rapporto tra religione cristiana e antisemitismo Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il termine antisemitismo è stato coniato alla fine del XIX secolo dal giornalista Wilhelm Marr e consiste nell'avversione, su basi razziali, nei confronti delle persone di religione ebraica; col tempo è venuto in anche per indicare le avversioni motivate con ragioni di tipo politico; talvolta lo si confonde con la rivalità, l'ostilità o l'avversione di tipo religioso (antigiudaismo) all'ebraismo, anche se la maggior parte degli storici distingue accuratamente i due termini[1].
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Una tradizione di ostilità del cristianesimo nei confronti dell'ebraismo e del popolo ebraico si sviluppò fin dai primi anni della cristianità[2][3] ed è proseguita nelle epoche seguenti[3] sulla spinta di numerosi fattori, tra cui differenze teologiche, la spinta cristiana al proselitismo[3] e alla conversione, auspicata e forzata, degli ebrei[4] decretata dall'incarico che Cristo risorto diede ai suoi discepoli, il fraintendimento delle credenze e delle pratiche religiose degli ebrei, e una percepita ostilità ebraica nei confronti dei cristiani[5]. Questa avversione è culminata nell'Olocausto, che ha portato molti cristiani a riflettere sui rapporti tra teologia, pratiche religiose, e il genocidio[5][Nota 1].
La diaspora, tipica del mondo ebraico, è quel fenomeno sociale e culturale che vede gli ebrei disperdersi nel mondo ed insieme mantenere la propria identità culturale e religiosa. Generalmente si fa iniziare la diaspora con la distruzione di Gerusalemme nel 587 a.C. (VI secolo) da parte dei Babilonesi e la deportazione in Babilonia di una larga parte della popolazione della città. Forti comunità ebraiche si trovavano in Mesopotamia, in Grecia, a Roma, ad Alessandria d'Egitto (1/3 della popolazione).
Misure antisemite furono prese anche prima della nascita del Cristianesimo o prima ancora che questo diventasse religione ufficiale dell'impero. Il primo pogrom che la storia conosca avvenne ad Alessandria d'Egitto nell'anno 38 d.C.[6]
In verità prima dell'era patristica e del concilio di Efeso, l'idea dei cristiani nei confronti degli ebrei non fu sempre negativa.
i primi apostoli di Gesù erano tutti ebrei incluso l'apostolo Paolo che si dichiara Ebreo discendente di Beniamino e fariseo in quanto alla legge.
In Romani 11,25 è scritto: «Infatti, fratelli, non voglio che ignoriate questo mistero, affinché non siate presuntuosi: un indurimento si è prodotto in una parte d'Israele, finché non sia entrata la totalità degli stranieri; e tutto Israele sarà salvato, così come è scritto: «Il liberatore verrà da Sion».
E ancora «Poiché non c'è distinzione tra Giudeo e Greco, essendo egli lo stesso Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato.»
Lettera ai Romani 10,12: «Ora io dico: sono forse inciampati perché cadessero? No di certo! Ma a causa della loro caduta la salvezza è giunta agli stranieri per provocare la loro gelosia. Ora, se la loro caduta è una ricchezza per il mondo e la loro diminuzione è una ricchezza per gli stranieri, quanto più lo sarà la loro piena partecipazione!»
Con la morte degli Apostoli tutto ciò venne accantonato e il cristianesimo andò a "grecizzarsi", conformandosi col mondo occidentale. Giustino martire scrisse un libro in cui ha una conversazione rispettosa e pacata con un rabbino ebreo di nome Trifone.
A partire dal III e IV secolo, inclusi alcuni tra i più importanti Padri e Dottori della Chiesa, si diffuse l'idea che gli ebrei si sarebbero resi indegni della vita eterna non solo non riconoscendo in Gesù il Messia, il Figlio di Dio, ma anche per averlo ucciso brutalmente in croce.
