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magistrato italiano (1920-2002) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Antonino Caponnetto (Caltanissetta, 5 settembre 1920 – Firenze, 6 dicembre 2002) è stato un magistrato italiano, noto soprattutto per aver guidato, dal 1983 al 1988, il Pool antimafia ideato da Rocco Chinnici nel 1980[1].
«La Sicilia ha pagato un alto tributo di sangue: spero che adesso ci lascino lavorare in pace.»
Dopo l'assassinio di Chinnici, ne prese il posto nel novembre 1983 e dette forma giuridica al pool e accanto a sé chiamò Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. La loro attività portò all'arresto di più di 400 criminali legati a Cosa Nostra, culminando nel maxiprocesso di Palermo, celebrato a partire dal 10 febbraio 1986. È considerato uno degli eroi della lotta alla criminalità organizzata in Italia.
All'età di 10 anni, Caponnetto si trasferì dalla Sicilia, sua terra natia, a Pistoia, per laurearsi in seguito in giurisprudenza all'Università degli Studi di Firenze. Entrato in magistratura nel 1954, al primo incarico come Pretore di Prato rinviò alla Corte Costituzionale due norme del testo unico sulla Pubblica Sicurezza che vietavano il volantinaggio ottenendo in favore della libertà della persona le sentenze n. 1 e 2 della Corte Costituzionale. Nel 1968 è Sostituto Procuratore della Repubblica a Firenze e si occupa del duplice omicidio di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco (omicidio avvenuto a Signa (FI) ed in seguito collegato agli altri sette duplici omicidi del "Mostro di Firenze".[2] La sua carriera ebbe una svolta nel 1983 quando ottenne il trasferimento a Palermo, successivamente all'uccisione di Rocco Chinnici, capo dell'Ufficio istruzione di Palermo. Iniziarono così cinque anni di trincea e di soddisfazioni professionali.
Seguendo la strategia studiata dall'ufficio istruzione di Torino, dove Giancarlo Caselli operava per la lotta al terrorismo, e continuando l'opera di Rocco Chinnici, realizzò nel 1984 un gruppo di magistrati che aveva il compito di occuparsi esclusivamente della lotta alla mafia. Il pool, che vide la partecipazione di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Gioacchino Natoli, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta, istruì il primo grande processo contro la mafia e si servì delle dichiarazioni di mafiosi che avevano deciso di collaborare con la giustizia, come Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno. Quando decise di lasciare Palermo per tornare a Firenze indicò in Falcone il suo successore. Il Consiglio superiore della magistratura gli preferì Antonino Meli, e Caponnetto non nascose mai la sua forte amarezza per questa decisione, dovuta, secondo le sue parole a "cinque vergognose, letali, astensioni e due voti di maggioranza".[3] Ribadendo in seguito anche le parole di Paolo Borsellino in proposito, che parlò di Giuda presenti fra coloro che presero la decisione.[4]
Concluse la sua carriera nel 1990 e dovette assistere prima alla morte di Falcone e poco dopo di Borsellino, assassinati dalla mafia. Divenne celebre il suo amareggiato commento alle telecamere poco dopo la strage di via d'Amelio, in cui disse «È finito tutto!», stringendo le mani del giornalista che gli aveva posto la domanda.[5] Di tale commento si pentì subito, come spiegò poco dopo alla cittadinanza durante i funerali di Paolo Borsellino e poi, successivamente, in un'intervista a Gianni Minà nel 1996 nel corso della trasmissione Storie (Rai 2):
«Era un momento particolare, di sgomento, di sconforto. Ero appena uscito dall'obitorio dove avevo baciato per l'ultima volta la fronte ancora annerita di Paolo. Quindi è umanamente comprensibile quel mio momento di cedimento, forse non scusabile, ma comprensibile. In quel momento avrei dovuto - avevo l'obbligo, forse, e avrei dovuto sentirlo quest'obbligo - di raccogliere la fiaccola che era caduta dalle mani di Paolo e di dare coraggio, di infondere fiducia a tutti. E invece furono i giovani di Palermo a dare coraggio a me, che trovai dopo pochi minuti in piazza del tribunale. Mi si strinsero attorno con rabbia, con dolore, con determinazione, con fiducia, con speranza. E allora capii quanto avevo sbagliato nel pronunciare quelle parole e quanto bisognava che io operassi per farmele perdonare: operassi per continuare l'opera di Giovanni e Paolo.»
Da pensionato iniziò instancabilmente un viaggio per le scuole e le piazze di tutta Italia per raccontare, soprattutto ai giovani, chi fossero Falcone e Borsellino ed il lavoro compiuto da lui e dai colleghi contro il fenomeno mafioso. Caponnetto intervenne in centinaia di scuole, diventando un testimone di etica della politica e della vita civile, della giustizia e della legalità. Nel 1993 fu candidato per La Rete alle elezioni amministrative di Palermo, divenendo così presidente del consiglio comunale.
Nel 1993 ricevette dall'Università di Torino la laurea honoris causa in scienze politiche. Nel 1999 organizzò il primo vertice sulla legalità e la giustizia sociale a Firenze, insieme a magistrati, avvocati, associazioni, giornalisti, per discutere sulla situazione della legalità in Italia.
Cittadino onorario di Palermo, Catania, Grammichele, Monteveglio, per tre volte è stato oggetto di una raccolta di firme per la nomina a senatore a vita. Quando compì 80 anni, ricevendo gli auguri anche dal presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi, festeggiò in famiglia e ricordò Falcone e Borsellino: «Li sento sempre vivi, più vivi che mai. Ho l'impressione che veglino dall'alto proprio su di me».
Fondò l'Associazione Viva Jospin dedicata all'ex primo ministro francese.
Fondò la Fondazione Sandro Pertini di cui è stato il primo presidente.
Morì a Firenze dopo una lunga malattia il 6 dicembre 2002, all'età di 82 anni.[8]
Antonino Caponnetto fece una disamina del fenomeno mafioso, fornì l'orientamento necessario per comprendere i legami che essa intrattiene col mondo politico:
«A differenza delle organizzazioni puramente criminali, o del terrorismo, la mafia ha come sua specificità un rapporto privilegiato con le élite dominanti e le istituzioni, che le permettono una presenza stabile nella struttura stessa dello Stato”. E che “La mafia è l'estensione logica e la degenerazione ultima di una onnicomprensiva cultura del clientelismo, del favoritismo, dell'appropriazione di risorse pubbliche per fini privati”.[9]»
Dopo la sua morte la moglie Elisabetta Baldi (Pistoia, 1922 – Firenze, 2023)[10] insieme a Salvatore Calleri e altri amici ha fatto nascere nel giugno 2003 la Fondazione Antonino Caponnetto.
Gli sono state intitolate la nuova mensa del Polo delle Scienze Sociali dell'Università degli Studi di Firenze e il refettorio oltre a numerose strade e piazze in tutta Italia.
Dal 2010 prende il suo nome il primo Istituto Comprensivo di Monsummano Terme, in provincia di Pistoia.
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