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Scleractinia

ordine di coralli Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Scleractinia
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Le sclerattinie o madrepore (Scleractinia Bourne, 1900) sono un ordine di coralli della sottoclasse Hexacorallia, note anche come coralli duri o coralli costruttori.[1]

Dati rapidi Come leggere il tassoboxMadrepore, Classificazione scientifica ...

Molte specie appartenenti a questo gruppo sono organismi biocostruttori; a questo gruppo appartengono i coralli che, nelle regioni tropicali, danno origine alle barriere coralline, ambienti marini costieri estremamente ricchi di biodiversità.

Molte specie di madrepore prendono il nome di coralli ermatipici poiché provvisti nei propri tessuti di microalghe dinoflagellate endosimbionti, le zooxantelle; al contrario, le specie di madrepore che non ospitano zooxantelle endosimbionti prendono il nome di coralli aermatipici. I coralli biocostruttori tropicali sono ermatipici, e la presenza di zooxantelle è fondamentale per la biocostruzione della barriera corallina.

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Descrizione

Riepilogo
Prospettiva

Le madrepore sono esacoralli solitari o coloniali provvisti di robusto esoscheletro di carbonato di calcio aragonitico. I polipi alloggiano nel corallite, un calice di carbonato di calcio provvisto di setti radiali, in numero variabile. La simmetria è radiale e i setti compaiono per settori di 60° a cicli di 6; i setti sono prevalenti rispetto agli elementi trasversali. Il corallite è ornato di ulteriori elementi scheletrici utili all'identificazione delle specie come la columella centrale e i pali davanti ai setti. Nelle specie coloniali, i coralliti sono uniti tra loro da una massa calcarea comune denominata cenosteo.

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Il corallo cervello Diploria labyrinthiformis
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Il corallo "a palco di cervo" Acropora cervicornis
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Il corallo massivo Porites sp.


Nelle forme coloniali, i coralliti si fondono a formare strutture di forma diversa: massicce, ramificate, laminari, sferiche, monticolari, colonnari, foliacee, incrostanti o a placche. Quando i coralliti non sono a stretto contatto fra loro, la colonia è detta plocoide, mentre quando sono posti a diretto contatto, è detta cerioide. Quando la sua conformazione è allungata, a forma di tubo, la colonia è detta faceloide. Talora i coralliti sono disposti, in serie più o meno allungate, in avvallamenti della superficie della colonia; in tali casi la colonia è detta meandroide, mentre se i coralliti formano protuberanze (monticule), è detta idnoforoide.[2][3]

Le forme solitarie esclusive delle Scleractinia sono la flabellata e la cuneiforme; si tratta spesso di forme gregarie, che possono dare luogo a banchi organogeni.

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Ecologia

Le forme coloniali, grazie alla loro capacità di depositare carbonato di calcio, sono spesso importanti organismi biocostruttori, e danno spesso luogo a notevoli biocostruzioni diffuse a tutte le latitudini e in un ampio intervallo di profondità.

Le biocostruzioni coralline più sviluppate e meglio conosciute sono le barriere coralline, ambienti carbonatici che si sviluppano nelle regioni tropicali in acque costiere a basse profondità, in zone ben illuminate dal sole.

Le biocostruzioni coralline, formando barriere in grado di resistere ad onde e correnti, permettono lo sviluppo di ambienti di piattaforma carbonatica, come ad esempio gli atolli.

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Madrepora cuscino (Cladocora caespitosa), unica madrepora ermatipica biocostruttrice del Mediterraneo

Nel Mediterraneo l'unica specie di madrepora ermatipica (che ospita zooxantelle endosimbionti) capace di biocostruire formazioni coralline di grande valenza ecologica è la madrepora cuscino (Cladocora caespitosa).[4][5][6][7]

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Conservazione

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Tutte le madrepore sono protette dalla convenzione CITES.[8]

Le attività antropiche, come la pesca, gli ancoraggi delle imbarcazioni e l'inquinamento possono arrecare danni gravi alle madrepore. Anche le specie aliene invasive rappresentano una minaccia per questi organismi.

Il rischio maggiore per la loro sopravvivenza sembra essere rappresentato però dal cambiamento climatico, in particolare dal riscaldamento globale e dall'acidificazione degli oceani.

Sbiancamento dei coralli

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Un corallo del genere Acropora sbiancato; se le microalghe non tornano entro pochi giorni, il corallo è destinato a morire di fame

Una delle minacce più importanti per le madrepore e per le barriere coralline è il cosiddetto fenomeno dello sbiancamento dei coralli (coral bleaching), sempre più frequente e dannoso a causa dei recenti cambiamenti climatici globali e del riscaldamento globale.