Nel Nuovo Testamento si possono trovare molti riferimenti antiebraici che, secondo l'interpretazione cristiana moderna, riflettevano lo "sforzo generale dei Cristiani di diminuire il coinvolgimento dei Romani nella morte di Gesù e di accrescere quello dei Giudei"[Nota 2], come ad esempio Marco14,55[7][Nota 3], Luca23,25[8][Nota 4], oppure negli Atti degli Apostoli[Nota 5], o nelle lettere di Paolo[Nota 6].
I primi cristiani e i Padri e Dottori della Chiesa usarono il Nuovo Testamento in maniera antiebraica. Ad esempio, in merito all'assunzione di responsabilità della morte di Gesù da parte degli Ebrei, uno dei passi più noti - pur giudicato da biblisti moderni non storico[Nota 7] - è Matteo27,25[9]: "E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli»", contenuto nel solo Vangelo secondo Matteo dopo la condanna a morte di Gesù da parte di Pilato; "mentre l'intero Nuovo Testamento è stato mal usato in maniera antiebraica, questo testo [...] ha avuto un ruolo speciale. È stato trattato come se fosse una auto maledizione con la quale la gente ebraica attirò su sé stessa il sangue di Gesù per tutti i tempi successivi.[Nota 8] [...] Questa è una di quelle frasi che sono state responsabili per oceani di sangue umano e un incessante flusso di miseria e desolazione" e "Origene andò drasticamente aldilà del giudizio di Matteo quando nel 240 d.C. egli scrisse: «per questa ragione il sangue di Gesù ricade non solo su quelli che vissero al momento ma anche su tutte le generazioni di Giudei che seguirono, fino alla fine dei tempi». Sfortunatamente egli fu seguito nella sua valutazione da alcuni dei più grandi nomi della Cristianità" e ad esempio "Sant'Agostino, Giovanni Crisostomo, Tommaso d'Aquino, Lutero, etc, sono citati come sostenitori, con preoccupante ferocia, del diritto e anche del dovere dei Cristiani di disprezzare, odiare e punire gli Ebrei"[10].
San Giovanni Crisostomo scrisse 8 omelie contro gli ebrei (fine IV secolo): in esse accusa gli ebrei di aver respinto i doni fatti loro dal Signore; di essere stati la causa della morte di Gesù; di essere pieni di vizi e immorali (“La sinagoga è divenuta caverna di briganti e rifugio per le bestie selvatiche”; “vivono per il ventre”; sanno fare solo questo, ingozzarsi e macchiarsi…)
Secondo sant'Agostino sussiste un fondamento teologico all'antigiudaismo. Secondo lui, Dio avrebbe agito con gli ebrei come con Caino: questi pur essendo colpevoli della morte di Gesù Cristo, dovrebbero continuare a rimanere in vita come punizione per il male commesso. Sempre secondo lui, come Esaù hanno perso la primogenitura a favore di Giacobbe-cristiani: “Gli ebrei sono stati dispersi fra tutte le nazioni a testimonianza della loro malvagità e della verità della nostra fede… Di loro è stato detto: ‘non ucciderli’, cosicché la stirpe ebraica resti in vita e dalla sua persistenza tragga incremento la moltitudine cristiana”. Questa sarà la posizione tradizionale cattolica nei confronti dell'Ebraismo, ribadita ancora dall'Enciclica di Pio XI, mai pubblicata a causa della sua morte, l'Humani generis unitas.[senzafonte]
Lungo i secoli (dal XII secolo) a queste motivazioni strettamente religiose alcuni cristiani hanno aggiunto altre accuse di natura morale, sociale ed economica (tra le altre, accuse mai provate di omicidio rituale)[11].
Le principali misure antigiudaiche furono prese con il riconoscimento della religione cristiana come religione prima ufficiale, e poi unica, dell'impero romano (IV secolo). Da questo momento la legislazione imperiale segue una duplice preoccupazione: imporre all'ebraismo oneri e discriminazioni. Cfr. la legge di Teodosio II del gennaio 438: «A nessuno dei giudei, cui sono interdette tutte le amministrazioni e dignità, concediamo nemmeno di esercitare l'ufficio di difensore di un comune, né di avere l'onore di padre».
