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L'apprendimento della seconda lingua (in inglese, Second language acquisition o SLA, ovvero Acquisizione della seconda lingua) è il processo per cui persone imparano le lingue in aggiunta alla loro lingua nativa; è il termine per qualsiasi lingua appresa dopo la prima infanzia, incluso ciò che è nel tempo la terza o un'ulteriore lingua. La SLA è l'apprendimento di ogni seconda lingua, quella cioè che deve essere appresa e viene spesso definita "lingua obiettivo" o "L2" (e lo SLA viene spesso chiamato L2A, per "acquisizione della L2"). Lo studio della SLA viene solitamente considerato parte della linguistica applicata.
Il termine "acquisizione" della lingua è diventato comune dopo che Stephen Krashen distinse un "apprendimento" formale e non costruttivo. Oggi la maggior parte dei pensatori usano "apprendimento delle lingue" e "acquisizione delle lingue" in maniera intercambiabile, a meno che non ci si riferisca direttamente all'opera di Krashen. Comunque l'"acquisizione della seconda lingua" o "SLA" si è cementato come il termine preferito per questa disciplina universitaria.
Gli studiosi possono adottare una prospettiva interlinguistica, esplorando la lingua del discente come sistema linguistico, o possono studiare come la lingua del discente possa essere paragonata alla lingua bersaglio. La ricerca si concentra sulla domanda: "Quali sono le caratteristiche uniche della lingua del discente?"
Il campo dell'analisi degli errori nello SLA è stato stabilito negli anni settanta da S. P. Corder e dai colleghi. Uno studio disponibile ampiamente si può trovare nel capitolo 8 di Brown, 2000. L'analisi degli errori era un'alternativa all'analisi contrastiva, un approccio influenzato dal comportamentismo attraverso il quale i linguisti applicati tentavano di usare le distinzioni formali tra la prima e la seconda lingua del discente per prevedere gli errori. L'analisi degli errori ha dimostrato che l'analisi contrastiva era incapace di prevedere una grande maggioranza di errori, anche se i suoi aspetti più di valore sono stati incorporati nello studio dell'interferenza linguistica. Un risultato chiave sull'analisi degli errori è stato che molti errori vengono prodotti da discenti che fanno deduzioni sbagliate sulle regole della nuova lingua.
Gli analisti degli errori cercano di sviluppare una tipologia di errori, e distinguono tra errori sistematici e sviste, che non lo sono. Un errore può inoltre essere classificato secondo un tipo di base, che può essere:
Possono essere classificati secondo la loro manifestazione: errori evidenti come "io arrabbiato" sono ovvi anche al di fuori di un contesto, mentre errori nascosti sono evidenti solo all'interno di un contesto. Strettamente collegata a questo è la classificazione secondo il campo, la dimensione di un contesto che l'analista deve esaminare, e l'estensione, la dimensione dell'enunciato che deve essere modificato per correggere l'errore. Gli errori possono anche essere classificati secondo il livello linguistico:
ecc. Questi possono essere valutati in base al grado in cui interferiscono con la comunicazione: errori globali rendono un enunciato difficile da comprendere, mentre errori locali no. Nell'esempio sopra citato, "io arrabbiato" sarebbe un errore locale, poiché il significato è ovvio.
Sin dall'inizio l'analisi degli errori era costellata da problemi metodologici. In particolare le tipologie sopra sono problematiche: dai soli dati linguistici, spesso è impossibile determinare con affidabilità quale tipo di errore un discente stia facendo. Quindi, l'analisi degli errori può avere a che fare effettivamente soltanto con la produzione del discente (parlato e scritto) e non con la ricezione del discente (ascolto e lettura). Inoltre non può controllare l'uso del discente di strategie comunicative quali l'eliminazione, nel quale i discenti semplicemente non usano una forma con cui si sentano a disagio. Per queste ragioni, sebbene l'analisi degli errori sia ancora in uso per investigare problemi specifici nel SLA, la ricerca di una teoria onnicomprensiva degli errori del discente è stata ampiamente abbandonata. A metà degli anni settanta Corder e altri si sono mossi per un approccio più ampio per la lingua di un discente, nota come interlingua.
