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giornalista italiano (1959-1985) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Giancarlo Siani (Napoli, 19 settembre 1959 – Napoli, 23 settembre 1985) è stato un giornalista italiano, assassinato dalla camorra.[1]
La sua uccisione fu ordinata dal boss Angelo Nuvoletta, per volontà del mafioso Totò Riina,[2] capo di Cosa nostra, a cui il clan di Marano era affiliato[3]. Il motivo dell'assassinio fu un articolo del 10 giugno 1985,[4][5][6] in cui Siani informò l'opinione pubblica che l'arresto del boss oplontino Valentino Gionta era stato possibile grazie a una soffiata degli storici alleati Nuvoletta, che tradirono Gionta in cambio di una tregua con i nemici casalesi[3].
Appartenente a una famiglia della media borghesia partenopea del quartiere Vomero, frequentò le elementari presso la scuola "Vincenzo Cuoco", le medie presso la Scuola media statale "Michelangelo Schipa" e le superiori presso il Liceo classico G. B. Vico, partecipando al movimento del Settantasette. Conseguì la maturità classica nel 1978 con il massimo dei voti (60/sessantesimi). Una volta iscritto a Sociologia all'Università degli Studi di Napoli Federico II, iniziò a collaborare con alcuni periodici napoletani, tra cui il mensile ScuolaInformazione su cui scrivevano pure Gildo De Stefano e Antonio Franchini, mostrando particolare interesse per le problematiche dell'emarginazione; proprio all'interno delle fasce sociali più disagiate si annidava, infatti, il principale serbatoio di manovalanza della criminalità organizzata.
In quel periodo fondò assieme ad altri giovani giornalisti, tra i quali Gildo De Stefano e Antonio Franchini, il Movimento Democratico per il Diritto all'Informazione (M.D.D.I.)[7], di cui fu portavoce nei diversi convegni nazionali sulla libertà di stampa. Scrisse i suoi primi articoli per il mensile Il lavoro nel Sud, testata dell'organizzazione sindacale CISL, e poi iniziò la sua collaborazione presso la redazione di Castellammare di Stabia come corrispondente da Torre Annunziata per il quotidiano Il Mattino di Napoli. Fu attivista del Partito Radicale durante la segreteria di Giuseppe Rippa.[8]
Da Torre Annunziata si occupò principalmente di cronaca nera e quindi di camorra, studiando e analizzando i rapporti e le gerarchie delle famiglie camorristiche che controllavano il comune e i suoi dintorni. Fu in questo periodo che iniziò anche a collaborare con l'Osservatorio sulla Camorra, periodico diretto dal sociologo Amato Lamberti. Al quotidiano Il Mattino faceva riferimento alla redazione distaccata di Castellammare di Stabia. Pur lavorando come corrispondente, da giornalista frequentava stabilmente la redazione del comune stabiese: il suo sogno era strappare il contratto da praticante giornalista per poi poter sostenere l'esame e diventare giornalista professionista. Un titolo che gli verrà riconosciuto ad honorem, nel giorno del 35º anniversario dall'uccisione, da parte dell'Ordine dei giornalisti che ha consegnato il tesserino ai suoi familiari, durante una cerimonia a Napoli.
Lavorando per Il Mattino, Siani riuscì ad approfondire la conoscenza del mondo della camorra, dei boss locali e degli intrecci tra politica e criminalità organizzata, scoprendo una serie di connivenze che si erano stabilmente create, all'indomani del terremoto in Irpinia, tra esponenti politici oplontini e il boss locale, Valentino Gionta, che, da pescivendolo ambulante, aveva costruito un business illegale. Gionta era partito dal contrabbando di sigarette, per poi spostarsi al traffico di stupefacenti, e infine controllando l'intero mercato di droga nell'area oplontina-stabiese.
Le vigorose denunce del giovane giornalista lo condussero a essere regolarizzato nella posizione di corrispondente dal quotidiano nell'arco di un anno. Le sue inchieste scavavano sempre più in profondità, tanto da arrivare a scoprire la moneta con cui i boss mafiosi facevano affari. Siani con un suo articolo accusò il clan Nuvoletta (alleato dei Corleonesi di Totò Riina) e il clan Bardellino, esponenti della "Nuova Famiglia", di voler spodestare e vendere alla polizia il boss Valentino Gionta, divenuto pericoloso, scomodo e prepotente, per porre fine alla guerra tra famiglie. Ma le rivelazioni, ottenute da Giancarlo grazie a un suo amico carabiniere e pubblicate il 10 giugno 1985, indussero la camorra a sbarazzarsi di questo scomodo giornalista.
In quell'articolo Siani ebbe modo di scrivere che l'arresto del boss Valentino Gionta fu reso possibile da una "soffiata" che esponenti del clan Nuvoletta fecero ai carabinieri. Il boss oplontino fu infatti arrestato poco dopo aver lasciato la tenuta del boss Lorenzo Nuvoletta a Marano di Napoli, comune a nord di Napoli. Secondo quanto successivamente rivelato dai collaboratori di giustizia, l'arresto di Gionta fu il prezzo che i Nuvoletta pagarono al boss Antonio Bardellino per ottenerne un patto di pace.
