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categoria grammaticale Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
In linguistica, il caso è una categoria grammaticale[1] che consiste nella modificazione di un nome a seconda della sua funzione logica (soggetto, complemento diretto, complemento indiretto, ecc.).
In alcune lingue, sia moderne sia antiche, ogni parola assume forme diverse a seconda della funzione svolta nella frase. In italiano, la declinazione secondo il caso è ormai decaduta per quanto riguarda nomi e aggettivi. Tali parole assumono sempre la stessa forma per qualunque funzione assolta nel periodo (soggetto, complemento). Ad esempio, in italiano, la parola cane è sempre la stessa in ogni ambito della frase: il cane azzannò la pecora, ho dato da mangiare al cane, la cuccia del cane ecc. D'altra parte, i pronomi personali (Io, tu, egli, ella, essi) assumono una forma diversa a seconda del ruolo svolto: io mangio, ma il coccodrillo mangia me: essi, infatti, sono l'ultimo retaggio delle declinazioni latine.
La funzione logica dei casi può essere svolta anche da una preposizione, come ad esempio accade in italiano, o da una posposizione, come accade nel giapponese. Quindi mentre in latino si dice ad esempio lib-er, libr-i, libr-o, in italiano abbiamo il libr-o, del libr-o, al libr-o. I due meccanismi (casi e pre/posposizioni) solitamente coesistono nella stessa lingua (es. latino ad urbem, costituito dalla preposizione ad e dall'accusativo urbem).
I grammatici greci riconobbero e codificarono la nozione di caso: la parola greca che indica il caso, πτῶσις ptṑsis, deriva dal verbo πίπτω pìptō, "cadere", perché secondo la loro sensibilità le parole flesse "cadevano" (cioè "arrivavano" all'ascoltatore) ora in un modo, ora in un altro, a seconda dei vari casi in cui potevano presentarsi. Il termine stesso rivela la consapevolezza che si trattasse di una nozione sofisticata ed astratta. La nozione era già ampiamente conosciuta e trattata nei temi di Aristotele ma venne poi raffinata dagli stoici e in generale dai grammatici del periodo ellenistico.
Nelle lingue che presentano una certa ricchezza flessionale, l'ordine delle parole è più libero, perché il caso è espresso dalla morfologia e non obbligatoriamente dall'ordine delle parole, a cui possono essere affidati altri compiti quali la manifestazione della struttura comunicativa dell'enunciato: ad esempio, la frase latina Petrus Paulum salutat è equivalente a Paulum Petrus salutat per quanto riguarda le relazioni morfo-sintattiche espresse, ma diverso è l'apporto comunicativo: infatti nel primo enunciato il rema è costituito da "Paulum salutat", mentre nel secondo da "Petrus salutat".
La posizione delle parole nella frase è invece fondamentale per lingue che non manifestano morfologicamente il caso, come ad esempio l'italiano o le altre lingue europee; infatti in lingue SVO come queste è necessario, tranne casi particolari, utilizzare la costruzione soggetto + predicato + complemento oggetto + complementi indiretti perché l'inversione di una di queste parti del discorso potrebbe modificare il significato dell'enunciato.
Esempio: Laura ha invitato Francesco al cinema. Non si può invertire il soggetto (Laura) con il complemento oggetto (Francesco), altrimenti sarebbe inteso che è Francesco che ha invitato Laura al cinema.
Nell'inglese la costruzione della frase è ancora più rigida che in italiano: per compensare questa rigidità sintattica e segnalare il rema dell'enunciato l'inglese può ricorrere all'accento, alla diatesi passiva, alle frasi scisse, ecc.
L'antico proto-indoeuropeo ricostruito comprendeva per la flessione nominale otto casi: il nominativo, il genitivo, il dativo, l'accusativo, il vocativo, l'ablativo, lo strumentale e il locativo. Il sanscrito e il lettone li conservano tutti.
Di quegli otto casi, il latino ne conserva sei, che sono di solito elencati in questo ordine:
Esistono poi alcune vestigia di un caso locativo: domi significa "in casa". Alcuni casi (accusativo, ablativo, in parte il genitivo) possono anche essere preceduti da una preposizione che cambia il loro significato.
Un esempio di declinazione latina è un nome maschile della II declinazione: lupus, -i
Ad esempio, la frase In silvam lupum misi significa Mandai il lupo nella foresta perché lupum nel contesto è accusativo singolare.
