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omicidio in cui una donna viene uccisa da un individuo per motivi basati sul genere Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il femminicidio (più raramente femmicidio o femicidio[1]) è un omicidio doloso o preterintenzionale in cui una donna viene uccisa da un individuo per motivi basati sul genere[2]. Esso costituisce dunque un sottoinsieme della totalità dei casi di omicidio aventi un individuo di sesso femminile come vittima. Il significato di tale neologismo è per estensione definito come «qualsiasi forma di violenza esercitata in maniera sistematica sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione di genere e di annientare l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico della donna in quanto tale, fino alla schiavitù o alla morte»[3][4], in linea quindi con la definizione di violenza di genere[5]. In questi termini è oggetto dell'attenzione mediatica[6] e di interventi istituzionali[7][8].
Il termine è composto dal sostantivo femminile femmina con l'aggiunta del confisso -cidio[1], sul modello di parricidio, fratricidio, regicidio, deicidio.
La prima citazione del termine nella sua accezione moderna, come "uccisione di una donna da parte di un uomo per motivi di odio, disprezzo, piacere o senso di possesso delle donne", è del 1977 nell'opera "Le violentate" (SugarCo Edizioni) della giornalista Maria Adele Teodori. Successivamente, nel 1990, per opera della docente di Studi Culturali Americani Jane Caputi[9].
In una ricerca sulle origini del termine, la criminologa Diana E. H. Russell[10] ha rintracciato il primo uso generico della parola femicide (femicidio), con accezione diversa da quella moderna, nel libro "The Satirical Review of London at the Commencement of the Nineteenth Century", pubblicato nel 1801 in Inghilterra. In tale volume, il termine veniva usato per indicare la condotta di un uomo che induce una donna a perdere la propria illibatezza, paragonandolo quindi ad un omicida[11]. Nella medesima ricerca è stato riportato l'uso del termine riguardo all'omicidio di una donna in un romanzo di William MacNish del 1827 e quindi in un manuale di diritto inglese del 1848 ad indicare l'uccisione di una donna, senza riferimenti alla violenza di genere[12].
Successivamente il termine è stato utilizzato dalla stessa Russell nel 1992, nel libro scritto insieme a Jill Radford Femicide: The Politics of woman killing. La Russell identificò nel femminicidio una categoria criminologica vera e propria: una violenza estrema da parte dell'uomo contro la donna «perché donna», in cui cioè la violenza è l'esito di pratiche misogine.[13]
Gli antropologi concordano sul fatto che non tutti gli omicidi di donne sono dei femminicidi: per esempio, se una donna viene uccisa durante una rapina in banca, da un rapinatore che non conosce, non si parla di femminicidio. Invece, il concetto di femminicidio è collegato all'idea di una "violenza strutturale" contro le donne, che si traduce in un continuo di gesti violenti, sia nella dimensione pubblica che in quella privata (come nei nuclei famigliari)[14]. L'antropologa Marcela Lagarde, rappresentante del femminismo latinoamericano e tra le prime teorizzatrici del concetto di femminicidio[15], ha scritto nel 1997:
«El feminicidio implica normas coercitivas, políticas expoliadoras y modos de convivencia enajenantes que, en conjunto, componen la opresión de género, y en su realización radical conducen a la eliminación material y simbólica de mujeres y al control del resto. Para que el feminicidio se lleve a cabo con el conocimiento social y no provoque la ira social, ni siquiera de la mayoría de las mujeres, requiere una complicidad y el consenso que acepte varios principios concatenados: interpretar el daño a las mujeres como si no lo fuera, tergiversar sus causas y motivos y negar sus consecuencias. Todo ello es realizado para sustraer la violencia dañina contra las mujeres de las sanciones éticas, jurídicas y judiciales que enmarcan otras formas de violencia, exonerar a quienes inflingen el daño y dejar a las mujeres sin razón, sin discurso y sin poder para desmontar esa violencia. En el feminicidio, hay voluntad, hay decisiones y hay responsabilidad social e individual.»