La pubblicazione dell'articolo suscitò le ire dei fratelli Nuvoletta che, agli occhi degli altri boss partenopei e di Cosa nostra (di cui erano insieme ai Gionta gli unici componenti napoletani), facevano la figura degli "infami", ossia di coloro che, contrariamente al codice degli uomini d'onore della mafia, intrattenevano rapporti con le forze di polizia. Da quel momento i capo-clan Lorenzo e Angelo Nuvoletta tennero numerosi incontri per decidere in che modo eliminare Siani, nonostante la reticenza di Valentino Gionta, in quegli anni incarcerato. A Ferragosto del 1985 i Nuvoletta decisero di uccidere Siani, che doveva essere assassinato lontano da Torre Annunziata per depistare le indagini. Giancarlo lavorava sempre alacremente alle sue inchieste e stava per pubblicare un libro sui rapporti tra politica e camorra negli appalti per la ricostruzione post-terremoto.
Giancarlo Siani venne ucciso intorno alle 20:30 del 23 settembre 1985 sotto casa sua, in via Vincenzo Romaniello, a pochi passi da piazza Leonardo, nel quartiere napoletano dell'Arenella, mentre era ancora a bordo della sua Citroën Méhari verde. Gli assassini, con i volti scoperti, gli hanno sparato 10 colpi alla testa con due pistole Beretta calibro 7,65.
È stato acclarato che gli assassini scapparono in moto. Siani, trasferito dalla redazione di Castellammare di Stabia a quella centrale de Il Mattino, all'epoca diretto da Pasquale Nonno, proveniva dalla sede del quotidiano di via Chiatamone. Il giorno della sua morte telefonò al suo ex direttore dell'Osservatorio sulla Camorra, Amato Lamberti, chiedendogli un incontro per parlargli di cose che "è meglio dire a voce". Non si è però mai saputo di cosa si trattasse e se Giancarlo avesse iniziato a temere per la sua incolumità. Lo stesso Lamberti, nelle diverse escussioni testimoniali cui è stato sottoposto, ha fornito versioni diverse della vicenda che non hanno mai chiarito quell'episodio.
Saranno i pentiti Salvatore Migliorino, affiliato ai Gionta, e Ferdinando Cataldo, coinvolto nell'omicidio, a fornire una serie di elementi che porteranno fino ai Nuvoletta.[9]
Il 15 aprile 1997 la seconda sezione della corte d'assise di Napoli condannò all'ergastolo i mandanti dell'omicidio (i fratelli Lorenzo, che scanserà la condanna perché morirà prima della sentenza, e Angelo Nuvoletta, e Luigi Baccante) e i suoi esecutori materiali (Ciro Cappuccio e Armando Del Core). In quella stessa condanna appare, come mandante, anche il boss Valentino Gionta. La sentenza è stata confermata dalla Corte di Cassazione, che però dispose per Valentino Gionta il rinvio ad altra Corte di assise di appello: si è svolto un secondo processo di appello che il 29 settembre 2003 l'ha di nuovo condannato all'ergastolo, mentre il giudizio definitivo della Cassazione lo ha scagionato per non aver commesso il fatto.
Nel 2014 un libro-inchiesta[10] del giornalista napoletano Roberto Paolo ha sollevato dubbi sui reali esecutori dell'omicidio e ha indicato i nomi di altri mandanti ed esecutori. Sulla base di queste rivelazioni, l'allora coordinatore della Direzione antimafia della Procura di Napoli, Giovanni Melillo, ha riaperto le indagini sull'omicidio Siani: il fascicolo affidato ai sostituti procuratori Enrica Parascandolo e Henry John Woodcock[11] è stato definitivamente archiviato per mancanza di ogni riscontro rispetto alla pista investigativa indicata nel libro.
Il 19 settembre 2016, a trentuno anni dalla morte di Giancarlo Siani, è stata inaugurata un'opera di street art dedicata alla vita del giovane giornalista. Il murale è stato realizzato dal duo di artisti italiani Orticanoodles con la tecnica dello stencil ed è caratterizzato da due colori predominanti: il verde della Citroën Méhari e il grigio seppia come l'inchiostro della sua Olivetti M80. L'opera ha anche una funzione didattica, in particolar modo nella sovrapposizione di sette citazioni legate a sette grandi personaggi che descrivono il pensiero, le azioni e la vita di Giancarlo: Alda Merini, Nelson Mandela, Wilbur F. Storey, Albert Camus, Benjamin Constant, Alexis de Tocqueville e Vasco Rossi.
Il progetto è stato realizzato grazie a una campagna di crowdfunding dal titolo Un murale per Giancarlo Siani ed è stato curato da INWARD Osservatorio sulla Creatività Urbana con la collaborazione degli amici di Giancarlo, il dottor Paolo Siani, fratello di Giancarlo, e i condomini che tuttora vivono in via Vincenzo Romaniello, la stessa strada in cui il giornalista visse i suoi 26 anni, a pochi metri dalla quale fu ammazzato[14].
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