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trattato di Niccolò Copernico Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il De revolutionibus orbium coelestium (in italiano Sulle rivoluzioni delle sfere celesti) è un celebre trattato astronomico di Niccolò Copernico, pubblicato per la prima volta a Norimberga nel 1543[1], sicuramente prima del 20 aprile[2]: in questo testo l'astronomo polacco descrive il frutto dei suoi studi parlando del movimento degli oggetti del cielo e l'opera si configura quindi come l'esposizione del sistema eliocentrico copernicano.
«In medio vero omnium residet Sol»
«E in mezzo a tutto sta il Sole»
Sulle rivoluzioni delle sfere celesti | |
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Titolo originale | De revolutionibus orbium coelestium |
Frontespizio della prima edizione (Norimberga, 1543) | |
Autore | Niccolò Copernico |
1ª ed. originale | 1543 |
Genere | Trattato |
Lingua originale | latino |
Nel 1543, nonostante l'opposizione dell'autore ormai in fin di vita, il testo venne pubblicato facendolo precedere da una premessa anonima (Ad lectorem de hypothesibus huius operis, cioè "Al lettore sulle ipotesi di quest'opera") che per lungo tempo fu attribuita allo stesso Copernico ma che, successivamente (precisamente da Keplero nel 1609), venne fatta correttamente[3] risalire al teologo luterano Andrea Osiander. In questa premessa Osiander sminuiva il lavoro di Copernico sostenendo che esso non voleva rappresentare una spiegazione dell'effettiva organizzazione dell'Universo alternativa a quella tolemaica, ma soltanto un mero esercizio matematico finalizzato tutt'al più a semplificare i complessi calcoli che la visione geocentrica implicava e a "salvare i fenomeni" (questa opinione sarà successivamente ribadita e fatta propria dal Cardinal Bellarmino nella sua polemica con Galileo Galilei proprio sul sistema copernicano). Scrive Osiander:
«Non dubito che alcuni studiosi, diffusa ormai la fama della novità di questa opera, che pone la terra mobile e il sole immobile in mezzo all'universo, si siano fortemente risentiti, e ritengano che non c'era alcun bisogno di rendere incerte le discipline liberali, una volta sapientemente stabilite. Se essi vorranno però riflettere saggiamente sulla cosa, troveranno che l'autore di questa opera non ha commesso nulla che meriti rimprovero. È infatti proprio dell'astronomo prima registrare la storia dei moti celesti mediante osservazioni abili e accurate; quindi, escogitare e supporre le loro cause, ossia certe ipotesi, in un modo qualsiasi, non potendole dimostrare in alcun modo come vere. Partendo da tali ipotesi, si possono calcolare correttamente i moti celesti, in base ai princìpi della geometria, tanto nel futuro che nel passato. (...) Permettiamo dunque anche a queste nuove ipotesi, fra le antiche, il diritto di farsi conoscere, ma non come più verosimili, tanto più che sono ammirevoli e semplici, e recano con sé un grande tesoro di osservazioni dottissime.(...) Salute.»
Sostenendo dunque che l'opera non intendeva contrastare la versione tolemaica sostenuta dalla Chiesa, questa premessa riuscì a far evitare ad essa l'iscrizione nell'Indice dei libri proibiti almeno fino al 1616.
L'opera è dedicata al Papa Paolo III ed è divisa in sei libri:
Il primo libro è molto più semplice e meno tecnico degli altri cinque, che contengono tavole e formule matematiche molto complicate e poco accessibili ai non astronomi. Questo aspetto, che a prima vista può indurre a pensare che abbia rallentato la diffusione del copernicanesimo, fu invece un importante fattore che contribuì a "salvare" l'opera e la teoria eliocentrica. Infatti dai profani l'ipotesi della Terra come pianeta fu sempre allontanata e bollata come ridicola[senza fonte] e, a partire dal secolo XVII quando la Chiesa cattolica la condannò, come eretica[senza fonte].
Tra gli studiosi invece l'accoglienza fu meno aspra[senza fonte], anche se in pochi vi aderirono nei primi tempi. Nondimeno il De Revolutionibus divenne subito un testo fondamentale per gli astronomi indipendentemente dalla concezione cosmologica di questi. Infatti i suoi calcoli, i suoi dati, i suoi diagrammi furono davvero innovativi e completi tanto che Copernico fu definito «[il] secondo Tolomeo» o «l'eminente artefice della nostra epoca».[senza fonte] In effetti il De Revolutionibus è davvero la prima opera della modernità che possa essere paragonata all'Almagesto di Tolomeo per profondità, completezza e coerenza.