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Confronto tra un corallo in salute e un corallo sbiancato

Lo sbiancamento dei coralli è un fenomeno che si verifica quando i coralli espellono le zooxantelle, facendoli apparire bianchi o molto chiari. Questo processo è spesso innescato da stress ambientali, come l'aumento della temperatura dell'acqua, l'acidifcazione dei mari o l'inquinamento. Questo fenomeno è quindi molto dannoso per l'ecosistema della barriera corallina, dal momento che le zooxantelle forniscono ai coralli fino al 90% del loro fabbisogno energetico attraverso la fotosintesi, e partecipano attivamente alla biocostruzione della struttura carbonatica. Temperature elevate, anche di pochi gradi, possono stressare i coralli e indurli a espellere le zooxantelle. In genere il fenomeno dello sbiancamento si verifica quando la temperatura dell'acqua si mantiene a lungo oltre i 30 °C.

Questo è molto preoccupante soprattutto in un'ottica di cambiamenti climatici e di riscaldamento globale: i fenomeni di sbiancamento dei coralli potrebbero aumentare sempre di più a causa del progressivo aumento delle temperature, con effetti devastanti per la biodiversità e per l'ecosistema.

Le conseguenze dello sbiancamento sono diverse. Innanzitutto si ha perdita di colore: i coralli perdono il loro colore vivace e appaiono bianchi o pallidi. Se lo stress persiste, i coralli possono morire di fame, poiché le zooxantelle forniscono loro gran parte dell'energia.

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Effetti dello sbiancamento dei coralli

Lo sbiancamento dei coralli può portare alla perdita di specie marine che dipendono dalle barriere coralline per il cibo e il riparo, comportando quindi un drastico calo di biodiversità. Molte popolazioni umane dipendono dalle barriere coralline per il turismo, la pesca e la protezione dalle tempeste, quindi lo sbiancamento può avere anche gravi conseguenze economiche e sociali, oltre che ecologiche ed ambientali.

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Sbiancamento in Cladocora caespitosa

Il fenomeno dello sbiancamento non riguarda solo i coralli tropicali che formano le barriere coralline; anche la madrepora cuscino (Cladocora caespitosa), specie endemica del Mediterraneo e anch'essa, proprio come i coralli tropicali, ermatipica, che ospita cioè zooxantelle endosimbionti, soffre l’innalzamento della temperatura dell’acqua e va incontro a fenomeni di sbiancamento.[9][10][11][12][13][14]

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Madrepore del Mediterraneo

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Prospettiva

Anche nel Mar Mediterraneo sono presenti diverse specie di madrepore, alcune delle quali molto diffuse ed importanti, sebbene non rivestano la stessa valenza ecologica e non presentino la stessa diversità di specie, forme e dimensioni delle madrepore tropicali che formano le barriere coralline.

Elenco delle madrepore presenti nel Mediterraneo

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Madracis pharensis
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Phyllangia americana
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Astroides calycularis
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Leptopsammia pruvoti

Nel Mar Mediterraneo sono presenti 34 specie di madrepore (delle quali 2 aliene), 18 sono coloniali e 16 sono solitarie[8]:

  • Madrepora grappolo (Madracis pharensis)
  • Madrepora cuscino (Cladocora caespitosa)
  • Madrepora esile (Cladocora debilis)
  • Oculina della Patagonia (Oculina patagonica, specie aliena nel Mediterraneo)
  • Madrepora oculata (Madrepora oculata)
  • Madrepora cespugliosa (Coenocyathus anthophyllites)
  • Madrepora cilindrica (Coenocyathus cylindricus)
  • Madrepora di Müller (Polycyathus muellerae)
  • Madrepora di Gast (Thalamophyllia gasti)
  • Lofelia (Lophelia pertusa)
  • Oplangia (Hoplangia durotrix)
  • Purtalosmilia (Purtalosmilia anthophyllites)
  • Madrepora di Mouchez (Phyllangia americana)
  • Dendrofillia rame (Dendrophyllia ramea)
  • Dendrofillia cornuta (Dendrophyllia cornigera)
  • Madrepora di Roland (Cladopsammia rolandi)
  • Madrepora arancione (Astroides calycularis)
  • Madrepora crespa (Oulastrea crispata, specie aliena nel Mediterraneo)
  • Cariofillia di Calver (Caryophyllia calveri)
  • Cariofillia tazza (Caryophyllia cyathus)
  • Cariofillia disadorna (Caryophyllia inornata)
  • Cariofillia di Smith (Caryophyllia smithii)
  • Madrepora di Magnaghi (Ceratotrochus magnaghii)
  • Madrepora bella (Paracyathus pulchellus)
  • Madrepora di Andrew (Sphenotrochus andrewianus)
  • Desmofillo (Desmophyllum dianthus)
  • Madrepora pigmea (Monomyces pigmaea)
  • Madrepora di Caillet (Javania cailleti)
  • Madrepora anulata (Guynia annulata)
  • Madrepora vermiforme (Stenocyathus vermiformis)
  • Balanofillia cellulosa (Balanophyllia cellulosa)
  • Madrepora molare (Balanophyllia europaea)
  • Balanofillia reale (Balanophyllia regia)
  • Madrepora gialla (Leptopsammia pruvoti)[8]
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Tassonomia