Le cose cambiano sostanzialmente dall'XI secolo. Riassumendo possiamo distinguere queste fasi dal punto di vista cronologico:
le Crociate, spesso accompagnate da veri e propri massacri di ebrei, furono il motivo scatenante l’antisemitismo cristiano vero e proprio[12][13][14][15]; il Concilio Lateranense IV (1215), che per primo codificò alcune misure nei confronti degli ebrei:
dovevano portare abiti che li distinguessero dai cristiani
non potevano comparire in pubblico durante il Triduo pasquale
erano esclusi da qualunque ufficio pubblico che comportasse un'autorità sui cristiani
era loro vietato esigere interessi troppo elevati sui prestiti
l'espulsione degli ebrei dalla Spagna (1492): unita politicamente la Spagna, Isabella volle darle anche un'unità religiosa. Tutti gli ebrei (e più tardi i musulmani) dovevano o convertirsi al cristianesimo o espatriare: 50.000 circa si “convertirono” al cristianesimo (forzato e per lo più solo di facciata), 200.000 lasciarono tutto ed espatriarono (e molti, ironia della sorte, trovarono rifugio a Roma)
le “bolle infami” del 1555 (Cum nimis absurdum), 1569 e 1593, redatte dai papi Paolo IV, Pio V e Clemente VIII, nelle quali furono prese misure rigide nei confronti degli ebrei romani, che resteranno fino all'Ottocento:
dovevano portare un segno distintivo sull'abito (obbligo ripreso secoli dopo dal nazismo)
dovevano abitare nel ghetto, luogo chiuso e recintato, con un portiere cristiano pagato dagli ebrei
dovevano chiedere un permesso per muoversi all'interno dello Stato
non potevano possedere immobili; la loro abitazione era solo in affitto il cui canone era a volte bloccato (jus gazagà)
non potevano iscriversi alle università e dunque laurearsi
non potevano esercitare nessuna professione “liberale” (medicina, giurisprudenza…) se non il piccolo commercio (rivendita di stracci vecchi)
ogni settimana un terzo della popolazione ebraica, a turno, doveva ascoltare una predica cristiana fatta in una chiesa fuori del ghetto.
Con i governi illuminati del Settecento, con la Rivoluzione francese ed infine con i governi liberali dell'Ottocento, ci fu un movimento di riabilitazione, di parificazione e di emancipazione ebraica. Persistono comunque nel Settecento, Ottocento e Novecento opposizioni cattoliche all'emancipazione ebraica.
In occasione delle leggi razziali fasciste del 1938 la costante preoccupazione del Vaticano fu quella di ottenere dal governo la modifica degli articoli che potevano ledere le prerogative della Chiesa sul piano giuridico-concordatario soprattutto per quanto riguardava gli ebrei convertiti.[16]
Secondo lo storico Renzo De Felice, se la Santa Sede non approvò mai un razzismo di stampo puramente materialistico e biologico, «al tempo stesso non era contraria ad una moderata azione antisemita, estrinsecantesi sul piano delle minorazioni civili.»[17]
Di notevole importanza l'intervento di Pio XI (mai riportato dall'Osservatore Romano e da Civiltà Cattolica, per paura della censura fascista, ma pubblicato, per espressa volontà di Pio XI, sui giornali belgi) il 6 settembre 1938 durante un'udienza: “Attraverso il Cristo e nel Cristo, noi siamo la discendenza spirituale di Abramo. L'antisemitismo è inammissibile. Spiritualmente, siamo tutti semiti”[18]. Lo stesso Mussolini, nel discorso di Trieste del settembre del '38, accusò il Papa di difendere gli ebrei (il famoso passaggio "da troppe Cattedre li difendono")[19] e minacciò provvedimenti più severi a loro danno se i cattolici avessero insistito[20]. Nel 1939 Pio XI morì mentre era in redazione l'enciclica Humani generis unitas, dove era ben ribadita la condanna all'antisemitismo.[21] Nell'agosto del 1943, il gesuita Pietro Tacchi Venturi, che aveva svolto l'incarico informale di tenere i contatti tra il Vaticano e Mussolini, suggerì al cardinale Segretario di StatoLuigi Maglione di proporre al nuovo governo Badoglio il mantenimento parziale delle leggi razziali.[22]. Ma Maglione non diede seguito alla proposta.