L'analisi degli errori è strettamente correlata allo studio del trattamento degli errori nell'insegnamento delle lingue. Oggigiorno, lo studio degli errori è particolarmente pertinente per la metodologia d'insegnamento di focalizzazione sulla forma.
Lo studio dell'interlingua tenta di capire la lingua del discente nella sua peculiarità, come una lingua naturale con il suo coerente corredo di regole. Gli studiosi dell'interlingua rifiutano, almeno per fini euristici, di considerare la lingua del discente come una semplice versione imperfetta della lingua bersaglio. L'interlingua è forse meglio considerata come un'attitudine verso l'acquisizione linguistica e non come una disciplina distinta. Secondo lo stesso modello, il lavoro interlinguistico è un microcosmo vibrante di linguistica. È possibile applicare una prospettiva interlinguistica alla pronuncia del discente (fonologia interlinguistica), ma anche alle norme dell'uso linguistico trovate tra i discenti (pragmatica interlinguistica). Descrivendo il modo in cui la lingua del discente si conforma alle norme linguistiche universali, la ricerca interlinguistica ha contribuito ampiamente alla nostra comprensione degli universali linguistici nel SLA.
Ellis (1994) distingueva tra "ordine" per riferirsi al modello in cui diverse caratteristiche linguistiche vengono acquisite e "sequenza" per denotare il modello in cui una specifica caratteristica linguistica viene acquisita.
Gli studiosi hanno trovato un ordine molto costante nell'acquisizione delle strutture della prima lingua da parte dei bambini e questo ha attirato un notevole interesse da parte di studiosi della SLA. Uno sforzo considerevole è stato dedicato alla prova dell'ipotesi di identità la quale sostiene che l'acquisizione della prima e della seconda lingua avviene allo stesso modo. Questo non è stato confermato, probabilmente perché gli stati cognitivi e affetto dei discenti della seconda lingua sono molto più avanzati. L'ordine di acquisizione nel SLA comunque assomiglia spesso a quelli rinvenuti nell'acquisizione della prima lingua e può avere cause neurologiche comuni.
Quasi tutti i discenti iniziano l'acquisizione con un periodo di silenzio nel quale essi parlano davvero molto poco. Per alcuni questo è un periodo di shock linguistico nel quale si rigetta ciò che non si capisce attivamente della nuova lingua. Comunque la ricerca ha dimostrato che molti discenti silenziosi si attivano in dialoghi interiori a volte chiamati self talk. Benché apparentemente silenziosi, provano importanti frasi di uso comune e unità sintattiche che vengono quindi utilizzate nel periodo successivo del discorso formulaico ma incostante delle caratteristiche. Gli studi più recenti preferiscono vedere l'acquisizione di ogni caratteristica linguistica come un processo graduale e complesso. Altri, per loro volere, non hanno alcun periodo silenzioso e passano direttamente al discorso. Questo discorso, nel quale viene usata una manciata di espressioni di routine per portare a termine finalità di base, spesso dimostra poco distacco dalla morfosintassi della L2. Infine dà inizio ad una fase più sperimentale dell'acquisizione, nella quale la semantica e la grammatica della lingua bersaglio vengono semplificate e il discente comincia a costruire una vera interlingua.
La natura di transizione tra il formulaico e il discorso semplificato è ancora oggetto di dispute. Alcuni, tra cui Krashen, hanno sostenuto che non c'è alcuna relazione cognitiva tra i due e che la transizione è immediata. Pensatori influenzati da teorie recenti del lessico hanno preferito considerare anche il discorso del parlante nativo come pesantemente formulaico e interpretano la transizione come un processo di sviluppo graduale di un repertorio più ampio di brani e una comprensione più profonda delle regole che le governano. Alcuni studi hanno sostenuto entrambe le teorie ed è probabile che la relazione dipenda in larga parte dallo stile d'apprendimento dei singoli discenti.
