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vino DOCG emiliani e romagnoli Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il Colli Bolognesi Classico Pignoletto è un vino a DOCG[1] prodotto in Emilia-Romagna
Colli Bolognesi Classico Pignoletto | |
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Dettagli | |
Stato | Italia |
Regione | Emilia-Romagna |
Resa (uva/ettaro) | 9,0 t/ha |
Resa massima dell'uva | 65% |
Titolo alcolometrico naturale dell'uva | 12,0% |
Titolo alcolometrico minimo del vino | 12,0% |
Estratto secco netto minimo | 16,0 g/l |
Riconoscimento | |
Tipo | DOCG |
Istituito con decreto del | 30/11/2011 |
Gazzetta Ufficiale del | nº 295 del 20 dicembre 2011 |
Vitigni con cui è consentito produrlo | |
| |
MiPAAF - Disciplinari di produzione vini[1] |
Comprende l'intero territorio dei comuni di Monte San Pietro e Monteveglio della provincia di Bologna e parte del territorio dei comuni di Sasso Marconi, Casalecchio di Reno, Zola Predosa, Crespellano, Bazzano, Castello di Serravalle della provincia di Bologna e Savignano sul Panaro della provincia di Modena.
Sono da considerarsi inadatti i vigneti situati in terreni molto umidi a fondo valle.
I nuovi impianti ed i reimpianti dovranno avere una densità non inferiore ai 3 000 ceppi/ettaro.
Sono consentite solo forme di allevamento a spalliera.
È vietata ogni pratica di forzatura, ma consentita l'irrigazione di soccorso.
Tutte le operazioni di vinificazione e imbottigliamento debbono essere effettuate nella zona DOCG.
Richiede un invecchiamento fino al 1º aprile dell'anno successivo alla vendemmia.
L'area geografica della DOCG include la zona pedecollinare e di media collina compresa tra la vallata del Samoggia e l'ampia vallata del fiume Reno e da quelle minori dei torrenti Lavino e Idice. Tutti questi corsi d'acqua hanno andamento perpendicolare all'asse appenninico e delimitano rilievi interfluviali dal profilo più o meno accentuato a seconda dei materiali geologici che attraversano. L'area è interessata dai seguenti principali paesaggi geologici:[1]
Contrafforti e Rupi, Comprende rocce di età diversa che danno luogo ad un paesaggio segnato da rilievi, frequentemente di forma tabulare o di rupe, bordati da ripidi versanti e da pareti rocciose (contrafforti). Queste forme derivano dalla scarsa erodibilità delle rocce che compongono l'unità. Si tratta di arenarie stratificate, con subordinate marne e conglomerati. Le rocce su cui si modellano questi paesaggi sono sia le arenarie plioceniche sia le arenarie epiliguri. Si tratta di corpi rocciosi stratificati. I versanti sono generalmente acclivi e boscati. Questo paesaggio è particolarmente esteso nella parte centrale (tra Lavino e Reno) e sud-orientale dell'area.[1]
I Colli con Frane e Calanchi Questo paesaggio è caratterizzato da notevole complessità geologica e morfologica, che gli conferisce un aspetto composito e segnato da forti contrasti. A morbidi versanti, scarsamente acclivi e spesso coltivati, si susseguono incisioni calanchive. Ma l'aspetto che maggiormente caratterizza questo paesaggio è la diffusa presenza di fenomeni di dissesto franoso. Nei versanti e sul fondovalle il substrato è prevalentemente formato dalle cosiddette "Argille Scagliose": un complesso a struttura caotica in cui la matrice argillosa ingloba masse più o meno grandi di rocce calcaree, arenacee, marnose o stratificate. Frequentemente in posizione sommitale su questi versanti irregolari e con pendenze non eccessive, si ritrovano complessi rocciosi che, per la loro maggiore resistenza all'erosione, hanno pendenze più elevate e sono prevalentemente boscati. Questo paesaggio è presente esclusivamente nella parte sud-occidentale dell'area (in sinistra Lavino).[1]
I Primi Colli Lungo il margine pedeappenninico si estende questa unità dove il paesaggio collinare si raccorda alla pianura con estrema gradualità. Il paesaggio è caratterizzato da una morfologia dolce, articolata in lunghi ripiani declinanti verso valle dove sono conservati antichi paleosuoli. Locali erosioni del reticolo idrografico minore formano valli scarsamente approfondite separate da crinali dalle ampie sommità dove affiorano le "sabbie gialle". Le rocce che compongono questa unità sono le formazioni delle Argille Azzurre e delle Sabbie Gialle (Pliocene – Pleistocene). Questo paesaggio è presente prevalentemente nella parte nord-occidentale dell'area (in sinistra Reno).[1]
