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I Vialardi sono una famiglia di origine longobarda[1], noti in Piemonte dalla fine dell'XI secolo. Di fiera parte ghibellina, ebbero signorie, sia in Italia che in Francia, tutte derivate dalle tre linee principali (Verrone, Villanova Monferrato e Sandigliano), con le consignorie di Cerreto Castello, Quaregna (XII secolo), Candelo, Occhieppo, Mosso, Ysangarda, Villanova Biellese, Salussola (XIV secolo), Beatino, Borriana, Vettigné (XV secolo), Stroppiana, Cella Monte (XVI secolo), Gorbio, Frassinetto, Colcavagno (XVII secolo), Castellamonte, Lessolo (XVIII secolo).
Vialardi | |
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Noli me tangere - Spero egredi tota | |
Stato | Ducato di Milano, Ducato di Savoia, Ducato di Mantova |
Casata di derivazione | Sandigliano, Verrone, Villanova, Ysangarda, Quinson |
Titoli | Conti (Marchesi in Francia) |
Fondatore | Vulardi |
Attuale capo | Tomaso Vialardi di Sandigliano |
Data di fondazione | XI secolo |
Rami cadetti |
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Stemma dei Vialardi | |
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linee originarie (Verrone, Villanova, Sandigliano) | |
Blasonatura | |
D'oro alle due bande di rosso; col capo cucito d'oro, carico dell'aquila coronata, di nero. Cimiero: l'aquila nascente di nero. |
La prima attestazione della famiglia risale a un "Vulardi", che nel 1031 (o 1032) è citato come teste in un atto della Cancelleria della Corte reale di Borgogna circa la dotazione dell'abbazia di Talloires[2]. Tradizionalmente, da Vulardi discende Casa Vialardi e dal conte Uberto, Biancamano nel tardivo obituario latino di Hautecombe (1342), la dinastia di Casa Savoia. Discendente di Vulardi fu Wid, figlio di Vialardi e Plusbella, nato intorno al 1090: al suo nome fu associato il soprannome alto-tedesco all hart ed egli divenne dunque noto come Wid-all-hart (Guido il Forte, Guido il Crudele), successivamente latinizzato in Widalardo[3]. Un'identica traslazione linguistica si riscontra nel nome della madre, plus bella, latinizzazione di un soprannome diventato d'uso a scapito di un nome alto-tedesco perduto nelle avvisaglie di una Chiesa in progressione. I Necrologi Eusebiani riportano la morte della madre Plusbella e dei suoi fratelli Manfredo e Lantelmo, che morirono dunque nel territorio di Vercelli, mentre il padre e il terzo fratello, Umberto, non sono menzionati in quanto la loro morte dovette avvenire fuori dal territorio vercellese.
Il primo documento locale in cui compare il nome di Widalardo, o forse ancora del padre (la lettura del documento è ambigua), è un atto del 1118, dove è tra i consiglieri laici del vescovo di Vercelli Anselmo. L'atto riguarda la cessione di una parte della curtis di Torcello (Casale Monferrato) ed altri beni intorno Casale: Widalardo dovette avere interessi nella zona e la collina su cui si trova Torcello porta infatti il nome di Vialarda. Nel 1142, Widalardo fu nuovamente a Vercelli come teste di un atto con cui il vescovo Gisulfo confermava ai canonici di Santa Maria di Vercelli tutte le decime della curia. Widalardo, come dimostrano i documenti successivi, era il maggiore proprietario laico intorno alla chiesa e poteva pertanto confermare diritti e proprietà.
