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politica, insegnante e partigiana italiana (1927-2016) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Tina Anselmi (Castelfranco Veneto, 25 marzo 1927 – Castelfranco Veneto, 1º novembre 2016[1]) è stata una politica e partigiana italiana. È stata la prima donna ad aver ricoperto la carica di ministro della Repubblica Italiana.[2]
Tina Anselmi | |
---|---|
Tina Anselmi nel 1983 | |
Ministro del lavoro e della previdenza sociale | |
Durata mandato | 29 luglio 1976 – 11 marzo 1978 |
Capo del governo | Giulio Andreotti |
Predecessore | Mario Toros |
Successore | Vincenzo Scotti |
Ministro della sanità | |
Durata mandato | 11 marzo 1978 – 4 agosto 1979 |
Capo del governo | Giulio Andreotti |
Predecessore | Luciano Dal Falco |
Successore | Renato Altissimo |
Deputato della Repubblica Italiana | |
Durata mandato | 5 giugno 1968 – 22 aprile 1992 |
Legislatura | V, VI, VII, VIII, IX, X |
Gruppo parlamentare | Democrazia Cristiana |
Circoscrizione | Venezia-Treviso |
Incarichi parlamentari | |
| |
Sito istituzionale | |
Dati generali | |
Partito politico | Democrazia Cristiana (1944-1994) |
Titolo di studio | Laurea in lettere |
Professione | Insegnante; Sindacalista |
Firma |
Era la prima dei quattro figli di Ferruccio Anselmi e di Norma Ongarato[3].
Il padre era originario di Padova e proveniva da una famiglia benestante. Nel periodo universitario aveva aderito con convinzione al socialismo, motivo per cui subì persecuzioni durante il Ventennio. Si era trasferito a Castelfranco dopo la prima guerra mondiale, dove aveva trovato lavoro presso la farmacia Paietta e aveva conosciuto la moglie[3][4].
La madre era nata da Pietro Ongarato, imprenditore agricolo, e da Maria Bendo, figlia di un oste. Il matrimonio tra i nonni era stato osteggiato dalla famiglia di lui a causa della diversa estrazione sociale; in ogni caso, Maria rimase ben presto vedova con tre figli e, costretta a lasciare la casa dei suoceri, per poter vivere aprì un'osteria.
Caparbia e indipendente, ma anche espansiva e ottimista, la nonna ebbe grande influenza sulla giovane Anselmi, divenendone la figura di riferimento[3].
Tina Anselmi studiò prima al ginnasio locale, quindi all'Istituto magistrale di Bassano del Grappa, presso il Collegio delle suore del Sacro Cuore.[5] Nello stesso periodo entrò nella Gioventù Femminile di Azione Cattolica (GF)[3].
Il 26 settembre 1944 i nazifascisti costrinsero la popolazione di Bassano, tra cui gli studenti e la Anselmi, ad assistere all'impiccagione di trentuno prigionieri (quarantatré secondo una testimonianza dell'Anselmi) catturati durante un rastrellamento sul Grappa, senza che avessero alcuna responsabilità di atti di guerra.
In seguito a questo episodio, la Anselmi decise di prendere parte attivamente alla Resistenza. Con il nome di battaglia di "Gabriella" (ispirato all'arcangelo Gabriele) divenne staffetta partigiana della brigata Cesare Battisti al comando di Gino Sartor, quindi passò al Comando regionale veneto del Corpo volontari della libertà. Frattanto, nel dicembre dello stesso 1944, si iscrisse alla Democrazia Cristiana e partecipò attivamente alla vita del partito.[4]
Nei giorni della liberazione fu responsabile insieme ad altri tre partigiani (tra cui don Carlo Avanzo) delle trattative tenutesi nella sede del comando tedesco per far sì che non ci fossero vittime o ritorsioni. La famiglia della giovanissima Anselmi venne a sapere del suo impegno nella Resistenza solo in seguito alla liberazione[6].
Nel 1948 si laureò in lettere all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, divenendo poi insegnante elementare nei paesini dell'Alta Castellana[6].
Nel secondo dopoguerra si impegnò nell'attività sindacale in seno alla CGIL e poi, dalla sua fondazione nel 1950, alla CISL. Fu dirigente del sindacato dei tessili dal 1945 al 1948 e del sindacato degli insegnanti elementari dal 1948 al 1955.[4]
Dal 1958 al 1964 fu incaricata nazionale dei giovani nella Democrazia Cristiana. Nel 1963 venne eletta componente del comitato direttivo dell'Unione europea femminile, della quale divenne vicepresidente nello stesso anno.
Nel 1959 entrò nel consiglio nazionale dello Scudo Crociato. Fu deputata dal 1968 al 1992, eletta sempre nella circoscrizione Venezia-Treviso: nel corso del suo lungo mandato parlamentare fece parte delle commissioni Lavoro e previdenza sociale, Igiene e sanità, Affari sociali. Si occupò molto dei problemi della famiglia e della donna: si deve a lei la legge sulle pari opportunità[7]
Per tre volte sottosegretaria al ministero del lavoro e della previdenza sociale, dal 29 luglio 1976 fu ministro del lavoro e della previdenza sociale nel governo Andreotti III: un fatto storico, perché l'Anselmi divenne la prima donna ministro in Italia.