Una serie di studi ha avuto luogo negli anni settanta del XX secolo, esaminando se fosse possibile mostrare un ordine costante di acquisizione dei morfemi. La maggior parte di questi studi ha mostrato ordini di acquisizione abbastanza costanti per i morfemi selezionati. Per esempio è stato scoperto che tra i discenti dell'inglese il gruppo di caratteristiche comprendenti il suffisso "-ing", il plurale e la copula precedono frequentemente altri quali l'articolo, l'ausiliare e la terza persona singolare. Comunque questi studi sono stati criticati ampiamente per non aver prestato sufficiente attenzione all'abuso delle caratteristiche (usi idiosincratici al di fuori di ciò che sono contesti obbligatori nella L2), e l'uso sporadico ma incostante delle caratteristiche. Gli studi più recenti preferiscono vedere l'acquisizione di ogni caratteristica linguistica come un processo graduale e complesso. Per questa ragione la maggior parte degli studi dagli anni ottanta si sono focalizzati sulla sequenza, piuttosto che sull'ordine dell'acquisizione delle caratteristiche.
Gli studi. Diversi studi (riveduti da Ellis (1994), pp. 96–99) hanno esaminato l'acquisizione di pronomi di studenti di varie lingue e hanno dimostrato che cominciano con l'omettere pronomi o con l'usarli indiscriminatamente: per esempio, usando "io" per riferirsi a tutte le persone, poi acquisiscono una singola caratteristica del pronome, spesso la persona, seguita dal numero ed infine dal genere. Non si è riscontrata una grande interferenza dalla prima lingua del discente; sembra che i discenti usino i pronomi interamente sulla base delle loro deduzioni sulla lingua bersaglio.
Studi sull'acquisizione dell'ordine delle parole in tedesco hanno mostrato che la maggior parte dei discenti cominciano con un ordine delle parole basato sulla loro lingua nativa, indicando che alcuni aspetti della sintassi dell'interlingua sono influenzati dalla prima lingua del discente, mentre altri no.
La ricerca sull'acquisizione delle parole è riveduta in modo esaustivo da ricercatori e studiosi che hanno fatto ricerche a fondo sulla sequenza d'acquisizione di caratteristiche pragmatiche. In entrambi i campi, sono emersi modelli costanti che sono stati oggetto di considerevole teorizzazione.
Per quanto valida possa essere la prospettiva dell'interlingua, che considera la lingua del discente come una lingua a pieno diritto, essa varia molto di più di quella nativa, in modo apparentemente caotico. Studiosi di tradizioni differenti hanno adottato punti di vista opposti sull'importanza di questo fenomeno. Coloro che seguono la prospettiva di Chomsky in SLA tipicamente reputano la variabilità come niente di più di "errori di esecuzione", e non degne di un'inchiesta sistematica. D'altra parte, coloro che hanno un approccio basato più su un'orientazione sociolinguistica o psicolinguistca ritengono la variabilità un indicatore chiave di come la situazione influisce il discente nell'uso della lingua. Naturalmente, la maggior parte delle ricerche sulla variabilità sono state fatte da coloro che la presuppongono significativa.
Le ricerche sui cambiamenti della lingua del discente fanno distinzione fra variazione libera, che ha luogo persino all'interno della stessa situazione, e "variazione sistematica", che è correlata con cambiamenti di situazione, sebbene il confine fra queste due è spesso oggetto di disputa.
La variazione libera, variazione priva di un qualsiasi modello determinabile, è essa stessa variabile da un discente all'altro. In un certo grado potrebbe indicare differenti stili di apprendimento e strategie comunicative. È più probabile che discenti che favoriscono strategie comunicative ad alto rischio e uno stile cognitivo diretto ad altro mostrino sostanziale variazione libera, dato che sperimentano liberamente forme diverse.
La variazione libera nell'uso della caratteristica di una lingua è considerata un segno che essa non è stata completamente acquisita. Il discente sta ancora cercando di capire quali regole governino l'uso delle forme alternate. Questo tipo di variabilità sembra essere più comune tra i discenti principianti e potrebbe essere completamente assente in quelli più avanzati.
La variazione sistematica è causata da cambiamenti nel contesto linguistico, psicologico e sociale. I fattori linguistici sono di solito estremamente locali. Ad esempio, la pronuncia di un fonema difficile potrebbe dipendere dal fatto che si trovi all'inizio o alla fine di una sillaba.