Widalardo è ancora menzionato per un contenzioso che l'aveva opposto al potente capitolo di Santo Stefano di Biella, riguardante la proprietà della chiesa di Sant'Eusebio sulla collina biellese e delle sue pertinenze: si trattava probabilmente di un insieme di oratori privati e mansi dipendenti nati dalla trasformazione di una curtis dominica. Widalardo offrì una transazione che fu accettata dal decano capitolare e l'atto fu firmato il 4 dicembre del 1147 «in curte Vuidalardi». I sei testi laici di Widalardo, di Novara e di Milano, confermano l'ambito esterno a Vercelli della curtis, probabilmente in area lombarda. In questo atto sono citati anche altri membri della famiglia, di cui Widalardo è il decano[4] che saranno nel secolo successivo i fondatori delle tre linee principali di discendenza.
I documenti successivi citano proprietà nel Vercellese, Biellese e Casalese (castelli, torri, case, mansi, molini e terre)[5]. I beni maggiori in Vercelli sembrano essersi consolidati al tempo di Attone e comprendevano, tra gli altri, la roggia vercellina, che forniva l'acqua alle difese della città, vendute dai Vialardi al comune di Vercelli con una serie di atti tra la fine del XII secolo e l'inizio del XIII[6]. Il 21 giugno 1178 i Vialardi cedettero a Federico Barbarossa i diritti di pedaggio sul porto e sulle rive del Cervo e della Sesia[7]; fu il vescovo di Vercelli ad agire nell'acquisto per conto dell'imperatore.
Nell'atto del 1147 si delineano i capostipiti delle tre linee principali dei Vialardi (Villanova, Verrone e Sandigliano):
Fino alla prima metà del Duecento la gestione delle relazioni politiche e militari continuò sulla linea del diritto alto-germanico della sippe, demandata agli anziani di ogni gruppo famigliare, cui competevano le relazioni degli incastellamenti con il territorio di insistenza. Le proprietà extraurbane appartenevano ai singoli gruppi familiari, mentre quelle urbane erano detenute collettivamente, garantendo in questo modo un peso monetario e politico unico.
Con l'affermazione del policentrismo di Vercelli sul territorio e la parallela formazione di un'associazione comunale, i Vialardi furono fin dagli inizi membri della Credenza, l'organo consultivo comunale e consoli, influendo sulla politica interna e sulle alleanze esterne della città grazie al peso dei propri sistemi difensivi. Questo potere non produsse nepotismi e in molti casi l'interesse del Comune prevaricò quello familiare: nel 1197 i consoli di Vercelli resero liberi («liber et absolutus») il castello e le terre di Villanova Monferrato[9] inizio dell'espansione comunale sul territorio extraurbano tanto in chiave difensiva quanto di influenza politica.
La creazione del borgo franco di Villanova Monferrato, decisa con il consiglio di Giacomo Vialardi «et sociorum quorum", decretava anche che «nullus dominorum debeat abitare in illo castro», compromettendo gli interessi dei cugini Vialardi proprietari del castello, altrettanto potenti in città per l'ampia presenza consolare. Alla crescita del peso politico della città, ne sarebbe corrisposto uno parallelo del potere familiare in un momento cruciale delle lotte interne tra fazioni dell'élite urbana, che stavano modificando le egemonie sul territorio.
Giacomo dominò la scena politica per quasi cinquant'anni influenzando con il coinvolgimento di tutto il gruppo familiare lo spostamento verso l'impero di Vercelli, cui diede coscienza del proprio peso di fronte a Milano, Pavia e Brescia. Ai figli ed ai cugini di Villanova Monferrato furono demandate le relazioni politiche esterne, mentre i cugini interni alla città fornirono l'appoggio della Credenza e quello delle cattedre ecclesiali di Santa Maria e di Sant'Eusebio, per oltre cent'anni in mano a longevi e politicizzati arcidiaconi Vialardi.
