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storicamente, tipo di milizia privata Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il bravo era, in particolare nei secoli XVI e XVII, un uomo d'armi al soldo di gentiluomini e signori di campagna, dai quali era protetto: fungeva da guardia del corpo e svolgeva incarichi di fiducia dove era comune l'uso della violenza. In Italia la figura dei bravi è stata immortalata nelle pagine del romanzo di Alessandro Manzoni, I promessi sposi.
«Quattro cose deve avere un buon bravo, corpo disposto, mostaccio brutto, occhio di porco et braccio da beccaro.»
Probabilmente il termine "bravo" deriva dal latino pravus che significa «cattivo, malvagio».[2]
Nel significato di "sgherro" venne usato già nelle Rime burlesche di Francesco Berni (1497-1535).
«Non hebbe tanto cuore Hercole mai, / Ne quei che vanno in piazza à dare al Toro / Sbricchi, sgherri, barbon, bravi, sbisai»
«Voi che portate già spada et pugnale / stocco, daga, verduco et costolieri, / spadaccini, isviati, masnadieri, / sbravi, sgherri, barbon, gente bestiale»
Nella prima edizione del Vocabolario della Crusca (1612) "bravo" è indicato come sinonimo di "sgherro"; era invece chiamato "cagnotto" quando le sue violenze includevano anche l'assassinio.
«Assassino. [...] E cagnotto si dice a quello, che, prezzolato, serve per bravo. [...]
Sgherro. Brigante, che fa del bravo, che anche diremmo Tagliacantoni, Mangiaferro.»
Il significato poteva però variare perché i bravi erano accomunati ai "bulli" da Pietro Nelli nel 1547.
«Mangiano 'l pan senza durar fatica / e, i bravi, e i buli fanno star al segno / e ogni malfatta cosa han per nemica»
Inoltre in un trattato del 1551 i bravi, indicati come presenti in diversi luoghi d'Italia (Bologna, Milano, Napoli, Roma), erano descritti come violenti lenoni.
«Successe un secolo ne'l quale si fece grandissima professione di bravura. In tanto chel nome di braveria fu conosciuto forse più che in altra etade che si legga. Non era cittade alcuna in Italia la quale non si gloriasse de bravi suoi. Quel, che in questo tempo fu stimato vertude, posto in uso frequentissimo e da i regnanti principi approvato per consuetudine, il dì d'hoggi è stato ascritto a vitio, andato in desuetudine come abuso, e riprovato quale corrottela. Niuno era valoroso riputato et huomo d'honore, se non havea donne infami e dishoneste ne luochi diffamati a pubblico guadagno, con nome di palese ruffiano. Né era senza pericolo di perdere di riputatione colui che per qualche sua femina il giorno o la notte una volta a'l meno o ne pubblici steccati o privatamente non havesse fatto questione.[5]»
Dopo l'ultima grida milanese del settembre 1701, prevalse l'uso di sinonimi come "seguaci" e "famigliari".[6] Nel XVIII secolo il servirsi di bravi venne considerato socialmente riprovevole.[7]
A Milano nel 1742 si riteneva che ormai i bravi fossero scomparsi completamente.
«Ora che grazie a Dio, la infame e maledetta razza dei Bravi è proprio scomparsa e che furono impiccati per la gola gli ultimi superstiti della infame genia come il Casa Grande, il Tonetto suddito del marchese Spinola, il Serotti appellato il Gaiosino et gli altri malandrini [...] che si può propriamente tirare il fiato»
Anche Manzoni, nell'introdurre i personaggi come bravi ne I promessi sposi, indicava che ai suoi tempi la loro «specie» era «del tutto perduta» (cap. 1).