Fattori sociali potrebbero includere un cambiamento nel registro o nella familiarità degli interlocutori. In accordo con la teoria dell'adattamento del discorso, i discenti potrebbero adattare il loro discorso sia per convergere sia per divergere da quello utilizzato dell'interlocutore.
Il più importante fattore psicologico è di solito considerato il tempo di pianificazione. Come numerosi studi hanno dimostrato, più tempo i discenti hanno per pianificare, più regolare e complessa è probabile che sia la loro produzione. Così, è verosimile che i discenti producano forme più simili alla lingua bersaglio in un compito scritto per il quale hanno trenta minuti per pianificare, piuttosto che in una conversazione dove devono produrre linguaggio senza quasi alcuna pianificazione.
Anche i fattori affettivi giocano un ruolo importante nella variazione sistematica. Ad esempio, è probabile che discenti in una situazione stressante (come un esame formale) elaborino forme molto meno simili alla lingua bersaglio di quanto farebbero in una collocazione confortevole. Ciò interagisce chiaramente con i fattori sociali, e anche l'atteggiamento verso l'interlocutore e l'argomento trattato giocano un ruolo importante.
Lo studio dei fattori esterni al discente in SLA riguarda innanzitutto la domanda: Come i discenti ottengono informazioni sulla lingua bersaglio?. Lo studio si è focalizzato sugli effetti di differenti tipi di input, e sull'impatto del contesto sociale.
L'acquisizione può essere molto difficile e l'impatto di atteggiamenti della società circostante può essere determinante. Un aspetto che ha ricevuto particolare attenzione è la relazione dei ruoli dei sessi con l'acquisizione linguistica. Studi diretti su varie etnie hanno dimostrato che le donne, nel complesso, riescono meglio degli uomini. Il modo di fare della comunità verso la cultura che si sta imparando può avere un enorme effetto sull'apprendimento della seconda lingua. Se la comunità ha una visione ampiamente negativa della lingua bersaglio e di coloro che la parlano, o una visione negativa di una propria relazione con loro, l'apprendimento è tipicamente molto più difficile, come è stato confermato da ricerche in numerosi contesti. Un esempio molto citato è la difficoltà affrontata dai bambini indiani nell'imparare l'inglese come seconda lingua. Altri comuni fattori sociali includono l'atteggiamento dei genitori verso lo studio delle lingue, e la natura di dinamiche di gruppo nella storia della classe.
È stato condotto un gran numero di ricerche sul miglioramento dell'input, ossia nei modi in cui l'input può essere alterato in modo da convogliare l'attenzione dei discenti su aree linguisticamente importanti. Il miglioramento dell'input può includere parole del vocabolario stampate in grassetto o note esplicative scritte a margine in un testo. Questo tipo di ricerca è strettamente collegato a quelle sugli effetti pedagogici, e similmente articolato. In generale, la quantità di input che i discenti assimilano è uno dei fattori più importanti che influiscono sul loro apprendimento. In ogni caso, deve essere ad un livello a loro comprensibile. Nel suo Modello del Monitor, Stephen Krashen avanzò il concetto che l'input linguistico dovrebbe essere al livello "L+1", giusto al di là di ciò che il discente può completamente capire; quest'input è comprensibile, ma contiene strutture che non sono ancora completamente capite. Tale ipotesi è stata criticata sulla base che non c'è nessuna definizione chiara di L+1, e che possono influire sulla trasformazione dell'input in intake altri fattori oltre alla difficoltà strutturale (come l'interesse o la presentazione) . Il concetto, comunque, è stato quantificato nella ricerca sull'acquisizione del vocabolario; Nation (2000) recensisce vari studi i quali indicano che affinché una lettura estesa sia efficace circa il 98% delle parole in un testo scorrevole dovrebbe essere conosciuto in precedenza.