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Acropora sp.
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Colonie di Porites lobata e Acropora cervicornis
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Diploastrea heliopora

L'ordine Scleractinia comprende le seguenti famiglie:[1]

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Paleontologia

Riepilogo
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Fossile di corallo

La presenza di un esoscheletro duro di carbonato di calcio favorisce i processi di fossilizzazione, di conseguenza oggi disponiamo di un'ampia documentazione fossile di coralli. I fossili più antichi di madrepore risalgono al Mesozoico; la documentazione fossile relativa a questi organismi prosegue ininterrotta fino ai giorni nostri.

In paleontologia le madrepore hanno una grande importanza soprattutto dal punto di vista paleoecologico: sono importanti indicatori paleoambientali.

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Fossile di corallo

Poiché i coralli per la loro crescita e diffusione hanno necessità di condizioni ambientali molto particolari (precise condizioni di luminosità, trasparenza dell’acqua, profondità, salinità, granulometria del substrato, ecc.) sono dei bioindicatori ambientali, e quindi di conseguenza i coralli fossili sono degli importanti indicatori paleoambientali: indicano le caratteristiche degli ambienti del passato. Ad esempio, la presenza di un corallo fossile in un affioramento roccioso è indicativa del fatto che l’ambiente di deposizione originario era presumibilmente una costa a clima tropicale, analoga alle attuali barriere coralline.

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Corallo fossile

Le barriere coralline fossili sono forse i paleoambienti che trovano maggiori studi ed applicazioni in paleoecologia. L’importanza paleoecologica delle barriere coralline del passato e l’importanza di studiare questi paleoambienti nel record fossile sono date da una serie di fattori. Le barriere coralline sono ecosistemi presenti dall’inizio del Fanerozoico, sono cioè presenti sulla Terra da circa 540 milioni di anni: presentano quindi un record fossile molto esteso cronologicamente e stratigraficamente. Di conseguenza, le barriere coralline sono quindi testimoni delle variazioni climatiche che hanno caratterizzato la Terra dall’inizio del Fanerozoico. Le barriere coralline del passato sono rappresentate in larga parte da fossili in posizione di vita, dunque abbiamo molte informazioni sulla biologia ed ecologia degli organismi che la costruiscono, i coralli costruttori. Questo chiaramente agevola le interpretazioni e le ricostruzioni paleoecologiche.

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Una barriera corallina fossile

I coralli fossili sono ottimi indicatori delle condizioni paleoambientali, ampiamente usati nelle ricostruzioni paleoecologiche e paleoclimatiche, perché i coralli possono vivere in uno stretto range di condizioni ambientali ottimali (temperatura, salinità, profondità) e risorse (luce, nutrienti), quindi la presenza di coralli costruttori allo stato fossile ci fornisce molte informazioni su diversi fattori ambientali del paleoambiente.

Anche la correlazione tra la morfologia di crescita del corallo ed i principali parametri ambientali può essere usata in paleoecologia nelle ricostruzioni paleoambientali: le diverse forme di crescita dei coralli (massiva, globosa, ramificata, incrostante ecc.) sono in funzione dei parametri ambientali, quali idrodinamismo, luminosità, profondità e tasso di sedimentazione. Attraverso l’analisi di queste caratteristiche è quindi possibile, nei coralli fossili, ottenere importanti informazioni riguardo le condizioni dei paleoambienti. Ad esempio, sapendo che i coralli di forma ramificata e sottile vivono in acque poco agitate e a basso idrodinamismo, coralli fossili con questa morfologia indicano poca energia del moto delle acque del paleoambiente, mentre i coralli di forma globosa e massiva sono da correlare ad un ambiente a più forte energia idrodinamica.

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Corallo fossile, si osservano i singoli coralliti dove alloggiavano i polipi

I coralli vivono per secoli e si accrescono aggiungendo sottili strati stagionali di carbonato di calcio che, a loro volta, possono incorporare conchiglie e scheletri di altri organismi. Analogamente agli anelli di crescita degli alberi, dallo studio dei coralli fossili è possibile, attraverso la tecnica della sclerocronologia, ricavare diverse informazioni correlabili, in maniera più o meno diretta, alle variazioni climatiche delle regioni tropicali nei vari periodi geologici: temperatura delle acque marine, salinità, pH, dinamica delle diverse masse d’acqua e cambiamenti del livello del mare. Di conseguenza i coralli fossili risultano molto utili anche in paleoclimatologia, poiché sono fonti preziose per la ricostruzione dei dati paleoclimatici del passato.