Come si può facilmente notare dall'esempio, la stessa parola, ad esempio lupis, può appartenere a più di un caso: sta quindi al lettore interpretarla opportunamente.
Degli otto casi dell'indoeuropeo, il greco antico ne conserva cinque, che sono di solito elencati in questo ordine:
Le funzioni dell'ablativo sono state assorbite dal genitivo e dal dativo, eventualmente accompagnati da preposizioni (es. ἐν + dativo → ἐν πάσαις ταῖς πόλεσιν → in tutte le città)
Un esempio di declinazione greca antica è un nome maschile della II declinazione: ἄνθρωπος, -ου
Il sumero, una lingua non indoeuropea, possedeva undici casi:[3] assolutivo, ergativo, genitivo, locativo, dativo, collettivo-strumentale (comitativo), ablativo, di luogo-direzionale (locativo-terminativo), comparativo (equativo), di motivo (causale)
L'italiano, come la maggior parte delle lingue romanze, nella sua evoluzione ha perso completamente l'uso dei casi, ma ne restano alcuni relitti nella flessione dei pronomi personali; si vedano ad esempio il nominativo, l'accusativo e il dativo nella prima persona singolare: io (N), me (A), mi (A e D)[4] o alla seconda persona singolare tu (N), te (A), ti (A e D) o ancora la terza egli/ella (N), lo-lui/la-lei (A), gli/le (D). Questo fenomeno appare anche per i pronomi relativi "che" (N e A), "cui" (D). Anche l'articolo determinativo, nella forma della preposizione articolata, può essere visto come una declinazione, sebbene non derivi da una declinazione precedente:
Maschile | Femminile | |
---|---|---|
Nominativo | il/lo | la |
Genitivo | del/dello | della |
Dativo | al/allo | alla |
Accusativo | il/lo | la |
Ablativo | dal/dallo | dalla |
Locativo | nel/nello | nella |
Strumentale | col/collo[5] | colla |
Il tedesco possiede quattro casi: nominativo, genitivo, dativo, accusativo. Le funzioni del vocativo sono svolte dal nominativo, quelle dell'ablativo generalmente dal dativo. Il genitivo viene usato anche con preposizioni come statt ("invece di"), trotz ("nonostante"), während ("durante") e wegen ("a causa di"). È possibile indicare possesso usando il caso genitivo o la costruzione von + dativo, ma nel parlato è più diffusa quest'ultima.
Il romeno possiede cinque casi: nominativo, genitivo, dativo, accusativo e vocativo. Le funzioni dell'ablativo sono generalmente svolte dal dativo.
L'inglese ha perso l'uso dei casi nella flessione del nome, se non il cosiddetto genitivo sassone, che è un possessivo che riflette un antico genitivo singolare, il caso accusativo per quanto riguarda i pronomi personali (pronomi complemento) e alcuni relitti come la declinazione del pronome interrogativo-indefinito who: whose (genitivo), whom (accusativo).
Nel greco moderno esistono solo quattro casi: nominativo, genitivo, accusativo e vocativo. Talvolta, in alcuni modi di dire o in alcune frasi fatte, sono presenti relitti di caso dativo.
Il polacco, lo sloveno, il ceco, lo slovacco, il russo, e in generale buona parte delle lingue slave hanno sei (o sette) casi. Fanno eccezione il bulgaro e il macedone che conservano solo tracce dei casi nei pronomi. Rispetto al latino mancano del vocativo (salvo il ceco, polacco, serbo-croato e ucraino), ma in compenso al posto dell'ablativo hanno altri due casi:
Le lingue baltiche conservano tutti i casi dell'indoeuropeo salvo l'ablativo. Il lettone presenta sincretismo: al singolare, lo strumentale è identico all'accusativo; al plurale al dativo.
Una peculiarità delle lingue appartenenti al gruppo ugrofinnico è quello di avere una grande quantità di casi.
Il finlandese ha 15 casi, e l'estone ne ha 14:
Nel finlandese i casi vengono impiegati oltre che per la declinazione nominale anche per la coniugazione verbale. Ad esempio il I infinito lungo, che indica finalità, è detto anche traslativo, proprio perché impiega il medesimo morfema utilizzato per la declinazione nominale.