L'ipotesi interazionista afferma che l'acquisizione della lingua è radicalmente facilitata dall'uso del linguaggio bersaglio nell'interazione. In particolare, è stato dimostrato che la negoziazione del significato contribuisce molto all'acquisizione del vocabolario. In una recensione della letteratura fondamentale su tale argomento, Nation (2000) collega il valore della negoziazione all'uso generativo delle parole, ossia l'uso di parole in contesti nuovi che stimolano una comprensione più profonda del loro significato.
Negli anni ottanta, Merrill Swain, ricercatrice canadese del SLA, ha avanzato l'ipotesi dell'output, secondo la quale un output (produzione del linguaggio) significativo è tanto necessario per l'apprendimento della lingua quanto un input significativo. Tuttavia, la maggior parte degli studi ha mostrato scarsa o nulla correlazione tra apprendimento e quantità dell'output: oggi molti studiosi sostengono che piccoli quantitativi di output significativo sono importanti per l'apprendimento della lingua, ma principalmente perché l'esperienza di produrre linguaggio conduce ad un'elaborazione dell'input più efficace.
Lo studio degli effetti dell'insegnamento sull'apprendimento della seconda lingua si propone di misurare o valutare sistematicamente la validità dei metodi di insegnamento della lingua. Tali studi sono stati intrapresi per ogni livello della lingua, dalla fonetica alla pragmatica, e per quasi tutte le metodologie di insegnamento attuali: per la mole dei risultati vengono di seguito riportati solo i caratteri generali.
La ricerca ha indicato che molte tecniche di insegnamento della lingua sono estremamente inefficienti. Tuttavia, vi è oggi un ampio consenso di studiosi del SLA che riconosce che l'istruzione tradizionale può aiutare nell'apprendimento della lingua.
Un'altra importante questione è l'efficienza dell'insegnamento esplicito, o meglio se l'insegnamento tradizionale ha un effetto costruttivo oltre al fornire lo studente del miglioramento dell'input. Dal momento che l'istruzione esplicita si deve esplicare nella lingua nativa dello studente, molti hanno sostenuto che ciò semplicemente lo priva dell'input e delle opportunità per fare pratica. Ricerche in questo ambito a differenti livelli della lingua hanno condotto a diversi risultati, tra cui si segnala che la pronuncia non sembra mostrare alcuna risposta significativa all'insegnamento esplicito. Altre aree tradizionali dell'insegnamento esplicito, come la grammatica e il vocabolario, hanno fornito risultati misti. A questo livello gli effetti positivi dell'istruzione esplicita sembrano essere ristretti al fornire aiuto agli studenti nell'individuare aspetti importanti dell'input. Curiosamente, gli aspetti della lingua che hanno beneficiato di risultati rilevanti grazie all'istruzione esplicita sono quelli del livello più elevato, come sociopragmatica e competenza nei discorsi più seri e formali. Le ricerche hanno evidenziato inoltre che l'efficienza dell'istruzione esplicita è influenzata chiaramente dall'età dello studente, concludendo che quanto più egli è giovane tanto più l'insegnamento esplicito è inefficace, e viceversa.
Lo studio dei fattori interni al discente nel SLA riguarda primariamente l'istanza: "In che modo il discente ottiene competenza nella lingua di arrivo?". In altre parole, dati input ed istruzione efficace, con quali risorse interne il discente tratta questo input per produrre un'interlingua governata da regole?
Si è dibattuto a lungo su come i bambini acquisiscano la propria lingua nativa e a quale livello ciò debba essere preso in considerazione nei metodi di insegnamento della lingua straniera. Sebbene le prove relative al declino dell'abilità di apprendimento della seconda lingua siano controverse, è convinzione comune che i bambini imparino la seconda lingua facilmente, mentre discenti d'età maggiore raramente raggiungono la piena fluidità nel parlare. Questa supposizione ha dato origine a dibattiti sul cosiddetto periodo critico. Originariamente Eric Lenneberg tracciò nel 1967 il periodo critico per l'apprendimento della lingua nativa. Ci sarebbero anni in cui il nostro cervello è in grado di acquisire grammatiche mentali (2-12 anni). In seguito l'interesse è dirottato verso gli effetti dell'età nell'apprendimento della seconda lingua (SLA). Le teorie sul SLA illustrano i processi d'apprendimento e indicano dei fattori per un possibile periodo critico relativo al SLA, tentando in particolar modo, attraverso lo studio dei meccanismi psicologici, di dare spiegazione alle diverse attitudini di bambini e adulti, che intraprendono distinti percorsi di apprendimento. I risultati delle ricerche non sono stati univoci: alcune hanno concluso che i bambini in periodo pre-puberale apprendono la lingua facilmente, altre che il vantaggio spetta ai discenti d'età maggiore, mentre altre ancora si sono focalizzate sull'esistenza o meno di un periodo critico per il SLA. Studi recenti hanno riconosciuto che certi aspetti del SLA possono essere influenzati dall'età, mentre altri rimangono indipendenti da essa. L'obiettivo di questo studio è di verificare se la capacità di imparare nuovi vocaboli decresce con l'avanzare dell'età o meno.