Le barriere coralline del passato ci offrono l’opportunità di capire come, a lungo termine, l’ecosistema di barriera corallina abbia risposto ai cambiamenti ambientali e climatici nel tempo geologico, e quindi ci consentono di provare ad interpretare come le barriere coralline attuali possano rispondere, in un immediato futuro, ai cambiamenti climatici attuali.

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Corallo fossile

I coralli vivono per secoli e si accrescono aggiungendo sottili strati stagionali di carbonato di calcio che, a loro volta, possono incorporare conchiglie e scheletri di altri organismi. Analogamente agli anelli di crescita degli alberi, dallo studio dei coralli fossili è possibile, attraverso la tecnica della sclerocronologia, ricavare diverse informazioni correlabili, in maniera più o meno diretta, alle variazioni climatiche delle regioni tropicali nei vari periodi geologici: temperatura delle acque marine, salinità, pH, dinamica delle diverse masse d’acqua e cambiamenti del livello del mare. Di conseguenza i coralli fossili risultano molto utili anche in paleoclimatologia, poiché sono fonti preziose per la ricostruzione dei dati paleoclimatici del passato.

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Barriera corallina fossile

La sclerocronologia è una tecnica molto utilizzata che fa uso dei coralli fossili per le ricostruzioni paleoecologiche e paleoclimatiche. Questa tecnica prevede l’utilizzo dei coralli fossili come termometri fossili: i coralli costruttori si accrescono depositando carbonato di calcio in bande di crescita; la sclerocronologia relaziona le bande di crescita dei coralli con il clima. La parte vivente del corallo, il polipo, è alloggiato in prossimità della superficie della colonia. La crescita scheletrica avviene aggiungendo materiale carbonatico nella zona immediatamente sottostante, creando così l’accumulo di uno spessore via via maggiore di carbonato. In questo modo la colonia risulta formata da una successione di bande di crescita. Questi livelli sono caratterizzati da una densità differente del carbonato e talvolta possono essere osservati ad occhio nudo, mentre in altri casi necessitano di analisi ai raggi x o agli ultravioletti. Il differente spessore e la diversa densità delle bande di crescita sono aspetti legati alle variazioni ambientali stagionali: in linea generale durante l’estate lo scheletro si accresce più rapidamente, mentre in inverno la crescita è più lenta. Analogamente a quanto accade per gli anelli di accrescimento degli alberi, contando i livelli di crescita è quindi possibile stabilire una cronologia. Le colonie coralline possono raggiungere diverse centinaia di anni di età, permettendo quindi di identificare nel passato periodi abbastanza lunghi. L'importanza della sclerocronologia sta però soprattutto nella possibilità di individuare un riferimento cronologico sfruttabile attraverso tecniche di indagine paleoecologica differenti. È il caso delle analisi isotopiche. Anche se i coralli non accrescono il proprio scheletro con un chimismo in equilibrio rispetto all’acqua in cui vivono, opportune correzioni permettono di poter utilizzare il segnale isotopico delle colonie coralline. Analisi dei rapporti isotopici del 18O e del 13C consentono quindi di risalire ad alcune importanti caratteristiche paleoclimatiche degli antichi mari, quali ad esempio temperatura, salinità, grado di eutrofizzazione. Compiendo queste analisi su ciascuno dei livelli di accrescimento di una colonia corallina sarà possibile cogliere le variazioni annuali subite da questi parametri ambientali.

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Bibliografia

  • Boyer M. Atlante di flora e fauna del reef. Ecologia e biodiversità delle barriere coralline. Il Castello. 2011
  • Cerrano C., Ponti M., Silvestri S. Guida alla biologia marina del Mediterraneo. Kemet. 2019
  • Danovaro R. Biologia marina. Biodiversità e funzionamento degli ecosistemi marini. UTET Università. 2022
  • Mojetta A., Ghisotti A., Flora e fauna del Mediterraneo. Mondadori. 2003
  • Rossi G. Le scogliere coralline. Biodiversità ed ecologia degli ecosistemi delle scogliere coralline. RCI. 2012
  • Rossi G. Coralli. Guida al riconoscimento dei principali generi di coralli costruttori delle scogliere coralline. RCI. 2021
  • Trainito E., Baldacconi R. Coralli del Mediterraneo. Il Castello. 2016
  • Trainito E., Baldacconi R. Atlante di flora e fauna del Mediterraneo. Guida alla biodiversità degli ambienti marini. Il Castello. 2021
  • Veron J. E. N. Corals of the World. Vol. 1, 2, 3- 2000. Odissey Publishing. Australia
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Note

Voci correlate

Altri progetti

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