«Il femminicidio implica norme coercitive, politiche predatorie e modi di convivenza alienanti che, nel loro insieme, costituiscono l'oppressione di genere, e nella loro realizzazione radicale conducono alla eliminazione materiale e simbolica delle donne e al controllo del resto. Per fare in modo che il femminicidio si compia nonostante venga riconosciuto socialmente e senza perciò provocare l'ira sociale, fosse anche della sola maggioranza delle donne, esso richiede una complicità ed un consenso che accetti come validi molteplici principi concatenati tra loro: interpretare i danni subiti dalle donne come se non fossero tali, distorcerne le cause e motivazioni, negarne le conseguenze. Tutto ciò avviene per sottrarre la violenza contro le donne alle sanzioni etiche, giuridiche e giudiziali che invece colpiscono altre forme di violenza, per esonerare chi esegue materialmente la violenza e per lasciare le donne senza ragioni, senza parola, e senza gli strumenti per rimuovere tale violenza. Nel femminicidio c'è volontà, ci sono decisioni e ci sono responsabilità sociali e individuali.»
Il termine è stato ripreso da studi di diritto, sociologia, antropologia, criminologia[16] e utilizzato negli appelli internazionali lanciati dalle madri nel caso del Femminicidio a Ciudad Juárez.
Il femminicidio è diffuso a livello mondiale, ma ha forme ed incidenza diverse in ogni paese: sono i paesi dell'America centrale e America del Sud quelli in cui è più studiato e si è dato più spazio nella discussione politica.
Una valutazione della portata del fenomeno è stata effettuata dall'Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC) confrontando i dati di 32 paesi europei e nordamericani per i quali si dispone di dati affidabili per gli anni dal 2004 al 2015, periodo nel quale si è registrata un'incidenza di 1,23 morti ogni 100 000 donne residenti[17]. Nel 2017 l'Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine ha attivato la piattaforma di monitoraggio e raccolta dati dei femminicidi in tutto il mondo[18]. Nel 2018 una ricerca a livello mondiale: Gender related killing of women and girls ha dimostrato che ogni anno nel mondo vengono uccise 87 000 donne per motivi di genere[19].
Alcuni ordinamenti giuridici sud-americani (ad es. Costa Rica e Cile) prevedono il femminicidio come reato autonomo.[senza fonte]
L'11 maggio 2011 è stata sottoscritta a Istanbul dai membri del Consiglio d'Europa la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica[21]. La convenzione prevede che divenga vincolante per gli stati membri del Consiglio d'Europa quando almeno 10 stati membri l'avranno ratificata. È stato firmato da 32 paesi e il 12 marzo 2012 la Turchia è diventata il primo paese a ratificare la Convenzione, seguito dai seguenti paesi nel 2015: Albania, Portogallo, Montenegro, Moldavia, Italia, Bosnia-Erzegovina, Austria, Serbia, Andorra, Danimarca, Francia, Finlandia, Spagna, Svezia, Bulgaria, Irlanda[22][23].
L'Austria è il paese europeo dove in assoluto vengono uccise più donne che uomini[24].
Dal punto di vista statistico, la rilevazione ed elaborazione ai fini di analisi del numero ufficiale di omicidi commessi sul territorio nazionale, che dal 2002 ha come base la banca dati dedicata della Direzione centrale della Polizia criminale del Ministero Interno[25], è affidata all'ISTAT.
Secondo i dati rilevati da quest'ultimo, nel periodo 1992-2018 gli omicidi sono fortemente diminuiti in termini assoluti. In particolare, nei 26 anni citati sono diminuiti soprattutto gli omicidi aventi come vittime individui di sesso maschile (da 4,0 per 100.000 maschi nel 1992 a 0,7 nel 2018). Nello stesso periodo, le vittime di omicidio di sesso femminile - di cui i femminicidi sono un sottoinsieme - sono invece calati in misura minore del 33% (da 0,6 a 0,4 per 100.000 femmine). Secondo la stessa fonte, nel 2019 le vittime di sesso femminile sono state 111[26], e nel 2020 se ne sono contate 116[27]. Nel 2021, gli omicidi sono stati in totale 303, ed in 184 casi le vittime erano uomini, mentre in 119 erano donne[28]. Contrariamente a quanto riportato da alcune fonti giornalistiche[29][30], nel 2020-2021, durante la Pandemia di COVID-19, i dati sono rimasti stabili o in calo[31]. Nel 2022 i femminicidi sono stati 106, dato in linea con quanto rilevato nel triennio precedente, di cui 61 sono state uccise da un partner o ex partner[32].
L'incidenza del fenomeno in Italia nel periodo 2004-2015 è stata di 0,51 morti per 100 000 donne residenti, il valore più basso tra tutti i 32 paesi europei e nordamericani del rapporto UNODC, un dato inferiore alla metà della media dei 32 paesi osservati (1,23 su 100 000)[17]. Il dato italiano è il migliore anche per ciò che riguarda i femminicidi di cui è autore il partner o l’ex partner, con un'incidenza di 0,23 uccisioni ogni 100 000 donne residenti, minore della metà del dato medio riferito ai dodici paesi per cui erano disponibili dati confrontabili[17].