Prima di prendere in esame degli studi empirici può essere utile rivedere le principali teorie sul SLA e le loro conclusioni circa le differenze nell'apprendimento dovute all'età del discente. Le teorie di Penfield e Roberts (1959) e di Lenneberg (1967), le più riduzioniste, sono fondate su studi su danni cerebrali: dei bambini che riportano lesioni prima della pubertà generalmente ristabiliscono e continuano a sviluppare le capacità di linguaggio, mentre è raro che degli adulti si rimettano completamente. Entrambe le teorie convergono sul fatto che i bambini hanno un vantaggio neurologico nell'apprendere le lingue e che la pubertà coincide con un punto di svolta in tale abilità, e affermano che l'apprendimento avviene principalmente, forse esclusivamente, durante l'infanzia, poiché oltrepassata una certa età il cervello perde plasticità e diviene rigido, influenzando negativamente le capacità di adattamento e riorganizzazione e rendendo quindi ostico l'apprendimento di una seconda lingua. Penfield e Roberts sostengono che i bambini al di sotto dei nove anni sono in grado di imparare fino a tre lingue: l'esposizione precoce a lingue diverse stimola un riflesso nel cervello che permette loro di passare da una lingua ad un'altra senza difficoltà o necessità di elaborare traduzioni. Lenneberg afferma che se superata la pubertà non si è ancora imparata alcuna lingua, essa non può in seguito venire appresa normalmente in un modo funzionale. Egli supporta inoltre la tesi di Penfield e Roberts circa la presenza di alcuni meccanismi neurologici che sarebbero responsabili del cambiamento nelle abilità di apprendimento della lingua dovuto all'età. Ciò, secondo Lenneberg, coincide con la lateralizzazione del cervello e la specializzazione nel linguaggio dell'emisfero sinistro, che hanno luogo intorno ai tredici anni: le abilità motorie e linguistiche si sviluppano contemporaneamente, ma entro tale soglia d'età queste funzioni si separano e si radicano in diversi emisferi cerebrali, rendendo particolarmente difficile l'apprendimento del linguaggio. Lenneberg, inoltre, si basò sullo studio del recupero del linguaggio da parte di soggetti cerebrolesi. Affermava e dimostrava che nonostante le lesioni alle aree cerebrali del linguaggio, il bambino più è piccolo, più aumenta la probabilità che recuperi pienamente l'uso del linguaggio, mentre gli adolescenti in maniera molto inferiore. L'attività inconscia diminuisce notevolmente.
Dall'analisi di bambini ferini si sono raccolte prove che vanno a sostegno della teoria di un periodo critico determinato biologicamente. Una delle maggiori fonti di evidenza del periodo critico, proviene dallo studio dei bambini selvaggi, bambini che hanno vissuto dalla nascita in una forma di segregazione sociale. Un esempio classico è Genie, una bambina che ha vissuto senza alcuna interazione sociale da un anno d'età alla sua scoperta, quando aveva ormai tredici anni (età post-puberale): la bambina non aveva sviluppato alcuna lingua, e dopo sette anni di riabilitazione non raggiunse ancora la competenza linguistica. Un altro caso preso in considerazione è Isabelle, che è stata imprigionata con la madre sordomuta fino a sei anni e mezzo (età pre-puberale): neanche Isabelle aveva appreso una lingua ma, a differenza di Genie, acquisì velocemente le normali abilità di linguaggio attraverso una sistematica assistenza specialistica. Un altro caso molto noto è Victor, il bambino selvaggio dell'Aveyron, trovato all'età di 11-12 anni. Fu preso sotto le cure di Itard, medico presso la scuola per i sordi. Dopo l'intenso addestramento, Itard riuscì a far riemergere le capacità cognitive e sociali del bambino. Per quanto riguarda il linguaggio, riuscì solamente ad acquisire pochi vocaboli.
