativa uvulare sonora.
Il piacentino manca di una normata codificazione dell'ortografia[47]: pertanto, sono state a lungo dibattute alcune questioni a essa legate; per esempio per decenni è rimasto irrisolto il dubbio riguardante l'opportunità di rendere graficamente il suono della s sonora (come nell'italiano rosa e chiesa) con S o Z (rösla o rözla, cesa o ceza?)[48]; la soluzione contemplata dall'Ortografia piacentina unificata[49], proposta nel 2012 dalla rivista culturale locale «L'urtiga», è quella dell'uso di una S sormontata da un punto (conosciuto come punto sovrascritto): Ṡ. Tale decisione è però stata superata quattro anni più tardi con la modifica del segno diacritico sopra la consonante, passando dal punto sovrascritto a un accento acuto: Ś[50].
Inoltre il principale dizionario novecentesco[48] solleva il problema dell'opportunità di indicare o no le consonanti geminate (vale a dire le doppie) sull'esempio del toscano, pur risultando esse assenti nei dialetti gallo-italici (scempiamento): an e caval per anno e cavallo[51]. Il raddoppio grafico delle consonanti è suggerito nelle proposte ortografiche più recenti per evidenziare la brevità della vocale tonica che le precede: péll con vocale breve ('pelle') in opposizione a pél con vocale lunga ('pelo')[52]. Tuttavia, è stato osservato che in piacentino le consonanti che seguono alcune vocali brevi, pur non essendo raddoppiate come in italiano, paiono avere un suono un po' più lungo di quello corrispondente in altri dialetti gallo-italici; ciononostante, seppur leggermente più lungo, tale allungamento non sembra di durata pari a quella dell'italiano[34].
È ritenuto facoltativo indicare il suono K in finale di parola aggiungendo una h alla c, pertanto sono possibili le ortografie pratic e pratich (pratico).
Nella descrizione sottostante non sono state considerate in dettaglio le varietà appenniniche, sensibilmente diverse dal piacentino e dai suoi sottodialetti, che possono comunque essere trascritte secondo le indicazioni dell'Ortografia piacentina unificata.
Come per tutti i dialetti d'Italia anche per il piacentino è iniziata una progressiva e costante diminuzione del numero di parlanti a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale. Secondo un'indagine realizzata nel 2019 dalla Facoltà di Economia e Giurisprudenza della sede di Piacenza dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, su un campione di 1200 intervistati della provincia di Piacenza il 25% ha dichiarato di non parlare mai in piacentino, il 33% di farlo con i parenti, il 26% con gli amici e il 4% sul posto di lavoro, mentre il 12% ha affermato di non conoscerlo[60].
Sono ancora diffuse le rappresentazioni teatrali in piacentino, prevalentemente commedie[61]. Nelle manifestazioni pubbliche, l'idioma locale costituisce uno degli elementi caratterizzanti il Carnevale di Fiorenzuola d'Arda[62], conosciuto come Zobia.
Accanto ad una tradizionale canzone dialettale, che ha la sua massima manifestazione nella rassegna in programma per le celebrazioni del patrono a Piacenza[63], il piacentino si esprime anche nella musica contemporanea grazie ad alcuni artisti i cui lavori sono promossi in campo nazionale. Infatti, brani folk rock in piacentino sono stati incisi negli album Da parte in folk (2011) e La sirena del Po (2012) del cantautore Daniele Ronda. Precedentemente, il gruppo rock and roll Lilith and the Sinnersaints ha pubblicato l'extended play L'angelu nassuu dall'etra pert[64] (2009) e un paio di altri brani contenuti in Revoluce[65] (2012), impiegando il dialetto di Centenaro[66], frazione di Ferriere, di transizione tra emiliano e ligure. Altri esempi di uso del piacentino nella musica contemporanea provengono da band locali[67][68][69].
A partire dagli anni dieci del XXI secolo sono stati tradotti in piacentino diverse versioni delle Avventure di Pinocchio[70][71], alcuni brani del Vangelo domenicale[72], la Genesi[73], la Bibbia[74], Canto di Natale[70] e Il piccolo principe[75]. È inedito invece il manoscritto della traduzione della Divina Commedia[76]. Interamente girato in piacentino è il documentario Amricord (2013)[77].
La principale associazione impegnata nella conservazione e promozione del dialetto piacentino è la Famiglia Piasinteina[78], analogamente a Ra Familia Bubiéiza[79] per il bobbiese. Intervento a favore del piacentino da parte di una banca locale è invece l'istituzione di un Osservatorio permanente del dialetto[80]. L'amministrazione comunale di Piacenza, con il contributo della Regione Emilia-Romagna[81], ha sostenuto per un triennio la campagna promozionale #parlummpiasintein[82] nel cui ambito è stata prodotta la prima serie web in emiliano, I strass e la seda (2020)[83].
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