In termini statistici, l'ISTAT ha osservato per il periodo 2005-2020 che gli uomini sono generalmente uccisi da uno sconosciuto, con percentuali che vanno dall'84,8% (2005) al 60,6% (2020). Più raramente da un parente o conoscente. La possibilità che siano uccisi dal partner o dall'ex partner va dal 4,5% (2005) al 2,9% (2020). La maggior parte delle donne viene invece uccisa dal partner o dall'ex partner, con percentuali che vanno dal 40,9% (2005) al 57,8% (2020); o da un altro parente, con percentuali che vanno dal 18,2% (2005) al 25,9% (2020); mentre gli omicidi per mano di uno sconosciuto sono scesi dal 34,1% (2005) al 7,8% (2020)[27].
Pur con le dovute cautele richieste nella comparazione di dati internazionali, l'ISTAT ha inoltre affermato che per lo stesso periodo 2005-2020 l’incidenza degli omicidi di donne in Italia sia contenuta in rapporto al contesto europeo. Infatti tra i 24 Paesi dell’Unione europea per i quali si hanno a disposizione dati aggiornati, si osservano valori inferiori di omicidi aventi come vittima donne solo nel caso di Grecia e Irlanda[27]. Tale dato è stato confermato nel 2021, anno nel quale l'Italia è rimasta al terzultimo posto in termini di incidenza calcolata per i 23 paesi europei, con 0,39 omicidi per 100mila donne contro una media di 0,60 omicidi per 100mila donne. L'Italia precede solo l’Irlanda (0,28) e Malta, dove non ci sono state vittime donne nell’anno 2021[33].
Altre fonti non governative hanno a più riprese effettuato rilievi sullo stato e l'evoluzione del fenomeno nel tempo. L'avvocata sudafricana Rashida Manjoo[34], all'epoca Special Rapporteur delle Nazioni Unite, nel rapporto[35][36] sulla visita effettuata nel gennaio 2012 in Italia per verificare l'applicazione CEDAW rilevò 127 femminicidi in Italia nel 2010. Secondo quest'ultima, fino a quel momento vi era stato uno sforzo limitato da parte del governo e della società civile nel raccogliere dati sulla violenza contro le donne, incluso il femminicidio[36][37]. Una ricostruzione delle vittime tra il 2000 e il 2011 è stata successivamente operata da EURES e ANSA con l'indagine "Il femminicidio in Italia nell'ultimo decennio"[38].
Dal punto di vista legislativo, l'ordinamento penale italiano non prevede il femminicidio né come fattispecie autonoma di reato, né come aggravante.
Nel giugno 2013, il parlamento italiano ha ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica e nell'agosto dello stesso anno il governo Letta ha emanato il decreto legge 93/2013[39], poi convertito nella legge 15 ottobre 2013 n. 119[40], contenente norme penali che aggravano le ipotesi di atti persecutori od omicidio contro il coniuge o il convivente, sia quando l'omicida è donna sia quando si tratta di un uomo, tramite specifiche aggravanti dei reati. Il fatto che l'applicazione di tale legge si estenda a fattispecie e casistiche penali tra loro molto diverse ha dato origine ad alcune critiche sul concetto di femminicidio e sulla sua applicazione[41].
Nel 2018 è stata istituita dal Senato la prima Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, per analizzare il fenomeno in Italia e per trovare soluzioni per arginare il problema. La presidente Francesca Puglisi insieme a 19 senatrici e senatori hanno svolto i lavori nell'ambito della delibera istitutiva del 18 gennaio 2017 e il lavoro è stato terminato con la relazione finale del 6 febbraio 2018.[42]. La seconda Commissione preseduta da Valeria Valente è stata attiva dal 23 marzo 2018 a novembre 2022, ha 20 componenti[senza fonte] e ha prodotto numerose report e inchieste[quali?].