Nel 1943, allorché era evidente che l'unità dello Stato fascista era terminata, le principali gerarchie cattoliche presenti in Italia si mobilitarono per orientare le nuove scelte politiche e pastorali nella penisola. La questione delle leggi razziali fu affrontata direttamente dal Vaticano ad opera del cardinale Luigi Maglione e dal gesuita Pietro Tacchi Venturi. Come detto, quest'ultimo riteneva che le leggi razziali avrebbero dovute esser abolite solo per gli ebrei convertiti al cristianesimo, mentre si sarebbero dovute mantenere le restrizioni per coloro che appartenevano alla religione ebraica.[22]
Anche dopo il rastrellamento degli ebrei del ghetto di Roma il 16 ottobre 1943 il comportamento del Vaticano fu ambiguo, se da una parte vi furono proteste da parte di Maglione indirizzate all'ambasciatore tedesco presso il Vaticano, Ernst von Weizsäcker, che non diverranno però mai dichiarazioni pubbliche contro l'azione, dall'altra lo stesso Weizsäcker nella sua relazione al Ministro degli esteri tedesco di pochi giorni dopo, rassicurava il governo nazista sul fatto che "Il Papa benché sollecitato da diverse parti, non ha preso alcuna posizione contro la deportazione degli ebrei da Roma" e che "Egli ha fatto di tutto anche in questa situazione delicata per non compromettere il rapporto con il Governo tedesco e con le autorità tedesche a Roma. Dato che qui a Roma indubbiamente non saranno più effettuate azioni contro gli ebrei, si può ritenere che la questione spiacevole per il buon accordo Tedesco-Vaticano sia liquidata"[23]
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Una visione positiva del Cristianesimo nei confronti degli ebrei, cominciò nell'ambito del protestantesimo inglese e più precisamente nel pietismo e nel puritanesimo. John Owen, un pastore puritano, disse: «Inoltre è garantito che ci sarà un tempo e una stagione durante il regno del Messia in cui la nazione degli ebrei in tutto il mondo sarà chiamata e portata efficacemente alla conoscenza del messia nostro Signore Gesù Cristo e con misericordia riceveranno la liberazione e verranno ristabiliti nella loro terra natia». Questa posizione sionista venne accolta anche da John Wesley e George Whitefield nell'ambito del primo risveglio in America. Altri ministri evangelici mantennero un atteggiamento sionista fino al giorno d'oggi come ad esempio Charles Spurgeon, Dwight Moody, Charles Finney, Smith Wigglesworth, Martin Luther King, Kathryn Khulman, Billy Graham.
Smith Wigglesworth disse: «Non ho altro da dire sull'ebreo se non questo: che so di essere salvato dal sangue di un ebreo. Devo la mia Bibbia agli ebrei, poiché gli ebrei l'hanno tenuta per noi. Abbiamo un Salvatore che era ebreo. Il primo annuncio del Vangelo fu degli ebrei. So che devo tutto all'ebreo oggi, ma vedo che l'ebreo non avrà mai la chiave per sbloccare le Scritture finché non vedrà Gesù. Nel momento in cui lo farà vedrà questa verità che Gesù ha dato a Pietro: "E io ti dico anche che sei Pietro e su questa roccia edificherò la mia chiesa ... E ti darò le chiavi del regno dei cieli". (Matteo 16: 18,19) E ti darò la chiave della verità, la chiave per liberare. La chiave fu portata nel momento in cui Pietro vide il Signore. Nel momento in cui vedono Cristo, l'intera Scrittura è aperta all'ebreo. Sarà un grande giorno in cui gli ebrei vedranno il Signore. Lo vedranno!».
