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struttura di coordinamento generale della Resistenza italiana Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il Corpo volontari della libertà (CVL) è stato la struttura militare di coordinamento generale della Resistenza italiana durante la seconda guerra mondiale ufficialmente riconosciuta sia dagli Alleati che dai governi del Comitato di Liberazione Nazionale[1].
A partire dal settembre 1943 formazioni irregolari di partigiani iniziarono ad operare per la cacciata degli occupanti nazisti e dei fascisti che, loro collaborazionisti, avevano creato nel nord del Paese la repubblica di Salò.
Il 9 gennaio 1944 il Comitato di Liberazione Nazionale deliberò la creazione di un comando generale che coordinasse l'azione dei gruppi di combattenti per la liberazione[2]; il provvedimento diventò operativo il 9 giugno 1944[3], anche se la delibera definitiva è datata 19 giugno[4].
Il comando generale fu costituito dal Comitato Liberazione Nazionale con il supporto delle forze alleate e del governo di unità nazionale e operò inviando norme generali, formando comandi regionali e sezioni interne (operazioni, sabotaggio, mobilitazione e servizi) e garantendo, per quanto possibile, un indirizzo unitario alla lotta partigiana[3].
Il comando generale stabilì la sua sede a Milano; i primi comandanti furono Luigi Longo in rappresentanza delle brigate Garibaldi (PCI), Ferruccio Parri per le Brigate Giustizia e Libertà (Partito d'Azione), Enrico Mattei per le Brigate del popolo, Giovanni Battista Stucchi per le brigate Matteotti e Mario Argenton per le formazioni autonome[3].
Le attività del CVL si strutturarono, oltre che sulle operazioni militari, intorno agli aviorifornimenti di armi e materiale da parte degli alleati, le attività di raccolta e trasmissione informazioni, i servizi di assistenza e sanitari per i partigiani e le loro famiglie, e l'ufficio stampa e propaganda[5][4].
Nell'agosto 1944 il generale Cadorna, dopo essere stato paracadutato in nord Italia e aver raggiunto Milano, assunse il ruolo di consulente militare del comando su mandato del governo Bonomi e del comando alleato. Il suo arrivo modificò gli equilibri interni al CVL, che fino a quel momento erano stati retti principalmente da Longo e Parri (PCI e PdA), e creò una direzione a tre[5][4].
L'estate del 1944 segnò l'apice dell'offensiva partigiana, condotta nell'ottica di un'imminente disfatta totale delle Potenze dell'Asse e della preparazione all'insurrezione generale[5]. In questa prospettiva, il proclama Alexander del 13 novembre 1944, che richiedeva di cessare ogni operazione organizzata e di attestarsi su posizioni difensive in vista dell'inverno, fu un colpo duro e inatteso[5]. Il 2 dicembre 1944 il CVL diramò una direttiva[6] per l'applicazione "dinamica" del messaggio di Alexander: venne accolta l'indicazione degli alleati di spostare in pianura alcuni gruppi e attività, mentre fu sostanzialmente disatteso l'ordine di sospendere le attività di guerriglia[3].
Il 7 dicembre 1944 fu firmato a Roma un accordo noto come Protocolli di Roma[7] fra una delegazione del CVL in rappresentanza del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia e gli alleati sulla struttura e il funzionamento del comando, che vedeva Cadorna come comandante e Parri e Longo come vice-comandanti per le operazioni, con il controllo di fatto della maggior parte delle formazioni combattenti[4]. La repressione nazifascista si intensificò durante l'inverno e Parri fu arrestato dalle SS a Milano, di ritorno dalla missione a Roma; dopo un tentativo fallito di liberazione da parte dei partigiani, fu rilasciato in seguito a una trattativa dello statunitense Allen Welsh Dulles con il comandante SS Karl Wolff[5].
Nel febbraio 1945 Cadorna diede le dimissioni dal comando generale, in protesta per la mancata definizione della sua autorità di comandante; le dimissioni però non furono accettate e il 28 febbraio Cadorna le ritirò, partendo poi per una missione in Svizzera, a Lione e nell'Italia liberata con Parri[3], per esaminare insieme agli alleati il piano per l'insurrezione nazionale in vista dello sfondamento sulla linea Gotica[5].
Nel marzo-aprile del 1945 le formazioni partigiane furono unificate[8] in regolari unità militari sotto il comando del CVL[9]. Il 16 aprile fu diramato l'ordine di passare all'attuazione dei piani prestabiliti[10] e il 23 di "intensificare l'azione per la battaglia decisiva"[11].
Terminata la guerra, come stabilito negli accordi con gli alleati a seguito della resa delle forze nazifasciste sul territorio italiano, entro il 15 giugno 1945 le formazioni partigiane del CVL procedettero alla riconsegna delle armi, sciogliendosi in quanto organizzazione armata e devolvendo ogni potere alle autorità alleate ed al governo italiano[12].
Con legge 21 marzo 1958, n. 285, il CVL ottenne il riconoscimento giuridico a tutti gli effetti di legge come Corpo militare regolarmente inquadrato nelle forze armate italiane[13].
Inizialmente il comitato militare del CLN era formato da Manlio Brosio (PLI), Giorgio Amendola (PCI), Riccardo Bauer (PdA), Giuseppe Spataro (DC), Sandro Pertini (PSIUP) e Mario Cevolotto (DL).
Nel giugno 1944 con la costituzione del CVL fanno parte del vertice il comunista Luigi Longo, l’azionista Ferruccio Parri, il democratico-cristiano Enrico Mattei, il socialista Giovanni Battista Stucchi e, per le formazioni autonome, Mario Argenton. Consulente militare è il generale Giuseppe Bellocchio.
Il 3 novembre 1944 il Comando del CVL è assegnato al generale Raffaele Cadorna, affiancato, in qualità di vice-comandanti, dal comunista Luigi Longo e dall’azionista Ferruccio Parri[14]. Capo dello stato maggiore fu il tenente colonnello Vittorio Palombo e dopo il suo arresto nel febbraio 1945, il maggiore Mario Argenton.
Nel 1947 i componenti del Comando generale del CVL: Raffaele Cadorna (Presidente), Ferruccio Parri (Partito d’Azione), Luigi Longo (Partito Comunista), Enrico Mattei (Democrazia Cristiana), Gian Battista Stucchi (Partito Socialista), e Mario Argenton (Partito Liberale, Autonomi) divennero il primo comitato direttivo della "Fondazione CVL". Inoltre furono chiamati a farne parte, in rappresentanza delle formazioni partigiane storiche, Francesco Scotti per le Brigate Garibaldi, Eugenio Cefis per le Brigate del Popolo, Enrico Martini per le formazioni Militari e Autonome, Enrico Gandolfi per Giustizia e Libertà, Guido Mosna per le Brigate Matteotti. [15]
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