In letteratura si trova il "bravo" descritto nella prima metà del Cinquecento in modo irriverente come un personaggio minaccioso solo a parole, pronto a fuggire ogni possibile minaccia. Ce n'è un esempio nel Macaronicon (1517) di Teofilo Folengo (1491-1544).[9]
Hic aderat pueri stropiati forte fameius, | C'era il famiglio del giovane storpiato, | ||
Quem Lanzalottum reliqui dixere bravosi, | che gli altri bravi chiamavano Lancillotto, | ||
Quem Lanzagnoccum melius dixisse putarem. | ma che crederei meglio chiamare Lanzagnocco. | ||
Hic erat ex illis (animosos laudo guereros), | Era di quelli (lodo i valorosi guerrieri), | ||
5 | Qui semper spadas portant galone ficatas, | che portano sempre le spade al fianco | |
Et, cum tempus adest quod oportet desguainare | e che, quando viene il momento di sguainarla | ||
Ac menare manus, calcagnis fortiter obstant. | e menar le mani, mostrano coraggiosamente i calcagni. | ||
Gestant bretonos longo tremolante pinazzo, | Portano berretti con lungo tremolante pennacchio | ||
Milibus et stringhis illorum piga frapatur, | e con l'orlo listato da migliaia di cordicelle, | ||
10 | Quem semper portant super ochium more bravantis. | pennacchio che sempre portano sopra l'occhio come d'abitudine dei bravi. | |
Dextra super manicum spadae guantata repossat, | La destra guantata riposa sul manico della spada, | ||
Laeva tenet cappam, velut est usanza spagnola. | la sinistra tiene la cappa, secondo l'uso spagnolo. | ||
Introëunt isti bravi quandoque tavernam, | E quando questi bravi entrano in una taverna, | ||
Dum tricant coeloque levant rebibendo caraffas, | allora trincano e alzano al cielo le caraffe tornando a bere, | ||
15 | Omnia sfrantumant, spezzant, verbisque menazzant, | frantumano e spezzano tutto e minacciano a parole, | |
Hostibus atque suis iurant taiare colengum. | giurano di tagliare il collo a nemici e amici. | ||
Si tamen incontrant illos pro pignore, signant | Se però incontrano i creditori, | ||
Cantonem, finguntque nihil vidisse poianae. | scantonano e come poiane fingono di non aver visto. |
Ne La piazza universale (1585) di Tommaso Garzoni si distinguevano invece i "poltroni" che «solamente come galloni d'India s'arruffano, e dibattono le fauci, et il becco, ma non passano più oltre» dai veri bravi, dediti invece alla violenza.
«Per studio non hanno altro che 'l pensar d'uccider questi, e quelli: per scopo altro che 'l vendicare i torti del mondo, c'hanno sì à petto per favore, altro che servir gli amici con far macello degli inimici. Il pane, che si dà loro, t'arreca sangue, il vitto non t'apporta altro che morte: il fomento partorisce l'ultima ruina de' tuoi nemici; l'aiuto genera una piena vendetta di tutti i tuoi contrari. [...] Di questa sorte di bravi l'armigera Emilia ne partorisce copia grande, e dalla patria Furlana ancora se ne cava molta semente, benché Cremona, Vicenza, Brescia, e Verona, con molte altre città d'Italia contendono del pari in generar tal sorte di bravazzi, e spadacini, c'hanno il diavolo nel ciuffo, e nelle mani.»
Una caratteristica dei bravi frequentemente riportata nelle gride milanesi contro di loro è quella di tenere i capelli lunghi con un ciuffo ("zuffo") sopra la fronte che veniva fatto ricadere per nascondere il volto e non essere riconoscibili.
«Vedendo ogni dì più nella presente Città et Stato di Milano crescere il mal'uso et costume di quelli che portano i capelli tanto lunghi et fuori dell'ordinario consueto et politia, che non solo rende alla faccia di costoro in decoro et li fà tenere et reputare per huomini di mala sorte, ma a chi li vede mette nausea et fastidio, et maggiormente quelli che non solo gustano del suddetto inconveniente, ma di più lasciano venire essi capelli nella fronte o sia zuffo (come chiamano) così lunghi che rivolgendoli sopra la testa di giorno et ricoprendoli un poco la notte del tutto li lasciano cadere sopra la faccia a guisa di mascara per non esser conosciuti nelle sceleragini et misfatti che per loro si commettono, onde per conseguenza i delitti restano impuniti et la giustizia delusa»
Melchiorre Gioia (1767-1829), utilizzando documenti del Cinquecento e del Seicento e riassumendo il tutto in un immaginario dialogo con un bravo milanese, fornì un colorito ritratto delle attività svolte dai bravi e dei loro rapporti con la giustizia.
«— Diteci di grazia, seppur la nostra domanda non è incivile, qual mestiere esercitate voi, o a qual professione siete addetto.
— Io non ho gran tempo, signori, da perdere con voi; giacché questa mattina per ordine del mio padrone debbo regalare cinquanta bastonate ad un artista che ebbe la sfacciataggine di chiedergli la dovuta mercede; quest'oggi debbo accompagnarlo da lungi, mentre andrà attorno per la città in maschera per difendere le oneste libertà, gli amichevoli schiaffi, i calci, i pugni ed altri simili gentili scherzi con cui vorrà salutare chiunque gli si abbatterà fra piedi; questa sera stargli a fianco al teatro, luogo inesauribile di contrasti, di partiti, di risse, d'omicidii, per sostenere i suoi applausi o le sue critiche agli attori ed ai cantanti; questa notte debbo rapire la figlia d'un impertinente campagnuolo che vorrebbe pur sottrarla alle cristiane voglie del mio padrone; finalmente egli mi comanda di strascinare nelle carceri sotterranee del suo castello un giovinastro che gli uccise una pernice.