Nel 2017 è uscito uno studio sugli orfani di vittime di femminicidio[43] di Anna Costanza Baldry, in cui è stato stimato che in Italia in 15 anni (dal 2000-2014) ci sono stati 1 600 nuovi casi di orfani che hanno perso la madre perché uccisa dal padre. Con il padre o in carcere o suicida, i sopravvissuti minori o già maggiorenni sono definiti "orfani speciali" data l'entità dei loro problemi, connessi all'essere senza genitori e spesso testimoni di violenze passate. La ricerca è stata realizzata grazie al progetto europeo Switch-off[44], svolto in cooperazione con la rete DiRe. Donne in Rete contro la violenza[45]. In seguito alla pubblicazione di questi dati mai prima rilevati in Italia, è stata messa in discussione una legge[46] che tratta il tema degli orfani delle vittime di femminicidio.[Lo studio cui si fa riferimento è del 2017, tuttavia la fonte citata a supporto dell'inserimento in voce della proposta di legge è del 2016, quindi non è corretto assumere una consequenzialità tra le due cose. Inoltre, non si dà conto dell'esito della proposta di legge.]
Nel 2019, la Polizia Italiana ha pubblicato degli opuscoli informativi[47] denominati ...Questo non è amore. Da essi emerge che l'incidenza percentuale delle vittime di sesso femminile dei reati di violenza di genere è cresciuta dal 67,90% del 2016 ad oltre il 70% negli anni 2018-2019[48].
Le analisi antropologiche di Marcela Lagarde sono nate osservando le proporzioni dell'omicidio di donne nella città di Ciudad Juárez in Messico[14]. Tra il 1994 e il 2005 in questa città ci sono stati circa 370 omicidi di donne, una percentuale sproporzionata rispetto alla provincia e molto più alta che in città con un profilo equivalente[49]. Gli omicidi di Ciudad Juárez hanno lasciato il segno nell'immaginario collettivo, perché i corpi sono stati trovati in terreni liberi o nel deserto, le donne sono state violentate, torturate e crudelmente mutilate[50].
È stato fatto notare che nel periodo fra il 1994 e il 2018, gli autori di questi omicidi non hanno praticamente avuto conseguenze legali. Per questo, l'antropologa Julia Monárrez Fragoso ha proposto la definizione di "femminicidio sessuale sistemico"[51].
Anche Riccardo Iacona a conclusione di un'indagine sul fenomeno condotta nel 2013, punta il dito sull'omertà e sostanziale complicità collettiva nei confronti dell'assassino. Iacona nota che gli omicidi avvenuti all'interno di una coppia sono molto diversi da quelli che avvengono nell'ambito della criminalità comune, e fa un paragone con le esecuzioni di stampo mafioso[52]:
«in genere si tratta di omicidi di stampo mafioso, cioè non realizzati nel chiuso delle case, ma molto spesso davanti a tutti: davanti ai figli, davanti ai parenti, nelle pubbliche vie, spesso anche annunciati, nel senso che molti sapevano che quella situazione era una situazione difficile (...) il contesto in cui questi episodi si verificano [è] Vasto veramente, sia negli anni che nel numero di persone che sono a conoscenza delle difficoltà di una relazione di coppia: i vicini, i parenti, spesso i carabinieri, spesso anche i magistrati quando c’è stata la denuncia. Ebbene, il fatto che per anni tutti sapevano e nessuno ha fatto niente, parenti inclusi, ci dice qualcosa di profondo, cioè ci dice che sostanzialmente c’è un’area di complicità attorno a questi fenomeni.»
Secondo il sessuologo Philippe Brenot, nella specie umana la struttura della coppia si è progressivamente basata sul riconoscimento della paternità. Quando il maschio pretende di avere la certezza di essere il padre della prole, questa sicurezza:[53]
«può essere ottenuta solo con l'imprigionamento delle femmine (donne) in quello che viene chiamato 'matrimonio', essenzialmente destinato a impedire l'incontro delle femmine con altri maschi. Questo recinto "protettore" della purezza della prole diventa il luogo di tutti i drammi e degli omicidi. La macchina della dominazione maschile è all'opera nel quadro giuridico del matrimonio, e la gelosia è un meccanismo di vigilanza.»
Il matrimonio come "recinto" dove controllare i movimenti della donna sarebbero una costante di tutti i popoli indoeuropei perché hanno una matrice culturale patriarcale[54]. Per esempio, nella cosiddetta cultura kurgan, oggi considerata come origine dei popoli indoeuropei, la morte di un capotribù era seguita dal sacrificio delle sue mogli[54], un'usanza che non aveva corrispettivi nelle popolazioni pre-indoeuropee[54].
Secondo gli antropologi e i sociologi il "recinto di controllo" non si limita solamente alle donne sposate. Secondo Anthropen, un dizionario di antropologia contemporanea, il femminicidio è "il punto finale di un continuum di violenza [...] specificamente diretto alle donne"[55].