Il definitivo superamento dell'antigiudaismo cattolico avvenne con il Concilio Vaticano II e la dichiarazione Nostra Aetate, del 1965, che ribadì sia la primogenitura, sia l'elezione del popolo ebraico: «Quanto è stato commesso durante la Passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo...Gli Ebrei non devono essere presentati né come rigettati da Dio, né come maledetti, come se ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura».[24]
«Tenendo conto della complessità storica del processo di Gesù espressa nei racconti evangelici, e quale possa essere il peccato personale dei protagonisti del processo (Giuda, il Sinedrio, Pilato), che Dio solo conosce, non si può attribuirne la responsabilità all'insieme degli Ebrei di Gerusalemme, malgrado le grida di una folla manipolata e i rimproveri collettivi contenuti negli appelli alla conversione dopo la Pentecoste. Gesù stesso perdonando sulla croce e Pietro sul suo esempio, hanno riconosciuto l'«ignoranza» (3,17[25]) degli Ebrei di Gerusalemme ed anche dei loro capi. Ancor meno si può, a partire dal grido del popolo: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli» (27,25[26]) che è una formula di ratificazione, estendere la responsabilità agli altri Ebrei nel tempo e nello spazio»
«One of the most striking features of the study of Christianity's beginnings [...] has been the reassessment of Jesus' relationship with his native faith [...] and the increasing impact of the reassessment. It is, of course, part of a much larger reappraisal of the relationship between Christianity and Judaism, a central element of which has been a growing realization that Christian attitudes towards Judaism have been deeply tainted and indeed warped by centuries of misunderstanding and prejudice. Already before the Second World War individual voices had been raised in protest on the non-Jewish side. But the horror of the Holocaust forced a much wider circle of Christians to re-examine the nature and roots of anti-Semitism and to face up to the stark issue of whether [...] anti-Semitism is endemic to Christianity and rooted in its own sacred Scriptures.»
(Dunn, James D. G.Jesus, Paul and the Law: Studies in Mark and Galatians, pp. 61-88, Louisville, Westminster/John Knox 1990, ISBN 0-664-25095-5.)
Come osservano gli esegeti del cattolico "Nuovo Grande Commentario Biblico". E il teologo e sacerdote cattolico Raymond Brown precisa anche che "indubbiamente il contesto nel quale ogni evangelista scrisse e la quantità di conflitti sperimentati con le sinagoghe da lui o dalla sua comunità Cristiana hanno influenzato la sua presentazione [degli eventi evangelici]". (Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 817, ISBN 88-399-0054-3; Raymond E. Brown, The Death of the Messiah, Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 387, ISBN 978-0-300-14009-5.).
"Intanto i capi dei sacerdoti e tutto il Sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano"; in tale verso, come osservano gli studiosi del "Nuovo Grande Commentario Biblico", per aumentare la responsabilità ebraica rispetto a quella di Pilato, "Marco sta presentando l'udienza come un vero e proprio processo davanti a tutto il Sinedrio". (Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 817, ISBN 88-399-0054-3.).
Nel Vangelo secondo Luca - in merito al verso Lc 23,25, su laparola.net.: "Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà" - gli studiosi dell'interconfessionale "Parola del Signore Commentata" rilevano che "in modo ancora più forte di Matteo, Luca giudica i Romani liberi dalla «colpa» della morte di Gesù. Luca tace addirittura il fatto che sia stato Pilato a pronunziare la sentenza di morte. L'unico fatto che egli ci riferisce è che il governatore lasciò che fossero gli abitanti di Gerusalemme a decidere sulla sorte di Gesù". (Parola del Signore Commentata, traduzione interconfessionale, Nuovo Testamento, LDC/ABU, 1981, p. 267.).
