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cartello della droga Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Pizza Connection fu un'inchiesta giudiziaria sul traffico di droga condotta negli Stati Uniti d'America dal Federal Bureau of Investigation (FBI) tra il 1979 e il 1984.[1]
All'indagine collaborarono a più riprese anche alcuni appartenenti alla magistratura italiana, tra i quali vanno ricordati in particolare modo i magistrati Giovanni Falcone e Giusto Sciacchitano, già membri del pool antimafia a Palermo[2].
Nella seconda metà degli anni settanta i mafiosi palermitani Nunzio La Mattina, Tommaso Spadaro e Giuseppe Savoca acquistavano grosse partite di morfina in Svizzera dal trafficante turco Musullulu Yasar Avni per conto delle altre Famiglie mafiose[3][4] e la trasportavano, via mare o via terra, a Palermo e nelle vicinanze, dove erano attive numerose raffinerie illegali di eroina comuni a tutte le Famiglie[5]: nel 1980 gli inquirenti ne scoprirono per la prima volta una in contrada Piraineto di Punta Raisi e un'altra a Trabia, gestite dal mafioso Gerlando Alberti, che venne arrestato insieme a tre chimici marsigliesi che lavoravano per lui[6][7][8]; nel 1982 sarà scoperta un'altra raffineria, a Palermo, in via Messina Marine, gestita dal mafioso Pietro Vernengo[9].
Nel marzo 1980 avvenne uno dei più clamorosi sequestri di eroina dell'epoca: un carico di 40 kg venne ritrovato a Cedrate di Gallarate (VA) nascosto nelle custodie dei dischi di Esmeralda Ferrara, una cantante di Bagheria, che faceva frequenti viaggi negli Stati Uniti per conto di Emanuele Adamita, della famiglia mafiosa dei Gambino di New York.[10][8][11]
Secondo i collaboratori di giustizia Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, il traffico di eroina era gestito esclusivamente da mafiosi siciliani vicini ai Corleonesi (capeggiati dal boss Salvatore Riina) che si erano trasferiti negli States (Salvatore Catalano, Gaetano Mazzara, Giuseppe Ganci, Salvatore Mazzurco, Salvatore Lamberti, Frank Castronovo e Salvatore Greco)[12][13][5] mentre il collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia sostenne che il traffico di droga con gli USA sarebbe stato gestito (fino al suo omicidio per mano dei Corleonesi nel 1981) dal boss Stefano Bontate ed aveva come terminali i fratelli John e Rosario Gambino di Brooklyn, circostanza invece negata da Buscetta e Contorno[14][15]. Secondo un altro collaboratore di giustizia, Leonardo Messina, se Famiglie o mandamenti di più province dovevano intervenire finanziariamente nel traffico di stupefacenti, "la gestione era dei palermitani"[16]: «[...] il mandamento chiama la Famiglia alla quale domanda se vuole partecipare al traffico [...] Qualcuno ha partecipato a titolo personale. [...] Le Famiglie mettono i soldi, per traffici che avvengono a Palermo, a Roma, a New York, e via dicendo. [...] Ci sono persone che hanno messo 200 milioni ed oggi hanno 200 miliardi [di lire]»[17].
L'eroina prodotta veniva mandata in Nordamerica e in Europa: secondo dati ufficiali, in quel periodo i mafiosi siciliani avevano il controllo della raffinazione, spedizione e distribuzione di circa il 30% dell'eroina consumata negli Stati Uniti[18]. Tutte le transazioni economiche che riguardavano il traffico di eroina si svolgevano presso banche di Lugano e Zurigo, dove il denaro ricavato, attraverso conti correnti, veniva trasferito dagli Stati Uniti ed incassato dai mafiosi siciliani, che lo rendevano disponibile per altri acquisti di morfina base[3][13]: i responsabili del riciclaggio dei profitti in Svizzera erano i mafiosi Leonardo Greco, Alfonso Caruana e Pasquale Cuntrera, che si servivano di insospettabili imprenditori, agenti di cambio e consulenti finanziari (Vito Roberto Palazzolo, Adriano Corti, Franco Della Corte, Oliviero Tognoli e Salvatore Amendolito), i quali aprivano società e conti bancari in territorio elvetico per il trasferimento del denaro sporco[19][20][21].