Copernico, nonostante la portata rivoluzionaria che ebbe quest'opera, era essenzialmente un conservatore e l'unica grande novità rispetto al sistema tolemaico è la concezione della terra come pianeta. L'universo di Copernico, escluso questo aspetto, chiaramente non secondario, era identico a quello aristotelico-tolemaico. Si differenziava per le dimensioni - era infatti quasi 30 volte più grande[senza fonte] -, ma non eliminava gli epicicli, deferenti, eccentrici che lo avevano spinto a mettere in discussione il sistema geocentrico. Scrive a questo proposito Copernico nella prefazione:
«[Mi pare di] aver raggiunto la consapevolezza che i matematici non hanno idee chiare attorno a questi moti[...], essi non usano né gli stessi principî e ipotesi né le stesse dimostrazioni. Così alcuni usano soltanto cerchi omocentrici, altri eccentrici ed epicicli, e tuttavia con questi mezzi non raggiungono integralmente i loro scopi.[...]. Né furono in grado di scoprire oppure di dedurre da tali mezzi la cosa più importante: vale a dire la forma dell'universo e l'immutabile simmetria delle sue parti.»
Il sistema copernicano completo non era né più semplice né più preciso o accurato del sistema tolemaico, tuttavia ciò che convinceva Copernico della validità del suo nuovo universo è proprio «l'immutabile simmetria delle sue parti», l'armonia sottesa al mondo che egli individuava nell'applicazione più semplice e ridotta.[senza fonte] (In realtà Copernico, pur facendo ricorso a epicicli, deferenti ed eccentrici anche nel suo modello, ne semplifica e razionalizza notevolmente l'utilizzo: a titolo di esempio, mentre nel modello tolemaico e in quello di Apollonio di Perga la direzione e velocità angolare degli epicicli dei pianeti esterni era determinata indipendentemente dalla velocità dei rispettivi deferenti, ed era attribuita in relazione alla posizione media di Sole e Terra al solo scopo di giustificare l'osservazione di un moto retrogrado, Copernico ne fissa la velocità in rapporto intero con la velocità dei propri deferenti, slegando così il moto dei pianeti da dipendenze reciproche e attribuendo un più spiccato "significato fisico" al modello.[4]) Questo era probabilmente il fattore d'attrazione più importante della nuova teoria, quando le prove inizialmente a favore erano minori di quelle contro, e molti, tra cui Galileo, non restarono indifferenti a questo fascino.[senza fonte]
Importante da questo punto di vista è sicuramente l'influenza che esercitò sull'astronomo polacco il Neoplatonismo, che si sviluppava proprio nella seconda metà del secolo XVI. Questa corrente filosofica recuperò l'antica religione solare egizia e attribuiva al Sole grandissima importanza. Scrive Copernico alla fine del Capitolo X del primo libro, giustificando la posizione del Sole nell'universo:
«E in mezzo a tutto sta il Sole. Chi infatti, in tale splendido tempio [l'universo], disporrebbe questa lampada in un altro posto o in un posto migliore, da cui poter illuminare contemporaneamente ogni cosa? Non a sproposito quindi taluni lo chiamano lucerna del mondo, altri mente, altri regolatore. Trismegisto lo definisce il dio visibile, l'Elettra di Sofocle colui che vede tutte le cose. Così il Sole, sedendo in verità come su un trono regale, governa la famiglia degli astri che gli fa da corona.»
Le conclusioni di questo trattato non furono molto prese in considerazione dalla società del tempo (soprattutto grazie all'interpretazione datane da Osiander nella premessa), ma furono comunque decisamente osteggiate dalla comunità scientifica e teologica. Ad ogni modo, quest'opera ha continuato ad essere un riferimento per i copernicani (primo fra tutti Giordano Bruno,[5] benché non fosse eliocentrista, ritenendo che l’universo fosse infinito) e possiamo dire che, in questo senso, è stata una pietra miliare nella storia della scienza modernamente intesa.
Nel 1999 l'UNESCO ha inserito De revolutionibus orbium coelestium nell'Elenco delle Memorie del mondo.
Nel 2014 Stefano Vagnini compone registra e pubblica De Revouzionibus, composizione musicale per voce e organo. L'opera è stata commissionata dalla chiesa Holy Cross di Przeczno nei pressi di Torun (Polonia).
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