Piana dei Fiumi Appenninici Comprende i fondivalle e gli sbocchi di fiumi e torrenti al margine. Il paesaggio deve le sue caratteristiche alla dinamica dei corsi d'acqua appenninici, i quali nel loro corso intravallivo hanno formato ridotti depositi nastriformi, e depositato allo sbocco in il loro carico più grossolano, formando corpi sedimentari noti come conoidi alluvionali. I suoli sono prevalentemente poco evoluti, spesso costituiti da materiali grossolani, secondo un gradiente deposizionale trasversale all'asse del corso d'acqua. Talvolta lungo i fondivalle e lungo il margine appenninico si riconoscono, in forma di terrazzi più o meno ampi, lembi residuali di antichi livelli di piane alluvionali, su cui si rinvengono suoli molto sviluppati ed evoluti (paleosuoli), simili a quelli già descritti nel paesaggio precedente.[1]
All'ampia variabilità geomorfologica, ovvero di substrati e di forme del paesaggio, corrisponde un'altrettanto elevata variabilità pedologica, sia in termini di caratteri funzionali (tessitura, scheletro, profondità) che di livello evolutivo.[1]
La coltivazione della vite è diffusa in maniera preponderante a quote inferiori ai 300 m s.l.m.., in sinistra Reno su suoli a tessitura fine, con contenuto in calcare variabile e su suoli a tessitura moderatamente fine, con elevata componente limosa e molto calcarei. I suoli a tessitura fine si rinvengono sia nei versanti generalmente dissestati su Argille Scagliose, sia nei primi rilievi collinari su Argille Azzurre Plio-pleistoceniche, sia sulle paleosuperfici subpianeggianti che corrispondono agli antichi conoidi alluvionali. I suoli a tessitura moderatamente fine, con elevata componente limosa e molto calcarei, si ritrovano sulle facies siltose dei litotipi presenti nel paesaggio dei Colli con frane e calanchi e in quello dei Primi colli.[1]
Dal punto di vista climatologico, con riferimento al trentennio 1961-1990 (riferimento climatico di base secondo le convenzioni dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale), l'area è caratterizzata da una piovosità media annua che va da 800 mm nell'alta pianura a 1 200 mm nelle zone collinari più elevate e da temperature medie comprese, con inverso gradiente rispetto alle precipitazioni tra 14 °C e 12 °C. Nella bassa collina il bilancio idrico climatologico (differenza tra precipitazioni ed evapotraspirazione potenziale annue) evidenzia la presenza di un moderato deficit idrico (fino a 350 mm di deficit annuo) che può essere considerato un fattore positivo per la qualità delle produzioni vitivinicole, in quanto un certo stress idrico estivo favorisce nelle uve in maturazione la concentrazione degli zuccheri e la sintesi di componenti aromatici. Sopra la quota di circa 400 m s.l.m. il bilancio idrico climatologico evidenzia invece la presenza di un surplus idrico anche elevato (fino a 800 mm annui).[1]
Le sommatorie termiche, calcolate con soglia 0 °C, vanno dai 4 500 ai 4 900 gradi giorno nella bassa collina. Sono inferiori a 500 gradi giorno sopra la quota di circa 400 m s.l.m.m. L'Indice di Winkler assume nella zona valori massimi di circa 2 100 nelle zone a quote meno elevate. La disponibilità termica, almeno nella fascia sotto i 400 m s.l.m., è ottimale, per la crescita e la maturazione di un'ampia gamma di vitigni. In Emilia-Romagna per il periodo 2030-2050 si prevedono temperature più elevate, precipitazioni più concentrate ed un aumento dell'intensità e durata degli episodi estremi di caldo e siccità.[1]