— Ma non temete voi la giustizia?
— Si vede bene che voi siete stranieri, e par proprio che cadiate dal cielo. In questi tempi felicissimi si gode d'un'intera libertà; ciascuno opera come gli aggrada, ed ogni azione diventa giusta quando si sa sostenerla coll'astuzia o colla forza. Gli esecutori della legge trovano qui persone che loro rompono il grugno, e li fanno pentire del loro mestiere. Un mio compagno ha tagliato la faccia al podestà di Binasco; un altro ha ucciso quello di Melé; il notaro del capitano di giustizia in Milano ha ricevuto un colpo di fucile in pieno giorno; parimenti di giorno fu ucciso il segretario della cancelleria segreta; il R. avvocato fiscale mentre faceva un processo ad alcuni miei amici, fu mandato con una pugnalata a terminarlo all'altro mondo; il luogo in cui il podestà di Domodossola è solito a giudicare, è stato coperto di sterco; ed io stesso ho rotto la statua della Giustizia in Monza. Per nostra fortuna noi ignoriamo le lente decisioni della civil procedura, o per meglio dire le calpestiamo a nostro bel agio: quindi allorché sorge qualche disputa sui confini di un podere, sul corso d'un'acqua irrigatoria, sul dritto di passare a piedi od a cavallo per tal sentiere, comparisce sul momento gente armata che termina la lite a colpi di alabarda o di fucile. È vero che il più debole resta sempre di sotto; ma ch'egli diventi più forte e ci renderà la pariglia. Voi mi fate ridere allorché mi parlate di giustizia. Voi non sapete che i podestà, i fiscali, ed altri officiali biennali se ne vanno a spasso per lo stato, e lasciano al loro posto degli uomini simili a quelli di gesso che stanno sui camini, e che dicono di sì e di nò secondo che vuole chi li tira per il naso? Voi ignorate che i barigelli, birri, custodi delle carceri comprano l'impiego dai podestà ed altri giudici: quindi sono costretti ora a vendere l'impunità di portar armi proibite, ora a unirsi coi ladri e partecipare ai ladroneggi, ora prevenire e consigliar alla fuga chi dovrebbero arrestare, ora farsi ministri delle altrui vendette? I giudici poi che sono tutto fervore per la giustizia quando si tratta di pelar qualche meschino, dissimulano o coprono le belle imprese de barigelli onde conseguire il pattuito pagamento. Altronde le case de' nostri padroni e il circondario che le cinge rispingono gli esecutori della legge, e prestano un sicuro asilo a chiunque si è colla legge compromesso. Di più i nostri preti, i nostri monaci sono sì onesti e generosi che non ricusano d’asconderci ne' loro chiostri o nelle loro canoniche in ogni caso di bisogno. Sappiate che là si ritirano anche li sfrosatori d'olio, di sapone, di droghe, di salumi, e vi ripongono le loro merci: e i monaci ridendosi delle leggi che non possono avere alcuna forza contro un barile di pesce salato, comprano e per sé stessi e per gli altri; e il padre guardiano spesso si cangia in un vero pizzicagnolo. Se venisse a scemare la religiosa generosità de' monaci, non crediate che fosse per mancarci opportuno scampo: giacché vicino alle chiese sonovi delle case che hanno finestre, usci, ribalze che mettono nelle chiese stesse, onde allorché i birri entrano per le nostre porte, noi fuggiamo loro di mano balzando in luoghi immuni.»
A Milano furono numerose le gride dei diversi governatori contro i bravi. Il contemporaneo Paolo Morigia faceva risalire la loro espressa presenza in Milano al 1567, mentre per l'anno precedente indicava la presenza di banditi e assassini nel territorio.
«In questi dì del 1566 nello stato di Milano, et sù le porte, et anco dentro della Città si scopersero una gran quantità di assassini, che facevaro grandissime insolenze, et oltragi; oltre gli brutti ammazzamenti di modo che niuno era sicuro, né in Villa, né anco della Città, o in casa propria da questi scelerati, la onde dal Governatore che all'hora era Gabriello della Cueva, et dal Senato di Milano, fu fatta tal diligenza con asprissimi bandi, che in pochi mesi la Città, et suo stato fu liberato da questi scelerati, et ribaldi. [...] Non è anco da tacere ciò che avvenne l'anno 1567 in Milano, et ciò fu, che così nella città, come nello stato suo, si trovarono molti giovani otiosi c'havevano nome di spadacini, et tagliacantoni, et bravi. Questi erano corruttori di tutti i buoni costumi, et anco furono come vipere, et una peste alla nobiltà, perche s'offerivano volontariamente ad ogni sorte di male; come à questionare, a fare alle coltellate, a fare braverie, o spavento ad altri; nè si vergognavano sotto nome di bravo, di oltraggiare qualunque gli veniva alle mani, et sempre attendevano ad accendere fuoco, come i solfarini, per cavarne il vivere grasso, e il vestire pomposo, di danari da spendere in giuochi, et in altre carnalità, contro l'honore di Dio, et con la rovina espressa de gentilhuomini. La onde da questi ne seguivano nella città mille disordini.»