Una delle categorie più note di femminicidio è quello dove un uomo uccide la sua compagna: si parla di "femminicidio causato da partner intimo" (intimate partner femicide o intimate femicide in inglese, féminicide intime in francese). Spesso quando si parla di femminicidio ci si riferisce al solo 'femminicidio intimo'.
Il fatto che si tratti di un fenomeno differente dalla violenza criminale sembra confermato dal fatto che ha delle statistiche indipendenti da quelle degli omicidi generici. Durante la pandemia Covid 2020-2021, infatti, il numero di omicidi è diminuito, mentre sono aumentati gli omicidi di donne da parte dei mariti[29][30].
Una delle motivazioni più frequenti è l'incapacità dell'uomo di sopportare la separazione, cioè la rottura della coppia[56]. In effetti, un rapporto dell'Ispettorato generale della giustizia in Francia nell'ottobre 2019 ha rilevato che il 74% degli omicidi sono motivati dalla separazione (43%) o dalla gelosia (31%)[56] .
In alcuni casi, il femminicidio della donna è seguito dal suicidio dell'assassino. Queste due casistiche sembrano abbastanza differenti:
«Noi possiamo dividere gli uomini in due categorie. Non lo dico da un punto di vista scientifico ma come elemento di conoscenza molto concreta, molto pratica. Una dimensione narrativa un po’ diversa. Da una parte ci sono uomini, e sono tanti, che si uccidono e nel momento in cui si uccidono è un po’ come se ammettessero di aver superato una soglia, perché immagino che uccidersi non sia semplice. Molti di questi uomini, oltre ad aver predeterminato l’omicidio, hanno anche preordinato il suicidio, tanto è vero che lo fanno nel momento stesso o immediatamente dopo avere ucciso. Poi ci sono quelli che non si uccidono. Quelli che non si uccidono sono molto interessanti. Se voi andate a leggere le carte dei processi, sono persone che non si pentono mai veramente dell’atto che hanno commesso. (...) Sono convinti di aver fatto la cosa giusta perché non potevano accettare la violazione che questa donna ha fatto, ad amore terminato ormai da anni nella gran parte dei casi. E anche questo ci dice che non si tratta di storie d’amore andate a male, perché sono relazioni che magari sono interrotte da due-tre anni, dove c‘è di mezzo l’avvocato, dove c’è denuncia per stalking.»
Secondo gli studiosi, il femminicidio intimo può essere il punto estremo di un'escalation di violenza domestica e più in generale inquadrarsi una relazione tossica, detta anche di dipendenza affettiva. Mentre nei casi di omicidio l'assassino può cercare di punire la donna per essersi sottratta al suo controllo[58], nei casi di omicidio-suicidio l'assassino realizza il suo sogno di fondersi completamente con la sua compagna in un delirio autodistruttivo[59].
Alcuni ricercatori osservano un fenomeno di transfert che l'omicida proietterebbe sulla figura materna, replicando sulla compagna quello che non può fare sulla madre tanto odiata[60].
Un'altra casistica è quella dove il marito, anziché colpire direttamente la moglie che chiede la separazione, uccide i figli e incolpa la moglie del suo gesto[61][62][63][64][65][66][67][68][69][70][71]. Si è parlato a questo proposito di femminicidio indiretto[72].
Alcune aree chiave per lo studio del femminicidio intimo sembrano essere il narcisismo maligno e lo stalking[58][59]. Per questo motivo molti psicologi e specialisti di violenza domestica e stalking premono per un'educazione affettiva nelle scuole e una formazione per identificare i segnali di pericolo per riconoscere uno stalker in anticipo o alle prime fasi di una relazione[73][74].
Nel 2018 è stato pubblicata una metanalisi statunitense di 285 studi relativi alla correlazione fra consumo di alcool e violenze tra partner intimi, rappresentativo di un campione di 625.000 persone. Lo studio ha confermato la forte correlazione fra alcool e violenze, sia da parte degli aggressori che delle vittime, anche in coloro che lo consumano una o due volte al mese. Se si somma il consumo delle vittime, l'alcool è presente in un caso di violenza su due.[75][76]
Il delitto d'onore viene fatto rientrare nella categoria del femminicidio in quanto una donna viene uccisa perché è uscita dal "recinto di controllo" maschile nel matrimonio, di cui parla il sessuologo Philippe Brenot. In questa tipologia di femminicidio, l'autore materiale può non essere solo il marito della donna, bensì anche uno dei famigliari di lui o di lei, o addirittura coinvolgere l'intera comunità.