Nel 1975 presiedette la delegazione italiana alla World Conference on Women promossa dall’ONU a Città del Messico, presenziando ai successivi eventi di Nairobi nel 1985 e di Pechino nel 1995.
Nel 1977 fu tra i primi firmatari della legge italiana che apriva alla parità salariale e di trattamento nei luoghi di lavoro, nell'ottica di abolire le discriminazioni di genere fra uomo e donna.[8]
Dopo l'esperienza al Ministero del Lavoro, fu anche ministro della sanità nei governi Andreotti IV e V. Proprio in questo periodo, nel 1979, quando Tina Anselmi fu ministro della Sanità, con la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (L. 23 dicembre 1978, n. 83#[9] si decise il ritiro dal mercato di migliaia di farmaci che una commissione tecnica aveva appena giudicato inutili o addirittura pericolosi.
Il 13 ottobre 1984, durante un incontro pubblico a Brescia, affermò di aver subito in quel periodo tentativi di corruzione per un valore di 32 miliardi di lire. Questa affermazione destò scandalo e le costò accuse da parte di esponenti di diversi partiti, cui rispose chiarendo che si trattò di tentativi di corruzione fatti non direttamente ma attraverso segnali ripetutisi nel tempo e che poté ricostruire e collegare solo più tardi.[6][10][11][12][13]
Profondamente credente, Tina Anselmi improntò tuttavia la sua attività politica sul principio della laicità. Nel 1978 firmò, in qualità di Ministro della Salute, la Legge 194 per l'interruzione volontaria della gravidanza[6].
Nello stesso anno, nelle settimane successive al rapimento di Aldo Moro, la Anselmi fu incaricata dei contatti tra la Democrazia Cristiana e la famiglia di Moro[6].
Firmataria della legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale[14], fu considerata come una "madre della Repubblica" e la sua candidatura fu proposta più volte durante le elezioni per il Capo dello Stato, prima nel '92 e poi nel 2006.[8]
Nel 1981, nel corso della VIII legislatura, venne nominata presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulla Loggia massonica P2 di Licio Gelli[15], che terminò i lavori nel 1985[16].
L'incarico le fu assegnato da Nilde Iotti, allora Presidente della Camera; Anselmi chiese appena quindici minuti per pensarci, telefonò a Leopoldo Elia e poi accettò l'incarico[17].
Unica donna della Commissione (composta da altri venti senatori e venti deputati), Anselmi fu la prima ad utilizzare la metafora della doppia piramide per illustrare le gerarchie di quello che definiva il "sistema P2". Questo incarico le costò insulti e delegittimazione, nonché un crescente isolamento politico negli anni successivi, anche da parte del suo stesso partito[6].
Nel maggio del 2010 ricevette nella sua villa di Castelfranco Veneto la visita del direttore del giornale Il Piave che su mandato di Licio Gelli le proponeva un incontro chiarificatore a quasi trent'anni dai fatti della P2, in quanto era stata presidente della commissione d'inchiesta. L'incontro non avvenne perché Anselmi rifiutò[18]; Gelli invece disse, mentendo come era solito, che aveva rifiutato perché malata.[19][20]
Fu più volte presa in considerazione da politici e società civile per la carica di Presidente della repubblica: nel 1992 fu il settimanale Cuore a sostenerne la candidatura e il gruppo parlamentare La Rete a votarla, mentre nel 2006 un gruppo di blogger la sostenne attraverso una campagna mediatica che prendeva le mosse dal blog "Tina Anselmi al Quirinale". In quell'occasione vennero enunciate le Dieci ragioni per candidare Tina Anselmi al Quirinale:
Nel 2004 promosse la pubblicazione di un libro intitolato Tra città di Dio e città dell'uomo. Donne cattoliche nella Resistenza veneta, di cui scrisse l'introduzione e un saggio.[21]
Tina Anselmi si è spenta nella sua abitazione di Castelfranco Veneto poco dopo la mezzanotte del 1º novembre del 2016, all'età di 89 anni: nel 2001 le era stata diagnosticata la malattia di Parkinson e negli ultimi anni un ictus aveva contribuito ad aggravare le sue condizioni di salute.[22]
Le esequie si sono tenute tre giorni dopo, il 4 novembre, nel duomo di Castelfranco Veneto e furono presiedute dall'arcivescovo di Treviso Gianfranco Agostino Gardin alla presenza dei presidenti delle due Camere[23] Pietro Grasso e Laura Boldrini e dei ministri Roberta Pinotti e Giuliano Poletti. Al termine del rito il feretro è stato tumulato all'interno della tomba di famiglia nel cimitero cittadino.
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