Osserva Raymond Brown che "non ci possono essere dubbi che una serie di passaggi degli Atti degli Apostoli inaspriscono la visione del coinvolgimento giudaico nella morte di Gesù [e] andando oltre all'idea della condanna di Gesù, alcuni di questi brani presentano gli stessi Ebrei come coloro che lo uccisero", come ad esempio i passi At 2,23, su laparola.net.; At 2,36, su laparola.net.; At 3,13-17, su laparola.net.; At 4,10, su laparola.net.; At 4,25-28, su laparola.net.; At 5,30, su laparola.net.; At 7,52, su laparola.net.; At 10,39, su laparola.net.; At 13,27-29, su laparola.net.. (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 390, ISBN 978-0-300-14009-5.).
Dove, ad esempio, si sottolinea come "Cristo crocifisso fu considerato essere un ostacolo per gli Ebrei ( 1Corinti1,23, su laparola.net.), il rifiuto di Cristo un più grande ostacolo per Israele ( Rm 9-11, su laparola.net.)". (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah, Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 391, ISBN 978-0-300-14009-5.). Inoltre, nella Prima lettera ai Tessalonicesi - che, scritta attorno al 50 d.C., è il più antico documento neotestamentario esistente - con "forte tono antisemitico [...] Paolo enumera una serie di accuse contro i Giudei: l'uccisione di Gesù e dei profeti, la persecuzione contro Paolo e i suoi collaboratori, la disubbidienza verso Dio, l'inimicizia nei confronti degli uomini, il porre impedimenti al vangelo perché non raggiunga i pagani laddove possa servire alla loro salvezza", come osservato dagli esegeti del cattolico "Nuovo Grande Commentario Biblico" in merito al verso 1Tes 2,13-16, su laparola.net., precisando anche come "questo è l'unico passo negli scritti di Paolo dove la responsabilità della morte di Gesù è addossata ai Giudei"; pur essendo la Prima lettera ai Tessalonicesi tra le sette lettere di Paolo ritenute genuine, questo verso, che oggi "molti studiosi giudicano inautentico", è considerato un'interpolazione cristiana successiva in chiave antiebraica. (Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, pp. 1010-1014, ISBN 88-399-0054-3.).
Il biblista Mauro Pesce precisa che tale frase "com'è noto [...] non è storica: proietta all'indietro le polemiche tra i Giudei e i seguaci di Gesù della fine del I secolo". Analogo parere di Raymond Brown che ritiene che "questo episodio rappresenti una composizione di Matteo sulla base di una tradizione popolare riflettente sul tema del sangue innocente di Gesù e della responsabilità da esso creato. È della stessa derivazione e formazione degli episodi di Giuda e della moglie di Pilato. (Infatti io sospetto che la tradizione dietro alla storia dei Magi arrivi dagli stessi circoli giudaico cristiani)". Anche lo storico Aldo Schiavone sottolinea per tale episodio matteano, così come per gli altri contenuti antiebraici introdotti dall'evangelista nel processo di fronte a Pilato, che "non si può credere a una sola parola di questo racconto". (Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù, Rizzoli, 2014, p. 122, ISBN 978-88-17-07429-2; Raymond E. Brown, The Death of the Messiah, Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 833, ISBN 978-0-300-14009-5; Aldo Schiavone, Ponzio Pilato. Un enigma tra storia e memoria, Einaudi, 2016, ISBN 978-88-062-2836-1; Ma Pilato non si lavò le mani, archiviato .).