La dicitura "d'onore" deriva dal fatto che questa tipologia di omicidio vuole salvare la reputazione della famiglia, con particolare riferimento a taluni ambiti relazionali come ad esempio i rapporti sessuali, matrimoniali o comunque di famiglia. Nelle legislazioni in cui è contemplato, l'onore, cioè la reputazione sociale, è riconosciuto come un valore socialmente rilevante di cui si possa e si debba tener conto anche a fini giuridici, e specialmente se ne parla quindi in ambito penale.
Nel mondo, i delitti d'onore avvengono principalmente quando la donna viene accusata di[77]:
In Italia, fino al 1981, chi commetteva un delitto d'onore godeva di uno sconto di pena[81]. Il caso contemplato dal legislatore italiano era quello della "moglie adultera", cioè la donna che tradiva il marito intrattenendo una relazione extra-coniugale: si supponeva infatti che la persona che avesse sorpreso una donna della sua famiglia nell'atto di tradire sarebbe caduta in uno "stato d'ira" vedendo macchiato l'onore della famiglia. Questo stato d'ira avrebbe reso l'omicida meno lucido e dunque meno responsabile del delitto.
La cosa interessante è che il Codice penale italiano ha avuto un'evoluzione: nel Codice Zanardelli del 1889 questa riduzione di pena era prevista sia per i parenti maschi che per le parenti femmine, nello specifico la sorella del marito tradito[82]. Il Codice Rocco del 1930 ha ristretto la riduzione della pena a tre categorie di uomini: marito, padre, fratello della donna uccisa[83].
Da notare anche che la situazione inversa non era contemplata: una moglie non poteva denunciare suo marito per adulterio, in quanto era considerato reato solo per la moglie[84], e anche l'omicidio del marito per causa d'onore non era un'eventualità presa in considerazione[85].
Nel 1968 l'adulterio venne depenalizzato e l'articolo 559 del Codice Rocco che lo disciplinava venne abrogato in quanto incostituzionale. Ma la clausola del delitto d'onore rimase appunto valida fino al 1981[81].
Femminicidi come "esecuzioni" di donne adultere sono stati registrati di recente in Italia nelle organizzazioni di tipo mafioso, come la 'Ndrangheta, in particolare quando una donna ha avuto una relazione affettiva con un membro di un "clan" rivale. Questo è stato il caso di Francesca Bellocco, moglie di Salvatore Barone e madre di Francesco Barone, entrambi membri della cosca Bellocco[86]: poiché Francesca Bellocco intratteneva una relazione con Domenico Cacciola, esponente della cosca Cacciola, nel 2013 suo figlio la uccise, con la complicità di due sicari[87]
La morte per dote (o omicidio di dote) è l'uccisione o l'induzione al suicidio delle donne attraverso tortura e molestie da parte di mariti o suoceri per una disputa sulla loro dote. Le morti per dote avvengono principalmente nel Subcontinente indiano, e più precisamente in Bangladesh[88], India[89], Pakistan[90], nonché in Iran[91].
In questa regione, per tradizione la ragazza da sposare deve portare alla famiglia dello sposo una dote consistente al proprio status sociale e livello economico. Una volta si trattava di un kg di gioielli in oro, ora di beni di consumo, come una televisione, l'aria condizionata, un motorino. Per procurare una dote alla figlia, le famiglie arrivano a indebitarsi[92]. Il governo indiano ha reso illegale la pratica della dote con il "Dowry Prohibition Act" nel 1961, ciononostante la pratica continua e non di rado produce forti tensioni fra i due sposi e fra le due famiglie.
Per esempio, nel 2018, una donna bengalese denunciò il marito e la famiglia di lui per averla convinta a sottoporsi a un'operazione chirurgica in cui le è stato asportato un rene senza informarla: il marito aveva venduto il rene della moglie sul mercato nero degli organi, al prezzo della dote che la famiglia della sposa non riusciva a pagare[93][94].
Quando la dote non viene pagata, si può arrivare all'uccisione. Ci sono casi documentati in cui la famiglia dello sposo, scontenta della dote corrisposta dalla famiglia della sposa, ha ucciso la donna, simulando un incidente domestico, di preferenza bruciando viva la sposa ai fornelli o facendola affogare nel pozzo o al fiume[95]. Spesso del femminicidio si incarica la suocera.
Storicamente, la pratica dell'esposizione dei neonati indesiderati nell'antichità ha riguardato particolarmente le bambine. È molto raro, infatti, che nell'Antica Grecia e Antica Roma le cronache menzionino delle famiglie con più di una figlia femmina: si presume dunque che le figlie cadette siano state esposte[96][97], come racconta il mito di Atalanta.