Un coinvolgimento così schierato dalla parte ghibellina richiese una presenza più compatta sul territorio, con un incastellamento meglio coordinato ai bordi delle zone di espansione della città. Giacomo guidò il cambio degli interessi familiari iniziando l'allentamento patrimoniale progressivo in città a favore del potenziamento dei castelli extraurbani, che assunsero un peso cruciale nelle scelte politiche dei Vialardi. Sono di questo periodo le grandi dismissioni immobiliari in Vercelli, che favorirono un avvicinamento più stretto al Comune, fornendo contemporaneamente la massa di denaro necessaria all'ammodernamento dei sistemi difensivi, alla costruzione di nuovi ed all'acquisto di terre da reddito per il loro mantenimento. Contemporaneamente, furono ceduti i beni extraurbani non vitali nel sistema degli incastellamenti, mentre si consolidarono attraverso nuovi acquisti ed investiture le presenze in Candelo, Ysangarda, Verrone, Villanova Monferrato e Sandigliano, posizioni che la lungimiranza di Widalardo aveva già individuato come strategiche.
Con la seconda metà del Duecento i gruppi famigliari dei Vialardi assunsero una fisionomia propria, sempre legati interfamiliarmente, ma con indipendenze maggiori.
Albero dei Vialardi di Verrone | |
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860 - 1750 |
Il nuovo assetto familiare si consolidò su tre linee ben definite:
Al declino imperiale, i Vialardi di Vercelli passarono indenni attraverso i rivolgimenti politici e militari della città, mentre i Vialardi dei castelli di Sandigliano e Ysangarda continuarono una contrapposizione militare ai duchi di Savoia. In una battaglia durata tre notti e due giorni cadde anche il Torrione di Sandigliano ed il 24 settembre 1426[10] i Vialardi di Sandigliano firmarono un'aspra e incondizionata resa del loro «castrum et turrionum» ad Amedeo VIII di Savoia. Manfredo di Saluzzo, che aveva guidato vittoriosamente l'esercito savoiardo-vallese contro il Torrione, non proseguì per Ysangarda, pericolosa da raggiungere, inutile come battaglia, troppo lontana dagli accampamenti di Ivrea. I Vialardi del castello di Ysangarda rientrarono indenni a Casale dove si posero al servizio dei marchesi di Monferrato e poi dei Sovrani di Mantova.
I Vialardi di Verrone avevano invece già fatto la propria scelta cinquantatré anni prima, passando al fianco del conte di Savoia il 19 febbraio 1373,[11].
Linee di Verrone, Villanova, Sandigliano
Linea Vialart-Vialard de Herse e d'Orvilliers
Linea de Villardi
Linea de Villardi de Quinson
Linea de Villardi de Quinson de Montlaur
La storia araldica dei Vialardi conosce un paradosso comune ad altre antiche famiglie piemontesi e, più in generale, italiane: la lacunosità delle fonti documentarie e iconografiche è tale che la prima attestazione dello scudo sinora nota risale alla fine del Medioevo. Lo stemma famigliare appare per la prima volta in un importante codice di area lombarda del Quattrocento (1450-1464), noto come Stemmario Trivulziano, che riporta in prevalenza le insegne di famiglie e comunità dello Stato di Milano e delle aree confinanti, odierno Piemonte incluso. Nel Trivulziano i Guidalardi esibiscono il loro scudo bandato di quattro pezzi d’oro e di rosso, col capo dell’Impero.[16] Questa apparizione tardiva è la ragione per cui il ramo francese (de Villardi-de Villardi Quinson de Montlaur e Vialard de Herse et d'Orvilliers) arma uno scudo completamente diverso, che attesta la sua separazione dal ceppo d'origine in epoca antecedente il Trivulziano, mentre i tre rami italiani armeranno sempre lo stesso scudo con minime variazioni.
La seconda attestazione in ordine di tempo mostra l’altra variante dello scudo: d’oro, a due bande di rosso, col capo dell’Impero (secondo un’oscillazione frequente in araldica, tra campi suddivisi in numeri pari e dispari di figure geometriche contigue). La si può notare entro una cartella opera del factor verreriarum Pietro Vaser ai piedi della vetrata con l’Adorazione dei Magi della Parrocchiale di Verrone, ove fu inserita nella seconda metà del Cinquecento.
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