La rete di distribuzione dell'eroina negli Stati Uniti era pure costituita da alcuni mafiosi siciliani emigrati durante gli anni sessanta e settanta, che vennero reclutati da Carmine Galante, boss della Famiglia Bonanno, che li usò per rilevare pizzerie e ristoranti italiani, che svolgevano un ruolo centrale nel coprire l'importazione dell'eroina da Palermo[13][11]. I membri di spicco tra questi siciliani erano Salvatore Catalano, Cesare Bonventre e Baldassare “Baldo” Amato, che formavano la fazione siciliana della Famiglia Bonanno, ed erano chiamati "zips" dagli esponenti di cosa nostra statunitense di basso rango perché parlavano così velocemente in siciliano. Molti di loro si stabilirono a Knickerbocker Avenue, una strada di Brooklyn, territorio controllato da Pietro Licata, capodecina della Famiglia Bonanno.[22][11]
Nel 1976 Salvatore Catalano divenne un capodecina dopo aver assassinato Licata, il quale vietava ai suoi uomini di partecipare al traffico di droga: gli "zips", guidati da Catalano, avevano preso il sopravvento a Knickerbocker Avenue; nel 1979 gli "zips" parteciparono anche all'assassinio di Carmine Galante perché il boss era diventato particolarmente avido nei loro confronti[11][23]. Dopo l'omicidio di Galante, Catalano divenne per breve tempo il capo ad interim della Famiglia Bonanno ma venne sostituito perché gli riusciva difficile svolgere il suo lavoro in inglese[22][11].
Nel 1978 il boss Gaetano Badalamenti fu espulso dalla "Commissione" di Cosa Nostra dai Corleonesi di Totò Riina e si trasferì in Brasile, soggiornando a San Paolo, da dove continuò ad inviare negli Stati Uniti eroina da Palermo e cocaina dal Sudamerica[1][5], in stretto collegamento con Salvatore Catalano ed altri personaggi della sua fazione (Giuseppe Ganci, Salvatore Mazzurco e Salvatore Lamberti), nonostante facessero parte di "famiglie" legate ai Corleonesi, acerrimi nemici di Badalamenti.[5][13] Dopo la seconda guerra di mafia (1981-1984), il traffico di eroina venne gestito da mafiosi appartenenti alle Famiglie perdenti che, con il benestare del Corleonesi, erano in affari con la Famiglia Gambino di Brooklyn, come venne dimostrato dalla successiva operazione antidroga "Iron Tower" del 1988[24][25][11].
Dopo l'assassinio di Carmine Galante, il Federal Bureau of Investigation iniziò le indagini[26], che vennero condotte dagli agenti Charles Rooney e Carmine Russo[27][12], partendo dal ritrovamento all'aeroporto J.F. Kennedy di New York di alcune valigie piene di eroina provenienti da Palermo e alla precedente scoperta di due valigette contenenti 500.000 dollari all'aeroporto di Palermo-Punta Raisi: i due ritrovamenti erano avvenuti a distanza di qualche giorno nel giugno 1979[28][29][10].
Si trattò dell'indagine più complessa mai intrapresa dall'FBI: furono sorvegliati decine di mafiosi, anche ricorrendo agli agenti infiltrati Joseph Pistone ed Edgar Robbs (che agivano sotto copertura con i falsi nomi di Donnie Brasco e Tony Rossi)[13], e si scoprì che gli "zips" usavano le loro pizzerie e ristoranti come terminale del traffico di eroina[30][11]. Infatti l'FBI collaborò anche con la DEA, che, sempre attraverso alcuni agenti sotto copertura, contattò uno spacciatore italo-americano di Philadelphia, Benny Zito, il quale fece da intermediario con la "fazione siciliana" della Famiglia Bonanno capeggiata da Salvatore Catalano per l'acquisto di una grossa partita di eroina.[12][11][13] Gli incontri di Zito con i suoi compari consentirono agli agenti di monitorare i movimenti di Giuseppe "Joe" Ganci (socio di Catalano nella gestione di diverse pizzerie) e di Gaetano "Tommy" Mazzara (proprietario di un'altra pizzeria), che si incontravano ripetutamente con Salvatore Mazzurco e i suoi soci, i cugini Giuseppe e Salvatore Lamberti, i quali risultarono essere i fornitori della droga richiesta da Zito[12][11][13]. Inoltre l'FBI avviò una collaborazione con la polizia italiana (in particolare con la Questura di Palermo, la Guardia di Finanza e la Criminalpol)[23] e con i giudici Giovanni Falcone e Giusto Sciacchitano (che avviarono numerose rogatorie negli Stati Uniti per sentire testimoni ed acquisire prove, le quali confluiranno poi nel primo grande processo a Cosa nostra, il cosiddetto maxi processo di Palermo[31][32][33]): i poliziotti italiani riuscirono a pedinare e a fotografare Gaetano Mazzara e Giuseppe Ganci, arrivati a Palermo dagli Stati Uniti per negoziare l'acquisto dell'eroina dai loro "soci" siciliani: Carlo Castronovo, Leonardo Greco, Giuseppe Soresi e Filippo Nania, tutti mafiosi di rango legati ai Corleonesi[34][12].