Caso | Significato | Esempio | Lingue (Esempi) |
---|---|---|---|
Abessivo | mancanza di qualcosa | senza l'insegnante | finlandese |
Ablativo | allontanamento, provenienza | dall'insegnante | latino, sanscrito, finlandese, sumero |
Accusativo | oggetto diretto o direzione | l'insegnante (oggetto) | romeno, finlandese, tedesco, latino, greco, lingue slave, lituano, arabo, ungherese, lettone |
Adessivo | vicino a | vicino all'insegnante | finlandese, lituano (arcaico) |
Allativo o direttivo | moto verso luogo | verso l'insegnante | basco, finlandese, ungherese, lituano (arcaico), tibetano, sumero |
Assolutivo | soggetti di verbi intransitivi; oggetti di verbi transitivi | l'insegnante (soggetto o oggetto) | lingue ergative |
Causativo[6] | valore causale | - | sumero |
Comitativo | insieme a | con l'insegnante | basco, finlandese, estone, ungherese, tibetano, tamil, sumero |
Dativo | direzione o ricevente; oggetto indiretto | all'insegnante | romeno, tedesco, latino, greco, lingue slave, lituano, hindi, sumero, lettone |
Dedativo (rispettivo) | affinità | legato all'insegnante | quenya |
Delativo[6] | provenienza (usato solo con pochi pronomi solo al singolare) | da lì, da laggiù | |
Delimitativo (genitivo locale) | appartenenza locale | dell'insegnante, appartenente all'insegnante | basco |
Elativo | movimento verso l'esterno | fuori di casa | finlandese, estone, ungherese |
Ergativo | soggetto, che compie un'azione con un verbo transitivo | l'insegnante (costruisce una casa...) | basco, samoano, tibetano, inuktitut, sumero, georgiano. |
Essivo | caratterizzante una condizione | in qualità di insegnante | finlandese, egizio medio, estone |
Genitivo | possesso, rapporto | dell'insegnante | romeno, finlandese, tedesco, latino, greco, svedese, lingue slave, tibetano, sumero, lettone, estone |
Illativo | movimento verso l'interno | in casa | finlandese, lituano (lo stesso del locativo), estone |
Inessivo | dentro | in casa | basco, finlandese, estone, ungherese, lituano (lo stesso del locativo) |
Locativo | luogo | in casa | sanscrito, lettone, lingue slave, tibetano, lituano, sumero, latino arcaico |
Nominativo | soggetto | l'insegnante | tedesco, latino, greco, lingue slave, arabo, lituano, romeno, lettone |
Caso obliquo | in un determinato sistema, unico caso diverso da nominativo, accusativo, vocativo; collettivamente, tutti i casi diversi da nominativo, accusativo, vocativo | vari usi | zazaki, francese antico, arabo |
Oppositivo[6] | usato per descrivere la situazione di due cose identiche che si fronteggiano | faccia a faccia, fianco a fianco | finlandese |
Partitivo | quantità | un po' d'insegnanti | basco, finlandese |
Perlativo | moto lungo o attraverso qualche cosa | - | kuku-yalanji, tocario |
Possessivo | possesso | che appartiene all'insegnante | basco, quenya |
Pospositivo | caso davanti a posposizioni | insegnante + posposizione | hindi |
Prepositivo | caso dopo preposizioni | preposizione + insegnante | russo |
Prolativo (1) | movimento su superficie | per la casa | |
Prolativo (2)[6] | complemento di mezzo | via posta | |
Prolativo (3) | per o al posto di | per l'insegnante | basco |
Rispettivo (dedativo) | relazione | in relazione all'insegnante | quenya |
Situativo[6] | rapporto spaziale | l'uno dentro l'altro, l'uno contro l'altro | |
Strumentale o istruttivo | caratterizzazione dell'uso | con l'insegnante | sanscrito, basco, finlandese, ungherese, lingue slave, lettone |
Sublativo[6] | usato per descrivere il luogo verso cui qualcosa va (solo con i pronomi) | dove (pronome relativo), in/a molti posti | |
Superessivo[6] | Posizionamento | laggiù, in altro luogo | finlandese |
Tendenziale | direzione di un movimento | verso l'insegnante | basco |
Terminativo | fine di un movimento o di un periodo di tempo | fino all'insegnante | basco, estone, tibetano, sumero |
Translativo | cambio di condizione | (diventare) un insegnante | finlandese, ungherese |
Vocativo | appello | o insegnante! | latino, greco, sanscrito, lituano, croato, polacco, ceco, ucraino, romeno, lettone |
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