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pittore francese Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Alexandre-Charles Guillemot (Parigi, ottobre 1786[1] – Antico XI arrondissement de Paris, 18 novembre 1831[2]) è stato un pittore francese.
Alexandre-Charles Guillemot è il figlio di Jacques Alexandre Guillemot e Laurence Rosalie Pingard, commercianti orafi del Pont au Change a Parigi.
Nel 1798 o 1799 fu allievo di Jacques-Louis David. Sarebbe stato anche allievo di un uomo di nome Allais (forse Louis-Jean Allais).[3]
Il 26 agosto 1807, La Gazette nationale ou le Moniteur universel riferirono di aver ricevuto un premio presso le «Écoles spéciales des beaux-arts» ("Scuole Speciali di Belle Arti").[4]
Nel 1808 gareggiò per il Prix de Rome e ricevette il primo premio per Erasistrato che scoprì la causa della malattia di Antioco. Rimase sei anni a Roma presso Villa Medici.
Secondo gli opuscoli del Salon, i suoi domicili parigini erano nel 1814: 15, rue du Plâtre Saint-Jacques (attuale rue Domat); dal 1817 al 1822: 49, quai des Grands-Augustins; dal 1824 al 1827: 14, rue d'Assas. Grazie al suo certificato di morte conservato negli Archivi di Parigi si scopre che morì, celibe, nella sua casa al 16 di rue de l'Ouest (a Parigi).
Alexandre Charles Guillemot espone ai Saloni parigini dal 1814 al 1833,[5] e ai saloni della città di Douai.
Parigi: 1814, 1817, 1819, 1822, 1824, 1827, 1831, 1833.
Elenco non esaustivo, in ordine alfabetico per località:
A proposito della Clémence de Marc-Aurèle (1827; localizzazione sconosciuta), Auguste Jal scrisse:
«Quelques provinces d'Asie, soumises au joug romain, s'étant révoltées contre l'autorité de Marc-Aurèle, celui-ci fit traduire les principaux moteurs de la rébellion à son tribunal auguste. Les coupables attendaient la mort ; mais l'empereur, pensant qu'il s'attacherait, par la clémence, des peuples conquis, qu'il réduirait peut-être au désespoir par des rigueurs, ordonna qu'on lui apportât toutes les preuves de la conspiration, les fit brûler, et renvoya absous ses sujets reconnaissants. Trajan en avait usé ainsi dans une circonstance différente; Napoléon les imita tous deux en Prusse; les ministres de Louis XVIII répudièrent ces souvenirs historiques, et des têtes roulèrent sur l'échafaud. S'il est au conseil-d’état quelques anciens courtisans de 1816, les tableaux de Monsieur Guillemot et Bouillon leur seront un reproche de tous les jours ; et sous ce point de vue, quel que soit d'ailleurs leur mérite, ils auront une sorte d'utilité ; ce sera le remords poursuivant la conscience.
L'ouvrage de Monsieur Guillemot est sagement conçu, mais, selon bien des gens, d'une manière un peu commune ; la couleur en est froide et monotone. On y remarque encore plus l'absence de grandes qualités que la choquante apparence de grands défauts. L'auteur a beaucoup mieux réussi dans le Marc-Aurèle que dans le Combat d'Hercule et de Mars sur le corps de Cycnus, et surtout dans Acis et Galathée et dans Mars et Vénus. Ces deux derniers tableaux sont du plus mauvais goût ; on dirait un héritage de quelque peintre de 1760. Quant au combat d'Hercule et de Mars, il y a des parties d'étude estimables ; mais l'ensemble est d'une froideur insupportable. Ce sont des académies arrangées pour le théâtre, et qui fourniraient un tableau final de mélodrame ou d'opéra. Les deux meilleures figures du tableau de Marc-Aurèle sont celles des conspirateurs placés à la droite du trône de l'empereur ; pour l'homme au manteau lilas si durement plissé, il est fort médiocre. Le bras gauche du licteur qui anéantit les témoignages de la conjuration, et la tête de l'Asiatique à genoux, le plus près du cadre à droite, sont des détails estimables. Monsieur Guillemot a une revanche à prendre ; je souhaite qu'il gagne en 1830 autant qu'il a perdu en 1827, et qu'il oublie l'auteur d'Acis et de Vénus pour se rappeler celui du Christ descendu de la croix(1).
Note 1 : exposé au Louvre en 1817, maintenant à l'église de Saint-Thomas-d'Aquin. C'est un tableau qui promettait un peintre distingué.»
«Alcune province dell'Asia, soggette al giogo romano, essendosi ribellate all'autorità di Marco Aurelio, fece tradurre davanti al suo augusto tribunale i principali fomentatori della ribellione. I colpevoli aspettavano la morte; ma l'imperatore, pensando che avrebbe attaccato con clemenza i popoli vinti, che forse li avrebbe ridotti alla disperazione con la durezza, ordinò che gli fossero portate tutte le prove della congiura, le fece bruciare, e rimandò assolti i suoi riconoscenti sudditi. Traiano aveva fatto così in una circostanza diversa; Napoleone li imitò entrambi in Prussia; i ministri di Luigi XVIII ripudiarono queste memorie storiche e le teste rotolarono sul patibolo. Se ci sono alcuni ex cortigiani del 1816 nel Consiglio di Stato, i dipinti del signor Guillemot e di Bouillon saranno per loro un rimprovero quotidiano; e da questo punto di vista, qualunque sia il loro merito, avranno una sorta d'utilità; sarà il rimorso che perseguita la coscienza.
Il lavoro di Messer Guillemot è concepito saggiamente, ma, a detta di molti, in un modo piuttosto comune; il colore è freddo e monotono. Notiamo l'assenza di grandi qualità ancor più che l'apparenza sconvolgente di grandi difetti. L'autore riuscì molto meglio nel (suo) Marco Aurelio che ne Il combattimento di Ercole e Marte sul corpo di Cicno, e soprattutto nell'Aci e Galatea e nel Marte e Venere. Questi ultimi due dipinti sono di pessimo gusto; sembra un lascito di qualche pittore del 1760. Per quanto riguarda il combattimento tra Ercole e Marte, ci sono parti di studio pregevoli; ma il tutto è insopportabilmente freddo. Si tratta di accademie predisposte per il teatro, e che fornirebbero un quadro definitivo del melodramma o dell'opera. Le due figure migliori nel dipinto di Marco Aurelio sono quelle dei congiurati posti a destra del trono dell'imperatore; l'uomo dal mantello lilla, così duramente pieghettato, è molto mediocre. Particolari di pregio sono il braccio sinistro del littore che distrugge le prove della congiura e la testa dell'asiatico inginocchiato, più vicina alla cornice di destra. Mastro Guillemot ha da prendersi una rivincita; spero che guadagni nel 1830 tanto quanto perde nel 1827, e che dimentichi l'autore di “Aci e di Venere” per ricordare quello del “Cristo deposto dalla croce” (1).
Nota 1: esposto al Louvre nel 1817, ora alla chiesa di San Tommaso d'Aquino. È un dipinto che prometteva un pittore illustre.»
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