La prima grida che li citi esplicitamente risale al 23 aprile 1572 e fu emanata da Luis de Zúñiga y Requesens:
«in questa et altre città et altri luoghi del Stato si ritrovano moltitudine de bravi et persone malaviate, che, sotto 'l favore et ombra di questo et quello, commettono molte tristezze, nodriscono discordie, impediscono le paci et fanno de molti offitii tristi»
Già fin dal 1535 erano già state emesse numerose gride contro "furfanti", "scrocchi", "vagabondi", "otiosi" e in generale contro malfattori che, senza alcuna professione, erano presenti nel Ducato commettendo ogni sorta di violenza.[13]
«Per gride altre volte publicate fu con molte e vive ragioni dimostrato quanto contrarie a la publica et privata quiete et quanto pernitiosa et detestabile fosse quella sorte di gente che in questa città volgarmente chiamano «i bravi», i quali, sotto colore di difendere, di accompagnare et di aiutare questo e quello, vanno suscitando o mantenendo vive le discordie et le inimicitie, et, quel ch'è peggio, offerendo l'opera loro venale per dar occasione al malfare, et così impadronirsi degli animi et delle facultà di quei tali che di loro si fidano una volta et poterli tener sempre poi obligati a dargli il vitto e 'l vestito quotidiano per forza. Donde segue che molte persone honeste et di buona qualità, desiderando di vivere vita quieta et civile, incitati et da le offerte de' predetti et da la comodità che a tutte l'hore ne hanno, traboccano in moti criminali dannosi ai corpi et a le anime loro; altri di natura inquieta, i quali, senza l'apparecchio di questi huomini, di necessità verrebbono ad emendarsi et placarsi col tempo, tratti et incitati da la medesima necessità, in luogo di rimetter il mal animo che hanno, maggiormente s'infiammano a l'essecutioni de l'ire et passioni loro. Per modo che veramente si può concluder e che la maggior parte degli odii et de le inimicitie, che in questo Stato si essercitano, o da costoro son nate et nascono, o da loro, come da solfo et ésca, ripigliano forza et possanza, et che per cagion d'essi soli seguono tanti homicidii, tante false testimonianze, de le quali tanto è cresciuto et tuttavia mùltiplica il numero, et finalmente tanti et sì gravi dispendii, che in breve tempo snervano et spolpano le sostanze et fortune altrui, rovinano le case, et le famiglie nobili et numerose riducono a povertà et talvolta ancora da radice le spiantano.»
Dopo la peste del 1630 la presenza dei bravi nelle gride appare diradarsi, forse anche in relazione con la grave crisi economica che colpì il Ducato di Milano fino alla fine del secolo.[15] Si è anche ipotizzato che molti si fossero trasferiti nelle campagne, lasciando relativamente al sicuro la città e venendo accomunati alla categoria dei "banditi".[16]
Le due gride emanate a pochi mesi di distanza nel 1661 dal governatore Francesco Caetani appaiono legate a particolari fatti del territorio cremonese, «ove pare che simili malviventi habbino maggiore et più sicuro ricovero».
Nelle gride emesse contro banditi e assassini si trovano indicati alcuni "tiranni" (così erano definiti coloro che si servivano di bravi) e i loro seguaci: es. le gride del 10 marzo 1603,[17] 30 maggio 1609[18] e 2 giugno 1614 citano Francesco Bernardino Visconti che Manzoni avrebbe utilizzato come base per il personaggio dell'Innominato, identificandolo con l'anonimo malfattore convertitosi dopo un incontro con il cardinale Federico Borromeo secondo il racconto di Giuseppe Ripamonti. Secondo le condanne di questi "tiranni", i crimini più gravi erano realizzati prevalentemente per interessi economici (omicidi di parenti o rivali), per difesa dell'onore (aggressioni) e per lussuria (rapimenti e stupri).[19]
Anche nella Repubblica di Venezia si ebbero norme tese a contrastare la diffusione dei bravi. Contro la diffusione delle violenze vennero prese disposizioni nel XVI secolo: il 18 agosto 1541 venne emessa una legge contro i banditi che agivano in gruppo per saccheggiare e provocare danni; il 20 febbraio 1567 si vietò il girare di notte armati in gruppi di più di quattro persone; altra norma del 15 aprile 1574 permetteva l'uccisione di chi avesse commesso omicidi e violenze.[42]
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