«Un figlio maschio lo alleva chi è povero, ma una figlia femmina la espone anche chi è ricco[98]»
Questa pratica aveva un corrispettivo in Medio Oriente nel Wa'd al-banat, cioè il sacrificio rituale delle figlie femmine, diffusa nella Penisola araba preislamica; benché le ragioni di questa usanza siano ancora sconosciute, gli storici hanno formulato alcune ipotesi sulla base delle abitudini di vita delle tribù nomadi della penisola arabica.
Con l'avvento dell'Islam e del Cristianesimo rispettivamente, l'infanticidio selettivo è stato progressivamente abbandonato.
Tuttavia questo continua in altre regioni del mondo.
In alcuni paesi dell'Asia, in particolare Afghanistan[99], Subcontinente indiano cioè Bangladesh[100], India, Pakistan, nonché in Cina[101] la nascita di una donna è ostacolata per vari motivi, tramite la pratica dell'infanticidio o dell'aborto.
Si tratta di gesti operati in primo luogo da donne[101], quindi escono dalle definizioni di femminicidio dove si parla di omicidio per mano di un uomo[2]. Tuttavia, in quanto eliminazione fisica di una donna per motivi di genere, a livello internazionale il fenomeno viene spesso fatto rientrare in questa fenomenologia e nelle relative statistiche. Si è parlato a questo proposito di "genocidio femminile" o di "genericidio"[100].
In India, si considera che il figlio maschio è la "luce della casa" perché ci si aspetta che porti avanti il nome della famiglia e si crede che nell'oltretomba solo l'anima di un figlio maschio possa prendersi cura dell'anima del padre[100]. C'è inoltre una ragione strettamente economica, cioè la pratica della dote: è tradizione che sia la sposa a portare la dote di un matrimonio, e la famiglia della sposa spesso si indebita per questo. Quindi, dare alla luce una bambina è considerata una disgrazia o più banalmente, come "annaffiare un fiore nel giardino del vicino di casa" secondo un proverbio tamil[102].
Una pratica diffusa prima degli anni Ottanta era quella di avvelenare le neonate[103], poi con la diagnostica prenatale si è passati all'aborto selettivo dei feti femmina.
Si è calcolato che sommando gli aborti selettivi, gli infanticidi delle femmine, gli omicidi legati alla dote e la mancanza di cure per la madre nel periodo dopo il parto, in India mancano all'appello circa 50 milioni di donne solo fino agli anni 2000[104][105].
Malgrado l'avvio di alcune campagne di opinione governative, la situazione sembra peggiorare: l'aborto selettivo delle femmine sarebbe cresciuto del 60% tra il 2007 e il 2016[106]. Secondo alcune ricerche, il fenomeno non sarebbe proporzionale alle restrizioni economiche in cui vive la famiglia, bensì al contrario: è una scelta delle donne più emancipate del paese, cioè aumenta con il livello di istruzione della madre[100][107]. Alcuni ricercatori hanno osservato una correlazione fra le oscillazioni nel prezzo dell'oro e le percentuali di aborto selettivo femminile[108][109].
In Cina è l'uomo che porta la dote alla sposa[110], ciononostante la preferenza dei ragazzi rispetto alle ragazze risale al Confucianesimo. La pratica dell'infanticidio e aborto selettivo è aumentata considerevolmente con la "politica del figlio unico" iniziata nel 1979 dalla Repubblica Popolare Cinese: per ridurre lo sviluppo demografico della Cina, il governo vietò a tutte le famiglie di avere più di un figlio. Dato che per la società cinese avere un figlio maschio è considerato preferibile ad avere una femmina, le famiglie hanno boicottato la nascita di figlie femmine.
La politica del figlio unico è stata abbandonata nel 2015 poiché ha portato a un importante deficit demografico di donne nel paese[111][112].
Questo squilibrio demografico sta avendo degli effetti sulla tratta di esseri umani, in quanto in Cina si è creato un racket internazionale di vendita di promesse spose per i numerosi scapoli che non riescono a pagare una dote (i cosiddetti "rami secchi"[113]). Le donne provengono principalmente dall'Ucraina, dall'Uzbekistan e dal sud-est asiatico[110].