L'FBI intercettò anche migliaia di conversazioni telefoniche, effettuate spesso da cabine telefoniche pubbliche, e dovette ricorrere ad un team di traduttori esperti perché la maggior parte dei dialoghi avvenivano in siciliano[35]: vennero intercettate anche le telefonate di Gaetano Badalamenti, che allora si trovava in Brasile, il quale parlava in codice con alcuni "zips" appartenenti alla fazione di Catalano, ossia Salvatore Mazzurco e Salvatore Lamberti, riferendosi all'acquisto di spedizioni di cocaina ed eroina[36].
Nel 1984, sempre attraverso intercettazioni telefoniche, l'FBI scoprì che Badalamenti aveva programmato un incontro a Madrid con il nipote Pietro "Pete" Alfano, proprietario di una pizzeria ad Oregon, in Illinois, e considerato il "punto di contatto principale negli Stati Uniti" per il traffico di eroina perché risultato anche lui in stretto contatto telefonico con Mazzurco e Lamberti[13][37]. L'8 aprile 1984 a Madrid gli agenti dell'FBI e quelli delle polizie italiana e spagnola arrestarono Badalamenti e il figlio Vito insieme a Pietro Alfano[38]; il 15 novembre gli arrestati furono estradati negli Stati Uniti.[39] Il 9 aprile vennero arrestati 24 presunti criminali appartenenti al gruppo degli "zips" negli Stati Uniti, altri sei mafiosi vennero presi in Italia e due (Adriano Corti e Franco Della Torre, considerati le menti finanziarie dell'organizzazione) in Svizzera[40], coinvolti in quello che divenne noto come il caso "Pizza Connection".[13][20][23]
Il processo contro Badalamenti e gli altri 18 imputati[41] iniziò il 24 ottobre 1985 a New York[39]. Prima e durante il processo, cosa nostra statunitense scatenò una vendetta contro gli "zips" imputati, da loro particolarmente odiati: il 16 aprile 1984 Cesare Bonventre venne ucciso e fatto a pezzi nel New Jersey; il 26 novembre 1986 scomparve il mafioso siciliano Gaetano "Tommy" Mazzara, accusato di essere uno dei terminali statunitensi del traffico di eroina[42], e venne ritrovato soltanto il 2 dicembre in una strada di Brooklyn, chiuso in un sacco della spazzatura, con due fori di proiettile sulla nuca e il corpo orrendamente sfigurato[41]; l'11 febbraio 1987 Pietro Alfano venne ferito gravemente a proiettili nel quartiere Greenwich Village di New York e rimarrà paralizzato[39].