Studi di questo genere sono comunque problematici, dal momento che l'isolamento può essere causa di ritardi mentali o disturbi emozionali, che possono mettere in discussione le conclusioni tratte nell'ambito linguistico.
Altre ricerche hanno messo in discussione l'approccio biologico: Krashen (1975), rianalizzando dati clinici utilizzati come prove, giunse alla conclusione che la specializzazione cerebrale si verifica molto prima di quanto calcolato da Lenneberg - se il periodo critico esistesse realmente, quindi, esso non coinciderebbe con la lateralizzazione. Ciononostante, indipendentemente dalle problematiche connesse alle prove originarie addotte da Lenneberg e alla dissociazione del fenomeno di lateralizzazione con quello del periodo critico, quest'ultimo rimane un'ipotesi plausibile nella spiegazione delle discrepanze sussistenti tra l'apprendimento della lingua nativa e quello di una seconda lingua, ipotesi tra l'altro sostanziata da studi seguenti.
In opposizione agli studi di natura biologica, l'approccio comportamentale indica che le lingue vengono apprese come qualsiasi altro comportamento, ossia attraverso il condizionamento. Skinner (1957) ha descritto minuziosamente come il condizionamento operante, attraverso l'interazione, sviluppa delle connessioni con l'ambiente e poi, come anche esplicato da Mowrer (1960), esso applichi le idee all'acquisizione della lingua. Mowrer ha inoltre ipotizzato che la lingua viene imparata per mezzo di un'imitazione gratificata dei 'modelli della lingua' (che per essere tali devono avere un rapporto emozionale con il discente), poiché l'imitazione apporta delle sensazioni piacevoli che fungono da rinforzo. Dal momento che nel corso della vita vengono continuamente stabilite nuove connessioni tra il comportamento e l'ambiente, è possibile sviluppare nuove abilità, tra cui l'apprendimento di una lingua, in qualsiasi età.
Allo scopo di fornire una spiegazione per le differenze di apprendimento rilevate tra bambini ed adulti, Felix (1985) afferma che i bambini, i cui cervelli creano innumerevoli nuove connessioni ogni giorno, potrebbero gestire il processo di apprendimento della lingua molto più efficacemente degli adulti. Tale ipotesi, ad ogni modo, rimane indimostrata, e non è ritenuta una spiegazione affidabile in questo ambito. Tra le perplessità connesse alla metodologia comportamentale, oltre al fatto che alla sua base giace la supposizione, non comprovata, che l'apprendimento verbale avvenga attraverso lo stesso processo di quello non verbale, vi è, come notato da Pinker (1995), l'evidenza che quasi ogni frase espressa è una combinazione di parole originale, mai pronunciata precedentemente: di conseguenza l'apprendimento della lingua non può consistere solamente di composizioni di parole imparate attraverso la ripetizione e il condizionamento, ma bisogna che nel cervello vi siano dei mezzi innati che permettano la composizione di un'infinita quantità di frasi a partire da un vocabolario limitato.
Quanto appena detto coincide del resto con la teoria di Chomsky circa l'esistenza di una grammatica universale, ovvero una struttura unica comprendente i principi generali alla base di qualsiasi lingua umana. Chomsky (1965) sostiene che I fattori ambientali siano relativamente irrilevanti per l'apprendimento della lingua, e afferma invece che i discenti posseggono nel cervello dei principi innati che vanno a costituire una sorta di strumento di acquisizione della lingua, il cosiddetto language acquisition device (LAD). Tali principi permettono i discenti di elaborare la grammatica dal semplice input ricevuto dall'ambiente, e la loro esistenza indica che le variazioni tra una lingua a l'altra sono limitate. Varie ricerche suggeriscono comunque che il LAD non è responsabile dell'apprendimento della seconda lingua in fase post-puberale, dal momento che esso diviene inaccessibile superata una certa età, costringendo i discenti a dipendere dall'insegnamento esplicito.