Quando i romani, circa due secoli prima della nascita di Cristo, sottomisero ed unificarono sotto il segno della lupa i territori abitati dalle tribù dei Galli Boi, avevano probabilmente mille motivi per farlo, non esclusi quelli legati alle ricchezze agricole di tali zone. I filari di vite erano maritati ad alberi vivi, secondo l'uso introdotto dagli etruschi e sviluppato successivamente dai galli. Tale metodo infatti, lo si chiama arbustum gallicum, particolarmente adatto non solo alle terre basse ed umide della pianura, ma soprattutto si era incrementato notevolmente sulla zona collinare. È accertato che da tali terreni, soprattutto quelli collinari posti a sud di Bononia, i nostri antenati latini producessero vini che li appassionarono moltissimo. Le terre dell'agro bononiense erano coltivate dai veterani di tante campagne militari in tutto il mondo allora conosciuto, per cui la bevanda bacchica era palesemente bevuta, gustata ed apprezzata.[1]
Plinio il Vecchio - I secolo d.C. - nel capitolo "Ego sum pinus laeto" tratto dalla monumentale opera di agronomia "Naturalis historia", enuncia che in "apicis collibus bononiensis" vi si produceva un vino frizzante ed albano, cioè biondo, molto particolare ma non abbastanza dolce per essere piacevole e quindi non apprezzato, poiché è risaputo che durante l'epoca imperiale era gradito il vino dolcissimo, speziato ed aromatizzato con innumerevoli essenze, inoltre, sempre molto "maturo" in quanto i vini giovani non erano in grado di soddisfare i pretenziosi palati della nobiltà. Erano trascorsi poco meno di tre secoli dalla conquista romana - 179 a.C. - che il vino era radicalmente mutato, ma non le qualità e caratteristiche uniche di tale nettare. Riprendendo il cammino alla ricerca di tracce che ci possano condurre ai vini che oggi degustiamo, ci imbattiamo nelle biografie dell'operosità di tali monaci-agresti che sono giunte fino ai giorni nostri, in cui si menzionano i notevoli impulsi dati per lo sviluppo della vite. Si sparsero in tutte le regioni italiane e nel migrare verificarono che sulle colline bolognesi si produceva un buon vinello dorato e mordace, appunto frizzante. OMNIA ALLA VINA IN BONITATE EXCEDIR - decisamente ".. un vino superiore per bontà a tutti gli altri" e bevuto non solo durante le pratiche liturgiche, ma anche con gioia alla tavola del nobile e del volgo, ottenuto da uve conosciute ed apprezzate come "pignole". I secoli che da allora sono trascorsi per giungere fino ai giorni nostri, sono stati indiscussi testimoni di innumerevoli fatti e citazioni riguardanti i vini delle nostre splendide colline bolognesi.[1]
Nel 1300, Pier de' Crescenzi, nel più importante trattato di agronomia medievale "Ruralium commordorum - libro XII" descriveva le caratteristiche organolettiche del "pignoletto" che si beveva allora, in quanto il vino, oltre che maggiormente prodotto, era quello più gradito per piacevolezza e per la vivace e dorata spuma. Agostino Gallo ne "Le venti giornate dell'agricoltura" del 1567, sollecitava di piantare le uve pignole in quanto per la notevole produzione, permetteva un florido commercio perché sempre ricercate. Medico e botanico di Papa Sisto V, il Bacci, nel personale trattato del 1596 "De naturalis vinarium istoria de vitis italiane", asseriva le ".rare et optime..." qualità intrinseche dell'uva pignola. Così pure Soderini, noto agronomo fiorentino, sempre in quegli anni, ne confermava le caratteristiche. Trinci - 1726 - pone in evidenzia le caratteristiche di tale vitigno: l'odierno pignoletto si riscontra nella sua quasi totalità di tali affermazioni, per non dire che sono le medesime. Ulteriori conferme sono riportate nel "Bullettino Ampelograficho" del 1881, in cui è nominata l'uva pignola prodotta nelle colline poste a sud dell'urbe di Bologna, la cui assomiglianza con l'attuale produzione è stupefacente, e non lascia più adito a dubbi di sorta. Lo statuto di Bologna del 1250 ordina la costruzione della "Strada dei vini" per trasportare con sicurezza verso Bologna i vini ottenuti nelle colline a sud della città. A partire dal 1250 risalgono i primi estimi del comprensorio vitivinicolo. .[1]
Precedentemente all'attuale disciplinare questa DOCG era stata: Approvata come tipologia della DOC "Colli Bolognesi"con DM 04.08.1997 Approvato DOCG con DM 08.11.2010 (G.U. 278 - 27.11.2010) Modificato con DM 30.11.2011 (Pubblicato sul sito ufficiale del Mipaaf Sezione Qualità e Sicurezza Vini DOP e IGP)[1]
Il disciplinare del 1975 (G.U. 02/05/1975 n. 318) prevedeva:
Ideale con antipasti all'italiana, primi a base di carne, carni bianche e pesce[senza fonte].
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