Un incel è un membro di una categoria, composta prevalentemente da uomini eterosessuali,[114] che afferma di non riuscire a trovare un partner sentimentale e/o sessuale, nonostante ne desideri uno, in quanto rifiutato perché non attraente. Il neologismo inglese incel è un portmanteau di involuntary celibate, traducibile in italiano come «celibe involontario».[115]. I membri della comunità incel sostengono che la rivoluzione sessuale e il femminismo, lasciando le donne libere di scegliersi un partner, ha fatto sì che le donne selezionassero solamente gli uomini più in alto nella scala sociale, lasciando senza opportunità gli uomini più sfavoriti.
L'International Centre for Counter-Terrorism ha definito le stragi incel come forme di "terrorismo misogino" (misogynist terrorism)[116]. Almeno sei omicidi di massa sono stati commessi dal 2014 da uomini che si sono auto-identificati come incel o che avevano menzionato nomi e scritti legati ad incel nei loro manifesti o post su Internet.
La prima strage incel è solitamente fatta risalire al massacro di Isla Vista del 2014, in cui l'assassino lasciò una sorta di "manifesto" che viene spesso citato dagli stragisti successivi.
Tuttavia, in quanto femminicidio di massa si può riscontrare un precedente nel Massacro del Politecnico di Montréal avvenuto il 6 dicembre 1989. In quel caso, l'assassino uccise 14 donne dei corsi di laurea di ingegneria, accusandole di essere "femministe", per poi rivolgere l'arma contro se stesso. In una tasca della sua giacca fu trovata una lettera di suicidio - che non fu mai pubblicata integralmente - in cui accusava le femministe di avergli rovinato la vita, ed elencava dieci personalità femministe che lui avrebbe voluto uccidere se ne avesse avuto la possibilità[117]. Il massacro del Politecnico di Montréal è stato considerato come il primo femminicidio di massa rivendicato come tale[118], e l'autore è celebrato dagli incel come "vittima delle femministe"[119]
Un altro caso di femminicidio di massa si ebbe nel 2009 in un centro fitness di Pittsburgh, in cui George Sodini assalì la sezione femminile del centro fitness, uccidendo tre donne prima di suicidarsi[120]. Il giornalista Peter Baker attribuì la strage all'odio che Sodini nutriva per le donne e al mondo degli "Incel"[121].
La legge penale italiana prevede delle ipotesi di reato generali, scollegate dal sesso, genere ovvero identità della persona che ne è vittima. Cosi, le violenze sulle donne dalle quali scaturisca la morte della donna vittima sono punite quale omicidio oppure omicidio preterintenzionale. In ambito giuridico, il termine "femminicidio" non trova riscontro, anche a ragione della stretta connotazione di genere la quale lederebbe al principio di uguaglianza formale sulla base del sesso sancito dall'Articolo 3 della Costituzione[158].
Tuttavia, diversi interventi legislativi hanno rafforzato la risposta penale nei confronti degli autori di femminicidio, prevedendo agli articoli 576 e 577 del codice penale la pena dell'ergastolo quale circonstanza aggravante a carico di coloro che uccidano il proprio partner, convivente ovvero sposo[159][160]. In particolare, nel corso della XVIII legislatura - sotto i Governi Conte I (2018-2019), Conte II (2019-2021) e Draghi (2021-2022) - il Parlamento italiano ha legiferato per migliorare il contrasto ai femminicidi, sulla stessa stregua della precedente legislatura, ratificando la Convenzione di Istanbul e stanziando dei fondi, nell'ambito del Piano d'azione straordinario, a favore delle vittime di sesso femminile di violenza di genere.
La legge n. 69 del 2019, detta anche legge del Codice Rosso, ha rafforzato le tutele in fase dibattimentale delle vittime di reati di violenza sessuale e domestica, poi seguita dalla legge n. 134 del 2021, detta anche legge della Giustizia Riparativa in materia di violenza domestica e di genere. La raccolta di dati statistici inerenti al fenomeno delle violenze è stata realizzata mediante la legge n. 53 del 2022, recante Disposizioni in materia di statistiche in tema di violenza di genere (GU. 24.05.2022).
Peraltro, il Governo Draghi aveva presentato un disegno di legge (S.2530) al Senato volto a estendere l'obbligo di informare la vittima quanto all'esistenza di centri antiviolenza, l'ammonimento da parte del questore, nonché l'uso del braccialetto elettronico, permettendo l'applicazione di misure di prevenzione in presenza di reati contemplati dal codice rosso, senza ottenere la necessaria approvazione parlementare. Ugualmente, non ha concluso l'iter parlamentare un'altra proposta di legge, approvata dalla Camera in prima lettura, volta a concedere il permesso di soggiorno alle vittime del reato di costrizione o induzione al matrimonio[161][162][163].
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