Il processo durò quasi due anni ed è stato il più lungo nella storia giudiziaria degli Stati Uniti[41]; furono ascoltati oltre 250 testimoni[41] e l'accusa presentò conversazioni intercettate, migliaia di documenti, parecchi chili di eroina sequestrata e una serie di armi che gli agenti federali avevano sequestrato quando arrestarono gli imputati[43]. I testimoni più importanti furono i mafiosi pentiti Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, fatti venire dall'Italia a seguito di un accordo con i magistrati italiani[44][45][46], i quali descrissero Cosa Nostra e il suo ruolo nel traffico di droga; in particolare Buscetta affermò che non gli risultava un coinvolgimento di Badalamenti nel traffico di eroina[46] mentre Contorno testimoniò che nel 1980 era presente ad una riunione tenutasi a Bagheria per organizzare la spedizione di una grande quantità di eroina (circa 40 kg) negli Stati Uniti[47], che però venne poi sequestrata a Cedrate di Gallarate mentre stava per raggiungere l'aeroporto di Linate, e tra i presenti all'incontro c'erano anche alcuni degli imputati al processo indicati come gli organizzatori del traffico: Salvatore Greco (fratello del boss di Bagheria Leonardo), Giuseppe Ganci, Gaetano Mazzara, Salvatore Catalano e Francesco Castronovo[48][14]. Un altro importante testimone fu l'ex agente infiltrato Joseph Pistone (alias Donnie Brasco), il quale testimoniò in aula di aver saputo che l'organizzazione in cui si era infiltrato, ossia la fazione della Famiglia Bonanno guidata dal boss Dominick "Sonny Black" Napolitano, aveva stretto un'alleanza con la fazione siciliana capeggiata da Salvatore Catalano[49].
Il pubblico ministero del processo fu il procuratore Louis J. Freeh, che diverrà direttore del Federal Bureau of Investigation[30], coordinato al procuratore federale Rudolph Giuliani[36].
Il processo terminò il 22 giugno 1987[39]. Poco prima di riunirsi in camera di consiglio per il verdetto, uno dei giurati chiese e ottenne di abbandonare l'incarico, perché la sua famiglia aveva ricevuto telefonate minatorie, nonostante l'identità dei dodici giudici popolari fosse stata tenuta segreta per tutto il procedimento[41]. Gaetano Badalamenti e Salvatore Catalano vennero condannati a 45 anni di carcere[50] mentre Joseph Lamberti a 30 anni, Salvatore Mazzurco a 20 anni per traffico di droga e a 15 per conspiracy (associazione a delinquere), Sam Evola e Pietro Alfano a 15 anni, Emanuele Palazzolo a 12 anni[39]. L'unico assolto di tutti gli imputati fu Vito Badalamenti, il figlio di Gaetano[41].
Il caso "Pizza connection" venne inserito nella sentenza-ordinanza del procedimento "Abbate Giovanni + 706" (il cosiddetto "Maxiprocesso di Palermo") con cui il pool antimafia di Palermo rinviava a giudizio numerosi imputati dell'inchiesta americana: Pietro Alfano, Salvatore e Onofrio Catalano, Giovanni Cangialosi, Francesco Castronovo, Lorenzo De Vardo, Calogero Lauricella, Salvatore Mazzurco e Francesco Polizzi[51].
Il 16 dicembre 1987 venne pronunciata la sentenza di primo grado del Maxiprocesso, che condannava Pietro Alfano a 5 anni di carcere, Salvatore e Onofrio Catalano e Francesco Castronovo a 17 anni mentre Lorenzo De Vardo venne assolto[21].
Uno stralcio d'indagine della "Pizza connection" portò ad un processo che si aprì a Roma nel settembre 1984, che vedeva imputati boss mafiosi e riciclatori di denaro sporco che si muovevano tra Sicilia, Lombardia, Svizzera e Stati Uniti[52]: i siciliani Giuseppe e Alfredo Bono, Nicolò ed Antonino Salamone, Salvatore ed Antonino Enea, il napoletano Michele Zaza e Salvatore Amendolito, uno degli "addetti" al riciclaggio in Svizzera che stava collaborando con le autorità americane[53][54]; vennero tutti condannati a pene fino a 15 anni di reclusione[55]
Un altro processo alla "Pizza connection" si aprì a Lugano l'8 settembre 1985, che vedeva l'accusa rappresentata dal pubblico ministero Paolo Bernasconi e come imputati i principali riciclatori di denaro sporco in Svizzera: i ticinesi Adriano Corti, Franco Della Torre ed Enrico Rossini, i turchi Musululu Yasar Avni e Paul Eduard Waridel e il boss mafioso Vito Roberto Palazzolo, considerato "il cassiere di Cosa Nostra"[56][57], il quale venne condannato a tre anni di prigione[58].
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