Il teologo John Dominic Crossan, ex sacerdote cattolico e tra i cofondatori del Jesus Seminar, sottolinea che "questa reiterata giustapposizione tra gli ebrei che domandano la crocifissione di Gesù e le dichiarazioni romane sull'innocenza di Gesù stesso non è profezia e neanche è storia. È propaganda Cristiana" e "alla luce del successivo antigiudaismo Cristiano e alfine dell'antisemitismo genocida, non è più possibile in retrospettiva pensare che questa finzione della passione fosse una propaganda relativamente benigna. Per quanto spiegabili le sue origini, difendibili le sue invettive e comprensibili i suoi motivi tra i Cristiani che lottavano per la sopravvivenza, la sua ripetizione è adesso diventata la più duratura menzogna e, per la nostra integrità, noi Cristiani dobbiamo alla fine definirla in tal modo", inoltre "una volta che l'Impero Romano divenne Cristiano questa finzione diventò letale" e "una volta che è l'Impero Romano divenne Cristiano, tutti gli altri furono in pericolo, Ebrei naturalmente ma anche pagani e anche Cristiani dissidenti". Inoltre, il biblista cattolico tedesco Josef Blinzler riconosce: "la storia della passione di Gesù si è realmente trasformata nella storia della sofferenza degli Ebrei; la strada del Signore verso la croce è diventata una via dolorosa della gente ebraica attraverso i secoli". Anche il teologo cattolico Hans Küng osserva in merito: "L’antisemitismo razzista, che con l’Olocausto raggiunse il suo vertice terroristico, non sarebbe stato possibile senza la quasi bimillenaria preistoria dell’antigiudaismo della Chiesa cristiana". (John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 152, 157-159, 218-219, ISBN 978-0-06-061480-5; Josef Blinzler, The trial of Jesus, Newman Press, 1959, p. 8; Raymond E. Brown, The Death of the Messiah, Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 385, ISBN 978-0-300-14009-5; Corrado Augias, I segreti del Vaticano, Mondadori, 2010, p. 271, ISBN 978-88-04-64615-0.).
«L'antigiudaismo, nato sin dall'epoca evangelica e presente in qualche misura anche nel pensiero di San Paolo e Sant'Agostino, rimane un elemento presente nella cultura cristiana anche nei secoli successivi, quando l'ebraismo, pur non venendo considerato come un'eresia, è attaccato come dottrina sia tramite l'opera di proselitismo di domenicani e francescani sia sul piano teologico ed esegetico [...].»
(Motta, G. Le minoranze del XX secolo. Dallo Stato nazionale all'integrazione europea, p. 100, Milano, Franco Angeli Editore, 2006, ISBN 978-8-84-648129-0.)
Come osserva Raymond Brown. (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah, Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 7, 383-397, 831-832, ISBN 978-0-300-14009-5. Cfr anche: John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 152, 157-159, 218-219, IX-XII, ISBN 978-0-06-061480-5; Josef Blinzler, The trial of Jesus, Newman Press, 1959, p. 8.).
Saverio Gentile, La legalità del male: L'offensiva mussoliniana contro gli ebrei nella prospettiva storico-giuridica (1938-1945), G. Giappichelli Editore, 2013, p. 118.
Mt 27,25, su La Parola - La Sacra Bibbia in italiano in Internet.
Il presente articolo è tratto principalmente da:
Giacomo Martina, La Chiesa nell'età dell'assolutismo, Brescia, 1989, pp.89–103
Altre opere fondamentali per la storia dell'Antisemitismo:
Fadiey Lovsky, Antisémitisme et mystère d'Israel, Paris, 1955.
Attilio Milano, Storia degli Ebrei in Italia, Torino, 1963.
Marcel Simon, Verus Israel. Etude sur les relations entre Chrétiens et Juifs dans l'Empire romain (135-425), Paris, 1964.
Enrico Palumbo, Cultura cattolica, ebraismo e Israele in Italia. Gli anni del Concilio e post-Concilio, Brescia, Morcelliana, 2020. ISBN 978-88-372-3344-0
Léon Poliakov, Storia dell'antisemitismo, Firenze, 1973.