L'interferenza linguistica è definita come la tendenza del discente ad applicare le regole della lingua madre anche alla seconda lingua, e rappresenta un fattore importante nell'apprendimento della seconda lingua. Ambiti in cui i discenti tendono a trasferire aspetti della propria lingua a quella studiata sono quello fonetico, semantico e sintattico. Con il progresso e l'acquisizione di esperienza nella seconda lingua l'interferenza linguistica scompare gradualmente. Quello che viene spesso considerato come l'ultimo stadio prima del raggiungimento di un eventuale bilinguismo è l'ambito pragmatico, in quanto il parlante deve saper discernere i meccanismi cognitivi alla base della lingua seconda e, allo stesso tempo, per adattarvisi, deve essere in grado di riconsiderare i principi cognitivi che regolano la propria lingua madre[1].
Lo studio dei fattori individuali cerca di rispondere alla domanda: "Perché alcuni discenti imparano meglio o più facilmente di altri?". Sono state condotte varie ricerche, in particolare dagli anni settanta in poi, per cercare di identificare i fattori che distinguono i discenti più brillanti da quelli meno fortunati.
Si crede comunemente che i bambini siano più predisposti ad imparare una seconda lingua degli adulti. Comunque, in generale, la ricerca sulla seconda lingua non ha avuto successo nel supportare l'ipotesi del periodo critico nella sua forma più forte, che afferma che la completa acquisizione di una lingua è impossibile dopo una certa età. Persino coloro che cominciano a imparare una lingua tardi possono raggiungere un alto livello di scioltezza. L'unico aspetto del linguaggio che si è dimostrato segue l'ipotesi del periodo critico (forte) è l'accento: la stragrande maggioranza di coloro che cominciano a studiare una lingua dopo la pubertà non è capace di acquisirne l'accento tipico.
I fattori affettivi sono correlati allo stato emotivo dell'apprendente e all'atteggiamento nei confronti della lingua oggetto di apprendimento. La ricerca sugli effetti di fattori affettivi nell'apprendimento linguistico è ancora fortemente influenzata dalla tassonomia di Bloomfield, che descrive i livelli di ricezione, risposta, valutazione, organizzazione e autocaratterizzazione attraverso il sistema personale di valori. Recentemente si sono sviluppate ricerche in ambito neurobiologico e neurolinguistico.
Sebbene alcuni continuino a suggerire che un basso livello di ansietà possa essere d'aiuto, gli studi hanno quasi unanimemente dimostrato che l'ansietà danneggia le prospettive degli studenti per un apprendimento prospero. L'ansia è spesso connessa con un senso di minaccia all'ego del discente nella situazione di apprendimento, ad esempio se un discente teme di essere ridicolizzato per un errore.
Il ruolo della motivazione nello SLA è stato oggetto di molti studi, influenzati sensibilmente dai progressi nella psicologia motivazionale. La motivazione è intrinsecamente complessa, tanto che Dörnyei (2001) comincia la sua opera dichiarando che "a rigor di termini... la motivazione non esiste".
Ci sono molti tipi diversi di motivazione, p.es. integrativa o strumentale, intrinseca o estrinseca. Secondo molti studi, la motivazione intrinseca (il desiderio di fare qualcosa per un profitto interiore) è sostanzialmente più efficace nell'apprendimento di un linguaggio a lungo termine rispetto alla motivazione estrinseca (il desiderio di un riconoscimento esteriore, come voti o lodi).
Gli orientamenti integrativo e strumentale si riferiscono, per l'apprendimento delle lingue, al desiderio di conoscere una lingua per le sue caratteristiche (integrativo) e come mezzo strumentale. Su quest'aspetto le opinioni sono incerte o divise.
I discenti di successo sono ben motivati, e a sua volta il successo rafforza la motivazione.
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